Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-01-08, n. 201300032

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-01-08, n. 201300032
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201300032
Data del deposito : 8 gennaio 2013
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 08898/2004 REG.RIC.

N. 00032/2013REG.PROV.COLL.

N. 08898/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8898 del 2004, proposto da:
L’A S.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore , costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. G F, dall’Avv. C Z e dall’Avv. G P, con elezione di domicilio presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Giulio Cesare. 14a/-4;

contro

Regione Lombardia, in persona del Presidente della Giunta Regionale pro tempore , costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. P P e dall’Avv. P D V , dall’Avvocatura Regionale, nonché dall’Avv. Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, largo Messico, 7;
Comune di Braone (Bs), in persona del suo legale rappresentante pro tempore , costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Mauro Ballerini e dall’Avv. Giuseppe Ramadori, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Marcello Prestinari, 13;
S S.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore , costituitosi in giudizio, rappresentato e difeso dall’Avv. Silvano Canu, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell’Avv. Massimo Lauro, via Ludovisi, 35;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, n. 870 dd. 23 giugno 2003, resa tra le parti e concernente piano di lottizzazione e conseguenti titoli edilizi.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Braone;

Visto l’atto di costituzione della Regione Lombardia;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della S S.p.a., con contestuale appello incidentale;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 aprile 2012 il Cons. F R e uditi per l’appellante L’A S.p.a. l’Avv. G P, per la Regione Lombardia l’Avv.Pierpaolo Pugliano in sostituzione dell’Avv. Federico Tedeschini, per il Comune di Braone l’Avv.Fausto Buccellato in sostituzione dell’Avv. Mauro Ballerini e per la S S.p.a. l’Avv. Gabriele Pirocchi in sostituzione dell’Avv. Silvano Canu;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1. Con deliberazione n. 28 dd. 9 marzo 1994 la Giunta Comunale di Braone (Bs) ha approvato in via definitiva il piano di lottizzazione denominato “A/Habitat-Legno” , avente ad oggetto la costruzione di un vasto complesso commerciale.

In esecuzione di tale piano di lottizzazione è stata rilasciata alla A S.p.a. la concessione edilizia n. 6/94 dd. 23 novembre 1994.

1.2. Con esposto pervenuto alla Regione Lombardia in data 6 luglio 1995, la S S.p.a ha chiesto a’ sensi a’ sensi dell’art. 27 della L. 17 agosto 1942 n. 1150 l’annullamento sia del piano di lottizzazione che della concessione edilizia anzidetti.

Con nota dd. 31 luglio 1995 il Servizio giuridico amministrativo della Regione Lombardia ha trasmesso al Comune di Barone una relazione evidenziante i profili di illegittimità del piano di lottizzazione e della concessione, chiedendo di fornire spiegazioni e documentazione integrativa.

Il Sindaco ha riscontrato tale richiesta con nota dd. 25 ottobre 1995.

I risultati del complesso degli accertamenti compiuti dei funzionari istruttori regionali, dott. A G e Arch. G F, sono stati rassegnati, con relazione datata 31 luglio 1996, al Dirigente del competente Settore regionale.

In esito a tale relazione, tale Dirigente, con lettera dd.10 ottobre 1996 ha invitato il Sindaco di Braone a disporre l’annullamento del piano di lottizzazione e della concessione edilizia dianzi citati, avvertendo che in caso di inerzia l’Amministrazione regionale avrebbe proceduto ai sensi dell’art. 27 della L. 1150 del 1942.

1.3. La Regione,inoltre, con note Prot. n. 43.669 e n. 43.670 dd. 23 ottobre 1996 - rispettivamente indirizzate a L’A in qualità di titolare della concessione edilizia e all’Ing. G B, in qualità di progettista dell’opera – ha trasmesso la relazione istruttoria con invito a. sensi del terzo comma dell’art. 27 della L. 1150 del 1942 a controdedurre entro il termine di 60 giorni.

L’A ha inoltrato le proprie osservazioni con memoria dd. 20 dicembre 1996, pervenuta alla Regione il 30 dicembre 1996).

L’I B ha replicato a sua volta ai rilievi con proprio scritto dd.18 dicembre 1996, pervenuto alla Regione in data 2 gennaio 1997.

Con nota Prot. n.

