Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-06-19, n. 201904152

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2019-06-19, n. 201904152
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201904152
Data del deposito : 19 giugno 2019
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 19/06/2019

N. 04152/2019REG.PROV.COLL.

N. 09597/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9597 del 2013, proposto da
V D D, rappresentata e difesa dagli avvocati R R, G M, con domicilio eletto presso lo studio Francesco Paoletti in Roma, via Maresciallo Pilsudski, 118;

contro

Ministero della Giustizia, Commissione di Esame per 200 Posti di Notaio Decreto Dirig. 28/12/2009, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Sede di Roma, Sezione I, n. 4624 del 9 maggio 2013, resa tra le parti, con cui è stato rigettato il ricorso in primo grado n.r. 7678/2012, proposto per l'annullamento del giudizio di non idoneità in ordine all'elaborato dell'atto inter vivos di diritto civile, di cui al verbale n. 311del 9 febbraio 2012, e la conseguente esclusione dal concorso a duecento posti di notaio indetto con decreto dirigenziale 28 dicembre 2009, con condanna al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi € 1.500,00


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia e di Commissione di Esame per 200 Posti di Notaio Decreto Dirig. 28/12/2009;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 giugno 2019 il Cons. Antonino Anastasi e uditi per le parti l’avvocato R R e l'Avvocato dello Stato Emma Damiani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Nel concorso notarile del 2009 la commissione esaminatrice ha valutato positivamente la prima e seconda prova scritta ( atto mortis causa/diritto commerciale) ) svolta dalla dott.ssa delle Donne ma ha ritenuto che la terza prova ( diritto civile) fosse inficiata da grave insufficienza e di conseguenza ha dichiarato la candidata inidonea.

Nell’occasione la commissione ha rilevato che “ il candidato redige un atto che non raggiunge le finalità richieste dalla traccia, ovvero garantire al venditore, in caso di inadempimento dell’obbligo di pagare il prezzo, il ritrasferimento del bene e il mantenimento della caparra.

L’atto prevede che le due esigenze siano alternative lasciando al venditore la sola scelta di ottenerne una, dimostrando di non conoscere la possibilità di ottenere entrambi gli effetti modulando gli effetti risolutivi della condizione. Tale errore viene confermato nella motivazione e nella parte teorica..”.

L’interessata ha impugnato l’esclusione dal seguito della procedura avanti al Tar Lazio il quale, con la sentenza in epigrafe indicata, ha però respinto il gravame.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esame dalla soccombente la quale ne ha chiesto l’integrale riforma, previ sospensione dell’esecutività, con accoglimento del ricorso introduttivo.

Si è costituita in resistenza l’Amministrazione della Giustizia, che ha chiesto il rigetto dell’avverso gravame e la conferma della sentenza impugnata.

Con ordinanza n. 400 del 2014 la Sezione ha respinto l’istanza cautelare per difetto di fumus.

La parte pubblica ha depositato memoria insistendo nelle già rappresentate conclusioni.

L’appellante ha depositato note di replica.

All’udienza del 6 giugno 2019 l’appello è stato posto in decisione.

L’appello non è fondato e va perciò respinto.

Con il secondo motivo – che per esigenze logiche va prioritariamente esaminato – l’appellante sostiene che la commissione, avendo valutato positivamente le prime due prove, non avrebbe potuto giudicare inidonea la candidata senza una valutazione complessiva dei tre elaborati.

Il mezzo deve essere disatteso.

L’art. 10 del D. L.vo n. 166 del 2006 ( che disciplina il concorso notarile) prevede al comma 2

che la commissione, prima di iniziare la correzione, definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati e l'ordine di correzione delle prove stesse.

A sua volta il successivo art. 11 prevede in generale che la Commissione formuli un giudizio complessivo di idoneità/inidoneità all’esito della correzione delle tre prove scritte.

Tuttavia, prevede il comma 7 del citato articolo che nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla commissione, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi.

In sostanza, come nota l’Amministrazione, la normativa applicabile descrive un procedimento di correzione tendenzialmente bifasico.

Nella prima fase di correzione la commissione deve infatti decidere (an) se procedere alla lettura dei successivi elaborati.

Nella seconda fase, invece, si rivalutano le tre prove nella loro globalità e si attribuisce ad ognuna di esse il punteggio ( quantum) utile all’ammissione se non inferiore per ciascuna a 35/50.

Ne consegue che nel caso all’esame la decisione della commissione di procedere alla lettura del terzo elaborato non dimostra – di per sé – che i primi due avessero raggiunto la sufficienza ma solo che gli stessi non erano inficiati da gravi insufficienze o nullità.

Ciò chiarito, la descritta sequenza procedimentale si interrompe invece allorché la commissione riscontri una ipotesi di nullità o grave insufficienza negli atti redatti dal candidato.

In questo caso ostativo viene infatti meno la possibilità di valutazione globale e infatti la commissione – se riscontra la grave carenza nella prima o seconda correzione – può addirittura pretermettere ( art. 11 c. 7) la lettura degli elaborati successivi.

