Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-09-27, n. 201704518

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2017-09-27, n. 201704518
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201704518
Data del deposito : 27 settembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/09/2017

N. 04518/2017REG.PROV.COLL.

N. 00205/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 205/2011, proposto da R C, rappresentato e difeso dagli avvocati G F, S C e C M, con domicilio eletto in Roma, via Orazio n. 31,

contro

il Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca – MIUR, in persona del sig. Ministro pro tempore e l’Università degli studi di Cagliari, in persona del Rettore pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

per la riforma

della sentenza del TAR Sardegna, sez. I, n. 1551/2010, resa tra le parti e concernente l’accertamento del diritto dell’appellante allo status di professore stabilizzato, con la conseguente corresponsione di somme, con rivalutazione ed interessi;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 13 aprile 2017 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti gli avvocati Curto e Murgia e l'Avvocatura dello Stato Fiorentino;


Ritenuto in fatto che:

– al prof. R C l’Università degli studi di Cagliari conferì l’incarico di Matematica II presso la locale Facoltà di economia e commercio, a far tempo dall’a. acc. 1975/76 e fino al 1999, ossia quando questi fu collocato a riposo;

– il prof. C instaurò allora vari contenziosi con il predetto Ateneo, in esito ai quali egli fu sì considerato professore stabilizzato, ma senza che l’Ateneo stesso gli avesse riconosciuto, ai fini sia retributivi che pensionistici, il periodo da lui svolto come professore incaricato;

– tanto a causa, dapprima, della pendenza della lite circa il riconoscimento della stabilizzazione e, poi ed una volta definita tale vicenda, della mancata autorizzazione ministeriale, denegata perché la proposta dell’incarico era intervenuta ben dopo la scadenza del termine ex art. 3, u.c. della l. 21 febbraio 1980 n. 28;

– intervenne quindi la sentenza del TAR Sardegna n. 440 del 1999, la quale riconobbe al medesimo prof. C la sussistenza dell’obbligo, in capo all’Ateneo ed al MIUR, di provvedere all’esatta definizione del di lui incarico;

– in sede d’esecuzione del giudicato scaturente da tal sentenza, il Commissario ad acta respinse ex novo , nel merito e con nota prot. n. 17976 del 7 dicembre 2005, la pretesa del prof. C al conferimento di incarichi post l. 28/1980;

Rilevato altresì che:

– nelle more di tale lite, il prof. C aveva nuovamente adito il TAR Sardegna, con il ricorso NRG 1582/2000, chiedendo l’accertamento del suo diritto allo status di professore stabilizzato (con ricostruzione della carriera) ed alla corresponsione delle differenze retributive per tutto il relativo periodo o, in subordine, un indennizzo per indebito arricchimento dell’Università intimata;

– l’adito TAR, con sentenza n. 1591 del 23 giugno 2010, dichiarò l’improcedibilità del ricorso sulla questione dello status di docente stabilizzato (proprio a causa del responso commissariale negativo), ma senza pronunciare sulla domanda retributiva;

– appellò quindi il prof. C, con il ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità dell’impugnata sentenza per: a) la sussistenza di numerosi atti dell’Università, non tenuti presenti, circa l’incarico d’insegnamento svolto senza soluzione fino al 1999, donde la spettanza della qualifica di professore stabilizzato;
b) la sussistenza pure del titolo alla retribuzione, sganciata dalla vicenda sulla qualifica e basata sull’espletamento d’un formale incarico d’insegnamento, con l’assenso dell’Ateneo, che lo fece proprio e se ne giovò per tutto il tempo considerato;

– resistono le Amministrazioni intimate, che concludono per il rigetto dell’appello;

Considerato in diritto:

– l’appello non può esser condiviso, anzitutto perché la Sezione ha, da ultimo (cfr. Cons. St., VI, 15 settembre 2015 n. 4299), respinto l’appello attoreo contro l’ennesimo diniego del Commissario ad acta circa il riconoscimento della qualifica di docente stabilizzato, tant’è che l’appellante sposta ora, con la memoria conclusionale, solo sulle questioni retributive, non esaminate dal TAR;

– a tal riguardo, la pronuncia d’improcedibilità resa dal TAR in prime cure al più può concernere la domanda attorea d’accertamento sulla predetta qualifica, ma non anche quella retributiva o, in via subordinata, quella d’arricchimento indebito;

– non per ciò solo, comunque, tali domande sono meritevoli di accoglimento;

– per vero, al momento in cui egli ebbe l’incarico di attendere alle attività d’insegnamento presso la Facoltà di economia e commercio nell’Ateneo cagliaritano, il prof. C era soltanto un assistente ordinario;

– pertanto, nel caso in esame, si versa in un’ipotesi di svolgimento, da parte di questi e con atto sì dell’Università ma da questa fin dal 1981 reputata irregolare (ancorché non annullata in autotutela), di mansioni superiori e diverse rispetto alla qualifica d’inquadramento, in mancanza d’uno specifico titolo legittimante e per le quali non pare sussistere una norma ad hoc che ne giustifichi comunque la retribuibilità;

– quantunque sia vero che il passaggio dalla posizione di assistente ordinario a quella di professore associato rappresenti la logica progressione di un medesimo rapporto d’impiego senza soluzione di continuità (cfr., per tutti, Cons. St., VI, 3 novembre 2000 n. 5928), difetta nella specie l’effettività di tal passaggio, anzi non v’è neppure un titolo legittimo riconoscibile che giustifichi, in capo al prof. C, la formalizzazione dello svolgimento interinale di mansioni superiori;

– queste ultime, dunque, devono esser reputate come effettuate in via di fatto e tollerate dallo stesso appellante, il quale avrebbe ben potuto far cessare in ogni momento tale stato di utilizzazione sine titulo nell’ambito del rapporto d’impiego;

– né a diversa conclusione si deve pervenire con riguardo alla domanda indennitaria attorea ex art. 2041 c.c., in quanto, stante il generale divieto (più che di riconoscere,) di retribuire dette mansioni, neppure è configurabile l’azione sussidiaria d’indebito arricchimento, non sussistendo una prova del depauperamento del lavoratore a causa dell’incarico al dipendente (cfr. Cons. St., V, 19 novembre 2012 n. 5852;
id., III, 24 settembre 2013 n. 4688;
id., 12 giugno 2014 n. 3022), indipendentemente dalla formalizzazione di esso;

– in definitiva, l’appello va rigettato con conseguente conferma, sia pur con motivazione in parte diversa, della sentenza impugnata, seppur giusti motivi suggeriscono la compensazione integrale, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

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