Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2012-05-22, n. 201202945
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N. 02945/2012REG.PROV.COLL.
N. 01582/2004 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1582 del 2004, proposto da:
Comune di Santa Maria Capua Vetere, rappresentato e difeso dall'avv. L F, con domicilio eletto presso l’avv. Bruno Taverniti in Roma, via Sesto Rufo, 23;
contro
D'A A, L M F, D B L, C M G, P L, C M, C A, S M, C R, S O, P A E, S G, C C, D R L erede di D R A, I S, S G, C A, S M, V G, D R C, V Maria, Viapiano Antonio, Ratto Miryam, Aulicino Raffaele, De Marco Anna Maria, Pirro Antonio e Zito Gaetano erede di Zito Anna, rappresentati e difesi dall'avv. Giovanni Taglialatela, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, viale Castrense, 7;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE V n. 13911/2003, resa tra le parti, concernente CORRESPONS. TFR E RESTITUZ QUOTE RITENUTE PREVID.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 aprile 2012 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati Vaglio, per delega dell'Avvocato Ferrante, e Taglialatela;
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. V, con la sentenza n. 13911 del 25 novembre 2003, ha accolto in parte il ricorso proposto dagli odierni appellati per l’accertamento del loro diritto alla corresponsione del trattamento di fine rapporto relativo al periodo di servizio prestato ex lege 1° giugno 1977, n. 285 e alla restituzione delle quote di ritenute previdenziali relative al periodo di servizio (sempre ex l. 1° giugno 1977, n. 285), con conseguente condanna del Comune di S. Maria Capua Vetere al pagamento delle somme corrispondenti, maggiorate di interessi legali e rivalutazione monetaria.
Il TAR fondava la sua decisione rilevando che l’indennità di cui sopra spettava fino alla data del 1° giugno 1984, cioè fino all’inquadramento in ruolo soprannumerario degli assunti ex lege n. 285-77, come del resto il Comune stesso aveva riconosciuto con la delibera G.M. n. 170 del 3 febbraio 1997, che non risultava essere stata annullata.
Per il TAR, dunque, la domanda dei ricorrenti doveva essere accolta limitatamente al periodo 1° gennaio 1981 – 1° giugno 1984 e i parametri di liquidazione dovevano avere, quale punto di riferimento, quanto previsto nei contratti di formazione lavoro.
Inoltre, il TAR ha accolto la domanda di restituzione delle quote di contributi prelevate dalle retribuzioni dei ricorrenti e versate all’I.N.A.D.E.L. (ora I.N.P.D.A.P.) fino alla data del 1° giugno 1984, atteso che è solo a partire da tale data che sussisteva il diritto alla liquidazione del trattamento di fine rapporto a carico dell’I.N.P.D.A.P. medesimo.
Infine, secondo il TAR, sulle somme dovute ai ricorrenti dovevano computarsi gli accessori secondo i criteri stabiliti dalla decisione n. 3 del 15 giugno 1998 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Il Comune appellante contestava la sentenza del TAR chiedendo l’accoglimento dell’appello.
Si costituivano gli appellanti chiedendo il rigetto dell’appello.
All’udienza pubblica del 17 aprile 2012 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Ritiene il Collegio che l’appello sia infondato.
Preliminarmente, in questo grado di giudizio il Comune appellante ha eccepito la prescrizione dei diritti invocati ai sensi dell'art. 2948, n. 5, c.c., formulando quindi ulteriori motivi d’appello tendenti a sostenere la non spettanza delle somme indicate nella sentenza impugnata.
Quanto all’eccezione di prescrizione, in astratto, si deve osservare che solo nel diritto del lavoro privato costituisce costante insegnamento quello secondo il quale il diritto al trattamento di fine rapporto sorge al momento della cessazione del rapporto di lavoro, con la conseguenza che la prescrizione di tale diritto non decorre in costanza di rapporto (cfr., ex multis, Cassazione civile, sez. lav., 9 marzo 2010, n. 5707).
Questo Consiglio ha già statuito, infatti, che il TFR civilistico, essendo un istituto diverso rispetto agli istituti tipici del pubblico impiego (aventi cioè la medesima funzione, ma autonoma e distinta disciplina), non può essere sottoposto alle condizioni proprie di questi.
Non possono cioè applicarsi al TFR ordinario, così come disciplinato dall'art. 2120 c.c., termini e condizioni che sono peculiari di altri istituti del pubblico impiego (quale è la speciale indennità disciplinata dall'art. 9, d.l.t.C.p.S.) (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 21 febbraio 2008, n. 600).
