Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-03-26, n. 202002126

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2020-03-26, n. 202002126
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202002126
Data del deposito : 26 marzo 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 26/03/2020

N. 02126/2020REG.PROV.COLL.

N. 06290/2019 REG.RIC.

N. 06325/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello numero di registro generale 6290 del 2019, proposto da
M s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati P P e A M L C, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in Roma, viale Bruno Buozzi, 53/A;

contro

Comune di Padova, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati M L, V M, P B e G C, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

nei confronti

APS Holding s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato Emiliano Bandarin Troi, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
Arca Servizi s.r.l., Egle s.r.l., non costituite in giudizio



sul ricorso in appello numero di registro generale 6325 del 2019, proposto da
Arca Servizi s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Giorgio Orsoni, Valerio Nicosia e Mario Sanino, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

contro

Comune di Padova, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati M L, V M, P B e G C, con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;

nei confronti

Aps Holding s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Emiliano Bandarin Troi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia M s.p.a., Egle s.r.l., non costituite in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (sezione seconda) n. 163/2019, resa tra le parti.


Visto il ricorso in appello n.r.g. 6290/2019;

Visto il ricorso in appello n.r.g. 6326/2019;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Padova in entrambi gli appelli;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di APS Holding s.p.a. in entrambi gli appelli;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 17 dicembre 2019 il Cons. A B e uditi per le parti gli avvocati P P, G C ed Emiliano Bandarin Troi;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO

I. Con deliberazione giuntale n. 652/2017 il Comune di Padova disponeva in ordine alla gestione della sosta in tre parcheggi di proprietà privata assoggettati a vincolo perpetuo a uso pubblico quali opere di urbanizzazione a scomputo degli oneri relativi all’esecuzione dei piani urbanistici attuativi denominati “La Cittadella”, “Centro Mantegna” ed “ ex Modin”.

L’Amministrazione in dettaglio: rimetteva ai competenti uffici comunali la verifica della sussistenza delle condizioni per l’eventuale affidamento in house del servizio di sosta ad APS Holding s.p.a., concessionaria unica del servizio relativo alla sosta di superficie su aree di proprietà del Comune, anche in vista di “ garantire il miglior servizio possibile ”;
per assicurarne la continuità, prevedeva, fino al 31 marzo 2018, o comunque fino al subentro del nuovo gestore, la continuazione del servizio in capo alle società proprietarie, precedenti gestori, alle stesse condizioni previste dalle convenzioni urbanistiche a suo tempo stipulate;
vincolava queste ultime alla realizzazione nel predetto periodo della manutenzione ordinaria e straordinaria delle attrezzature presenti, pena l’attivazione delle procedure di recupero.

II. Arca Servizi s.r.l. impugnava la predetta deliberazione con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Veneto.

La società, esposto di aver acquistato nel 2017 il parcheggio “La Cittadella”, che sin dalla sua realizzazione era stato sempre gestito dalla proprietà in base ad atti rinnovati o prorogati, deduceva avverso la delibera n. 652/2017 varie illegittimità a difesa di tale posizione, domandandone l’annullamento.

III. M s.r.l. proponeva nell’ambito del predetto giudizio ricorso incidentale.

La società, esposto di trovarsi in condizioni analoghe a quelle di Arca Servizi in relazione al parcheggio “Centro Mantegna”, impugnava anch’essa la deliberazione n. 652/2017, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo a favore del giudice ordinario e deducendone l’illegittimità;
concludeva per l’accertamento del suo diritto a gestire il parcheggio, previo eventuale annullamento dell’atto gravato, e, in via subordinata, avanzava domanda risarcitoria.

IV. Il Comune di Padova e APS Holding si costituivano in resistenza con eccezioni di rito e di merito.

V. Con sentenza n. 163/2019 la seconda sezione dell’adito Tribunale dichiarava inammissibili per carenza di interesse entrambi i predetti ricorsi;
condannava le parti ricorrenti alle spese di giudizio in favore delle parti resistenti.

Il primo giudice in particolare:

- qualificava M come interveniente adesivo;

- riteneva infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo spiegata da M facendo valere la clausola della convenzione urbanistica stipulata con l’Amministrazione che rimette all’autorità giurisdizionale ordinaria tutte le contestazioni relative all’esecuzione della convenzione stessa. Rilevava al riguardo che le controversie riguardanti la formazione, la conclusione e l’esecuzione delle convenzioni urbanistiche appartengono, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. a), n. 2 e lett. f), del Codice del processo amministrativo, alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, non derogabile su accordo delle parti;

- riteneva che la impugnata delibera fosse priva di attuale valenza lesiva della sfera giuridica delle società, con conseguente carenza del loro interesse a ricorrere. Osservava sul punto che l’Amministrazione non aveva disposto l’affidamento in house del servizio, ma si era limitata a dare mandato alla competente struttura amministrativa di verificare la sussistenza delle condizioni per un siffatto eventuale affidamento. Rammentava che il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm., non può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati, quali quelli paventati dalle società. Escludeva di poter pervenire a una diversa conclusione sulla base della innovativa prospettazione, contenuta in una memoria difensiva di Arca Servizi, dell’attuale lesività della proroga, fondata sulla tesi che, in assenza della stessa, si sarebbe consolidato in capo alle società il pieno diritto di gestire il parcheggio senza dover versare alcun canone al Comune. Rilevava al riguardo che l’eventuale accoglimento del ricorso sotto tale profilo non avrebbe arrecato alcun vantaggio all’interesse sostanziale delle società, sia in considerazione della sussistenza del vincolo perpetuo all’uso pubblico, ostativo di una libera gestione dei parcheggi, sia in quanto la gestione alle proprietà era stata affidata in base ad atti ormai scaduti, sicchè, in difetto di proroga, essa sarebbe inesorabilmente terminata alla luce dell’art. 13- bis della convenzione 7 agosto 1985, che prevede la necessità a tal fine di un atto di concessione.