2.966 dd. 23 dicembre 1996 il Sindaco di Braone ha riconosciuto la sussistenza solo di alcuni dei vizi contestati, ma ha respinto l’invito dell’anzidetto Dirigente regionale indicando le ragioni che – a suo dire - inducevano a ritenere insussistente o comunque non preminente, rispetto all’affidamento formatosi in capo al privato, l’interesse pubblico giustificante l’annullamento degli atti.

In data 31 ottobre 1997, le conclusioni istruttorie venivano trasmesse dal Dirigente del Settore all’attenzione dell’Assessore competente perché proponesse alla Giunta l’adozione dell’atto.

1.4. In data 31 ottobre 1997, le conclusioni istruttorie venivano trasmesse, dal Dirigente del Settore, all’attenzione dell’Assessore competente perché proponesse alla Giunta l’adozione del provvedimento di annullamento;
il che, per l’appunto, è avvenuto con deliberazione dell Giunta Regionale n. 34.426 dd. 30 gennaio 1998.

2.1. L’A ha pertanto proposto sub R.G. 481 del 1998 ricorso innanzi al T.A.R. per la Lombardia, Sezione chiedendo l’annullamento di tale provvedimento della Giunta Regionale, nonché della concessione edilizia n. 6/94 dd. 23 novembre 1994 rilasciata in esecuzione del piano di lottizzazione impugnato e di ogni altro atto presupposto e conseguente.

In tale primo grado di giudizio L’A ha dedotto le censure qui appresso descritte.

1) Violazione dell’art. 7 e ss. della L. 7 agosto 1990 n. 241.

L’A ha in tal senso rimarcato che l’Amministrazione Regionale non ha provveduto a notiziarla dell’avvio del procedimento, limitandosi ad affettuare la mera contestazione contemplata al riguardo dall’art. 27 della L. 1150 del 1942;
e in dipendenza di ciò L’A ha affermato di non aver potuto partecipare, attraverso la presentazione di memorie e documenti a tutta quella fase della procedura che si è svolta a far tempo dalla data di presentazione dell’esposto alla Regione da parte di S e che si è conclusa il 23 ottobre 1998 con la formulazione della contestazione nei suoi confronti.

2) Violazione dell’art. 27 della L. 1150 del 1942.

A ha denotato che la deliberazione della Giunta Regionale recante l’annullamento del piano di lottizzazione è stata assunta dopo il decorso il termine di diciotto mesi dall’accertamento della violazione, stabilito dallo stesso articolo.

Più in dettaglio, rileverebbero in proposito i seguenti due aspetti:

a) dalla lettura deliberazione della Giunta Regionale n. 13.524 in data 24 maggio 1996 risulterebbe che i contestati profili di legittimità a tale data erano già stati accertati, tanto da determinare la Giunta medesima ad emettere un provvedimento di modifica del piano regolatore in itinere;

b) anche a voler assumere come termine a quo la data del 31 luglio 1996, nella quale è stata redatta dagli uffici regionali la relazione istruttoria, risultavano decorsi comunque i diciotto mesi, non essendosi entro tale lasso di tempo perfezionata anche la comunicazione ai destinatari del provvedimento;

3) Illegittimità della deliberazione della Giunta Regionale n. 13.524 dd. 24 maggio 1996 sotto il profilo della carenza dell’interesse pubblico e della totale assenza della motivazione in relazione allo stesso;

L’A, dopo aver premesso che il provvedimento di autotutela notoriamente integra l’esercizio di un’attività discrezionale, ha affermato che nella fattispecie l’interesse pubblico sarebbe stato valutato in modo astratto, ossia con esclusivo riguardo alla materiale violazione della disposizione normativa e quindi senza effettuare alcuna comparazione con l’affidamento ingeneratosi nel privato per effetto del rilascio del titolo edilizio, con conseguente e quanto mai consistente danno economico per il privato medesimo.

Secondo A, pertanto, la Giunta Regionale non solo non avrebbe valutato la sussistenza di un pubblico interesse all’annullamento, ma avrebbe addirittura disatteso totalmente la relazione dei propri uffici tecnici, nella quale esplicitamente era stata evidenziata l’insussistenza di alcun interesse di natura edilizio-urbanistica, diverso da quello al ripristino della legalità violata, all’annullamento del piano di lottizzazione e del titolo edilizio conseguente.