Ciò è quanto avvenuto nella fattispecie in cui - in piena aderenza ai criteri preformulati – la commissione ha in sostanza ritenuto che l’elaborato di diritto civile redatto dalla candidata comportasse un scostamento dalla traccia tale da indurre alla formazione di un atto non idoneo a realizzare le indicazioni che il notaio aveva ricevuto dalle parti.

Ne consegue che nessuna violazione procedimentale o motivazionale può imputarsi alla commissione, in quanto la sussistenza di grave insufficienza in una delle tre prove preclude ex se la valutazione complessiva di esse ai fini dell’attribuzione del punteggio di merito.

Con il primo motivo l’appellante sostiene che il giudizio formulato dalla commissione è macroscopicamente errato nonché frutto di un palese fraintendimento delle argomentazioni sviluppate, in quanto l’atto redatto dalla candidata realizza adeguatamente le finalità pratiche perseguite dalle parti.

Il mezzo non è fondato.

Il Collegio, al riguardo, ritiene necessario, in via preliminare, ribadire quanto statuito dal primo giudice in merito ai limiti del sindacato giurisdizionale in materia.

Invero, sebbene l'appellante qualifiche le proprie censure come volte ad enucleare profili di travisamento nel giudizio, non può non osservarsi che esse si sostanziano esclusivamente in una aperta critica alle valutazioni compiute dalla Commissione, finendo per impingere nel merito del giudizio di questa.

Invece, secondo il consolidato indirizzo della Sezione in tema di concorso notarile, le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell'elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio) e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l'espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l'idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale, dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto, o ancora una contraddittorietà ictu oculi rilevabile.

In altri termini il giudicante non può ingerirsi negli ambiti riservati alla discrezionalità tecnica dell'organo valutatore (e quindi sostituire il proprio giudizio a quello della commissione), ma deve limitarsi al riscontro delle eventuali ipotesi liminari sopra richiamate.

Facendo applicazione dei su esposti principi al caso di specie, il Collegio, esprimendosi in relazione al giudizio reso dalla Commissione sulla terza prova della candidata, non ravvisa alcun profilo di manifesta illogicità ovvero di erroneità o irragionevolezza.

riscontrabili ab esterno e ictu oculi dalla sola lettura degli atti, senza cioè fuoriuscire dai limiti del sindacato di legittimità del giudice amministrativo.

Al contrario, i giudizi espressi dall'organo concorsuale in relazione alla terza prova redatta dalla candidata appaiono basati su riferimenti del tutto congrui e, nel complesso, su una motivazione che dà ampio conto del ragionamento logico-giuridico tenuto dalla commissione valutatrice.

In fatto, nell’ambito di una compravendita, doveva garantirsi all’alienante – in ipotesi di mancato pagamento integrale del prezzo – sia il ritrasferimento del bene sia la ritenzione della caparra confirmatoria ricevuta, senza ipotizzare ricorso all’autorità giudiziaria.

Per quanto si desume dagli atti di I^ grado, la candidata ( con l’art. 4 dello strumento) si è limitata a configurare il mancato pagamento integrale del prezzo come condizione risolutiva unilaterale di inadempimento.

Di conseguenza –proprio come rilevato dalla commissione - la candidata ha posto il venditore nella condizione di avvalersi della clausola risolutiva entro un dato termine, ma così ovviamente perdendo la caparra;
oppure di non avvalersene, con la naturale conseguenza di doversi rivolgere alla autorità giudiziaria per ottenere la risoluzione del contratto, il che come si è detto era precluso dalla traccia stessa.

In sede difensiva l’appellante sostiene che in realtà l’alienante, scegliendo di non avvalersi della clausola per risolvere il contratto, avrebbe potuto avvalersi del recesso ex art. 1385 secondo comma c.c., quale strumento di risoluzione retroattiva che gli avrebbe garantito entrambi gli scopi divisati.

Di tale conferita facoltà, per quanto può riscontrarsi, non c’è però traccia nell’atto che invece risulta costruito sulla condizione risolutiva unilaterale e dunque su una clausola la cui utilità non si comprende facilmente, non realizzando essa un effetto aderente a quanto richiesto dalla traccia.

Invece, come ragionevolmente osserva l’Amministrazione, essendo il detto recesso istituto di naturale applicazione nel contratto preliminare, il suo inserimento in un contratto ad effetti reali avrebbe dovuto quanto meno essere dettagliatamente disciplinato, non potendosi fare semplice rinvio alla disciplina dettata dall’art. 1385.

Come sia di ciò, non è ovviamente questa la sede in cui possa mai stabilirsi quale fosse la soluzione contrattuale più idonea rispetto alle esigenze poste dalla traccia.

Quel che unicamente rileva è infatti che rispetto all’atto in concreto redatto dalla candidata, e alle correlative motivazioni, il giudizio di grave insufficienza espresso dalla commissione risulta congruamente pertinente e comunque – il che ripetesi è decisivo - non esibisce alcun profilo di irragionevolezza o travisamento percepibile nel ristretto sindacato di legittimità.

Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va perciò respinto.

Le spese di questo grado giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.



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