VI. Arca Servizi e M hanno gravato la predetta sentenza.

VII. Il primo appello depositato (denominato “appello incidentale”), rubricato al n.r.g. 6290/2019, è quello proposto da M dopo la ricezione della notifica dell’appello di Arca Servizi.

La società ha dedotto: 1) In limine : in tema di giurisdizione, mancato apprezzamento dell’eccezione sollevata;
2) Sulla violazione dei diritti dominicali di M: violazione dei principi generali del sistema;
violazione dell’art. 949 Cod. civ. e dell’art. 42 Cost.;
3) Violazione di legge: violazione degli artt. 1- bis , 3, 7 e 8, l. 241/1990;
eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione;
violazione dell’art. 41 della Carta dei diritti di Nizza. Ha concluso per la declaratoria del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore dell’autorità giudiziaria ordinaria e per l’accertamento del diritto della società alla continuazione della gestione del parcheggio a uso pubblico, nonché, occorrendo, per l’annullamento degli atti gravati;
in subordine, per la condanna del Comune di Padova al risarcimento del danno, da quantificarsi in corso di causa.

VIII. Arca Servizi ha proposto l’appello rubricato al n.r.g. 6325/2018.

La società ha dedotto: 1) Violazione di legge: violazione dell’art. 3 della convenzione 27 luglio 2009, violazione dell’art 13- bis della convenzione 7 agosto 1985 e dell’art. 7 della convenzione 14 gennaio 1999;
eccesso di potere;
difetto di istruttoria;
travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;
2) Violazione di legge: violazione dell’art. 13- bis della convenzione 7 agosto 1985 e dell’art. 7 della convenzione 14 gennaio 1999;
violazione dell’art. 3 della convenzione 27 luglio 2009;
eccesso di potere: difetto di istruttoria, travisamento dei presupposti di fatto e di diritto;
contraddittorietà, illogicità. Ha concluso per la riforma della sentenza appellata.

IX. Il Comune di Padova e APS Holding si sono costituiti in resistenza in entrambi gli appelli, eccependone l’inammissibilità sotto vari profili e comunque l’infondatezza. Hanno domandato il rigetto dei gravami.

X. Dopo il rinvio al merito della domanda cautelare, tutte le parti, in entrambi gli appelli, hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie tesi difensive e la confutazione delle argomentazioni avverse.

Le cause sono stati indi congiuntamente chiamate e trattenute in decisione alla pubblica udienza del 17 dicembre 2019.

DIRITTO

1. In via preliminare, gli appelli in epigrafe devono essere riuniti ai fini della decisione ai sensi dell’art. 96, comma 1, del Codice del processo amministrativo, che stabilisce che tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite in un solo processo.

2. L’appello che viene in immediato rilievo perché depositato per primo è quello di M s.r.l..

3. Per la disamina di tale appello è necessario premettere che M in primo grado ha proposto un ricorso denominato “incidentale” nell’ambito del ricorso principale proposto da Arca Servizi s.r.l., con il quale, esposta la comunanza delle due posizioni, ha gravato lo stesso provvedimento comunale impugnato da Arca Servizi.

Il Comune di Padova e APS Holding s.p.a., parti resistenti nel giudizio così instaurato, hanno eccepito l’inammissibilità e la tardività del ricorso incidentale. Le deducenti sostenevano che M, quale soggetto legittimato a impugnare in via autonoma l’atto asseritamente lesivo, non avrebbe potuto proporre ricorso incidentale, rimedio che per l’art. 42 Cod. proc. amm. può essere azionato solo dal controinteressato e dalle parti necessarie del giudizio a difesa di un interesse sorto in dipendenza della domanda proposta in via principale, perché tale condizione nella fattispecie non sussisteva;
concludevano, anche considerando che M aveva avanzato censure diverse da quelle della ricorrente principale (il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo), che il ricorso incidentale era volto ad aggirare il termine decadenziale previsto per l’autonoma impugnazione del provvedimento, che alla data della sua proposizione era scaduto.

La sentenza appellata, pur non delibando espressamente tali eccezioni, ha qualificato M come interveniente adesiva.

La correttezza di tale statuizione non è qui in discussione: il capo di sentenza in parola non è stato impugnato e ha acquisito, pertanto, forza di giudicato.

3.1. Non sembra però superfluo rammentare che l’art. 28 del Codice del processo amministrativo, ai commi 1 e 2, disciplina l’intervento distinguendo quello del contraddittore necessario pretermesso e quello delle altre pari che via abbiano interesse, sia ad opponendum che ad adiuvandum rispetto al ricorso di primo grado, e che quest’ultimo tipo di intervento è consentito a chiunque non sia parte del giudizio, non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni e abbia interesse al giudizio stesso (Cons. Stato, IV, 29 novembre 2017, n. 5596), con la conseguenza che:

- l’intervento adesivo spiegato in primo grado da parte dei soggetti legittimati alla proposizione di un ricorso autonomo, in contrasto con la regola ermeneutica secondo cui l’intervento ad adiuvandum può essere proposto nel processo amministrativo solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale, e non anche da soggetto portatore di un interesse che lo abilita a proporre ricorso in via principale nel termine decadenziale, è inammissibile (di recente, Cons. Stato, V, 22 luglio 2019, n. 5124;
IV, 28 agosto 2018, n. 5065;
nel tempo, IV, dicembre 1999, n. 1853);

- l’atto di intervento può essere convertito in un atto di assunzione in proprio del ricorso al quale si aderisce solo se notificato e depositato nei termini, in applicazione del generale principio di conversione negoziale di cui all’art. 1424 Cod. civ., estendibile anche agli atti processuali ove sussistano tutti i requisiti di forma e di sostanza (Cons. Stato, IV, n. 5596 del 2017, cit.;
Ad. plen., n. 10 del 2007;
III, 21 dicembre 2011, n. 677;
IV, 27 maggio 2002, n. 2928);

- l’intervento adesivo dipendente formulato quando il termine per impugnare in via autonoma è già decorso può essere inteso come diretto a sostenere il ricorso principale nell’ambito del quale si innesta, con l’accettazione del processo nello stato e grado in cui si trova, e non tollera quindi la proposizione di autonomi motivi di censura (Cons. Stato, VI, 25 marzo 2011, n. 1843).

