Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-08-23, n. 201805037

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-08-23, n. 201805037
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201805037
Data del deposito : 23 agosto 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/08/2018

N. 05037/2018REG.PROV.COLL.

N. 07791/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7791 del 2017, proposto da
M J, rappresentato e difeso dagli avvocati S G, R O, con domicilio eletto presso lo studio S G in Roma, Circonvallazione Trionfale, n. 123;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. Lombardia, Sezione staccata di Brescia, n. 1237/2017, resa tra le parti, concernente il provvedimento di cessazione delle misure di accoglienza;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 luglio 2018 il Cons. Stefania Santoleri e uditi per le parti l’Avv. Raffaella Chiumiento su delega dichiarata di R O e l'Avvocato dello Stato Alberto Giua;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. - Con ricorso proposto dinanzi al TAR per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, il ricorrente, cittadino del Gambia, ha impugnato il decreto del Prefetto di Bergamo del 1° giugno 2017, notificato il 1° luglio 2017, con il quale è stata disposta la cessazione ( rectius di revoca) delle misure di accoglienza disposta in suo favore, in quanto richiedente asilo.

Nel proprio decreto il Prefetto ha rilevato che il ricorrente aveva presentato reclamo avverso il rigetto della sua domanda di protezione internazionale, che tale reclamo era stato respinto con provvedimento esecutivo del Tribunale ordinario e che, dunque, non sussistevano i presupposti per il mantenimento delle misure di accoglienza.

Nel proprio ricorso il ricorrente aveva rappresentato di aver proposto appello avverso la decisione del Tribunale, rilevando che – secondo il costante orientamento della giurisprudenza – l’efficacia sospensiva conseguente alla proposizione del ricorso di primo grado si estenderebbe anche al successivo grado di giudizio.

2. - Con la sentenza impugnata il TAR ha respinto il ricorso rilevando che “a fronte della decisione del Tribunale Ordinario di Brescia del 22.5.2017, il provvedimento di cessazione delle misure di accoglienza….è stato assunto in data 1.6.2017, quindi prima che il ricorrente presentasse ricorso in appello avverso la suddetta decisione del Tribunale (atto depositato il 23.6.2017).

La Prefettura, pertanto, non era a conoscenza dell’avvenuta presentazione dell’appello….per cui non avrebbe potuto tenere conto del ricordato orientamento espresso dalla Corte di Appello e fatto proprio anche da questo Tribunale”.

Ha quindi concluso il primo giudice che l’Amministrazione avrebbe potuto rivalutare la situazione a seguito della comunicazione dell’interposto appello da parte dell’interessato.

Nella stessa sentenza il TAR ha anche negato l’ammissione al gratuito patrocinio.

3. - Avverso tale decisione il ricorrente ha proposto appello chiedendone la riforma.

L’Amministrazione non si è costituita in giudizio chiedendo il rigetto dell’impugnativa.

4. - Con ordinanza n. 5369/2017 la domanda cautelare è stata accolta.

5. - All’udienza pubblica del 26 luglio 2018 l’appello è stato trattenuto in decisione.

6. - L’appello è fondato.

7. - Il d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142, in attuazione delle direttive 2013/33/UE e 2013/32/UE, reca, tra l’altro, la disciplina in tema di accoglienza dei cittadini di Paesi extracomunitari e degli apolidi richiedenti protezione internazionale in Italia.

L’operatività di siffatte misure è strettamente connessa alla pendenza del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale all’interessato e, nei casi di contestazione, al processo promosso dall’interessato avverso il diniego di riconoscimento, che si svolge innanzi al Giudice Ordinario.

Quanto a tale ultimo profilo, l’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 142/2015, nella versione applicabile ratione temporis (prima cioè dell’entrata in vigore delle modifiche apportate dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 aprile 2017, n. 46) prevedeva che “Le misure di accoglienza sono assicurate per la durata del procedimento di esame della domanda da parte della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni, e, in caso di rigetto, fino alla scadenza del termine per l'impugnazione della decisione. Salvo quanto previsto dall'articolo 6, comma 7, in caso di ricorso giurisdizionale proposto ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni, il ricorrente, privo di mezzi sufficienti ai sensi del comma 1, usufruisce delle misure di accoglienza di cui al presente decreto per il tempo in cui è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale ai sensi dell'articolo 19, commi 4 e 5, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. Nei casi di cui all'articolo 19, comma 5, del decreto legislativo 1°settembre 2011, n. 150, fino alla decisione sull'istanza di sospensione, il ricorrente rimane nella struttura o nel centro in cui si trova”.

