Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-10-11, n. 201805865

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-10-11, n. 201805865
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201805865
Data del deposito : 11 ottobre 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 11/10/2018

N. 05865/2018REG.PROV.COLL.

N. 02203/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 2203 del 2010, proposto da:
I F, rappresentato e difeso dall'avvocato C C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G M F in Roma, via F. Pacelli, 14;

contro

Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A A e C C, domiciliato ex art. 25 Cod. proc. amm. presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
Comune di Pompei, non costituito in giudizio;
I.A.C.P. Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati C C e Roberto Ferrari, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Roberto Ferrari in Napoli, via Morelli, 75;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, Sezione V, n. 01200/2009, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Napoli e dello I.A.C.P. Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 luglio 2018 il consigliere Angela Rotondano e uditi per le parti gli avvocati C C e A A;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.Il signor Francesco I, occupante un alloggio di edilizia residenziale pubblica (e precisamente quello sito in Pompei alla via Nolana, 165, isolato C, scala unica, int. 5), ha impugnato, con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, i provvedimenti dell’Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di Napoli (di seguito “IACP” ) con i quali è stata rigettata l’istanza di regolarizzazione locativa presentata ai sensi della legge Regione Campania 2 luglio 1997, n. 18 (in particolare l’atto dello IACP del 17 novembre 2008 e gli allegati pareri negativi della Seconda Commissione Alloggi n. 65 del 23 ottobre 2008 e n. 35 del 9 aprile 2008) e, con motivi aggiunti al ricorso, ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza di sgombero della suddetta unità immobiliare (ordinanza n. 13 prot. 01547 del 15 gennaio 2009), adottata dal Dirigente del Settore Affari- Servizio Patrimonio del Comune di Pompei.

1.1. IACP aveva adottato il provvedimento di diniego a ragione dell’assenza dei requisiti reddituali previsti dalla citata legge regionale e del presupposto dell’impossidenza in capo all’istante “in quanto proprietario, nel corso dell’occupazione dell’alloggio da sanare, di n. 4 alloggi, composti ciascuno di 6 vani catastali”.

1.2. Il ricorrente censurava il suddetto provvedimento deducendo la violazione dell’art. 22 della legge regionale n. 18 del 2 luglio 1997, dell’art.10 bis delle legge 7 agosto 1990, n. 241 e, in subordine, dell’art. 33 della medesima legge regionale.

1.3. Con la sentenza segnata in epigrafe, resa nella resistenza dello IACP, il T.a.r. adito ha respinto il ricorso introduttivo, ritenendone l’infondatezza, e ha dichiarato inammissibili i motivi aggiunti proposti avverso l’ordinanza di sgombero dell’alloggio per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

2. Avverso tale sentenza ha proposto appello il signor I, deducendone l’erroneità e chiedendone la riforma, in via principale per l’insussistenza dell’addotta occupazione abusiva (per essere stato il ricorrente immesso nella detenzione dell’immobile in oggetto in virtù di assegnazione provvisoria del Comune di Pompei con atto del 17 marzo 1981, in seguito ad eventi sismici che lo avevano privato dell’abitazione precedentemente occupata) e, in subordine, per violazione e falsa applicazione di legge, eccesso di potere e difetto dei presupposti (sia a ragione dell’insussistenza in capo all’appellante dei diritti di proprietà ritenuti, a torto, ostativi all’accoglimento dell’istanza di regolarizzazione, in quanto aventi natura meramente “formale” e non importanti alcuna effettiva disponibilità dei beni, sia in relazione all’erronea considerazione dell’ulteriore presupposto costituito dal diritto di proprietà di un’unità immobiliare in capo alla figlia dell’odierno appellante, componente del nucleo familiare, che pure non ne avrebbe avuto l’effettiva disponibilità).

2.1. Si è costituito nel presente grado di giudizio l’Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di Napoli e lo I.A.C.P. Napoli (con memorie difensive depositate, rispettivamente, in data 20 settembre 2012 e 11 maggio 2018), chiedendo il rigetto del gravame e l’integrale conferma della sentenza di primo grado.

2.2. All’udienza del 19 luglio 2018, la causa è stata riservata per la decisione.

DIRITTO

3. Deve preliminarmente rilevarsi come non sussistano i presupposti per l’adozione di una pronunzia di cessazione della materia del contendere in quanto il deposito, nelle more del giudizio e in seguito alla comunicazione di riapertura dei termini di presentazione delle istanze, di un’ulteriore richiesta di regolarizzazione locativa da parte dell’appellante, in assenza di un provvedimento espresso da parte dell’Amministrazione, non è circostanza di per sé idonea a ritenere superato il contenzioso tra le parti, non potendo neppure condividersi l’assunto dell’appellante secondo cui la pendenza e la mancata previa definizione dell’istanza de qua avrebbe comportato l’impossibilità di emettere una legittima ordinanza di sgombero.

