Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-02-13, n. 201700611
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Testo completo
Pubblicato il 13/02/2017
N. 00611/2017REG.PROV.COLL.
N. 01500/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1500 del 2016, proposto dalla signora RE ZA, rappresentata e difesa dagli avvocati Gianluca Tessier e Lucio Anelli, con domicilio eletto presso quest’ultimo difensore in Roma, via della Scrofa, 47;
contro
Comune di Mira, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato Cristina De Benetti, con domicilio eletto presso TE IN in Roma, via Emilia, 88;
nei confronti di
RI.VA. s.a.s. di De OB OC & C., in persona del legale rappresentante p.t., OC De OB e RI SC, rappresentati e difesi dagli avvocati Gabriele Pafundi, Francesca Busetto e Alfredo Bianchini, con domicilio eletto presso il primo difensore in Roma, viale Giulio Cesare, 14a/4;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Veneto, sezione II, n. 1294/2015, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Mira, di OC De OB, di RI SC e di RI.VA. s.a.s. di De OB OC & C.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 febbraio 2017 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Uditi per le parti gli avvocati Anelli, Barbieri su delega dell’avvocato De Benetti, e Busetto;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La signora RE ZA è proprietaria di alcuni terreni nel Comune di Mira, adiacenti a due immobili contigui - corrispondenti ai civici 114 e 116 di via Malpaga e costituenti in realtà un unico edificio, classificato dal p.r.g. come “edificio storico testimoniale” - di proprietà dei signori OC De OB e RI SC, che li hanno trasformati adibendoli rispettivamente a ristorante e a relais di campagna e, a partire dal 2009, hanno presentato cinque successive d.i.a. per la realizzazione di opere edilizie.
2. Dopo un accesso agli atti, la signora ZA ha sollecitato il Comune a effettuare verifiche in ordine alla legittimità delle attività oggetto delle d.i.a.
3. Nell’inerzia dell’Amministrazione, ne ha impugnato il silenzio, proponendo un ricorso che il T.A.R. per il Veneto, sez. II, ha accolto con sentenza 15 febbraio 2013, n. 230, stabilendo l’obbligo per il Comune di istruire e concludere il procedimento.
4. Con provvedimento del dirigente di settore n. 14486 del 10 maggio 2013 il Comune, richiamati e fatti propri i contenuti della “Relazione su attività di verifica” in data 4 aprile 2013, ha ritenuto la conformità urbanistica ed edilizia dei titoli, disponendo l’archiviazione del procedimento finalizzato all’eventuale esercizio dell’autotutela.
5. La signora ZA ha impugnato tale provvedimento, insieme con la citata relazione e le cinque d.i.a., con separati ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica, poi trasposti in sede giurisdizionale per l’opposizione dei controinteressati (ciascuno relativo a ogni singola d.i.a.), che il T.A.R. per il Veneto, sez. II, ha respinto, previa riunione, con sentenza 7 dicembre 2015, n. 1294.
6. La signora ZA ha interposto appello contro la sentenza censurandola - dopo avere illustrato la situazione urbanistica dell’area - per le ragioni di seguito esposte:
a) violazione delle n.t.a.al p.r.g., dei principi in tema di successione delle leggi nel tempo, ulteriori violazioni di legge, erronea rappresentazione dei presupposti e perplessità della motivazione. I) Nel rispondere al primo motivo del ricorso introduttivo (illegittimità del mutamento a recettiva della destinazione d’uso), il T.A.R. avrebbe errato nel richiamarsi al precedente testo dell’art. 4 delle n.t.a., mentre avrebbe dovuto applicare la disciplina successiva, introdotta nel 2006 e vigente al momento della presentazione delle d.i.a., che per l’edificio in questione non ammetterebbe la destinazione E (ricettivo) ma - in ragione del grado di protezione 2 assegnato al bene in oggetto - lo renderebbe compatibile con le sole destinazioni A (residenza e annessi), B (annessi rustici), C (terziario). II) La tesi del Comune, fatta propria dal Tribunale territoriale, secondo cui la modifica avrebbe interessato i soli fabbricati situati a sud della S.S. Romea, sicché per quelli a nord, come il fabbricato in questione, la destinazione ricettiva dovrebbe intendersi compresa nella C, non terrebbe conto del fatto che la nuova disposizione delle n.t.a. avrebbe carattere generale e sarebbe valida per l’intero territorio comunale. III) Comunque si vogliano leggere le definizioni dell’art. 13 del regolamento edilizio comunale (secondo cui le attività turistico-ricettive ricadono nella destinazione terziaria), che il T.A.R. ha ritenuto integrativo della previsioni delle n.t.a., questo, subordinato nella gerarchia delle fonti, non potrebbe derogare la disciplina specifica di tutela. IV) La tesi dell’applicabilità dell’art. 4 delle n.t.a. nel testo ante 2006 sarebbe stata formulata per la prima volta dal Servizio gestione del territorio del Comune in una relazione del 18 maggio 2015, non comparirebbe nel provvedimento di archiviazione e ne costituirebbe una inammissibile integrazione postuma. V) Infine, con riferimento alla sentenza della Sezione 15 settembre 2015, n. 4305 - che, definendo un contenzioso fra le medesime parti, avrebbe invece espressamente affermato la possibilità di adibire il fabbricato a uso commerciale o a uffici, ricadenti nell’uso terziario, ma non a destinazione ricettiva, considerata non ammessa per gli immobili con quella classificazione - il primo giudice ne sottovaluterebbe la portata, riducendo a un’affermazione incidentale l’esclusione dal terziario di siffatte destinazioni;
b) violazione del testo unico dell’edilizia, erronea rappresentazione dei presupposti e perplessità della motivazione. Riguardo al secondo motivo del ricorso (necessità del permesso di costruire per il cambio di destinazione d’uso dell’immobile al civico 116 e in parte di quello al civico 114, il T.A.R. ha ritenuto sufficiente la d.i.a. (ai sensi dell’art. 22 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 – c.d. testo unico dell’edilizia; d’ora in poi: t.u.) sull’erroneo presupposto che il cambio di destinazione fosse conforme alle previsioni del p.r.g. Il primo giudice erroneamente avrebbe affermato che, della d.i.a. impugnate, solo quella n. 403/2009 comporterebbe un mutamento di destinazione (per il civico 116, da residenziale a turistico-alberghiera), mentre anche la d.i.a. n. 884/2010 sarebbe stata utilizzata per ricavare tre camere per il relais . Inoltre il mutamento di destinazione tra categorie funzionalmente autonome e non omogenee dal punto di vista urbanistico richiederebbe sempre il permesso di costruire in ragione del maggior carico urbanistico prodotto, come ora sancirebbe espressamente il nuovo art. 23 ter t.u., introdotto nel 2014;
c) ancora violazione del testo unico dell’edilizia e del p.r.g., erronea rappresentazione dei presupposti e perplessità della motivazione. Quanto alle opere eseguite: I) la costruzione della piscina non sarebbe legittimata dalla concessione edilizia n. 9943/2000, rilasciata per i soli lavori di ristrutturazione dell’immobile con mutamento della destinazione d’uso da residenziale a commerciale, sarebbe incompatibile con la destinazione agricola dell’area (la possibilità di una diversa destinazione varrebbe solo per i preesistenti edifici), non avrebbe natura pertinenziale in senso urbanistico per la sua funzione autonoma, la rilevante alterazione dell’assetto del territorio (estensione di oltre 110 mq), il contrasto con le prescrizioni urbanistiche di zona, il contrasto con l’art. 3, comma 1, lett. d)