Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-13, n. 202301515

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2023-02-13, n. 202301515
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202301515
Data del deposito : 13 febbraio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/02/2023

N. 01515/2023REG.PROV.COLL.

N. 05911/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA IALIANA

IN NOME DEL POPOLO IALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5911 del 2017, proposto da
F T ed E F, rappresentati e difesi dagli avvocati F R e D T, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F R in Roma, via Gian Giacomo Porro, n. 18;

contro

Roma Capitale, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avvocato U G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 1317/2017.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 23 gennaio 2023 il Cons. Giordano Lamberti e udito per le parti l’avvocato F R in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams".

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITO

1 – Gli appellanti hanno impugnato avanti il TAR per il Lazio la determinazione dirigenziale n. 2094 con cui, in data 26 luglio 2016, Roma Capitale ha ingiunto loro la demolizione di interventi edilizi abusivamente realizzati sull’immobile di proprietà dei medesimi, sito in Roma, piazza Vittorio Emanuele n. 68, consistenti nella “ installazione di un avancorpo avente dimensioni pari a mt. 6,00 x 3,00 H con aggetto di mt. 0,40 ”.

2 – I ricorrenti hanno precisato di aver acquistato il suddetto immobile, locato a terzi per l’attività commerciale della vendita di scarpe, nel 1980 nello stato di fatto in cui si trova tutt’ora, non avendo mai effettuato alcuna modifica e, a sostegno del ricorso, hanno dedotto che l’Amministrazione avrebbe dovuto accertare “ la data di realizzazione delle opere ” e “ chiarire le ragioni per cui tale presunto abuso edilizio realizzato in epoca indeterminata avrebbe dovuto ancora oggi essere sanzionato ” mediante l’irrogazione della demolizione, tanto più ove si tenga conto che – come da perizia giurata prodotta in giudizio – si tratta di un abuso particolarmente risalente nel tempo, soggetto al regime giuridico dell’art. 37 del d.P.R. n. 380 del 2001.

3 – Con la sentenza indicata in epigrafe il TAR adito ha respinto il ricorso.

4 – L’originaria parte ricorrente ha impugnato tale pronuncia per i motivi di seguito esaminati.

4.1 – Con il primo motivo di appello (“ Carenza dei presupposti e difetto di motivazione della sentenza del TAR Lazio, sez. II bis, n. 1317 del 2017, anche in ordine ai principi di ragionevolezza e di proporzionalità ”) e con la riproposizione del motivo di ricorso già dedotto in primo grado, gli appellanti deducono che il TAR Lazio nulla avrebbe detto in ordine al contenuto del provvedimento dell’Amministrazione di Roma Capitale con il quale è stato rilevato l’abuso e sulla cui base è stata poi richiesta la sua demolizione, ovvero che l’avancorpo è stato, per stessa ammissione di Roma Capitale, “ realizzato in epoca imprecisata ed in avanzato stato d’uso ”. In altri termini, gli appellanti prospettano che la stessa Amministrazione si pone in contraddizione, giacché, da una parte, essa dispone la sospensione di lavori, mai avviati e mai esistiti, dall’altra parte, viene ad affermare che essa stessa non ha rinvenuto l’epoca di costruzione del bene. Anzi, è la stessa Amministrazione che accerta e quindi dichiara che, in ragione di una sua presunta e rappresentata autonoma verifica, l’avancorpo (ovvero la vetrina del negozio), era in avanzato stato d’uso.

Il TAR, proprio in ragione di dette univoche considerazioni, avrebbe dovuto disporre CTU ovvero applicare la giurisprudenza secondo la quale “ il notevole periodo di tempo trascorso tra la commissione dell’abuso e l’adozione della misura ripristinatoria e il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza possono costituire indice sintomatico di un “legittimo affidamento in capo al privato” e, quindi, ha – in effetti - riconosciuto, in presenza di tali specifiche circostanze, la sussistenza a carico dell’Amministrazione di un obbligo motivazionale “rafforzato” circa l’individuazione di “un interesse pubblico specifico” alla sanzione demolitoria, motivazione, che per parte ricorrente, era del tutto assente nel provvedimento in contestazione ” (Cons. St., sez. VI, 08/04/2016, n. 1393).