3.2. Tanto chiarito, quale che dovesse essere la sorte della posizione azionata da M con il ricorso incidentale proposto in primo grado in applicazione delle predette coordinate ermeneutiche, nell’odierno giudizio di appello vale la qualificazione di interveniente adesiva che ne ha dato il primo giudice con un capo di sentenza come detto rimasto inoppugnato.

Tale qualificazione, alla luce di un costante indirizzo giurisprudenziale da cui il Collegio non rinviene ragioni per discostarsi, non è priva di conseguenze in sede di appello.

In particolare, per risalente e ripetuto principio, l’interventore adesivo è legittimato a impugnare solo i capi della sentenza che coinvolgono direttamente la sua posizione processuale, come quelli che decidono sulla ritualità dell’intervento o sulle spese di giudizio (Cons. Stato, V, 5 settembre 2002, n. 4461;
VI, 3 gennaio 2000, n. 20).

Più di recente (Cons. Stato, V, 11 luglio 2017, n. 3409) è stato ribadito che il soggetto interveniente ad adiuvandum nel giudizio di primo grado non è legittimato a proporre appello in via principale e autonoma, salvo che non abbia un proprio interesse direttamente riferibile alla sua posizione, come nel caso in cui sia stata negata la legittimazione all’intervento o sia stata emessa nei suoi confronti la condanna alle spese giudiziali (Cons. Stato, IV, 22 febbraio 2016, n. 724;
V, 13 febbraio 2017, n. 614;
VI, 6 agosto 2013, n. 4121, 12 luglio 2010, n. 4495). Si è sottolineato che questa regola, di origine giurisprudenziale, è stata poi recepita dall’art. 102, comma 2, Cod. proc. amm., secondo cui l’interventore “ può proporre appello soltanto se titolare di una posizione giuridica autonoma ”, e costituisce il corollario del carattere dipendente del suo interesse nel giudizio principale, il quale non gli consente altro che di aderire alle censure formulate dal ricorrente, poiché diversamente opinando l’intervento in giudizio potrebbe costituire uno strumento per l’elusione del termine di decadenza (Cons. Stato, III, 14 dicembre 2016, n. 5268;
26 ottobre 2016, n. 4487;
IV, 29 febbraio 2016, n. 853;
29 gennaio 2016, n. 351).

3.3. L’appello proposto dall’interveniente adesiva M travalica tali limiti;
esso contesta la decisione del primo giudice sulla ritenuta giurisdizione amministrativa (primo mezzo), e ripropone le censure già formulate in primo grado contro la gravata determinazione comunale, esponendo il carattere espropriativo del provvedimento e l’illegittimità del modus procedendi seguito per la sua adozione, anche sotto il profilo della competenza a provvedere (secondo e terzo mezzo).

In coerenza con tale impostazione censoria, formula domande (declaratoria della carenza di giurisdizione del giudice amministrativo;
accertamento del diritto della società alla continuazione della gestione del parcheggio a uso pubblico per cui è causa, con annullamento, occorrendo, dell’atto gravato;
condanna del Comune di Padova al risarcimento del danno) diverse e più ampie di quelle avanzate da Arca Servizi (annullamento dell’atto impugnato).

L’eccezione di inammissibilità dell’appello di M svolta da entrambe le parti resistenti sulla scorta dei limiti che connotano l’appello dell’interveniente adesivo si rivela pertanto fondata, con conseguente assorbimento delle altre eccezioni preliminari pure dalle medesime proposte avverso lo stesso appello.

Può aggiungersi che non è significativo che M, che in primo grado ha subito la condanna alle spese del giudizio, abbia chiesto in questa sede anche la condanna dell’Amministrazione alle spese di lite di entrambi i gradi.

La domanda è infatti generica, in quanto correlata al mero accoglimento dell’appello, ovvero del tutto disancorata dalle “ specifiche censure ” che nel caso, ai sensi dell’art. 101, comma 1, Cod. proc. amm., avrebbero dovuto essere rivolte al capo della sentenza di primo grado che nella regolazione delle spese di giudizio ha fatto applicazione del principio della soccombenza: in quanto tale, non è suscettibile di attrarre, neanche in parte, l’appello di M nell’area dell’ammissibilità come sopra delineata.

3.4. Non convincono le difese sul punto svolte da M.

In particolare:

- poiché il primo giudice, come detto, ha espressamente identificato la posizione fatta valere da M nell’ambito del giudizio di primo grado, definendola “interveniente adesiva”, non rileva il dubbio di se tale definizione sia stata o meno espressa “ ex professo ”;
la questione, per poter essere riesaminata in questa sede, avrebbe dovuto essere devoluta alla cognizione del giudice di appello mediante uno specifico motivo di gravame;

- è completamente destituita di fondamento l’osservazione che la sentenza appellata avrebbe ulteriormente qualificato l’intervento adesivo in parola come “autonomo”, avendo esaminato (e respinto) l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata da M con il primo motivo del suo ricorso.

Il Collegio ritiene infatti trattarsi di un fatto che M non può in alcun modo volgere a suo favore, equivocando sull’avvenuta introduzione dell’eccezione di giurisdizione nella veste di un motivo di ricorso: infatti, senza affermare preliminarmente la propria giurisdizione, il giudice di prime cure non avrebbe potuto statuire alcunchè sul “ricorso incidentale” di M, ivi compresa la sua qualificazione.

Del resto, la possibilità di valorizzare in qualche modo l’autonomia dell’intervento sconta come visto l’accertamento della sua tempestività, condizione qui insussistente, come rilevato dalle parti resistenti sia in primo grado che in questa sede con argomentazioni che non hanno trovato una valida confutazione da parte di M;

- in particolare, la questione della tardività dell’azione giudiziale di M non può essere aggirata sostenendo, come fa l’interessata, che la società ha azionato una posizione che, in quanto soggetta alla cognizione del giudice ordinario, non sconta i termini decadenziali di impugnazione.

