Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-07-01, n. 202004190

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-07-01, n. 202004190
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202004190
Data del deposito : 1 luglio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 01/07/2020

N. 04190/2020REG.PROV.COLL.

N. 04828/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4828 del 2012, proposto da
Roma Capitale, in persona del Sindaco p.t., rappresentata e difesa dall’avv. D R, elettivamente domiciliata presso la sede dell’Avvocatura capitolina, in Roma, alla Via del Tempio di Giove, n. 21

contro

A.C.E.A. A.T.O. 2 S.p.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. G C S, presso il quale è elettivamente domiciliata in Roma, alla Via di Porta Pinciana, n. 6;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 2239 del 6 marzo 2012, resa tra le parti, con la quale è stato accolto il ricorso proposto da A.C.E.A. A.T.O. 2 S.p.A. per l'annullamento della determinazione dirigenziale n. 1341 del 17 giugno 2005, con la quale il Comune di Roma ha richiesto l’applicazione delle penali civilistiche disciplinate dall'art. 26 del Regolamento per scavi stradali e per la posa di canalizzazioni nel sottosuolo, approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 56 del 2002.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di A.C.E.A. A.T.O. 2 S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 giugno 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 (convertito con legge 24 aprile 2020, n. 27), il Cons. Roberto Politi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Premette l’appellante Amministrazione comunale che A.C.E.A. A.T.O. 2, società controllata del gruppo A.C.E.A. S.p.A., gestisce il servizio pubblico idrico integrato nel territorio di Roma, in virtù di contratto di affidamento, approvato con deliberazione di Giunta Comunale del 22 dicembre 1998 n. 4843.

Soggiunge che, ai sensi dell’art. 22 del Codice della Strada, di cui al D.Lgs. 285/1992, è obbligatorio il rilascio di autorizzazione per la realizzazione degli scavi, nonché di concessione per l’occupazione del suolo pubblico.

Quanto alla presente vicenda, trova applicazione il Regolamento Scavi approvato con deliberazione consiliare n. 56 del 2002, il cui art. 4 stabilisce che chiunque intenda posare canalizzazioni nel sottosuolo del Comune di Roma deve, a norma del Regolamento Comunale Edilizio e del Regolamento di Polizia Urbana, ottenere l'autorizzazione della U.O.T. del Municipio competente per territorio;
insieme all'autorizzazione di scavo o di apertura del chiusino, dovendo essere rilasciata la relativa concessione di occupazione temporanea di suolo pubblico.

Soggiunge Roma Capitale che l’art. 26 del citato testo regolamentare dispone l’applicazione di penali contrattuali, ove gli operatori non adempiano a specifici obblighi assunti all'atto della concessione (e cioè in tutti i casi in cui l'area non venga riconsegnata, ovvero non venga riconsegnata nei termini prescritti);
mentre l’art. 7 prevede, oltre al pagamento di determinati diritti, la corresponsione del canone COSAP, la cui disciplina normativa è contenuta nell’art. 27 del Codice della Strada, commi 7 e 8, nonché nell’art. 63 del D.Lgs. 446 del 1997 e nel relativo Regolamento comunale, adottato con deliberazione consiliare 339 del 1998 e successive modifiche.

Con riferimento al caso di specie, l'Amministrazione comunale, previo accertamento della mancata riconsegna nei termini prescritti dell'area interessata, in virtù della disciplina inerente all'esecuzione degli scavi stradali, ha trasmesso alla società A.C.E.A. A.T.O. 2 S.p.A. la determinazione dirigenziale n. 1341 del 17 giugno 2005, recante applicazione delle penali civilistiche per un importo complessivo pari ad € 5.000,00.

2. Con ricorso N.R.G. 9227 del 2005, proposto innanzi al T.A.R. del Lazio, A.C.E.A. A.T.O. 2 ha chiesto l’annullamento del suindicato provvedimento, in quanto adottato in violazione della riserva di legge in tema di sanzioni amministrative;
ulteriormente deducendo che, in virtù del contratto di affidamento del servizio di distribuzione dell'acqua potabile stipulato tra il Comune di Roma ed A.C.E.A. S.p.A., nessuna prestazione patrimoniale sarebbe stata dovuta in quanto l'affidamento de quo comporterebbe l'utilizzo gratuito del suolo.