3.1. Ed invero, l’Amministrazione appellata ha già provveduto sull’istanza di regolarizzazione per l’occupazione dell’unità immobiliare in parola mediante l’adozione dei provvedimenti di diniego qui impugnati, la cui legittimità è contestata dall’appellante nell’odierno giudizio, adottando, solo a seguito della verifica e della valutazione ivi operata circa la sussistenza dei requisiti soggettivi per la sanatoria delle occupazioni irregolari, l’ordinanza di sgombero ad horas dell’alloggio occupato.

3.2. Deve, dunque, procedersi all’esame nel merito dell’appello, che va respinto a ragione della sua infondatezza.

3.3.Come evidenziato nella parte in narrativa, al termine dell’istruttoria IACP, con nota prot. 30747, comunicava all’odierno appellante l’inaccoglibilità dell’istanza di regolarizzazione presentata per mancanza, in capo allo stesso, dei requisiti di cui all'art.2 comma 1 lett c) della citata legge regionale in quanto “proprietario nel corso dell'occupazione da sanare di n. 4 alloggi composti ciascuno di n. 6 vani catastali” , come da verbale n. 35 del 9 aprile 2008 della Commissione assegnazione alloggi;
a ciò seguiva l’atto di diffida al rilascio dell’immobile e, quindi, l'ordinanza n.13 del 15 gennaio 2009 emessa dal Comune di Pompei, oggetto di impugnativa con i motivi aggiunti, con la quale si intimava al predetto lo sgombero dall'unità immobiliare.

3.4. Deve, dunque, evidenziarsi come sia immune dalle addotte censure e vada confermata la sentenza del tribunale che correttamente ha fondato la sua decisione sui contenuti e sulla ratio della normativa regionale in tema di assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, ritenendo perciò di non aderire alla prospettazione difensiva del ricorrente in relazione alla verifica dei requisiti soggettivi necessari per la sanatoria delle occupazioni irregolari.

3.5. L'art. 2, lett. c), della legge regionale Campania n. 18 del 2 luglio 1997 prevede, infatti, quale requisito negativo per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, la “titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso ed abitazione”, senza operare alcuna distinzione tra titolarità formale e titolarità sostanziale.

3.6. La lettera della norma non consente, pertanto, di avallare l'impostazione di parte appellante che vorrebbe distinguere tra l'intestazione formale del bene e l’effettiva disponibilità dello stesso, ritenendo che la sola coincidenza di entrambe le situazioni dia luogo ad un’ipotesi ostativa all’assegnazione.

3.7. Ne consegue che correttamente l'Amministrazione appellata, a seguito della verifica della titolarità di cespiti in capo al signor I, ha adottato il provvedimento di diniego per essere l’istante risultato proprietario di quattro unità immobiliari acquisite in virtù del generale principio civilistico dell’accessione: infatti, l’appellante era, come dallo stesso riconosciuto, proprietario di un terreno (sito in Pompei alla via Crapolla e riportato nel NCT al foglio 7/A, particella 498, pervenutogli con atto del Notaio Adinolfi del 9 ottobre 1967), sul quale sono stati realizzati, a cura e spese dei figli, due fabbricati (articolati su due piani fuori terra e composti ciascuno di due appartamenti adibiti a civile abitazione) donati poi ai figli con atti pubblici notarili, proprio in seguito all’intervenuto acquisto della proprietà dei cespiti in capo all’appellante e al successivo frazionamento;
e tanto basta a configurare l’assenza del requisito dell’impossidenza, non assumendo per converso alcun rilievo il contestato diritto di proprietà di altro immobile da parte della figlia dell’istante, all’epoca residente con il nucleo familiare occupante, e l’eventuale assenza di un’effettiva disponibilità del bene anche da parte della medesima (per averlo concesso in comodato al fratello). Non a caso tale ultimo aspetto (che rappresenterebbe, secondo l’appellante, elemento nuovo e ulteriore, mai valorizzato nei precedenti atti adottati e rispetto al quale l’Amministrazione non avrebbe fissato termine per consentire al privato di formulare le proprie osservazioni e controdeduzioni ai sensi dell’art 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241) non è stato affatto considerato dal primo giudice che a ragione lo ha ritenuto irrilevante ai fini della decisione del ricorso.