Consolidata giurisprudenza richiede che l’indagine volta all’identificazione del titolo che legittima l’intervento adesivo e, dunque, la definizione dell’interesse che consente l’ingresso dell’interventore nel giudizio proposto da altri, debba essere condotta in astratto, in base alla effettiva causa petendi quale si desume dal complesso delle affermazioni del soggetto che agisce in giudizio (Cons. Stato, IV, n. 5596 del 2017, cit., che richiama in materia: Cons Stato, Ad. plen., n. 23 del 2016;
n. 9 del 2015;
n. 1 del 2015;
n. 2 del 1996;
III, 4 febbraio 2016, n. 442;
V, 22 marzo 2012, n. 1640;
8 marzo 2011, n. 1445;
IV, 30 novembre 2010, n. 8363).

Sotto tale ottica prospettica, rileva quindi non tanto l’affermazione di M dell’afferenza delle sue doglianze alla sfera dei diritti soggettivi o comunque alla cognizione del giudice ordinario, quanto, piuttosto, l’apprezzamento di quanto lamentato dalla società, che ha sostenuto e tutt’ora sostiene che l’Amministrazione comunale nel provvedimento impugnato ha fatto cattivo uso del proprio potere, ciò che, per un verso, radica la giurisdizione del giudice amministrativo, essendo questi il giudice naturale del potere amministrativo, per altro verso richiede la tempestiva impugnazione dell’atto che di tale potere è espressione. Rileva altresì che, contrariamente da quanto affermato da M, la definizione delle condizioni di accesso alla giurisdizione è effetto non disponibile dall’autonomia privata, perché regolato da norme di ordine pubblico. In particolare, gli interessi pubblici alla cui cura è finalizzato l’esercizio dei poteri autoritativi della pubblica amministrazione non si ascrivono al novero dei diritti disponibili;
non è perciò predicabile una deroga negoziale all’assetto della giurisdizione statale preposta al loro sindacato (Cons. Stato, V, 7 settembre 2011, n. 5032).

Correttamente pertanto il giudice di prime cure ha ritenuto sussistente la propria giurisdizione esclusiva ex art. 133, comma 1, n. 1 lett. a), n. 2 ed f), Cod. proc. amm. (in tema, Cons. Stato, IV, 7 maggio 2015, n.2313;
9 gennaio 2013, n. 81).

Tale statuizione va pertanto qui interamente confermata;

- infine, va osservato che, anche volendo considerare il punto di vista di M, non vi è alcuna ragionevole spiegazione del perché la società abbia ritenuto di adire il giudice amministrativo per domandare la declaratoria della sua carenza di giurisdizione a favore del giudice ordinario (in tema di conseguenze che possono trarsi in sede processuale dal venire contra factum proprium , Cons. Stato, IV, 21 dicembre 2016, n. 5403;
26 agosto 2015, n. 3990;
V, 27 aprile 2015, n. 2064;
III, 13 aprile 2015, n. 1855;
V, 27 marzo 2015, n. 1605;
III, 7 aprile 2014, n. 1630;
V, 16 aprile 2013, n. 2111;
7 febbraio 2012, n. 656). Questa “mossa” infatti non era in alcun modo necessitata dal fatto che Arca Servizi aveva già proposto ricorso innanzi al giudice amministrativo, ben potendo, in tesi, le due azioni giudiziali – stante la loro autonomia, fortemente rivendicata dalla stessa M e oggettivamente rilevabile, trattandosi di posizioni che, per quanto incise dallo stesso provvedimento, afferiscono a diversi soggetti giuridici – essere proposte e proseguire parallelamente il loro corso dinanzi a due diversi ordini giurisdizionali.

4. L’appello di M va pertanto dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione attiva, ai sensi dell’art. 102, comma 2, Cod. proc. amm..

5. Può passarsi ora alla disamina dell’appello di Arca Servizi.

6. Vanno preliminarmente delibate, com’è d’uopo, le eccezioni spiegate dalle parti appellate.

6.1. Il Comune di Padova ha eccepito l’inammissibilità dell’appello di Arca Servizi sollevando anzitutto due questioni: la carenza di interesse, ovvero l’impossibilità della società di trarre vantaggio dall’eventuale accoglimento del gravame, per mancata riproposizione delle censure a suo tempo svolte avverso l’atto impugnato, che, per tale motivo, non potrebbe essere annullato;
l’indebita rilevanza che assume nell’atto l’illustrazione della lesività della proroga disposta dal provvedimento impugnato, doglianza che non ha costituito motivo di impugnazione nel ricorso di primo grado, essendo stata introdotta nel relativo giudizio solo in sede di memoria conclusiva.

La prima eccezione è stata formulata anche da APS Holding.

Entrambe le eccezioni sono infondate.

6.1.1. Quanto alla prima questione, va rilevato che l’azione proposta è un ricorso in appello e non un ricorso per revocazione. Trova pertanto applicazione l’art. 101, Cod. proc. amm., che, con il principio di specificità dei motivi di impugnazione, impone che sia rivolta una critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, non essendo sufficiente la mera riproposizione dei motivi contenuti nel ricorso introduttivo;
il giudizio di appello dinanzi al giudice amministrativo, infatti, è revisio prioris instantiae i cui limiti oggettivi sono segnati dai motivi di impugnazione (da ultimo, Cons. Stato, V, 11 dicembre 2019, n. 8415).

Ciò posto, si osserva che l’appello di Arca Servizi contiene critiche specifiche al decisum di primo grado, in stretta correlazione ai motivi del ricorso originario: esso è pertanto pienamente rispettoso del predetto principio. Sarebbe stata, invece, la pedissequa riproposizione dei motivi di primo grado a rendere l’appello inammissibile (tra tante, Cons. Stato, V, 16 novembre 2018, n. 6464).