3. Costituitasi l’Amministrazione comunale capitolina, il Tribunale ha accolto il ricorso, nei limiti del motivo dedotto in via subordinata;
ritenendo che il Regolamento Scavi vada applicato esclusivamente nei confronti dei “soggetti terzi” che chiedono l'autorizzazione ad effettuare scavi, per la realizzazione di opere private, nel suolo comunale, ma non anche dei concessionari di pubblici servizi, i quali di regola si connotano come ramificazioni (o articolazioni) della stessa Amministrazione (con conseguente uso gratuito del suolo pubblico ai fini dell’espletamento del servizio in questione da parte di A.C.E.A. S.p.A.).

4. Avverso tale pronuncia, Roma Capitale ha interposto appello, notificato l’11 giugno 2012 e depositato il successivo 27 giugno, lamentandone l’erroneità sotto i seguenti profili:

4.1) Violazione dell'art. 22, comma 3, lett. e) della legge 8 giugno 1990, n. 142

A.C.E.A. S.p.A., ancorché ente concessionario di pubblico servizio, è una società di capitali a partecipazione mista: conseguentemente, confutandosi la tesi del giudice di prime cure, secondo la quale essa sarebbe mera articolazione della P.A.

4.2) Violazione dell'art. 25, comma 1, dell'art. 27, comma 7 e comma 8 del Codice della Strada. Violazione degli artt. 65, 66 e 67 del Regolamento di attuazione. Violazione dell'art. 26 ciel Regolamento Scavi Stradali di cui alla delibera di C.C. n. 56 del 2002. Violazione dell'art. 4 della deliberazione di Giunta Comunale n. 4834 del 22 dicembre 1998

Nel ribadire come con il provvedimento impugnato in prime cure, accertato l'inadempimento dell'obbligazione di riconsegna dell'area nei termini prescritti, l’Amministrazione comunale abbia chiesto il pagamento delle penali contrattuali pattuite nella misura pari ad € 5.000,00, osserva Roma Capitale che l’art. 4, comma 2 del contratto di servizio (approvato con deliberazione di Giunta Comunale n. 4834 in data 22 dicembre 1998 per l'affidamento della distribuzione dell'acqua potabile), prevede che, “nel rispetto del Regolamento Scavi del Comune di Roma … l’affidamento comporta l'uso gratuito del soprassuolo, del suolo e del sottosuolo di proprietà del Comune, incluse le aree pubbliche destinate al traffico di superficie di proprietà del Comune occorrenti per tutte le attività oggetto dell'affidamento del servizio di cui al precedente art.

2. Gli interventi di ACEA nell'ambito del servizio idrico potabile sono, pertanto, assimilati a tutti gli effetti a quelli effettuati dal Comune in economia o tramite appalto”.

La clausola di salvaguardia contenuta all'inizio del riportato articolo, secondo la prospettazione dell’appellante, indica che la disciplina di occupazione del suolo pubblico e quella attinente agli scavi stradali si muovono in ambiti distinti: con conseguente distinzione tra il pagamento del corrispettivo dovuto per l’occupazione del suolo pubblico e quello relativo agli importi da corrispondere per lo svolgimento dei lavori di scavo, nella specie di penali civilistiche con funzione di liquidazione anticipata del danno, sul presupposto che gli interventi sul territorio richiesti dall'erogazione dei servizi essenziali non possano tradursi in un aggravio per l'Amministrazione che ne deve essere ristorata.

Per effetto di quanto, sopra, l’art. 4 del contratto di servizio, laddove stabilisce che l'affidamento del servizio in oggetto comporta l'uso gratuito del suolo, si riferirebbe esclusivamente al pagamento del canone COSAP.

Il giudice di prime cure, pertanto, avrebbe omesso di operare la distinzione tra importi richiesti a titolo di penali civilistiche e il canone di occupazione dovuto come corrispettivo per l'utilizzo del suolo pubblico, fondando la propria decisione senza considerare la clausola di salvaguardia posta al principio del riportato art. 4 (e, quindi, non apprezzando la differenza intercorrente tra penali di natura contrattuale e canone COSAP).

4.3) Violazione dell'art. 7 c.p.a. Difetto di giurisdizione.

L’appellata sentenza ha, altresì, disatteso l’eccezione dall’Amministrazione comunale sollevata sul presupposto che oggetto della controversia fosse non la misura della sanzione o il concreto presupposto legittimante la sua irrogazione, ma il generale potere dell'Amministrazione di chiedere la prestazione patrimoniale di cui si discute anche ad una società concessionaria di servizi.

