Consiglio di Stato, sez. I, parere definitivo 2021-03-10, n. 202100359
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Numero 00359/2021 e data 10/03/2021 Spedizione
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Prima
Adunanza di Sezione del 24 febbraio 2021
NUMERO AFFARE 00825/2020
OGGETTO:
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza sospensiva, proposto da West Biofuels International S.R.O., per l’annullamento del decreto 14 novembre 2019 del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 novembre 2019, recante l’istituzione del Sistema nazionale di certificazione della sostenibilità dei biocarburanti e dei bioliquidi;di ogni altro atto e/o provvedimento comunque presupposto ovvero conseguente;
LA SEZIONE
Vista la relazione del 10 giugno 2020 (prot. n. 43340) con la quale il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull'affare in oggetto;
Esaminati gli atti e udito il relatore, consigliere Claudio Tucciarelli;
Premesso:
1. Con il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, la società West Biofuels International s.r.o., con sede in Slovacchia a Bratislava, in persona del suo legale rappresentante, sig. Silvio Giorgini, chiede l’annullamento, previa sospensiva, del decreto 14 novembre 2019 del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 novembre 2019, recante l’ istituzione del Sistema nazionale di certificazione della sostenibilità dei biocarburanti e dei bioliquidi;di ogni altro atto e/o provvedimento comunque presupposto ovvero conseguente e volto a determinare il contenuto del decreto nei confronti degli operatori economici comunitari aderenti a sistemi di certificazione diversi dal Sistema nazionale, con particolare riferimento alla circolare MISE - DG-SAIE del 7 novembre 2017.
2. La ricorrente, società di diritto slovacco che svolge attività di commercio di combustibili, rappresenta che il decreto impugnato prevede all’art. 13 che, ai fini del riconoscimento delle maggiorazioni del contributo energetico dei biocarburanti previste nell'ambito dei regimi di sostegno per l'utilizzo delle fonti rinnovabili nei trasporti, tutti gli operatori economici afferenti alla catena di consegna devono aderire al Sistema nazionale di certificazione di cui all'art. 3. Tale articolo prevede, a sua volta, che il sistema nazionale introdotto operi mediante l’applicazione di una certificazione da parte a) degli organismi di accreditamento, che accreditano gli organismi di certificazione per lo schema di certificazione e verificano il corretto operato degli stessi;b) degli organismi di certificazione;c) degli operatori economici, che sono in possesso di un certificato di conformità dell'azienda e che si sottopongono alle verifiche periodiche da parte di un organismo di certificazione e assicurano la corretta attuazione e il mantenimento della catena di consegna, nel rispetto delle disposizioni del decreto;d) del comitato, che effettua il controllo sul rispetto dei criteri di sostenibilità per i biocarburanti;e) del gestore dei servizi energetici, che effettua il controllo sul rispetto dei criteri di sostenibilità per i bioliquidi.
Il decreto prevede poi alcuni incombenti formali per le dichiarazioni e le certificazioni.
La ricorrente contesta, in sintesi, la legittimità delle disposizioni del decreto che impongono agli operatori economici l’adesione al Sistema nazionale di certificazione per i biocarburanti.
3. Il ricorso è imperniato su due gruppi di motivi.
3.1. Un primo gruppo di motivi riguarda la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 28/2011;la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 55/2011;la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 66/2005;la violazione e falsa applicazione della Direttiva 2008/98/CE;la violazione e falsa applicazione della Direttiva 2009/28/CE;la violazione e falsa applicazione della Direttiva 2009/30/CE;la violazione e falsa applicazione della Decisione di esecuzione della Commissione Europea del 9 agosto 2016, n. 1361;incompetenza;eccesso di potere per travisamento dei presupposti e disparità di trattamento. In particolare, la ricorrente richiama il contenuto degli artt. 7- bis , 7- ter e 7- quater del d.lgs. n. 66/2005, come modificato dal d.lgs. n. 55/2011, con il quale è stata data attuazione alla direttiva 2003/17/CE relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel, con riguardo al rispetto dei criteri di sostenibilità funzionale al riconoscimento delle maggiorazioni del contributo energetico dei biocarburanti previste nell'ambito dei regimi di sostegno per l'utilizzo delle fonti rinnovabili nei trasporti. Dalle disposizioni richiamate, la ricorrente deduce che esse sono lungi dall’imporre l’indiscriminato obbligo di adesione al predetto sistema da parte di tutti gli operatori economici. Infatti, con l’introduzione nell’originario decreto n. 66/2005 degli articoli sopra richiamati, sarebbero state previste le modalità di funzionamento del sistema nazionale. In particolare, la norma primaria (art. 2, comma 6, del d.lgs. n. 55/2011) ha previsto che, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, debbano essere stabilite: a) le modalità di funzionamento del Sistema nazionale di certificazione della sostenibilità dei biocarburanti, ivi comprese le informazioni nonché le procedure di adesione allo stesso Sistema;b) le procedure per la verifica degli obblighi di informazione;c) le disposizioni che gli operatori e i fornitori devono rispettare per l'utilizzo del sistema di equilibrio di massa.