6.1.2. Quanto alla seconda questione – anche al di là delle specifiche difese svolte al riguardo dalla società appellante – va rilevato che la sentenza gravata ha accolto le eccezioni delle parti resistenti di carenza in capo alla società di interesse all’impugnativa, disattendendo le contrarie argomentazioni della società medesima;
questa dunque su tale punto preliminare è rimasta soccombente, con conseguente insorgenza dell’interesse a contestare in appello la prospettazione del primo giudice che a tanto si è arrestata.

In tale contestazione il richiamo alla lesività della proroga della gestione del parcheggio di cui trattasi, che è una delle due determinazione assunte dal Comune di Padova mediante l’atto gravato, non costituisce mutatio libelli , così come, del resto, non lo era in primo grado, contrariamente a quanto sembra aver ritenuto il primo giudice.

La specificità dell’interesse ad agire e la lesività dell’atto impugnato, ovvero le condizioni dell’azione nel giudizio amministrativo, possono essere espressamente declinate nel ricorso introduttivo del giudizio ma anche date per implicite, essendo ordinariamente desumibili dal giudice e dalle altre parti del giudizio, direttamente o indirettamente, dagli elementi che il ricorso deve obbligatoriamente contenere ai sensi dell’art. 40 Cod. proc. amm.. Né è prova il successivo art. 73, comma 3, che regola la possibilità che nella controversia rilevino questioni sollevate d’ufficio (e quindi attinenti alle condizioni dell’azione: art. 35, comma 1, Cod. proc. amm.), sia quando la causa ha già raggiunto la fase dell’udienza di discussione sia, addirittura, dopo il suo passaggio in decisione, nel qual ultimo caso “ il giudice riserva quest’ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie ”.

Deve pertanto concludersi che il ricorrente può esternare tali condizioni e argomentare su ogni elemento che le riguardi nell’intero corso del giudizio di primo grado e ciò tanto più a fronte della sollevazione, con eccezioni di parte, di questioni che ne mettano in dubbio la sussistenza.

Lo stesso è a dirsi in sede di appello proposto, come nella fattispecie, contro la sentenza che abbia pronunziato negativamente sulle condizioni stesse. E’ infatti evidente che in tal caso la critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della decisione prescritta dall’art. 101, comma 1, Cod. proc. amm., si converte nella dimostrazione della loro sussistenza. E tanto con la latitudine espositiva richiesta dal caso specifico.

6.2. Neanche convince la tesi del Comune di Padova che la società non potrebbe trarre alcuna utilità dall’accoglimento dell’appello, avendo il Tar correttamente precisato che osta a una pronuncia nel merito della causa l’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm., secondo cui “ in nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora svolti ”.

L’Amministrazione a mezzo della gravata delibera ha infatti adottato veri e propri provvedimenti amministrativi, che, come meglio in seguito, hanno determinato una restrizione della posizione di cui la società godeva per effetto delle pregresse convenzioni urbanistiche;
l’atto ha quindi comportato effetti immediati e diretti sulla sfera giuridica della società, che, pertanto, era legittimata a contestarne in giudizio la ritenuta lesività.

6.3. Non può neanche aderirsi alla tesi esposta dal Comune, in via di riproposizione sotto altro profilo dell’eccezione di carenza di interesse, che nessun danno, per via della disposta proroga, sarebbe ravvisabile in capo alla società.

Tale argomentazione è affetta da miopia, in quanto pone l’accento sul vantaggio insito nella proroga, in guisa di una sua considerazione per così dire “atomistica”, senza considerare che esso vantaggio è diversamente misurabile sotto vari profili, che dipendono dalla fonte, dalla causa e dalle modalità anche temporali dell’atto, sicchè non si ravvisano motivi per escludere l’azionabilità in giudizio della lesione che attiene ai vari aspetti dello stato giuridico che ne consegue.

Ed è irrilevante che la società abbia accettato la proroga per come disposta dall’Amministrazione comunale, cosa che, del resto, come riferisce lo stesso Comune, è avvenuta in via di mero fatto, circostanza di cui del resto non può dubitarsi considerando che la società ha gravato il relativo provvedimento e proposto appello avverso la sentenza di primo grado che ha respinto il suo ricorso.

6.4. Nulla muta considerando, infine, che Arca Servizi ha acquistato la proprietà dei 1157 parcheggi in esame il 1° agosto 2017, nella consapevolezza che la concessione della gestione era scaduta il 27 luglio 2016 e che il precedente proprietario/gestore usufruiva di proroghe.

Le questioni dedotte in giudizio attengono non ai profili soggettivi della vicenda controversa, bensì alla verifica, di carattere oggettivo, della legittimità o meno della compressione che il provvedimento impugnato ha causato alla sfera giuridica del soggetto che, all’atto del provvedimento stesso, vantava lo stato di proprietario dell’area a parcheggio e di precedente gestore, come tale, del servizio di sosta;
nell’ambito di tale verifica non assume quindi alcuna rilevanza l’ipotetica ricostruzione effettuata dal Comune delle ragioni, e delle connesse aspettative, che hanno indotto la società all’acquisto del bene.

7. Esaurite le questioni preliminari, va affrontato il merito dell’appello.

8. Va necessariamente rammentato che la sentenza appellata ha concluso per l’inammissibilità per carenza di interesse del ricorso proposto da Arca Servizi avverso la deliberazione giuntale del Comune di Padova n. 652/2017.

La deliberazione ha disposto in ordine alla gestione della sosta nel parcheggio di proprietà della società, assoggettato a vincolo perpetuo a uso pubblico perché realizzato a scomputo degli oneri di urbanizzazione in connessione all’attuazione del piano di urbanizzazione “La Cittadella”. In particolare: ha rimesso ai competenti uffici comunali la verifica della sussistenza delle condizioni per l’eventuale affidamento in house del servizio di sosta ad APS Holding s.p.a., concessionaria unica del servizio relativo alla sosta di superficie su aree di proprietà del Comune;
per assicurare la continuità del servizio, ha previsto, fino al 31 marzo 2018, o comunque fino al subentro del nuovo gestore, la continuazione del servizio, quali precedenti gestori, in capo alle società proprietarie, tra cui l’odierna appellante, alle stesse condizioni previste dalle convenzioni urbanistiche a suo tempo stipulate.