Sotto altro profilo, gli appellanti deducono che nel caso di specie risulta incontestato tra le parti che l’eventuale presunta opera priva di autorizzazione è stata realizzata da tempo immemorabile ed altresì che l’opera consiste in una vetrina di un locale commerciale, tale per cui difetterebbe una rilevanza pubblica per procedere alla sua demolizione.

Inoltre, gli appellanti sostengono che, secondo la relazione del perito di parte prodotta in primo grado, l’avancorpo sarebbe databile certamente in epoca anteriore al 1980. In questo senso dovrebbe intendersi la stessa motivazione del provvedimento di Roma Capitale, che ha accertato che la vetrina fosse in avanzato stato d’uso. Tutti questi aspetti non sarebbero stati affrontati dal TAR Lazio.

4.2 – Riproponendo l’ulteriore motivo di ricorso già dedotto in primo grado, gli appellanti censurano la sentenza del TAR Lazio per non aver valutato la specifica fattispecie anche in ordine alla contestata violazione del principio del buon andamento, del principio della trasparenza e della buona fede, collegati al contenuto dell’art. 97 Cost., non avendo considerato nel contenuto dell’ iter logico motivazionale di rigetto del ricorso, i principi di ragionevolezza, di proporzionalità ed effettività, che sono propri della valutazione del giudizio di legittimità.

Parte appellante insiste infine sul fatto che, tenuto conto dell’alta valenza commerciale dell’area dove è ubicato l’esercizio commerciale in questione, l’Amministrazione comunale, prima di giungere al provvedimento di demolizione, avrebbe dovuto compiere un’approfondita analisi comparativa rispetto a tutti gli altri esercizi commerciali.

5 – Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate e la sentenza impugnata merita integrale conferma, avendo fatto corretta applicazione dei principi che governano la materia in questione.

Quanto al dedotto difetto di motivazione, in generale, giova ricordare che la giurisprudenza di questo Consiglio è costante nell’affermare che l’attività di repressione degli abusi edilizi costituisce attività vincolata. Ne consegue “ che l’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività ” (Cons. St., sez. VI, 06/02/2019, n. 903).

La giurisprudenza citata da parte appellante risulta invece superata dall’arresto dell’Adunanza Plenaria (Cons. St., Ad. Plen., 17/10/2017, n. 9), secondo la quale “ il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino ”.

Precisato che il potere di repressione può essere esercitato anche a distanza di tempo dalla violazione commessa e anche per opere realizzate prima dell’entrata in vigore della norma che disciplina il potere repressivo ( cfr . Cons. St., sez. V, 30/08/2014, n. 3281;
Cons. St., sez. IV, 27/06/2014, n. 3242), alla luce dell’orientamento fatto proprio della citata Adunanza Plenaria risulta del tutto irrilevante stabilire se l’abuso sia o meno antecedente al 1980, potendo l’epoca di realizzazione dell’opera al più rilevare al fine di poter escludere la necessità di rilascio del titolo edilizio per essere stata l’opera medesima realizzata secondo il regime originariamente previsto dall’art. 31, comma 1, l. n. 1150 del 1942, ossia prima della novella introdotta dall’art. 10 della c.d. “legge ponte” n. 765 del 1967.

In ogni caso, “ grava esclusivamente sul privato l’onere della prova in ordine alla data della realizzazione dell’opera edilizia al fine di poter escludere al riguardo la necessità di rilascio del titolo edilizio…tale onere discende attualmente, in linea di principio, dagli artt. 63, comma 1, e 64, comma 1, c.p.a. in forza dei quali spetta al ricorrente l’onere della prova in ordine a circostanze che rientrano nella sua disponibilità ” (Cons. St., sez. II, 05/02/2021, n. 1109; cfr. anche Cons. St., sez. II, 08/05/2020, n. 2906) e “ spetta a colui che ha commesso l’abuso edilizio l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto;
in mancanza di tali prove, l’Amministrazione può negare la sanatoria dell’abuso, rimanendo integro il suo dovere di irrogare la sanzione demolitoria, mentre nel caso in cui il diretto interessato fornisca la prova suddetta, l’onere della prova contraria viene trasferito in capo all’amministrazione
” (Cons. St., sez. II, 04/01/2021, n. 80).

6 – Per le ragioni esposte l’appello va respinto.

6.1 – Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

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