4) Eccesso di potere sotto il profilo della carenza di motivazione per mancato esame delle controdeduzioni presentate dalla medesima L’A.

L’A ha in tal senso rilevato di aver prodotto all’Amministrazione Regionale una complessa relazione di controdeduzioni predisposta dall’Avv. G F, recante in dettaglio i motivi per i quali dovevano considerarsi inesatte ed infondate le contestazioni fatte dalla Regione medesima: controdeduzioni che, a suo dire, non sarebbero state di fatto disaminate.

5) Eccesso di potere sotto il profilo dell’illogicità del provvedimento.

Secondo L’A, dopo che il Sindaco del Comune di Braone si era motivatamente rifiutato di adottare il provvedimento di annullamento del titolo edilizio confermando i precedenti provvedimenti adottati in precedenza, la Giunta Regionale sarebbe stata a sua volta priva del potere di pronunciare l’annullamento;

6) Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento di potere.

L’A ha affermato che la finalità in concreto perseguita dalla Giunta Regionale mediante l’annullamento in autotutela non sarebbe quella della cura degli aspetti urbanistico-edilizi - ai quali, per l’appunto, deve essere finalizzato il provvedimento di annullamento ex art. 27 della L.1150 del 1942 - ma quella di tutelare le ragioni di ordine commerciale poste alla base della denuncia presentata da S, con conseguente utilizzo sviato del relativo procedimento rispetto al fine tipico legislativamente previsto.

7) Infondatezza nel merito.

In via subordinata, A ha dettagliatamente disaminato le motivazioni addotte dalla Giunta Regionale a fondamento dell’annullamento da essa disposto nei confronti del piano di lottizzazione e del conseguente titolo edilizio.

Tali motivazioni pertengono, segnatamente, alla destinazione d’uso, alle quantità complessive, all’altezza, agli accessi e ai parcheggi contemplati dal piano di lottizzazione.

In particolare va sin d’ora evidenziato quanto segue.

a) Sulla destinazione d’uso, L’A ha rimarcato che nella deliberazione adottata dalla Giunta Regionale si afferma che “la destinazione d’uso commerciale non risultava contemplata, per la zona omogenea produttiva-industriale-artigianale (D) del Piano di Fabbricazione” e che l’art. 33 di quest’ultimo prevede, per contro, fra le destinazioni ammesse in zona D “attrezzature industriali, artigianali, depositi commerciali, residenze dirigenti e custodi, commercio” .

b) Sulle quantità complessive, L’A ha sostenuto che non sussisterebbe affatto l’eccedenza di 3.000 mq. affermata dalla Giunta Regionale, dovendosi ritenere semmai erroneo il riferimento alla densità fondiaria in luogo di quella territoriale.

c) Per quanto attiene al superamento dei limiti posti dal regolamento edilizio L’A ha reputato tale circostanza insussistente, posto che la cupola piramidale e la copertura della galleria dovrebbero semmai considerarsi volumi tecnici, non computabili.

d) Per quanto riguarda invece gli accessi, secondo L’A il mancato rispetto delle prescrizioni poste dal P.R.G. in itinere risultava del tutto fuori luogo, posto che la Giunta Regionale, in sede di approvazione definitiva del piano medesimo ha riportato la zona in questione allo stato previsto dal precedente Piano di Fabbricazione.

e) Da ultimo, per quanto concerne la mancanza di parcheggi affermata nel provvedimento della Giunta Regionale, L’A ha evidenziato che una parte dei parcheggi stessi sarebbe stata monetizzata e che tale scelta è stata ritenuta dalla Giunta Regionale non già illegittima ma inopportuna, e che l’inopportunità – proprio poiché concettualmente diversa dall’illegittimità – non potrebbe ex se essere invocata a fondamento di un provvedimento di annullamento in autotutela.

1.3. Si è costituita in tale primo grado di giudizio la Regione Lombardia, replicando puntualmente alle censure de L’A e concludendo per la reiezione del ricorso.

1.4. Si è parimenti costituita in giudizio S, dispiegando intervento adesivo ad opponendum , affermando di essere titolare quantomeno di un interesse di fatto al mantenimento del provvedimento regionale di annullamento del piano di lottizzazione e del titolo edilizio emanato nella vigenza di quest’ultimo: e ciò nella propria veste di soggetto economico operante nel medesimo settore con particolare riferimento ad un identico bacino di utenza.