La fattispecie non rientrerebbe tra le materie devolute al giudice amministrativo, atteso che la situazione giuridica che viene in considerazione ha natura di diritto soggettivo, e non di interesse legittimo, concernendo essa il pagamento di una prestazione patrimoniale (penali civilistiche, assimilate a quelle di cui agli artt. 1382 e 1383 c.c.).

Conclude, pertanto, l’appellante per l’accoglimento dell’appello e, in riforma della sentenza impugnata, del ricorso di primo grado, con ogni statuizione conseguenziale anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio.

5. In data 10 agosto 2012, A.C.E.A. A.T.O. 2 si è costituita in giudizio.

6. In vista della trattazione nel merito del ricorso, entrambe le parti hanno svolto difese scritte.

6.1. Parte appellante ha depositato in atti (alla data del 15 maggio 2020) conclusiva memoria, con la quale ha ribadito le argomentazioni già esposte con l’atto introduttivo;
in particolare, con riferimento:

- all’affermata erroneità della decisione impugnata circa la non applicabilità del Regolamento scavi alla società A.C.E.A. A.T.O. 2, in quanto mera articolazione del Comune di Roma;

- al secondo motivo di ricorso, nel quale viene rappresentata l’erroneità della decisione del giudice di primo grado, per ciò che concerne la confusione operata circa la gratuità della concessione del suolo pubblico ai fini dell’espletamento del servizio ed, invece, il pagamento del canone di occupazione suolo pubblico (COSAP) previsto dal Regolamento scavi del Comune di Roma.

Nel riproporre l’eccezione di difetto di giurisdizione dell’adito giudice amministrativo, già formulata con l’atto introduttivo, Roma Capitale ha, quindi, conclusivamente insistito per l’accoglimento del proposto mezzo di tutela.

6.2. L’appellata A.C.E.A. A.T.O. 2, nel ribattere a tutti i rilievi di controparte, ha evidenziato in particolare (memorie depositate in data 15 e 25 maggio 2020) che la cognizione della controversia appartiene al giudice amministrativo, in quanto concernente l’applicazione di clausola penale prevista – in difetto di alcuno strumento contrattuale di disciplina dei rapporti inter partes – esclusivamente dall’art. 26 del Regolamento scavi, impugnato anch’esso con il ricorso introduttivo del giudizio;
ed ha, pertanto, insistito per il rigetto dell’appello.

7. Quest’ultimo, viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza telematica del 16 giugno 2020.

DIRITTO

1. Viene in considerazione, in primo luogo, l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, dall’odierna appellante già formulata dinanzi al T.A.R. del Lazio e riproposta, poi, nell’odierno giudizio.

1.1 La pronunzia di prime cure, sul punto, ha rilevato che “l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune di Roma non può essere condivisa sia in quanto l’impugnazione è diretta contro atti di natura provvedimentale e regolamentare, dei quali viene chiesto l’annullamento;
sia in quanto la questione giuridica sottesa non può essere ritenuta una questione di diritto privato, posto che ciò che viene contestato è il corretto uso del potere amministrativo”.

Tale assunto è stato contestato dall’appellante Comune, il quale:

- a fronte della sostenuta applicazione – quanto all’irrogazione della penale di che trattasi – di misura di carattere civilistico, assimilabile a quelle di cui agli artt. 1382 e 1383 c.c.;

- ed in ragione del ritenuto carattere paritetico del rapporto intercorrente tra l’Amministrazione comunale ed A.C.E.A. A.T.O. 2 S.p.A., nonché della natura di diritto soggettivo della situazione giuridica da quest’ultima azionata;

ha sostenuto che la cognizione della controversia appartenga al giudice ordinario.

Ex converso, la difesa di A.C.E.A. A.T.O. 2:

- rilevato che il ricorso di primo grado ha avuto ad oggetto sia la determinazione dirigenziale n. 1341/2005 di applicazione della penale prevista dal art. 26 dell’allora vigente Regolamento Scavi, sia la disposizione regolamentare indicata;

- ed escluso che la clausola contenente le penali civilistiche fosse stata sottoscritta unitamente alla richiesta di autorizzazione allo scavo;

ha sostenuto la cognizione del giudice amministrativo;
chiedendo, per l’effetto, la conferma di quanto, sul punto, statuito nella sentenza appellata.