Infatti, con specifico riferimento al diverso regime prescrizionale, in base a costante giurisprudenza, l'indennità di fine rapporto per il servizio prestato in posizione non di ruolo si prescrive in dieci anni solo quando è dovuta in caso di licenziamento (anche “per motivi disciplinari”), a seguito della declaratoria di incostituzionalità del comma 4 del citato art. 9 d.l. C.p.S. n. 207 del 1947, disposta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 208 del 1986, mentre si prescrive in cinque anni quando è dovuta nel caso di dimissioni volontarie o di passaggio in ruolo.
Infatti, la previsione generale della prescrizione quinquennale, prevista dall’art. 2948 n. 5, c.c., riguarda tutte le ipotesi in cui al lavoratore, pubblico o privato, sia dovuta un’indennità che trovi la sua causa nella “cessazione del rapporto di lavoro” e, dunque, anche quando il dipendente non di ruolo sia stato inquadrato nei ruoli dell’Amministrazione.
Nell’ipotesi in cui vi sia stato licenziamento, invece, trova applicazione l’art. 2, comma 3, r.d.l. n. 295 del 1939, che dispone la durata decennale del termine di prescrizione del diritto all’indennità di licenziamento nell’evidente intento di tutelare maggiormente il lavoratore licenziato, al quale di regola vengono a mancare i mezzi di sostentamento a seguito dell'atto interruttivo del rapporto (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 29 luglio 2009, n. 4685).
Tuttavia, fermo restando questo breve excursus in tema di prescrizione nel diritto del lavoro pubblico, il Collegio ritiene che la relativa eccezione, pur in astratto prospettabile, è inammissibile in quanto dedotta per la prima volta in sede di appello (in primo grado, infatti, il Comune era contumace), secondo quanto statuito al riguardo con giurisprudenza amministrativa costante, confermata da ultimo dall'art. 104, comma 1, del Codice del processo amministrativo ( ex multis , Consiglio di Stato, sez. VI, 28 ottobre 2010, n. 7643 e 5 ottobre 2010, n. 7284).
Nel merito, il Collegio deve precisare che la vicenda decisa dal TAR con la sentenza impugnata si colloca nell’ambito della variegata situazione del personale previsto dalla Legge n. 285-77, del quale la stessa Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sent. 1-1991) aveva a suo tempo affermato l’individuabilità di tre distinti rapporti giuridici, ciascuno dei quali con una propria specifica fonte normativa ed una autonoma disciplina:
a) quello di impiego pubblico a termine, disciplinato dalla Legge n. 285 del 1977 e da un contratto di formazione lavoro, ex lege prorogato e mai modificato, fino all'espletamento dell'esame di idoneità;si trattava di un rapporto preliminare e precario, neppure assimilato al trattamento giuridico, assistenziale e previdenziale dei dipendenti non di ruolo;
b) quello di pubblico impiego non di ruolo a tempo indeterminato fino all'immissione nei ruoli, costituito ai sensi della Legge n. 33 del 1980 con la iscrizione nelle apposite graduatorie a seguito del superamento dell'esame di idoneità;qui il rapporto, a differenza del precedente stadio e a causa dell'accertamento di idoneità, era assimilato allo status dei dipendenti non di ruolo;
c) quello di pubblico impiego di ruolo nelle diverse Amministrazioni, disciplinato dalle relative disposizioni attualmente vigenti.
Il riferimento a tre distinti rapporti giuridici ha indotto correttamente la giurisprudenza a ritenere che il rapporto del personale di cui alla prima categoria, dall'assegnazione e fino all'immissione in ruolo, configurandosi, come detto, come rapporto di impiego pubblico a termine, preliminare e precario, al quale non può applicarsi il trattamento giuridico assistenziale e previdenziale dei dipendenti non di ruolo dello Stato, trattandosi di rapporto costituito ai sensi della l. n. 285 del 1977 e disciplinato dalle disposizioni di cui alla predetta legge e dal contratto correlativamente stipulato, non consente l'applicazione dell'art. 26 per il quale la retribuzione delle prestazioni deve essere in ogni caso determinata in misura corrispondente al trattamento economico base minimo per i dipendenti dello Stato addetti alle stesse od analoghe mansioni per cui è stipulato il contratto, ridotta in proporzione dell'orario di servizio prestato.
Infatti, la diretta applicabilità di tale disposizione in tema di trattamento economico non può che essere negata con riferimento alla particolarità del rapporto in oggetto, secondo la l. n. 285 del 1977 (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 23 maggio 2008, n. 2491).