Non esisterebbe dunque alcuna norma di rango primario che imponga a tutti gli operatori economici di aderire obbligatoriamente a un sistema nazionale di certificazione della sostenibilità dei biocarburanti.
Il quadro normativo di riferimento contemplerebbe infatti l’adesione a tale sistema quale alternativa all’adesione da parte della Commissione a un accordo, con una decisione, ai sensi dell'articolo 7- quater , par. 4, della direttiva 98/70/CE, introdotto dall'articolo 1 della direttiva 2009/30/CE. Il citato art. 7- quater , par. 4, stabilisce infatti che, quando la Comunità ha concluso accordi con i paesi terzi contenenti disposizioni sulle materie che rientrano nell'ambito di applicazione dei criteri di sostenibilità corrispondenti a quelle della direttiva, la Commissione può decidere che tali accordi dimostrano che i biocarburanti prodotti a partire da materie prime coltivate in detti paesi rispettano i criteri di sostenibilità. Né alcuna disposizione ha abrogato la Direttiva 2009/30/CE. La ricorrente rammenta di essere certificata ISCC EU ( International Sustainability &Carbon Certification system ).
Ulteriori conferme vengono tratte dalla ricorrente dai contenuti della decisione di esecuzione della Commissione Europea n. 2016/1361 del 9 agosto 2016, concernente tale sistema di certificazione, secondo cui le partite di biocarburanti o di bioliquidi prodotte in conformità alle norme di produzione di biocarburanti e bioliquidi fissate in tale sistema sono conformi ai criteri di sostenibilità. Secondo la Commissione Europea, quando un operatore economico presenta prove o dati ottenuti conformemente a un sistema volontario riconosciuto dalla Commissione, nella misura prevista dalla decisione di riconoscimento, gli Stati membri non possono imporre al fornitore l'obbligo di presentare altre prove di conformità ai criteri di sostenibilità.
Il provvedimento impugnato imporrebbe invece alla ricorrente l’adesione al sistema nazionale italiano nonostante essa già aderisca ad un sistema di certificazione (ISCC EU) riconosciuto dall’Unione Europea ed espressamente contemplato quale elemento sufficiente per comprovare i criteri di sostenibilità dei biocarburanti oggetto dell’attività della ricorrente. La previsione di un sistema di certificazione nazionale che non sia alternativo ad altri sistemi di certificazione contemplati nel diritto dell’Unione ed anche nel diritto nazionale si porrebbe in contrasto con le fonti di natura primaria, in quanto le stesse non contemplano tale obbligo ed anzi confermano il contenuto delle disposizioni comunitarie sul punto.
Aggiunge la ricorrente che sussisterebbe l’incompetenza assoluta dei ministri che hanno adottato il decreto impugnato, in assenza di una disposizione di rango primario attributiva del potere di rendere obbligatoria l’adesione al sistema nazionale di certificazione per tutti gli operatori, anche per quelli che si trovano nella condizione di aderire ad un altro sistema secondo quanto previsto nella Direttiva 2009/30/CE.
Il decreto si porrebbe quindi in contrasto con la normativa nazionale di attuazione delle direttive comunitarie sopra richiamate, nonché in contrasto con le direttive stesse.
L’art. 13 del decreto sarebbe illegittimo anche in considerazione del fatto che impone l’adesione al sistema nazionale di certificazione per accedere al riconoscimento delle maggiorazioni del contributo energetico dei biocarburanti previste nell'ambito dei regimi di sostegno per l'utilizzo delle fonti rinnovabili nei trasporti.