1.5. Con ordinanza n. 515 dd. 19 giugno 1998 l’adito giudice ha respinto la domanda di sospensione cautelare degli atti impugnati proposta da L’A.

1.6. In prossimità dell’udienza di discussione del merito di causa la Regione Lombardia ha prospettato la sussistenza di circostante di fatto che facevano venire meno l’interesse de L’A alla decisione del ricorso, posto che in data 4 novembre 1999 il Comune di Braone ha sottoposto alla Giunta Regionale l’approvazione di una variante al P.R.G. al fine di sanare la situazione urbanistica ed edilizia dell’insediamento commerciale realizzato sulla base degli atti fatti oggetto di annullamento, e che la Giunta Regionale aveva a sua volta chiesto al Comune di Braone di apportare alla variante medesima una serie di modifiche ed integrazioni, recepite con deliberazione consiliare n. 25 dd. 26 settembre 2000;
tale variante è stata quindi approvata definitivamente con deliberazione della Giunta Regionale n. 2225 dd. 31 maggio 2002.

Secondo la difesa della Regione, tale variante allo strumento urbanistico primario di Braone presentava “contenuti e previsioni tali da consentire di considerare sostanzialmente superati i principali profili di illegittimità posti illo tempore a fondamento dell’annullamento regionale, relativi... a destinazioni funzionali ammissibili, quantità edificatorie complessive, dotazioni di standard, in particolare di parcheggi, accessibilità alla struttura” , con la conseguenza che le pretese azionate da L’A dovevano reputarsi integralmente soddisfatte con la cessazione della materia del contendere.

1.7. Alla pubblica udienza di trattazione del ricorso S ha per contro evidenziato che la variante anzidetta poneva in essere un assetto urbanistico differente rispetto ai precedenti strumenti urbanistici, con la conseguenza che necessitava comunque l’adozione di un nuovo piano di lottizzazione al fine di legittimare – ove del caso – l’insediamento de L’A.

S ha inoltre precisato di aver proposto innanzi allo stesso T.A.R. ricorso sub R.G. 991 del 2002 avverso la predetta deliberazione della Giunta Regionale n. 2225 del 2002, chiedendo quindi al giudice adito verificare l’eventuale sussistenza al riguardo di un rapporto di pregiudizialità tra le due cause.

1.8. Il patrocinio de L’A ha negato, a sua volta, l’esistenza al riguardo di un rapporto di pregiudizialità e, anche in dissenso rispetto alla tesi della difesa della Regione, ha affermato il permanere dell’interesse dell’A medesima dell’interesse alla decisione del proprio ricorso,, derivante dalla mancanza di effetti retroattivi della variante anzidetta.

1.9. Con sentenza n. 870 dd. 23 giugno 2003 l’adito T.A.R., previa affermazione della permanenza de L’A alla decisione del ricorso da essa proposto, lo ha respinto compensando integralmente tra le parti le spese di tale primo grado di giudizio.

2.1. Con l’appello in epigrafe L’A chiede ora la riforma di tale sentenza, riproponendo integralmente le censure già da essa dedotte innanzi al giudice di primo grado.

2.2. Si è costituita nel presente grado di giudizio la Regione Lombardia, concludendo per la reiezione dell’appello.

2.3. Si è parimenti costituita nel presente grado di giudizio S., parimenti concludendo per la reiezione dell’appello.

S, peraltro, ha anche proposto appello incidentale per quanto segnatamente attiene al secondo motivo di appello dedotto da L’A e riproduttivo del secondo motivo di ricorso in primo grado, affermando che, ove dovesse essere accolta la tesi della ricorrente principale circa la tardività della notificazione del provvedimento di annullamento rispetto ai 18 mesi contemplati al riguardo dall’art. 27 della L.1150 del 1942, comunque la notificazione medesima risulterebbe idonea allo scopo anche se il dies a quo venisse a cadere nel mese di ottobre del 1996;
e ciò, senza sottacere che la stessa L’A avrebbe comunque probatamente conosciuto in data 4 febbraio 1998 l’intero testo del provvedimento di annullamento adottato dalla Giunta Regionale e che tale circostanza esimerebbe pertanto ex se l’Amministrazione Regionale dall’adempimento di notificazione di quest’ultimo.