Tuttavia, secondo la giurisprudenza espressa da questo Consiglio in analoghi casi (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 6 luglio 2002, n. 3730), è stato evidenziato che la disciplina dei rapporti a tempo determinato in oggetto è contenuta sia nella citata legge n. 285-77 e successive modificazioni, sia nel relativo contratto di formazione e lavoro, che deve prevedere per iscritto, tra l’altro, ai sensi dell’art. 8 di detta legge, il trattamento giuridico ed economico spettante.
In particolare, nel contratto sottoscritto dai dipendenti e dal Comune appellante si prevedeva, in caso di cessazione, l’indennità di fine rapporto spettante agli impiegati non di ruolo dello Stato, con la conseguenza che agli interessati, al fine di stabilire se nella determinazione dell’indennità di fine rapporto doveva comprendersi o meno l’indennità integrativa speciale, non era applicabile la disciplina di cui all’art. 9 D.P.R. n. 347-83 (concernente il personale non di ruolo degli Enti locali con rapporto a tempo determinato) ma quella di cui all’art. 9 del D. leg. C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207, nel testo conseguente alle sentenze Corte cost. 20 maggio 1976, n. 116 (con commisurazione dell’indennità di fine rapporto al complesso degli emolumenti di carattere continuativo e non alla sola retribuzione) e 9 luglio 1986, n. 208 (con diritto alla liquidazione dell’indennità di fine rapporto anche nel caso di passaggio in ruolo).
Disposizione che deve ritenersi integrata, con effetto dal 1° dicembre 1994, dall’art. 1 della l. 29 gennaio 1994, n. 87, che ha disposto la computabilità nella misura ivi precisata dell’indennità integrativa speciale, di cui alla l. 27 maggio 1959, n. 324 e successive modificazioni, per i lavoratori dei vari comparti della pubblica amministrazione e per i lavoratori privati.
Disciplina che è applicabile anche nel caso in esame in base alla normativa transitoria di cui all’art. 3 l. n. 87-94, che ha esteso la computabilità dell’indennità integrativa speciale anche per i dipendenti cessati dal servizio dopo il 30 novembre 1984, nonché per quei dipendenti per i quali non fossero ancora giuridicamente esauriti i rapporti attinenti alla liquidazione dell’indennità di buonuscita o analogo trattamento.
Ipotesi quest’ultima in cui rientra la presente fattispecie, atteso che la delibera di liquidazione dell’indennità di fine rapporto è stata adottata solo in data 3 febbraio 1997 (delibera G.M. n. 170), mentre la l. n. 87-94 è entrata in vigore il 6 febbraio 1994.
Gli argomenti suesposti determinano la reiezione del secondo motivo di appello subordinato.
Né può ritenersi accoglibile la prospettazione del Comune appellante con il terzo motivo d’appello subordinato, poiché l'art. 3, comma 1, l. n. 87-94, ai fini del calcolo dell'indennità integrativa speciale a regime, quando usa la locuzione "dopo" (e non il) "il 30 novembre 1984" intende riferirsi a coloro che hanno continuato a lavorare anche dopo detta data, e non a coloro che, entro detta data, erano stati collocati a riposo.
In altre parole, ai sensi dell'art. 3, l. 29 gennaio 1994, n. 87, il computo dell'indennità integrativa speciale nella determinazione della buonuscita dei dipendenti pubblici viene applicato ai dipendenti che siano cessati dal servizio dopo il 30 novembre 1984 e ai loro superstiti, nonché a quelli per i quali non siano ancora giuridicamente esauriti i rapporti attinenti alla liquidazione dell'indennità di buonuscita od analogo trattamento;solo ove il ricorrente era stato collocato in pensione prima della data del 30 novembre 1984, la relativa domanda deve essere presentata entro il termine perentorio del 30 settembre 1994 (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 27 giugno 2008, n. 3278).
Quanto ai contributi previdenziali, il motivo di appello, formulato al punto quattro nell’atto di appello, è infondato, poiché la relativa restituzione non è giustificata dal TAR ai sensi dell’art. 2033 c.c., bensì è configurata quale conseguenza dell’accertamento del diritto all’indennità di fine rapporto con riferimento al periodo temporale 31 ottobre 1980 – 1° giugno 1984;pertanto, il motivo d’appello, così come formulato non è pertinente.
Il Collegio ritiene di dover chiarire, per ragioni di evidente esaustività della materia, che, fermo restando quanto statuito dal TAR in ordine agli interessi legali ed alla rivalutazione monetaria dovuti per il ritardo con il quale è stato liquidato il trattamento di fine rapporto, detti accessori non spettano in conseguenza del computo dell’indennità integrativa speciale ai sensi dell’art. 2, comma 4, l. 87-94 (cfr. la decisone di questo Consiglio, sez. VI, n. 1461 del 19 ottobre 1999).
Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate sussistendo giusti motivi.