Il primo giudice è pervenuto alla qui contestata conclusione mediante un iter argomentativo fondato sui seguenti passaggi:

a) l’atto non concreta alcuna lesione attuale in capo alla società in quanto l’Amministrazione non ha disposto l’affidamento in house del servizio, ma si è limitata a dare mandato alla competente struttura amministrativa di verificare la sussistenza delle condizioni per siffatto affidamento;

b) il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 34, comma 2, Cod. proc. amm., non può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati;

c) la prospettazione della società della lesività della proroga era innovativa perché contenuta in una memoria difensiva;

d) la stessa prospettazione è comunque erronea, in quanto anche la tesi al riguardo esposta - che, in assenza della proroga, si sarebbe consolidato in capo alla società il pieno diritto di gestire il parcheggio senza dover versare alcun canone al Comune – è comunque carente di un sottostante interesse alla sua proposizione, tenuto conto del fatto che l’area è assoggettata al vincolo perpetuo all’uso pubblico, comunque ostativo a una libera gestione del parcheggio;

e) inoltre, la gestione alla proprietà era stata affidata in base ad atti ormai scaduti, sicchè, in difetto di proroga, essa sarebbe terminata per effetto dell’art. 13- bis della convenzione 7 agosto 1985, che prevede la necessità a tal fine di un atto di concessione.

9. Il predetto percorso argomentativo non può essere condiviso.

L’erroneità delle affermazioni del primo giudice di cui ai punti sub b) e c) è già stata rilevata per le ragioni esposte, rispettivamente, ai precedenti capi 6.3. e 6.1.2. in occasione dell’esame (e della reiezione) delle eccezioni di inammissibilità dell’appello svolte dal Comune di Padova.

Il Collegio può quindi al riguardo limitarsi a richiamare tali argomentazioni.

Quanto al resto, valga quanto segue.

10. Il punto dirimente della controversia in esame non è tanto il vincolo perpetuo a uso pubblico insistente sul parcheggio di cui trattasi, fortemente evidenziata dalle parti resistenti e dal primo giudice e mai contestata dalla società, ma piuttosto il modo in cui questo è stato conformato dagli atti che hanno costituito tale vincolo in relazione alla gestione del parcheggio.

Per apprezzare tale conformazione vale osservare che:

- con delibera giuntale n. 578/1985 il Comune di Padova approvava la lottizzazione dell’area in cui insiste il parcheggio;

- seguiva il 7 agosto 1985 la convenzione di lottizzazione tra il Comune e l’allora proprietaria dell’area, La Marzaiola s.p.a., che prevedeva all’art. 3 la costituzione di una servitù perpetua e gratuita di uso pubblico su una autorimessa interrata da edificarsi a cura della società;

- la convenzione, all’art. 13- bis , prevedeva al contempo che “ il Comune, su richiesta della Ditta, si impegna a concedere alla stessa la gestione del parcheggio a condizione che sia aperto all’uso generale dei cittadini con tariffa oraria, a rotazione, il tutto da definirsi con specifico atto di concessione ”. Era ammessa la sub -concessione;

- nel 1988 La Marzaiola cedeva la proprietà delle aree oggetto della convenzione urbanistica ad altre società, che nel 1990 venivano incorporate nella s.p.a. “La Cittadella - Nuovo Centro Direzionale”;

- scaduto il termine di validità della convenzione di lottizzazione del 1985, la nuova proprietà presentava al Comune richiesta di rinnovo della stessa, positivamente deliberata con deliberazione consiliare n. 165/1998;

- seguiva la convenzione integrativa del 14 gennaio 1999, che ribadiva l’impegno della nuova proprietà, quale soggetto attuatore, di costituire sul previsto parcheggio interrato la servitù di uso pubblico perpetuo, e stabiliva che “ la Ditta si riconferma impegnata a sottoscrivere con il Comune apposita convenzione relativa alla gestione della autorimessa interrata, per la porzione gravata di servitù di uso pubblico ” (art. 7);

- il predetto vincolo veniva costituito con due atti del 1993 e del 2009;

- il parcheggio, di complessivi n. 1158 posti auto, veniva realizzato in due tranches , collaudate nel 1997 e nel 2008;

- il Comune e la società proprietaria sottoscrivevano il 2 dicembre 1998 la prima convenzione per la gestione della porzione di parcheggio già collaudata e il 27 luglio 2009 la nuova convenzione di gestione per l’intero parcheggio, di durata settennale;

- La Cittadella veniva poi fusa in MPS Immobiliare s.p.a., che a sua volta veniva fusa in Banca Monte dei Paschi di Siena (MPS) s.p.a., che affidava in gestione all’odierna appellante Arca Servizi tutti i servizi relativi al parcheggio, esclusa la gestione della sosta, che rimaneva in capo a MPS.

- successivamente, Arca Servizi subentrava a MPS nella proprietà dell’autorimessa e di tanto informava l’Amministrazione, che, nelle more delle verifiche per il subentro nella gestione della convenzione e della effettuazione delle scelte di valenza strategica per aggiornare l’affidamento, con determina 2 ottobre 2017 assentiva la prosecuzione della gestione del servizio in capo ad Arca Servizi sino al 31 dicembre 2017;

- venuta a scadenza la predetta data senza la sottoscrizione di altra convenzione, la società maturava la convinzione, informandone il Comune, di essere libera da qualsiasi accordo, fermo restando il vincolo di destinazione pubblica del parcheggio. Ciò in considerazione dell’art. 3 della convenzione 27 luglio 2009, che aveva disposto che “ alla scadenza del settimo anno, su richiesta del concessionario, le parti potranno concordare, con apposito provvedimento amministrativo, eventuale proroga ”.