Sono inoltre dedotte dalla ricorrente: la disparità di trattamento, laddove si prevede la possibilità di beneficiare di sistemi incentivanti per gli operatori che non aderiscono al sistema nazionale di certificazione, ma solo limitatamente ai bioliquidi;la illogicità e illegittimità del decreto, che introdurrebbe obblighi di dichiarazione e certificazione che non trovano alcun riscontro né fondamento nel menzionato quadro primario di riferimento sia nazionale che comunitario (cfr. ad es. gli artt. 9, 10 e 14 del decreto). Inoltre, anche a volere ammettere la sussistenza di un potere in capo ai Ministeri circa la possibilità di introdurre strumenti di attestazione della certificazione, tali strumenti – ad avviso della ricorrente - non possono che essere imposti ai soggetti che aderiscono al sistema nazionale di certificazione.
Gli oneri contemplati nel decreto attuativo non possono essere imposti, invece, agli operatori aderenti ad un altro sistema di certificazione che assolvono a quanto previsto dall’art. 7- quater del d.lgs. n. 66/2005 secondo le modalità stabilite dal sistema di certificazione al quale aderiscono. All’operatore economico che aderisce ad un sistema diverso dal sistema nazionale si finisce per imporre una duplicazione di certificazioni, con un aggravio non richiesto dalle norme primarie citate e in contrasto con la Decisione della Commissione Europea e con la richiamata Direttiva 2009/30/CE.
Ne consegue, ad avviso della ricorrente, che, qualora le prescrizioni in termini di sostenibilità siano adempiute, come avviene nel caso di specie, in ragione della certificazione ISCC EU, non possono legittimamente introdursi preclusioni o richieste di adempimenti aggiuntivi per l'importazione in Italia di biocarburanti comunitari o extra comunitari, in quanto ciò si porrebbe in contrasto con il generale principio relativo all’incentivazione all’importazione in ambito comunitario di materie prime, anche di origine di paesi terzi. Quando un operatore economico presenta prove o dati ottenuti conformemente a un sistema volontario riconosciuto dalla Commissione, nella misura prevista dalla decisione di riconoscimento, gli Stati membri non possono imporre al fornitore l'obbligo di presentare altre prove di conformità ai criteri di sostenibilità. L'autocertificazione ex D.P.R. n. 445/2000 dovrebbe essere richiesta esclusivamente all'operatore economico che cede il biocarburante al "fornitore", intendendosi per "fornitore" il soggetto obbligato al pagamento delle accise, e non a tutta la filiera.
Soggiunge la ricorrente che l’illegittimità rileva anche per quanto previsto dall’art. 18 del decreto impugnato, relativamente alle previsioni per gli olii vegetali esausti. Tale disposizione impone agli operatori economici esteri ben tre diverse autocertificazioni, ai sensi del D.P.R. n. 445/2000, di cui una da emettersi da parte del proprio organismo di certificazione, rendendo pertanto impossibile, nella pratica, la commercializzazione in Italia del menzionato prodotto. La ricorrente richiama la Sentenza della Corte di Giustizia dell’U.E. del 24 ottobre 2019 – 11 novembre 2019 – C-212/18 per sostenere che, nel momento in cui gli olii vegetali esausti sono contemplati quale materia prima per la produzione di biocarburanti, gli stessi devono ritenersi soggetti alle medesime disposizioni previste nelle richiamate direttive comunitarie, con la conseguenza che ogni certificazione è attestata dal sistema cui aderisce l’operatore economico.
Varrebbe dunque sul punto quanto esposto in ordine alla necessaria sufficienza della certificazione del sistema cui aderisce la ricorrente e ciò anche in ragione dell’espressa previsione di cui all’art. 39 del d.lgs. n. 28/2011, relativo alla verifica del rispetto dei criteri di sostenibilità per i biocarburanti e per i bioliquidi.
3.2. Un secondo gruppo di motivi investe la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 e seguenti del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (T.F.U.E.). In particolare, il decreto impugnato si porrebbe in contrasto con il principio di concorrenza previsto dal T.F.U.E., rispetto a cui sono incompatibili con il mercato interno tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza all'interno del mercato interno.
Le previsioni del decreto penalizzerebbero le importazioni in Italia di biocarburanti laddove impongono illegittimamente agli operatori economici, importatori di biocarburanti e bioliquidi con accesso alle maggiorazioni, l'adesione obbligatoria al Sistema nazionale. Ugualmente deve ritenersi in contrasto con la disciplina europea l’estensione della dichiarazione di sostenibilità, sotto forma di autocertificazione ai sensi del D.P.R. n. 445/200, a tutta la catena di consegna.
4. La ricorrente adduce poi argomenti a sostegno della sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora , per l’accoglimento della domanda cautelare.
5. Presenta inoltre istanza di rimessione della questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’U.E. ex art. 267 T.F.U.E., qualora si ritenga che il decreto impugnato sia stato adottato nel rispetto della normativa nazionale di riferimento.