Da parte sua, l’articolo 19 suddetto prevedeva che:

“4. La proposizione del ricorso sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che nelle ipotesi in cui il ricorso viene proposto:

a) da parte di un soggetto nei cui confronti è stato adottato un provvedimento di trattenimento in un centro di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;

b) avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento della protezione internazionale;

c) avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza ai sensi dell'articolo 32, comma 1, lettera b-bis), del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni;

d) avverso il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti di cui all'articolo 28-bis, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni.

5. Nei casi previsti dal comma 4, lettere a), b), c) e d), l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall'articolo 5. L'ordinanza di cui all'articolo 5, comma 1, è adottata entro 5 giorni dalla presentazione dell'istanza di sospensione. Nei casi di cui alle lettere b), c) e d), del comma 4, quando l'istanza di sospensione è accolta, al ricorrente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo”.

Ad una piana lettura delle richiamate disposizioni emerge, dunque, che, al di fuori dei casi in cui il ricorrente si trovi nelle situazioni descritte dalle lettere da a) a d) (per le quali la sospensione presuppone un provvedimento giudiziario), la proposizione del gravame avverso la decisione negativa sulla domanda di riconoscimento della protezione internazionale, senza distinzione tra primo e secondo grado, determina, ope legis, la sospensione del diniego impugnato.

E‘ pur vero che, nel corpo normativo come sopra ricostruito, non risulta espressamente disciplinato il caso della pendenza di un giudizio di impugnazione avverso la decisione di prime cure, ciò nondimeno la declinazione applicativa delle richiamate disposizioni fatta propria dalla giurisprudenza di settore porta a considerare come l’effetto di quiescenza debba ritenersi esteso anche ai successivi gradi di giudizio.

Ha, invero, evidenziato, di recente la Suprema Corte, che, in materia di immigrazione, la proposizione del ricorso del richiedente asilo avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale sospende l'efficacia esecutiva di tale provvedimento;
ove, come nella specie, la sospensione del provvedimento impugnato, di rigetto della richiesta di asilo, non sia disposta con provvedimento giudiziale, ma sia direttamente prevista dalla legge (art. 19,comma 4, d.lgs. 150/2011, come modificato dall'art. 27, comma 1, lett.c) del d.lgs. 142/2015), che non stabilisce quando cessi, deve concludersi nel senso di ritenerne la cessazione alla fine dell'intero giudizio, e quindi col passaggio in giudicato (cfr. Cassazione civile, sez. I, 21/05/2018, n. 12476).

E del resto ha, altresì, evidenziato la Corte nella distinta pronuncia n. 18737 del 2017 "se la sospensione non si protraesse anche in grado d'appello e di cassazione, non avrebbe molto senso la previsione di termini entro cui definire il giudizio stesso sia in appello che in cassazione".

8. - In applicazione dei richiamati postulati – riferibili alla disciplina operante prima dell’entrata in vigore delle modifiche apportate dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 aprile 2017, n. 46 - le doglianze proposte nell’atto di appello devono ritenersi fondate vieppiù in considerazione del fatto che, alla data di notifica del provvedimento di revoca, intervenuta il 1° luglio 2017, risultava già proposta l’impugnazione innanzi alla competente Corte d’Appello del provvedimento negativo emesso in prime cure.

L’appello avverso il capo di sentenza che ha rigettato il ricorso avverso il decreto di revoca delle misure di accoglienza va, dunque, accolto.

9. - Alle medesime conclusioni deve pervenirsi quanto all’impugnativa spiegata avverso il capo della decisione appellata che ha statuito, con esito negativo, sull’istanza di ammissione al patrocinio a favore dello Stato in relazione al procedimento di primo grado.