2.4. Si è infine costituito nel presente grado di giudizio il Comune di Braone, concludendo per l’accoglimento dell’appello principale.

3. Alla pubblica udienza del 17 aprile 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.

4. Va preliminarmente precisato che il Collegio condivide la tesi del giudice di primo grado secondo la quale sussiste a tutt’oggi l’interesse de L’A alla decisione della presente causa.

Come infatti ha ben evidenziato il T.A.R., è ius receptum che la cessazione della materia del contendere si verifica quando l’amministrazione elimina ex tunc il provvedimento impugnato in aderenza alle pretese del ricorrente, con la conseguenza che quest’ultimo realizza in via amministrativa l’interesse che voleva ottenere in via giudiziale, rendendosi pertanto inutile la pronuncia del giudice (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, Sez. IV, 30 maggio 2005 n. 2772, nonché la più risalente pronuncia di Cons. Stato, Sez. V, 16 settembre 1994 n. 994, laddove espressamente si precisa – tra l’altro – che nel caso in cui gli effetti dell’atto lesivo vengano meno in dipendenza dell’adozione di un altro provvedimento privo di effetti retroattivi, la cessazione del contendere non può intendersi realizzata).

Nel caso di specie va in effetti evidenziato che la variante allo strumento urbanistico primario comunale, ancorchè approvata mediante deliberazione della Giunta Regionale, non reca alcuna espressa disciplina di rimozione della deliberazione della medesima Giunta Regionale qui impugnata, la quale dunque seguita a dispiegare effetto per il passato;
e, del resto, risulta pure assodato che le modifiche della disciplina urbanistica non hanno effetto retroattivo: e ciò in applicazione del più generale principio dell’irretroattività degli atti amministrativi, il quale a sua volta discende dal fondamentale principio di legalità, deputato a garantire la certezza delle situazioni giuridiche in atto (cfr. sul punto, ad es., Cons. Stato, 26 novembre 2001 n. 5949).

Né, comunque, la disciplina introdotta dalla variante urbanistica è tale da consentire la convalida dell’anzidetto piano di lottizzazione, se non altro in considerazione della circostanza che con la variante medesima vengono introdotte ben più elevate dotazioni di aree a standard .

Va anche soggiunto che il mero sopravvenire di una nuova destinazione urbanistica non può ex se dispiegare un effetto sanante sulle opere realizzate in forza del titolo edilizio annullato, posto che a ciò osta l’art.13 della L. 28 febbraio 1985 n. 47, vigente all’epoca dei fatti di causa e ora riprodotto sul punto dall’art. 36, comma 1, del T.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 nel testo integrato per effetto dell’art. 1 del D.L.vo 27 dicembre 2002 n. 301, laddove segnatamente dispone che il titolo edilizio è rilasciato “in sanatoria allorquando la relativa opera risulta conforme agli strumenti urbanistici generali e di attuazione approvati e non in contrasto con quelli adottati, sia al momento della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della domanda” .

A ragione il giudice di primo grado, pertanto, ha evidenziato che in presenza dei requisiti testè descritti (c.d. “doppia conformità” ) il rilascio del titolo edilizio in sanatoria costituisce atto dovuto, nel mentre ove ciò non fosse l’Amministrazione Comunale è vincolata all’adozione del provvedimento di diniego (cfr. al riguardo, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2009

n. 6784).

Il giudice di primo grado non ha dunque condiviso al riguardo la giurisprudenza minoritaria che reputa sufficiente la sussistenza della conformità edilizia all’atto dell’avvenuto mutamento della disciplina di piano, e la cui ratio ad essa sottesa è da individuarsi nell’esigenza di non imporre la demolizione di un’opera che, in quanto conforme alla disciplina urbanistica attuale, dovrebbe essere successivamente autorizzata su semplice presentazione di istanza di rilascio, in tal modo evitando uno spreco di attività inutili, sia per l’Amministrazione, che per il privato autore dell’abuso: indirizzo, questo, contraddistinto peraltro da una concezione antinomica tra principio di efficienza e principio di legalità e che – per l’appunto – assegna la prevalenza al primo rispetto al secondo (cfr., ad es., Cons.Stato, Sez. V, 21 ottobre 2003 n. 6498 e 13 febbraio 1995 n. 238).

