Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-04-24, n. 201701887
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Pubblicato il 24/04/2017
N. 01887/2017REG.PROV.COLL.
N. 01519/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1519 del 2011, proposto dal signor F Z, rappresentato e difeso dagli avvocati A P e S M, domiciliato
ex
art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
L’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avvocato D M, domiciliato in Roma, via S. Croce in Gerusalemme, 55;
per la riforma
della sentenza 4 giugno 2010, n. 8316 del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione I.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica;
viste le memorie difensive;
visti tutti gli atti della causa;
relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2017 il Cons. V L e udito l’avvocato D M.
FATTO
1.– Il sig. Zaccaro Franco, dipendente del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria:
- è cessato dal servizio a decorrere dal 6 ottobre 1983;
- gli è stata liquidata l’indennità di buonuscita in data 6 aprile 1984;
- in data 21 novembre 1987 ha richiesto l’inclusione dell’indennità integrativa speciale non conteggiata;
- il Ministero di grazia e giustizia, con nota del 27 gennaio 1988, ha provveduto a riliquidare l’indennità di buonuscita;
- in data 7 febbraio 1993 ha richiesto l’inclusione dell’indennità integrativa speciale nella base di calcolo ai fini del computo dell’indennità di buonuscita;
- il Ministero, con nota 7 maggio 1994, n. 2085, ha comunicato alla parte che la sua richiesta doveva essere inoltrata all’ente erogatore;
- con istanza del 1° ottobre 1994 ha richiesto nuovamente all’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica (d’ora innanzi Inpdap) il computo dell’indennità integrativa speciale nell’indennità di buonuscita;
- l’Inpdap non ha provveduto alla liquidazione.
2.– Il sig. Zaccaro ha proposto, pertanto, il ricorso n. 171 del 2007 innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione di Salerno, chiedendo che l’ente intimato venisse condannato alla corresponsione della predetta indennità.
Il Tribunale amministrativo, con sentenza 4 giugno 2010, n. 8316, ha ritenuto prescritta la pretesa azionata.
3.– Il ricorrente in primo grado ha proposto appello.
4.– Si è costituito in giudizio l’Inpdap, chiedendo il rigetto dell’appello.
5.– La causa è stata decisa all’esito dell’udienza pubblica del 23 febbraio 2017.
DIRITTO
1.– La questione posta all’esame della Sezione attiene all’accertamento del diritto dell’appellante alla corresponsione dell’indennità integrativa speciale nell’ambito dell’indennità di buonuscita.
2.– L’appello non è fondato.
3.– Con un primo motivo si deduce che il primo giudice non avrebbe potuto dichiarare prescritta la pretesa, perché l’eccezione è stata sollevata non con la prima memoria di costituzione bensì con memoria successiva del 3 marzo 2010.
Il motivo non è fondato.
Nel sistema processuale anteriore all’entrata in vigore del codice del codice del processo amministrativo, come correttamente messo in rilievo dal primo giudice, non possono essere ravvisate preclusioni in ordine al tempo entro cui sollevare eccezioni che rientrano nella disponibilità della parte. Deve, pertanto, ritenersi tempestiva l’eccezione contenuta nella suddetta memoria.
4.– Con un secondo motivo, si deduce che la pretesa non potrebbe ritenersi estinta, in quanto con atto del 7 febbraio 1993 sarebbe stata interrotta la prescrizione.
Il motivo non è fondato.
La Corte costituzionale, con la sentenza 19 maggio 1993, n. 243, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’articolo 1, terzo comma, lettere b ) e c ), della legge 27 maggio 1959, n. 324, con gli articoli 3 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, nella parte in cui non prevedono, per i trattamenti di fine rapporto ivi considerati, meccanismi legislativi di computo dell’indennità integrativa speciale.
L’art. 1 della legge 29 gennaio 1994, n. 87, al fine di dare “attuazione” alla predetta sentenza, ha previsto che: « In attesa della omogeneizzazione dei trattamenti retributivi e pensionistici per i lavoratori dei vari comparti della pubblica amministrazione e per i lavoratori privati (…) l’indennità integrativa speciale (…) viene computata, a decorrere dal 1° dicembre 1994, nella base di calcolo della indennità di buonuscita e di analoghi trattamenti di fine servizio determinati in applicazione delle norme già vigenti con riferimento allo stipendio ed agli altri elementi retributivi considerati utili », in una misura, indicata, diversa a seconda della natura del rapporto di impiego.