Interveniva indi il provvedimento gravato.

11. A questo punto va rilevato che alle convenzioni urbanistiche, in quanto atti sostitutivi di provvedimenti amministrativi, come previsto all’art. 11, comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241, si applicano i principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti, per aspetti non incompatibili con la generale disciplina pubblicistica (Cass. civ., Sez. un., 1° luglio 2009, n. 15388;
Cons. Stato, IV, 21 gennaio 2013, n. 324;
2 febbraio 2012, n. 616;
2 agosto 2011, n. 4576). In particolare, laddove si faccia ricorso allo strumento alternativo all’attività di carattere provvedimentale, l’amministrazione, oltre a continuare a disporre dei propri poteri autoritativi, può avvalersi di tutte le prerogative concesse dal codice civile ai contraenti privati: l’esercizio della potestà pubblicistica non va dunque a detrimento della capacità privatistica, ma si aggiunge a essa, essendovi un concorso e non un’alternatività di poteri, salva, ovviamente, l’impossibilità di conseguire due volte lo stesso risultato (Cons. Stato, V, 21 agosto 2019, n. 5776 ).

Ne consegue (Cons. Stato, IV, 1° ottobre 2019, n. 6561) che “ In linea generale [ ] gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l’equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti (Cons. Stato, IV, 15 febbraio 2019, n. 1069). La causa della convenzione urbanistica, e cioè l’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare, quindi, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato sia quelli della pubblica amministrazione (Cons. Stato, Sez. V, 26 novembre 2013, n. 5603) ”.

12. In applicazione delle predette coordinate ermeneutiche, l’impugnata deliberazione si rivela illegittima, perché, come esposto da Arca Servizi nell’atto di appello in esame, essa, in spregio alle convenzioni urbanistiche a suo tempo stipulate, fonda sull’errato presupposto che ogni determinazione atta a influire sulla gestione del parcheggio rientri nella esclusiva e assoluta disponibilità del Comune.

Così, infatti, non è.

Tale disponibilità non discende evidentemente dalla proprietà del parcheggio, che, pacificamente, appartiene alla società e non al Comune;
non discende neanche dalla servitù perpetua e gratuita di uso pubblico su di esso esistente.

La costituzione di tale servitù ha trovato infatti il suo ben definito sinallagma nella concessione della gestione del parcheggio alla società che ne è proprietaria.

Tanto si deriva espressamente sia dall’art. 13- bis della convenzione 7 agosto 1985 che dall’art. 7 della convenzione 14 gennaio 1999, che individuano come unica forma di gestione la convenzione da stipularsi tra il Comune, quale “titolare” della servitù di uso pubblico, e la società, proprietaria del bene.

In altre parole, dalle predette convenzioni urbanistiche deriva per il Comune l’obbligo a contrarre, o meglio, a convenzionarsi con la proprietà, ciò che costituisce la causa della convenzione urbanistica e in specie degli impegni assunti da quest’ultima in ordine al parcheggio.

In particolare, la causa corrispettiva bilaterale della convenzione urbanistica è chiara nel combinato disposto degli artt. 3 e 13- bis della convenzione del 1985: l’impegno della parte privata a realizzare il parcheggio ha trovato la sua giustificazione nella gestione dello stesso, in qualità di proprietaria, mentre il Comune, con la servitù perpetua di uso pubblico, si è assicurato che tale gestione corrisponda all’interesse pubblico urbanistico convenzionato.

Indi, la pretesa azionata dal Comune con l’atto gravato di valutare l’affidamento della gestione del parcheggio a terzi, prorogando quella in capo alla società solo sino a tale atto, costituisce una evidente negazione del predetto sinallagma convenzionale, che il Comune tramuta, ex post e in via del tutto unilaterale, in un accordo con obbligazioni a carico della sola parte privata.

Neanche potrebbe dirsi che, come sostanzialmente sostenuto dal Comune, poiché le convenzioni urbanistiche rimandano a convenzioni di gestione, le quali presuppongono che sia raggiunto un accordo tra il privato e l’Amministrazione, quest’ultima, nel tempo, sarebbe libera di disporre diversamente da quanto previsto dalla convenzione urbanistica, in virtù di una rinnovata considerazione dell’interesse pubblico.

L’adesione a una tale tesi comporterebbe anzitutto l’effetto di negare la valenza civilistica delle convenzioni urbanistiche, che, invece, come visto, una volta stipulate concorrono con i poteri autoritativi alla regolazione della vicenda convenzionata e non sono possono pertanto ritenersi assorbiti e sostanzialmente annullati da questi ultimi: la giurisprudenza afferma che la modifica delle predette convenzioni necessita della manifestazione di volontà di tutti i soggetti che hanno concorso alla loro formazione (Cons. Stato, IV, 7 maggio 2015, n. 2313;
28 gennaio 2011, n. 693). Con tutto ciò che ne discende in termini interpretazione delle relative clausole contrattuali.

La stessa tesi, poi, una volta ricondotta nel suo corretto alveo, trasformerebbe le citate clausole convenzionali in quelle condizioni di carattere meramente potestativo, di cui l’art. 1355 Cod. civ. dispone la nullità (“ È nulla l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo subordinata a una condizione sospensiva che la faccia dipendere dalla mera volontà dell’alienante o, rispettivamente, da quella del debitore ”).

E allora si rende evidente la immediata lesività del provvedimento lesivo nel suo insieme, erroneamente negata dal primo giudice e, al contempo, la sua illegittimità.