1.2 Giova una succinta ricostruzione in fatto delle circostanze che hanno dato luogo all’adozione dell’avversata determinazione dirigenziale.

A.C.E.A. A.T.O. 2 ha comunicato al Municipio Roma VII, con fax n. 785P del 19 aprile 2005, l’effettuazione di un intervento in Via Prenestina, per scavi urgenti per la riparazione di un danno idrico.

Successivamente (22 aprile 2005), la stessa appellata presentava al suindicato Municipio richiesta di regolarizzazione dell'esecuzione dello scavo, effettuato in via d'urgenza, in Via Prenestina n. 1041, dal 19 aprile 2005 al 28 aprile 2005, dichiarando di accettare le condizioni e gli obblighi prescritti dal Regolamento scavi ed in particolare le penali disciplinate dall'art. 26 del Regolamento medesimo.

Rilasciata la richiesta concessione, in essa veniva specificato che il rilascio era subordinato al rispetto delle condizioni stabilite dal Regolamento Scavi (in particolare, con riferimento all’obbligo di riconsegna dell’area oggetto d'intervento entro 10 giorni dalla comunicazione di fine lavori).

Con fax nel 17 maggio 2005, la Società comunicava la fine dei lavori in Via Prenestina n. 1041.

Della riconsegna dell'area, datata 9 maggio 2005, veniva data notizia al Comune solo il 17 maggio 2005, con fax acquisito al protocollo il successivo 18 maggio.

In relazione al ritardo ravvisato fra la data di ultimazione dei lavori (28 aprile 2005) e la riconsegna della documentazione (che sarebbe dovuta intervenire entro dieci giorni;
ed è, invece, stata acquisita soltanto il 18 maggio 2005), l’Amministrazione riteneva irrogabile la penale di € 5.000,00, prevista dall’art. 26, punto 5, del Regolamento Scavi Stradali del Comune di Roma.

1.3 Ferma, sulla base di quanto come sopra rappresentato, che l’irrogazione della penale nella fattispecie applicata nei confronti di A.C.E.A. A.T.O. 2 è prevista dalla disposizione regolamentare da ultimo citata (la quale, quindi, non rinviene fondamento in disciplina di carattere negoziale inter partes stabilita per la gestione del rapporto concessorio intercorrente fra il Comune di Roma – ora, Roma Capitale – ed A.C.E.A.), ritiene il Collegio che il giudice di prime cure abbia correttamente affermato la giurisdizione del giudice amministrativo, quanto alla cognizione della sottoposta controversia.

È ben vero che questo Consiglio, come rappresentato dall’appellante Comune, ha (cfr. Sez. III, 1° febbraio 2012, n. 501) dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, con riferimento ad una controversia riguardante il recupero di crediti, da parte dell’Amministrazione capitolina e nei confronti di Telecom Italia S.p.A, a titolo di penale per ritardi occorsi nella riconsegna del suolo pubblico manomesso per la realizzazione di infrastrutture di rete, in applicazione dell’art. 26 del Regolamento comunale Scavi, di cui alla delibera consiliare n. 56 del 17 maggio 2002.

Peraltro, i profili di sovrapponibilità della controversia, come sopra decisa, rispetto all’odierno appello sono rinvenibili esclusivamente nella identità della disposizione regolamentare oggetto di applicazione.

Infatti, la questione già decisa da questo Consiglio con la sopra citata sentenza riguardava “l’accertamento del silenzio-inadempimento del Comune rispetto all’istanza rivoltagli dalla Società appellante di dare applicazione alla norma regolamentare transitoria (art. 28), che fa obbligo di rideterminare gli importi delle “penali” nei rapporti concessori vigenti, in misura più favorevole ai privati, in applicazione dei criteri di cui all’art. 26-bis della delibera n. 260/05”.

Nella pronunzia in rassegna, è stato osservato che, “diversamente da quanto evidenziato nei precedenti giurisprudenziali invocati dall’appellante … (C.d.S., V sez., 2.7.2010, n. 7323, e Corte Cass. Sez. Un. 12.10. 2011, n. 20939), in cui si faceva questione dei presupposti del provvedimento autoritativo del Comune che aveva richiesto il pagamento di somme, in quanto la questione avrebbe riguardato il “modo in cui l’Amministrazione aveva disciplinato un aspetto del rapporto nell’esercizio del potere regolamentare”, non veniva in considerazione l’esercizio, “da parte del Comune, di poteri autoritativi unilaterali di carattere discrezionale-valutativo, rispetto ai quali si possa configurare l’esistenza di interessi legittimi, quanto piuttosto … l’applicazione di una norma regolamentare … che ha già modificato quantitativamente l’ammontare delle “penali” e della cui mera applicazione si tratta, nell’ambito di un rapporto creditorio-debitorio di tipo paritetico già esistente tra le parti”.