3.8. Ricostruita in tal modo la vicenda sottesa al gravame, giova evidenziare come tali circostanze in punto di fatto, inerenti la proprietà del terreno e la costruzione su di esso dei citati fabbricati, non sono contestate dall’appellante, che solo propone una differente interpretazione del dato giuridico, inconciliabile, tuttavia, con il disposto normativo e con la sua ratio . Per un verso, infatti, imporrebbe di verificare il possesso dei requisiti al momento della valutazione della istanza di regolarizzazione, e non già per tutta la durata del rapporto (sì da consentire illegittime elusioni e violazioni della normativa di settore, in palese contrasto con le sue finalità);
per altro verso, richiederebbe, caso per caso, e senza che in ciò possa trovarsi alcun ragionevole fondamento nel dato positivo, l’accertamento, in concreto di difficile realizzazione, dell’effettiva disponibilità (e non soltanto della titolarità della proprietà o di altro diritto reale che ne consenta la fruizione, come invece dispone la citata legge regionale) da parte dell’istante di altre unità immobiliari diverse da quella occupata, in tal modo valorizzando, in luogo del diritto costituente titolo giuridico del possesso, una situazione meramente fattuale. Senonché una tale interpretazione non solo non trova valido appiglio nel dato positivo, ma è del tutto smentita dalla lettera e dalla ratio della richiamata disciplina normativa.

3.9. La disciplina di settore è volta, infatti, ad impedire il potenziale verificarsi di tali situazioni come risulta, in particolare, dalla lettura combinata degli artt. 2 e 33 della legge regionale 18 del 1997, ricavandosi da ciò il dato inconfutabile che i requisiti soggettivi e patrimoniali in parola, rappresentati dalla mancata titolarità di un diritto reale che sia titolo per fruire di un’altra abitazione, devono essere posseduti da tutti i componenti il nucleo familiare e per tutta la durata del rapporto: del resto, lo scopo della regolarizzazione delle occupazioni abusive è proprio quella di sanare un’occupazione di fatto che si protrae da tempo senza il presidio di un valido titolo concessorio, sicché, in tale attività di verifica e valutazione, inevitabilmente assumono rilievo i periodi pregressi dell’occupazione rispetto ai quali pure va dunque accertato l’effettivo possesso dei requisiti in capo al nucleo familiare richiedente.

4. Quanto infine alla esatta configurazione del rapporto intercorrente tra l’appellante e IACP, non vi è dubbio che il primo non risulti assegnatario bensì occupante irregolare, in assenza di un valido titolo concessorio rilasciato a suo favore per l'occupazione dell'immobile in parola: tale conclusione trova conferma nella documentazione versata in atti dalla quale emerge che il signor I è stato destinatario soltanto di un provvedimento, in data 17 marzo 1981, di assegnazione temporanea per mesi sei (decorrenti dalla notifica del verbale di consegna) dell’alloggio in concomitanza con gli eventi sismici del 1980, senza che successivamente, scaduto il periodo transitorio di assegnazione, siano intervenuti ulteriori titoli concessori, come peraltro dimostra l’avvio, su richiesta dell’appellante, del procedimento in questione volto alla regolarizzazione della occupazione illegittima.

4.1. Ne consegue che corrette appaiono anche le statuizioni del primo giudice in punto di difetto della giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di annullamento dell’ordine di sgombero dell’alloggio occupato abusivamente, in relazione alla quale deve ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice ordinario: come chiarito dalla prevalente giurisprudenza, in tema di opposizione all’ordine di rilascio di un alloggio di E.R.P., occupato sine titulo e in mancanza di alcuna concessione di bene in atto, deve farsi riferimento al criterio base di riparto, imperniato sulla consistenza della posizione giuridica sostanziale fatta valere dall’attore, con la conseguenza che nelle ipotesi, in cui come nel caso di specie, l’opposizione non incida sul provvedimento amministrativo di assegnazione dell’alloggio, ma miri a far valere un diritto soggettivo al mantenimento della situazione di vantaggio, la controversia appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, con facoltà per la parte ricorrente di riproporre le domande, facendone così salvi gli effetti processuali e sostanziali, nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza ai sensi dell’art. 11 Cod. proc. amm.

5. All’infondatezza delle censure formulate consegue il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.

6. Sussistono giusti motivi, in considerazione delle peculiarità della vicenda e della natura della controversia, per disporre la compensazione tra le parti delle spese processuali.

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