13. La conclusione non è scalfita dalle difese delle parti resistenti.

In particolare:

- la circostanza che il citato art. 13- bis escluda il rinnovo tacito della concessione di gestione non si tramuta nella possibilità del Comune di non disporla, atteso che al riguardo “ il Comune, su richiesta della Ditta, si impegna a concedere alla stessa la gestione del parcheggio …” restando da definire in concessione solo le relative modalità;

- la giurisprudenza riconosce che l’obbligo di provvedere alla realizzazione di opere di urbanizzazione da parte del soggetto che stipula una convenzione edilizia è una obbligazione propter rem (Cons. Stato, IV, 14 maggio 2019, n. 3127;
9 gennaio 2019, n. 199;
30 maggio 2002, n. 3016;
Cass. civ., III, 15 maggio 2007, n. 11196;
II, 27 agosto 2002, n. 12571;
I, 20 dicembre 1994, n. 10947;
II, 26 novembre 1988, n. 6382). La natura reale dell’obbligazione comporta l’effetto naturale che all’adempimento della stessa saranno tenuti non solo i soggetti che stipulano la convenzione, ma anche quelli che richiedono la concessione, quelli che realizzano l’edificazione ed i loro aventi causa (Cons. Stato, IV, n. 3127/2019 e n. 199/2019, cit.;
Cass. civ., III, 11196/2007, cit.;
Cass. civ., II, n. 1257/2002, cit.). Il vincolo perpetuo a uso pubblico derivante dalla convenzione urbanistica di cui si discute, appartenendo necessariamente alla stessa categoria, ovvero comportando che al suo adempimento sono tenuti non solo i soggetti che stipulano la convenzione, ma anche i loro aventi causa, non converte la gestione del parcheggio in un “servizio pubblico” quale quello presupposto dall’atto;
in particolare, tale “conversione” non può derivare dalla necessità di assicurare il rispetto della condizione che il parcheggio sia aperto all’uso generale della collettività e di evitare disservizi di gestione, potendo l’Amministrazione ovviare a tanto mediante lo strumento della concessione, in conformità delle norme convenzionali a suo tempo pattuite. Non trova pertanto alcuna giustificazione il passaggio dallo strumento convenzionale, cui il Comune si è obbligato, a quello autoritativo;

- resta evidentemente estranea alle problematiche qui in esame ogni considerazione inerente la proprietà comunale delle attrezzature dei parcheggi, che non è oggetto di contestazione;

- l’affermazione della società di poter proseguire nella gestione del parcheggio anche dopo la scadenza della concessione non involve in un inadempimento degli obblighi convenzionali e non si scontra in alcun modo con la causa che ha determinato la realizzazione del bene (scomputo degli oneri di urbanizzazione) sintantochè esso resti assoggettato all’uso pubblico, condizione cui la società non ha affermato di voler contravvenire. La questione si tramuta piuttosto nello specifico interesse del Comune alla stipula di una nuova concessione, essendo questo lo strumento cui l’art. 13- bis della convenzione del 1985 e l’art. 7 della convenzione del 1999 rimettono la puntuale individuazione, nel tempo, delle modalità con cui l’Amministrazione può dettagliare l’interesse pubblico urbanistico convenzionato, al fine di evitare quella “gestione tipicamente commerciale” del parcheggio paventata dalle parti resistenti;

- nulla muta considerando che il provvedimento impugnato sia conforme al parere n. 225438/2019 reso dall’Anac su specifica richiesta dell’Amministrazione.

Anzi, sul punto le difese del Comune mostrano tutta la loro debolezza.

L’Anac, nel ritenere che l’Amministrazione potesse porre a gara il servizio di gestione del parcheggio de quo o affidarlo in house nella sussistenza delle relative condizioni di legge, ha affermato, in relazione alla pure prospettata possibilità alternativa “ di affidare la gestione ai proprietari degli immobili gravati dal vincolo ”, “ che la richiesta per come formulata non consente una valutazione adeguata della questione non risultando in atti la documentazione relativa agli strumenti urbanistici e convenzionali ”.

Indi, al di là di ogni questione sulla rilevanza del parere nella predetta sede contenziosa, deve osservarsi che le conclusioni cui perviene tale parere, diversamente da quanto proprio dei pareri consultivi in generale, non possono ritenersi attagliate alla specifica fattispecie, che Anac non è stata posta in condizione di conoscere in tutti gli elementi salienti;

- la posizione della società non è equiparabile a quella del soggetto che ha la “nuda proprietà” del bene, in quanto le statuizioni convenzionali sopra rassegnate le attribuiscono, come visto, la gestione dello stesso, estraniandola da qualsiasi procedura pubblica;

- si sottolinea che l’art. 3 della convenzione del 1999 prevede la possibilità del Comune di provvedere autonomamente alla gestione del parcheggio. Si trascura però di evidenziare che la stessa norma ricollega tale possibilità a due ben precise fattispecie, che non risultano essersi verificate: a) la rinunzia alla gestione da parte della proprietà;
b) la decadenza o la revoca del concessionario;

- parimenti, si evidenzia che l’art. 3 della convenzione del 1998 prevedeva la possibilità del Comune, al termine del periodo convenzionato, di assumere la gestione diretta del servizio. Si trascura però di evidenziare che la stessa norma sottolinea la “natura sperimentale” della gestione, in quanto, a quel momento, il piano di lottizzazione, e lo stesso parcheggio, non era completato, ciò che rafforza la valenza transitoria e temporanea della previsione;

- quanto, infine, al vantaggio derivante dalla proroga in sé, con conseguente impossibilità di ravvisare una lesione della posizione giuridica della società da essa dipendente, si richiama quanto già rilevato al precedente capo 6.3..

14. Per tutto quanto precede, l’appello di Arca Servizi si rivela fondato.

15. In definitiva, l’appello di M s.r.l. va dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione attiva, ai sensi dell’art. 102, comma 2, Cod. proc. amm., mentre l’appello di Arca Servizi s.r.l. deve essere accolto, disponendosi, per l’effetto, la riforma della sentenza impugnata e l’accoglimento del ricorso di primo grado, con annullamento del provvedimento ivi gravato, per quanto di interesse della società.

Si ravvisano giusti motivi, stante l’andamento della controversia, la peculiarità e la complessità delle questioni trattate, per disporre la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

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