Se, per come nella anzidetta sentenza rilevato, la situazione giuridica azionata ha rivelato consistenza di “diritto soggettivo”, in quanto preordinata “alla corretta applicazione delle regole del rapporto intercorrente tra le parti, in specie in ordine alla corretta determinazione della prevista sanzione pecuniaria” (per l’effetto, escludendosi che essa potesse rientrare nel perimetro della giurisdizione amministrativa “l’azione volta ad accertare l’illegittimità del silenzio formatosi sull’istanza rivolta all’Amministrazione ex art. 31 c.p.a.”), nel caso in esame, diversamente, la ricorrente di prime cure ha sottoposto a sindacato la determinazione applicativa della penale di che trattasi, unitamente alla norma regolamentare (art. 26 del “Regolamento per Scavi Stradali e per la posa di canalizzazioni nel sottosuolo”, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 56 del 2002) che tale misura ha previsto e disciplinato nelle fattispecie applicative e nell’ammontare.

Escluso, come in precedenza osservato, che la “penale” trovi fondamento in disciplina negoziale intercorsa fra le parti (circostanza, questa, non contestata dall’odierna appellante), deve allora darsi atto che sia l’avversata determinazione dirigenziale irrogativa della penale, sia la presupposta disposizione regolamentare, mutuano fondamento nell’esercizio di potestà autoritativa, la cui sindacabilità appartiene a questo giudice.

Né, in contrario avviso, rilevano le indicazioni ricavabili dall’ordinanza (richiamata dall’appellante) 14 ottobre 2019, n. 25849, resa dalla I Sezione civile della Corte di Cassazione.

In tale pronunzia (concernente un giudizio di opposizione ad ingiunzione, promosso da A.C.E.A. dinanzi al giudice ordinario) viene infatti rilevato come “nel confermare la natura contrattuale della penale, la Corte territoriale ha … richiamato la sentenza di primo grado, rimasta inoppugnata sul punto, la quale aveva accertato l’avvenuta accettazione da parte dell’Acea ATO2 delle condizioni e degli obblighi previsti dal Regolamento comunale in sede di sottoscrizione dell’istanza di rilascio della concessione per la posa di condutture”.

La differenza di fondo rispetto all’odierna controversia – tale da rendere i principi affermati dalla Cassazione insuscettibili di essere “esportati” nel presente giudizio – è rappresentata nella matrice negoziale della penale ivi portata all’attenzione del giudice ordinario: laddove, come precedentemente puntualizzato, nel caso di specie la clausola penale, in difetto di previsione contrattuale alcuna, trova esclusivo fondamento nell’art. 26 del Regolamento Scavi.

2. Nel merito, le doglianze con il mezzo di tutela all’esame articolate avverso l’appellata sentenza del T.A.R. Lazio non si prestano a condivisione.

2.1 Va, in primo luogo, osservato come l’anzidetta pronunzia abbia dato atto della fondatezza del primo motivo di ricorso (con assorbimento delle ulteriori censure articolate);
in particolare, sostenendo che:

- “il Regolamento in questione vada applicato esclusivamente ai soggetti terzi che chiedono l’autorizzazione ad effettuare scavi, per la realizzazione di opere private, nel suolo comunale, ma non anche ai concessionari di pubblici servizi, i quali di regola si connotano come ramificazioni (o articolazioni) della stessa Amministrazione”;

- “tale tesi … trova conferma nell’art. 4 del contratto di affidamento del servizio di distribuzione di acqua potabile sottoscritto dalle parti (Amministrazione e ricorrente, nella qualità di concessionaria del primo)”, il quale stabilisce che “gli interventi dell’ACEA nell’ambito del servizio idrico potabile (…) sono (…) assimilati a tutti gli effetti a quelli effettuati dal Comune in economia e tramite appalto” e che “l’affidamento comporta l’uso gratuito del soprassuolo, del suolo e del sottosuolo di proprietà del Comune, incluse le aree pubbliche destinate al traffico di superficie e sotterranee del Comune occorrenti per tutte le attività oggetto dell’affidamento dei servizi”;

con conseguente esclusione, “in radice”, della possibilità che la ricorrente possa essere equiparata ad un qualsiasi “terzo” (o, comunque, ad un “soggetto estraneo all’Amministrazione , agente in proprio e nel suo esclusivo interesse” );
e, “ conseguentemente [del] l’applicabilità di “penali civilistiche”.