Sul punto, occorre, anzitutto, osservare, sotto il profilo procedimentale, che l’istanza de qua, per effetto delle regole speciali per il processo amministrativo, introdotte dall’art. 1, comma 1308, l. 27.12.2006 n. 296 e ora trasfuse nell’art. 14 delle norme di attuazione al codice del processo amministrativo, va presentata ad apposite Commissioni che adottano provvedimenti con valenza anticipata e provvisoria, spettando la decisione definitiva al collegio in sede di decisione del ricorso (in tal senso cfr. anche art. 126, comma 3, del citato d.p.r. 115/2002).

E’ dunque in capo al giudice che procede che si radica, in via definitiva, la competenza a deliberare sulle istanze de quibus : pertanto, nei casi, come quello di specie, in cui il procedimento giunge alla fase della decisione prima che l’apposita Commissione abbia avuto modo di pronunciarsi, la competenza non può che spettare al giudice.

Quanto al merito, mette conto evidenziare che l’articolo 79 del d.p.r. 115/2002 espressamente prevede che, per i redditi prodotti all'estero, il cittadino di Stati non appartenenti all'Unione europea correda l'istanza con una certificazione dell'autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato.

Vale inoltre soggiungere che, a differenza di quanto prescritto per la dimostrazione della sussistenza delle condizioni di reddito, rispetto alle quali la disposizione in argomento reputa sufficiente l’allegazione di una dichiarazione sostitutiva di certificazione (cfr. art. 79 comma 1 lett. c), nel caso di redditi prodotti all’estero il legislatore esige, in via ordinaria, la produzione della detta certificazione consolare (art. 79 comma 2).

Tale documentazione, a mente dell’articolo 94 del medesimo testo normativo, può essere sostituita da un’autocertificazione solo in caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta.

Ne discende che, in via di principio, siffatto certificato non è surrogabile con nessun atto di parte, con l’unica mitigazione ammessa dall’art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 115/2002 che ne consente la sostituzione, a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione nel caso di impossibilità a produrre la documentazione in argomento.

Nello specifico caso qui in rilievo occorre però tener conto dello speciale procedimento in cui si innesta l’istanza di patrocinio gratuito e, tal riguardo, non può dubitarsi dell’applicabilità del disposto di cui all’art. 16, comma 2, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 (Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato) il quale dispone che nel caso di impugnazione delle decisioni sullo status di rifugiato in sede giurisdizionale, il cittadino straniero è assistito da un avvocato ed è ammesso al gratuito patrocinio ove ricorrano le condizioni previste dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 e che, in ogni caso per l'attestazione dei redditi prodotti all'estero si applica l'articolo 94 che, come visto, consente la sostituzione con una dichiarazione sostitutiva di certificazione.

Nel caso qui in rilievo il soggetto istante ha autocertificato – anche se con formula generica e riepilogativa - di non aver prodotto reddito e non avere la titolarità di immobili di talchè il giudice di prime cure, considerata nel complesso la documentazione prodotta, avrebbe, al più, potuto chiedere chiarimenti ovvero specificazioni delle dichiarazioni rese quanto alle condizioni di reddito nello Stato di provenienza, dovendo altrimenti reputarsi sufficiente quanto già dichiarato.

Deve, dunque, ritenersi sufficiente la dichiarazione sostitutiva all’uopo prodotta circa l’inesistenza di tali crediti.

Del pari, nemmeno può ritenersi sussistente l’ulteriore ragione ostativa su cui poggia l’avversata decisione di diniego e che impinge nella rilevata infondatezza del ricorso laddove, alla stregua della disciplina di settore, ciò che rileva è che le ragioni di doglianza confluite nella domanda “risultino non manifestamente infondate” (cfr. articolo 74 del d.p.r. 115/2002), evenienza questa non affermata nella decisione di prime cure, e comunque contrastante palesemente con l’esito del giudizio di appello.

10. - In conclusione, per i suesposti motivi, l’appello va accolto anche con riferimento al successivo capo di sentenza relativo all’ammissione al gratuito patrocinio, per l’effetto, va disposta l’ammissione dell’odierno appellante al patrocinio a spese dello Stato, per entrambi i gradi di giudizio, dovendosi qui confermare, quanto al secondo grado di giudizio, il decreto n. 37/2017 già emesso dall’apposita Commissione.

11. - Quanto alle spese di giudizio il Collegio, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie in commento, ritiene che sussistano giusti motivi per disporne la compensazione.

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