Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-06-07, n. 201702752

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2017-06-07, n. 201702752
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201702752
Data del deposito : 7 giugno 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 07/06/2017

N. 02752/2017REG.PROV.COLL.

N. 07643/2016 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7643 del 2016, proposto dal Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliato;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato E M, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Tacito N. 50;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il LAZIO –Sede di ROMA- SEZIONE I TER n. 08359/2016, resa tra le parti, concernente sanzione della destituzione.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 maggio 2017 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Noviello, e l’avvocato E. Mazzola;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n.8359/2016 il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio –Sede di Roma - ha accolto il ricorso, corredato da motivi aggiunti, proposto dalla odierna parte appellata -OMISSIS-teso ad ottenere l’annullamento (con il ricorso introduttivo) del decreto del Ministero dell’Interno n. 333-CI/Sez.2^/11879 F.S. del 6.6.2014, notificato il 19.6.2014, con il quale l’Amministrazione, a seguito della sentenza T.a.r. per il Lazio sez. I ter n. 4739/14, di annullamento della sanzione della destituzione inflittagli, aveva disposto l’annullamento della destituzione medesima e stabilito la rinnovazione degli atti annullati del procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 119 d.P.R. n. 3/57 e (con il ricorso per motivi aggiunti) del decreto del Ministero dell’Interno - n. 333-CI/Sez.2^/11879 F.S. del 12.3.2015, notificato il 24.3.2015, con il quale gli era stata inflitta la sanzione della destituzione dal servizio, a decorrere dal 6.2.2002, nonché di tutti gli atti del procedimento disciplinare, ivi comprese la contestazione degli addebiti e la deliberazione del Consiglio Provinciale di Disciplina, in rinnovazione del procedimento.

1.1. L’odierno appellante aveva prospettato numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere sostenendo che l’azione amministrativa era viziata sotto il profilo sostanziale, e che, comunque, non erano stati rispettati i termini infraprocedimentali di riedizione del potere disciplinare.

1.2. Il Ministero dell’Interno si è costituito chiedendo la reiezione del ricorso.

2. Il T.a.r. ha innanzitutto ricostruito in fatto la vicenda, evidenziando che:

a) l’appellato, già dipendente del Ministero dell’Interno – Dipartimento di Pubblica Sicurezza, con la qualifica di ispettore della Polizia di Stato, era stato condannato penalmente per reati contemplati nella legge n. 97/2001 e la sentenza della Corte di Cassazione che aveva definitivamente chiuso la vicenda penale era stata resa il 22.4.2009;

b) egli era stato quindi dal decreto di destituzione dal servizio 333-CI/Sez.2^/14709 del 10.12.2009, allo stesso notificato il 15.12.2009, che era stato impugnato vittoriosamente innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio –Sede di Roma - Tribunale col ricorso n. 1835/2010;

c) con la sentenza n. 4739, depositata il 7.5.2014, infatti, detto decreto di destituzione era stato annullato per violazione dell’art. 20 del d.P.R. n. 737/1981.

2.1. Il T.a.r. ha poi rilevato che:

a) il decreto (impugnato con il ricorso introduttivo) con il quale era stato disposto l’annullamento della destituzione medesima del 10.12.2009 e stabilito la rinnovazione degli atti annullati del procedimento disciplinare era stato reso ai sensi dell’art. 119 del d.P.R. n. 3/1957;
nella predetta sentenza n. 4739/2014 non v’era alcuna indicazione in ordine al rinnovo da parte dell’Amministrazione del procedimento disciplinare e correttamente la ripresa del procedimento era avvenuta dal primo atto illegittimo del procedimento precedente (dalla riunione del Consiglio di Disciplina del 9.11.20099);

b) purtuttavia, se l’azione amministrativa spiegata era quindi legittima nell’ an (contrariamente a quanto principaliter dedotto dall’originario ricorrente) essa era illegittima nel quomodo, in quanto erano stati indebitamente superati i termini infraprocedimentali perentori di avvio del procedimento disciplinare “rinnovato” (trenta giorni, ex art. 119 del d.P.R. n. 3/1957) , atteso che:

I) ai sensi della citata disposizione il nuovo procedimento doveva essere iniziato a partire dal primo degli atti annullati entro trenta giorni dalla data in cui sia pervenuta al Ministero la comunicazione della decisione giurisdizionale;

II) l’Amministrazione aveva avuto conoscenza della sentenza demolitoria del T.a.r. n. 4739/2014 il 13.5.2014 o, al più tardi, il 17.5.2014;

III) l’atto iniziale era stato emanato il 6.6.2014, ma era stato notificato solo il 19.6.2014, per cui, trattandosi di atto ricettizio, doveva farsi riferimento a tale ultima data;

IV) l’avvio del procedimento era quindi tardivo, in quanto violava il termine perentorio di trenta giorni, previsto dall’ art. 119 del d.P.R. n. 3/1957.