L’art. 3, comma 1, della suddetta legge n. 87 del 1994 ha disposto che il trattamento economico in esame « viene applicato anche ai dipendenti che siano cessati dal servizio dopo il 30 novembre 1984 ed ai loro superstiti, nonché a quelli per i quali non siano ancora giuridicamente esauriti i rapporti attinenti alla liquidazione dell'indennità di buonuscita o analogo trattamento ».
Il Consiglio di Stato, sez. VI, con sentenza 23 marzo 2009, n. 1713, ha già avuto modo di affermare che la predetta legge, nel riconoscere il computo dell'indennità integrativa speciale, a decorrere dal 1° dicembre 1994, nella base di calcolo dell'indennità di buonuscita e di analoghi trattamenti di fine servizio, ha dettato un articolato regime transitorio, riconoscendo tale computo anche a favore dei dipendenti cessati dal servizio prima dell'entrata in vigore della l. n. 87 del 1994, operando tuttavia una distinzione tra i dipendenti cessati dal servizio dopo il 30 novembre 1984 e dunque entro dieci anni calcolati a ritroso dalla data di decorrenza del beneficio di legge (1° dicembre 1994) ed i dipendenti cessati dal servizio prima del 30 novembre 1984, e cioè più di dieci anni prima della data di decorrenza del beneficio di legge.
Alla prima categoria di dipendenti il beneficio è stato riconosciuto, a domanda, senza necessità di ulteriori presupposti (se non la presentazione di tempestiva istanza), in quanto si considera ancora non prescritto il relativo diritto.
Alla seconda categoria di dipendenti il beneficio è stato riconosciuto, sempre a domanda, solo se sia provato l'ulteriore presupposto che vi sia un rapporto giuridico pendente (diversamente, si suppone intervenuta la prescrizione).
L'applicazione della legge a favore di entrambe le categorie di dipendenti già cessati dal servizio avviene a domanda, che deve essere presentata all'ente erogatore su apposito modello nel termine perentorio del 30 settembre 1994 (art. 3 comma 2).
Per i dipendenti pubblici cessati dal servizio prima del 30 novembre 1984, pertanto, il riconoscimento del beneficio introdotto dalla legge in esame è stato ancorato ad un duplice presupposto: uno sostanziale, che il rapporto relativo alla liquidazione del trattamento di fine servizio non sia giuridicamente esaurito;l'altro, formale, che sia presentata tempestiva istanza.
I due presupposti sono entrambi necessari e la sola presentazione dell'istanza non è elemento sufficiente, dovendosi verificare che il rapporto giuridico non sia esaurito: se questo risultava esaurito, la presentazione dell'istanza non lo ha potuto riaprire.
Il termine di prescrizione, ai sensi dell’art. 20 del t.u. n. 1032 del 1973, è di cinque anni e inizia a decorrere dalla data del collocamento a riposo del pubblico dipendente (Cons. Stato, sez. VI, 25 maggio 2005, n. 2653).
Nella fattispecie, in esame, l’appellante è cessato dal servizio in data 6 ottobre 1983 e dunque si applica il regime giuridico, sopra indicato, con la conseguenza che la parte avrebbe dovuto dimostrare che la sua pretesa non si sia prescritta.
Dagli atti e dalla stessa esposizione dei fatti, sopra riportata, risulta che il termine di cinque anni è stato interrotto per effetto del decreto di liquidazione definitiva dell’indennità di buonuscita del 27 gennaio 1988. L’istanza di riliquidazione dell’indennità di buonuscita, mediante l’inclusione nella relativa base di calcolo dell’indennità integrativa speciale, è stata presentata solo in data 7 febbraio 1993 e cioè quando la pretesa creditoria era già estinta.
In definitiva, non può ritenersi che tale ultima istanza abbia interrotto la prescrizione, in quanto il diritto era già estinto per l’avvenuto decorso di cinque anni a quella data.
5.– Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
La natura della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente grado di giudizio.