Il giudice di primo grado ha rettamente denotato in tal senso che tale figura pretoria di sanatoria trovava apparentemente fondamento nell’art. 15, comma 12, della L. 28 gennaio 1977 n. 10, il quale peraltro si limitava – a ben vedere - a liberalizzare la realizzazione di alcune varianti di importanza secondaria a progetti edilizi assentiti ma senza disciplinare la complessiva problematica della sanatoria amministrativa degli interventi abusivi, solo susseguentemente affrontata sul punto dall’anzidetto art. 13 della L. 47 del 1985 ma in termini che anche sotto l’immediato profilo letterale divergono da quello dell’anzidetto indirizzo giurisprudenziale rimasto minoritario.

In tale contesto il giudice di primo grado ha dunque esattamente inteso il titolo edilizio in sanatoria quale provvedimento tipico che elimina l’antigiuridicità dell’abuso estinguendo il reato ed il potere repressivo dell’Amministrazione, con la conseguenza che la sua applicazione ed i suoi limiti non possono che essere specificamente disciplinati dalla legge, non essendo con ciò possibile l’esercizio, da parte dell’amministrazione, di un potere di sanatoria che si estenda oltre i limiti imposti dal legislatore: anche perché non sarebbe ammissibile una interpretazione finalizzata alla protezione di interessi privati scaturenti da comportamenti antigiuridici, che permetterebbe, oltretutto, la possibilità di usufruire delle modifiche della disciplina urbanistica idonee a legittimare l’edificazione abusiva, addirittura, fino alla esecuzione della definitiva sanzione della demolizione;
e, se così è, il principio di cui all’art. 97 della Cost., laddove farebbe ritenere illogica la demolizione dell’opera quando la stessa potrebbe essere assentita sulla base della sopravvenuta strumentazione urbanistica primaria,deve comunque intendersi recessivo rispetto al principio di legalità, il quale impone invece la necessaria e stretta osservanza della disciplina dettata dalla legge per la sanatoria delle opere abusive.

Concludendo sul punto, il T.A.R. ha pertanto a ragione ricusato di dichiarare nella specie la cessazione della materia del contendere, in quanto l’operato dell’Amministrazione susseguente alla proposizione della causa non si configura integralmente satisfattivo dell’interesse azionato (così, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 18 ottobre 2011 n. 5595).

5. Sempre a ragione il giudice di primo grado ha nella specie ricusato di sospendere il giudizio a’ sensi dell’art. 295 cod. proc.civ., posto che la sospensione stessa presuppone un nesso di stretta dipendenza e di consequenzialità logica tra due controversie nel senso che il merito dell’una non può essere esaminato prima che venga definita la questione pregiudiziale(cfr. al riguardo, ex plurimis , Cons. Stato, Sez. VI, 10 settembre 2009 n.5456);
e nel caso in esame tale situazione non sembra in effetti sussistere, non ravvisandosi una necessaria presupposizione tra il procedimento di variante e quello di annullamento ex art. 27 della l. 17 agosto 1942 n. 1150.

6.1. Tutto ciò premesso, l’appello in epigrafe va respinto per quanto qui appresso specificato.

6.2. Va innanzitutto evidenziato che nella deliberazione della Giunta Regionale n. 34.426 dd. 30 gennaio 1998 è richiamato in primo luogo il contenuto qui rilevante della strumentazione urbanistica in vigore nel Comune di Braone alla data di approvazione del piano di lottizzazione e di emanazione della concessione edilizia, con la precisazione che a’ sensi del piano di fabbricazione approvato in data 22 giugno 1978 la destinazione urbanistica dell’area in questione era in parte zona omogenea “produttiva-industriale-artigianale D” (cfr. articolo 33 del regolamento edilizio) e per il resto sottoposta a piano di lottizzazione con preesistenza, sulla zona esterna a quest’ultimo, di un fabbricato avente una volumetria di 42.000 mc. circa.