2.2. Il T.a.r. ha poi irrobustito la motivazione demolitoria, esprimendo il convincimento per cui anche il termine complessivo di durata massima del procedimento disciplinare (pari a 270 giorni) non era stato rispettato: ciò perché, fermo restando che non dovevano rientrare nel computo i giorni impiegati nel primo procedimento disciplinare, in ogni caso detto termine di 270 giorni era stato superato, in quanto il provvedimento di destituzione era stato adottato solo il 12.3.2015.

3. L’amministrazione originaria resistente rimasta soccombente, ha impugnato con l’odierno ricorso in appello la suindicata decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico e, dopo avere rivisitato le principali tappe del contenzioso infraprocedimentale e giurisdizionale di primo grado, ha dedotto che:

a) era errato attribuire natura ricettizia all’atto di avvio del procedimento di rinnovazione del giudizio disciplinare: la specialità del complesso di disposizioni su cui si fondava il c.d. “processo disciplinare” lo sottraeva alla disciplina generale di cui all'art. 21 bis, L. n. 241/1990;

b) ne conseguiva che –quanto al rispetto dei termini di 30 giorni per l’avvio del procedimento disciplinare- si doveva fare riferimento alla data di emissione del decreto e, quindi, al 6.6.2014 (a nulla rilevando la data di notifica dello stesso- il 19.6.2014): ne conseguiva che il termine non era stato superato in quanto l’Amministrazione aveva avuto conoscenza della sentenza demolitoria del T.a.r. n. 4739/2014 in data 13.5.2014 ovvero in data 17.5.2014;

c) anche il secondo caposaldo demolitorio era errato, in quanto:

I) posto che si trattava di una rinnovazione del procedimento disciplinare, non poteva applicarsi il termine di 270 giorni previsto dall’art. 9 della legge n. 19 del 1990;

II) detta fattispecie trovava applicazione soltanto laddove il procedimento disciplinare seguisse ad una sentenza irrevocabile di condanna;

III) nel caso di specie, trattandosi di una rinnovazione, doveva trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 120 del d.P.R. n. 3 del 1957;

IV) in ogni caso, se anche si fosse voluto ritenere applicabile il termine di 270 giorni previsto dall’art. 9 della legge n. 19 del 1990, si doveva considerare che il procedimento disciplinare era rimasto sospeso per due mesi (dal 27 agosto al 27 ottobre 2014) a cagione della avvenuta presentazione da parte dell’odierno appellato di una istanza di ricusazione nei confronti dell’ Organo disciplinare: sottraendo tali 62 giorni dal monte complessivo, si doveva concludere che il termine di 270 giorni non era stato superato, in quanto il procedimento aveva preso avvio il 6.6.2014 e si era concluso il 12.3.2015.

4. In data 22.10. 2016 parte appellata si è costituita depositando una articolata memoria nell’ambito della quale, dopo avere ripercorso l’andamento, anche infraprocedimentale, della vicenda e ricostruito le principali tappe del processo penale instaurato a carico dell’appellato (pagg. 1-8), ha chiesto la reiezione dell’appello evidenziando che:

a) l’atto che si sarebbe dovuto rinnovare riposava nella prima riunione del Consiglio di disciplina (questo atto, infatti, era quello annullato);

b) il “primo” procedimento disciplinare aveva avuto durata pari a 228 giorni: all’amministrazione appellante ne restavano soltanto 42 per concludere il procedimento.

Nella seconda parte della memoria (pagg. 24 e segg.) l’appellato ha riproposto i motivi del ricorso di primo grado assorbiti dal T.a.r.

6. All’adunanza camerale del 3 novembre 2016, fissata per la delibazione della domanda cautelare di sospensione della provvisoria esecutività della suindicata decisione, la Sezione, con la ordinanza n. 4954/2016, ha accolto il petitum cautelare alla stregua della considerazione per cui:” rilevato che, seppure nella sommarietà della delibazione cautelare, l’appello non appare sfornito di fumus, e prospetta delicate questioni da vagliare sollecitamente nella competente sede di merito;
considerato altresì che, quanto al periculum , nel bilanciamento degli interessi le esigenze dell’Amministrazione a non immettere in servizio in via interinale un soggetto condannato penalmente sono da considerarsi senz’altro prevalenti;

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