2.2 In relazione agli argomenti di doglianza articolati dalla parte appellante (per come in narrativa sintetizzati), l’indagine demandata al Collegio deve, dunque, soffermarsi:

- sulla rilevanza assunta dalla qualità di società mista, con capitale pubblico e privato, acquisita da A.C.E.A. dal 1998, con rifermento alla possibilità di beneficiare dell’uso gratuito del suolo stradale e di godere delle esenzioni dalle “penali” previste dal Regolamento Scavi del Comune di Roma;

- sulla interpretazione, per come fornita nell’appellata sentenza, dell’art. 4, comma 2, del Contratto di servizio di distribuzione di acqua potabile (segnatamente, per quanto concerne la tesi, propugnata da Roma Capitale, circa la distinta rilevanza della clausola di salvaguardia contenuta nel riportato articolo, con riferimento alla disciplina di occupazione del suolo pubblico ed a quella attinente agli scavi stradali).

Da ultimo, intende il Collegio soffermarsi sulla quaestio juris centrale rispetto alla presente controversia, rappresentata dalla disciplina di carattere regolamentare apprestata ai fini dell’applicazione di penali civilistiche.

2.2.1 Con riferimento al primo degli aspetti precedentemente evidenziati, va, innanzi tutto, rammentato come l’art. 22, comma 3, lett. e), della legge 8 giugno 1990, n. 142, stabilisca che “i comuni e le province possono gestire i servizi pubblici … a mezzo di società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati”.

Secondo l’appellante Amministrazione, la qualità di società mista di A.C.E.A. (con capitale pubblico e privato), escluderebbe, in capo a quest’ultima, la possibilità di beneficiare dell’uso gratuito del suolo stradale e di godere delle esenzioni dalle “penali” previste dal Regolamento Scavi.

Impregiudicata la natura – pubblica o privata – riscontrabile in capo ad A.C.E.A. (e per la quale, comunque, la giurisprudenza si è più volte pronunziata asseverando la prima delle indicate opzioni, laddove, in ambito di operatività “istituzionale”, integrante il core business, la componente pubblicistica prevale su quella privatistica, venendo meno l’attributo di imprenditorialità per le ipotesi di erogazione di beni e servizi per il soddisfacimento diretto di finalità di natura generale: cfr., ex multis, Cons. Stato, Ad. Plen., 1° agosto 2011, n. 16;
nonché, quanto alla natura di impresa pubblica di A.C.E.A., T.A.R. Lazio, sez. II-ter, 30 gennaio 2020, n. 1280 e sez. II-bis, 28 gennaio 2015, n. 1513), rileva, ad avviso del Collegio, l’indicatore oggettivo, rappresentato dalla riferibilità del servizio all’attività istituzionale dell’Ente.

Tale elemento si evidenzia, invero, con carattere di esclusa discutibilità, in presenza della concessione del servizio di distribuzione dell’acqua potabile e del relativo contratto di servizio, adottati:

- la prima, con deliberazione 16 settembre 1996 n. 316 (affidamento del servizio in regime di municipalizzazione), confermata poi con deliberazione consiliare n. 29 del 17 marzo 1997 (con la quale, istituita la società per azioni, alla stessa vennero concessi, conferiti, ceduti e locati i beni del compendio patrimoniale della preesistente Azienda speciale);

- il secondo, con deliberazione di Giunta 22 dicembre 1998 n. 4843.

Va, poi, rammentato che l’art. 4, comma 2, del contratto di servizio (approvato con deliberazione di Giunta Comunale n. 4834 in data 22 dicembre 1998 per l'affidamento della distribuzione dell'acqua potabile), prevede che “nel rispetto del Regolamento Scavi del Comune di Roma … l’affidamento comporta l'uso gratuito del soprassuolo, del suolo e del sottosuolo di proprietà del Comune, incluse le aree pubbliche destinate al traffico di superficie di proprietà del Comune occorrenti per tutte le attività oggetto dell'affidamento del servizio di cui al precedente art.

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