Nella stessa deliberazione si afferma quindi che secondo il nuovo P.R.G. adottato con deliberazione consiliare n. 18 dd. 17 luglio 1993 la parte già ricompresa nella lottizzazione, così come individuata dal piano di fabbricazione, è classificata come zona D2 “industriale e commerciale di espansione” (cfr. art. 28 delle relative norme tecniche di attuazione), nel mentre la restante parte è classificata come zona D1 “industriale e commerciale esistente” (fr. ibidem , art. 27);
e che, peraltro, lo stesso P.R.G. così come approvato con la deliberazione della Giunta Regionale n. 18.660 dd. 27 settembre 1996 ha ricondotto l’area interessata dall’insediamento alla destinazione di zona a suo tempo prevista dal piano di fabbricazione, e ciò – segnatamente – “nell’attesa di specifico provvedimento urbanistico adottato dall’Amministrazione Comunale ai sensi della vigente legislazione” .

Ciò posto, la Giunta Regionale afferma di determinarsi nel senso dell’annullamento del piano di lottizzazione e del titolo edilizio conseguentemente rilasciato, dopo aver disaminato il responso dato dal Sindaco di Braone, le controdeduzioni de L’A e dell’I B, nonché le ulteriori deduzioni di S, esplicitando quindi i diversi profili di illegittimità rilevati, riferiti sia al piano di lottizzazione, sia al titolo edilizio e segnatamente attinenti alla destinazione d’uso, alle quantità complessive, alle altezze, agli accessi, nonché alla dotazione di parcheggi.

In particolare, la Giunta Regionale ha evidenziato quanto segue.

1) Per quanto attiene alla destinazione d’uso, secondo il piano di lottizzazione “la destinazione prevista è di tipo commerciale” (cfr. la relazione tecnica illustrativa del piano medesimo);
peraltro la destinazione d’uso commerciale non risultava a quel tempo contemplata dall’allora vigente programma di fabbricazione con riferimento alla zona omogenea “produttiva-industriale-artigianale (D)” , posto che per tale zona omogenea la voce “commercio” risulta citata unicamente a chiusura dell’elenco delle destinazioni ammesse, ossia “con chiaro significato di accessorietà rispetto alle principali destinazione di carattere industriale-artigianale, come si evince anche dalla prescrizione relativa allo standard connesso, stabilito solo nella quota del 20% e non anche in quella del 80% all’epoca operante per le destinazioni commerciali (D.M. 2 aprile 1968). Tale valutazione di incompatibilità era già stata anticipata al Comune in sede di restituzione, con nota regionale in data 7 agosto 1992 Prot. n. 32.900, della specifica variante al medesimo piano di fabbricazione - al fine di mutare in commerciale la destinazione dell’ambito in questione - dallo stesso adottata, con la motivazione, seppur sussidiaria, che trattavasi di “ ripianificazione del territorio (da zona produttiva a zone commerciali)” (cfr. deliberazione della Giunta Regionale cit.).

2) Per quanto concerne le quantità complessive, la Giunta Regionale afferma che “in sede di concessione edilizia, richiesta rilasciata per l’intero complesso (ricadente parte sul lotto 1 del piano di lottizzazione, parte sul lotto contiguo), per una superficie lorda di pavimento complessiva pari a mq. 17.958, si è verificato un trasferimento di superficie lorda di pavimento dal piano di lottizzazione al lotto contiguo, senza previo adeguamento del piano di lottizzazione stesso in termini di convezionamento della capacità residua offerta dal P.R.G. in salvaguardia. In termini di quantità complessive, dai calcoli effettuati sulla base dei dati della concessione edilizia n. 6 del 1994 risulta comunque concessionata una quantità di superficie lorda di pavimento non giustificabile, sia nel caso di calcoli effettuati sulla base di indici di utilizzazione posti dal piano regolatore adottato, senza tener conto dell’edificato esistente (+ 3.243 mq.) sia nel caso di calcoli effettuati tenendo conto delle superfici preesistenti (+ 3456, 56 mq.)” (cfr. ibidem ).

3) In ordine alle altezze, la Giunta Regionale afferma che “il complesso edilizio assentito con la concessione edilizia raggiunge, per alcune strutture, un’altezza di metri 14,40 e, per altre, di metri 11,60, in contrasto sia con l’articolo 47 del Regolamento Edilizio che prevedeva, per la zona D, un’altezza massima di metri 9, sia con la normativa di piano di lottizzazione che riduceva a soli metri 7,43 l’altezza ammissibile. Al riguardo, la tesi per la quale la cupola piramidale e la copertura della galleria centrale vanno assimilate a lucernari, espressamente esclusi dalla verifica dell’altezza massima, non può essere condivisa per due motivi: perché tali strutture, così come autorizzate e realizzate, non si configurano certo, per dimensioni caratteristiche tecniche, quali volumi tecnici, bensì come elementi architettonici autonomi;
in secondo luogo, perché non soddisfano comunque l’ulteriore requisito, richiesta dalla norma del Regolamento Edilizio, di non visibilità
“dal lato opposto della strada verso cui prospetta il fabbricato” (cfr. ibidem ).