6. Rappresenta infine la tempestività della presentazione del ricorso, ex art. 41, comma 5, c.p.c. ( rectius : c.p.a.), poiché proposto da soggetto residente al di fuori dell’Italia.
L'articolo 41, comma 5, del codice del processo amministrativo stabilisce infatti che il termine per la notificazione del ricorso è aumentato di 30 giorni se le parti risiedono in un altro Stato d'Europa o di 90 giorni si risiedono fuori d’ Europa e la Sezione I del Consiglio di Stato ha ammesso la riferibilità di tale disposizione anche al procedimento relativo al ricorso straordinario.
7. Infine, la ricorrente evidenzia l’inopportunità di designare uno dei Ministeri che hanno adottato il decreto impugnato per l’istruttoria sul ricorso straordinario, in ragione del conflitto di interessi che deriva dalla paternità di tale provvedimento.
8. La relazione del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare del 10 giugno 2020 (prot. n. 43340), trasmessa al Consiglio di Stato il 7 luglio 2020, eccepisce preliminarmente l’irricevibilità del ricorso in quanto notificato il 22 aprile 2020, oltre il centoventesimo giorno dalla legale conoscenza del provvedimento derivante dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale avvenuta il 28 novembre 2019, ritenendo che neanche la proroga dei termini per la presentazione del ricorso straordinario, stabilita per coloro che risiedono fuori dal territorio nazionale, consentirebbe di riconoscere la tempestività della proposizione del ricorso che risulterebbe pertanto tardivo e dunque irricevibile. Il Ministero rappresenta poi le ragioni a sostegno della reiezione del ricorso e dell’istanza cautelare e l’insussistenza dei presupposti per il rinvio pregiudiziale. In particolare, il Ministero evidenzia che l'adesione al sistema nazionale di certificazione costituisce presupposto necessario soltanto per l'accesso al regime di incentivazione, mentre, al contrario, il rispetto dei requisiti di sostenibilità può essere dimostrato anche mediante l'adesione ad uno dei sistemi volontari. Ciò si spiegherebbe perché gli accordi e i sistemi oggetto di una decisione per la verifica dei criteri di sostenibilità integrano un sistema comune mentre le incentivazioni esprimerebbero politiche di carattere nazionale.
9. La Sezione ha espresso un primo parere interlocutorio, n. 1500/2020 reso nell’adunanza del 2 settembre 2020.
9.1. Con il parere interlocutorio, la Sezione ha in primo luogo confermato la tempestività nella presentazione del ricorso.
La Sezione ha infatti rilevato che il termine, ex art. 9, primo comma, del D.P.R. n. 119/1971, di 120 giorni per la presentazione del ricorso dal 28 novembre 2019 (data di pubblicazione nella G.U. del decreto impugnato) sarebbe scaduto il 26 marzo 2020. Dal momento che la ricorrente, come confermato dalla relazione ministeriale, è società avente sede in Slovacchia, trova applicazione al caso di specie quanto già affermato dalla Sezione con il parere n. 674/2019 del 5 marzo 2019 in ordine alla riferibilità anche al ricorso straordinario della disposizione di cui all’art. 41, comma 5, c.p.a., con conseguente aumento di 30 giorni del termine per la presentazione del ricorso medesimo da parte di soggetto – come la ricorrente - residente in altro Stato europeo. Ne consegue la tempestività della presentazione del ricorso straordinario. La Sezione ha in ogni caso richiamato, ai fini del computo dei termini per la presentazione del ricorso straordinario – sulla base di quanto previsto, in relazione all’emergenza epidemiologica da COVID-19, dall’art. 103, comma 1, del decreto-legge n. 18/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 27/2020, e dall’art. 37, comma 1, del decreto-legge n. 23/2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 40/2020 - l’obbligo sopravvenuto di non considerare, ai fini del computo dei termini ordinatori o perentori, propedeutici, endoprocedimentali, finali ed esecutivi, relativi allo svolgimento di procedimenti amministrativi su istanza di parte o d'ufficio, pendenti alla data del 23 febbraio 2020 o iniziati successivamente a tale data, il periodo compreso tra la medesima data e quella del 15 maggio 2020. Tali disposizioni sono applicabili anche al procedimento per il ricorso straordinario (v. Sez. I, parere n. 1359/2020 per cui la formulazione estremamente ampia e onnicomprensiva delle richiamate disposizioni fa sì che tale obbligo, collegato all’emergenza epidemiologica da