4) Per quanto attiene agli accessi, la Giunta Regionale ha rilevato che “come si evince dalla tavola 3b della concessione edilizia, la strada di servizio appare localizzata su aree che il piano regolatore adottato destinava a standards ; la non conformità con le previsioni dello strumento in itinere riguarda altresì gli accessi, parimenti ricavati in ambiti destinati al rispetto della strada provinciale e a standard urbanistico” (cfr. ibidem ).

5) Per quanto poi da ultimo segnatamente attiene ai parcheggi, la Giunta Regionale ha affermato che per quanto concerne “alla necessaria dotazione ex art. 41 sexies della legge urbanistica” ( rectiu s: art. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n. 1150, come aggiunto dall’art. 18 della L. 6 agosto 1967 n. 765 e successivamente sostituito dall’art. 2 della L. 24 marzo 1989 n. 122 nel testo vigente all’epoca dei fatti di causa) di parcheggi a servizio dell’insediamento, pur aderendo alla tesi, sostenuto dalla società promotrice dell’intervento, dell’avvenuto reperimento di una parte degli stessi all’interno del piano esecutivo, non è accettabile che, per la restante quota, tale parcheggi, che sono di natura privata, vadano a occupare aree destinate a standard dal piano regolatore.

Relativamente alla dotazione di aree a standard, della convenzione stipulata (peraltro difforme dalla bozza provata) si evince che le stesse sono state oggetto di monetizzazione, scelta questa, se non illegittima, palesemente inopportuna e non coerente con le finalità cui presiede la disciplina degli standards urbanistici dettata dall’articolo 22 della L.R. 15 aprile 1975 n. 51, dal momento che il piano regolatore non localizza ambiti a standards commerciali, con conseguente deficit di tali servizi” (cfr. ibidem ) .

La Giunta Regionale ha quindi espressamente “ preso atto del parere formulato, dietro richiesta del servizio componente, dal comitato legislativo nella seduta del 26 gennaio 1998, che evidenzia, tra l’altro, la sussistenza, a livello di giurisprudenza amministrativa, a partire dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 30 settembre 1980 n. 801, di un orientamento per il quale l’esercizio del potere regionale di annullamento ex articolo 27 della L. 1150 del 1942 “è finalizzato allo scopo di ricondurre le amministrazioni comunali al rigoroso rispetto della normativa in materia edilizia, onde l’interesse pubblico all’annullamento regionale è in esso implicito... e non sono richieste valutazioni in ordine al sacrificio del privato, all’affidamento od all’opportunità, essendo i suddetti interesse pubblico di carattere indisponibile” (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 5 giugno 1996 n. 448). Ritenuto di uniformarsi all’orientamento giurisprudenziale testé richiamato, dando atto conseguentemente che, nel caso di specie, essendo stata accertata una situazione di gravi legittimità, determinatasi a più riprese e sotto svariati profili, ricorre presupposti per l’esercizio del predetto potere regionale.

Ritenuto di controdedurre, nei termini seguenti, in merito ad alcune delle considerazioni svolte dal Sindaco di Braone a supporto della sua determinazione, sopra richiamata, di non procedere all’annullamento, in via di autotutela, degli atti de quibus : quanto al “ragionevole concreto affidamento” che si sarebbe formato “in capo al privato circa la futura realizzazione dell’opera” , si rileva come, secondo autorevole giurisprudenza (cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. V, 19 settembre 1992 n. 844), il breve lasso di tempo intercorso tra il rilascio di una concessione edilizia e il suo annullamento non può determinare stratificazioni di diritti e aspettative;
… quanto ai presunti benefici che l’intervento produrrebbe sotto il profilo occupazionale si evidenzia che l’Amministrazione Regionale per due volte ha negato i richiesti nullaosta commerciali pertanto il fabbricato non potrebbe comunque, allo stato attuale, essere adibito alla prevista destinazione commerciale.

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