Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-04-27, n. 201102468
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N. 02468/2011REG.PROV.COLL.
N. 02835/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2835 del 2006, proposto dal signor D S G R, rappresentato e difeso dagli avvocati G C e G G, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via Pierluigi Da Palestrina, 63;
contro
Il Ministero dell'Interno, Utg - Prefettura di Torino, Questura di Torino, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, non costitutisi nel secondo grado del giudizio
per la riforma della sentenza del T.A.R. PIEMONTE, sezione seconda, n. 203/2005;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2011 il Cons. G D M e udito per la parte appellante l’avv. Contaldi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, sez. II, n. 203 del 29 gennaio 2005 (che non risulta notificata), veniva respinto il ricorso proposto dal signor Giuseppe D S, per l’annullamento dell’atto di “avviso orale” emesso dal Questore di Torino il 30 giugno 2004, ai sensi dell’art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come modificata dalla legge 3 agosto 1988, n. 327, con preannuncio delle misure di prevenzione di cui al precedente art. 3 del medesimo testo legislativo, in caso di persistenza di una condotta, considerata sintomatica di “elevata pericolosità sociale” (per “carattere violento”, frequentazione di “persone di dubbia moralità, pregiudicate e comunque pericolose per l’ordine e la sicurezza pubblica”, tanto da ingenerare il sospetto che il destinatario dell’atto in questione vivesse “abitualmente, pur se in parte, con i proventi di attività delittuose”).
Il TAR nella citata pronuncia rilevava come il provvedimento impugnato risultasse sufficientemente motivato con il richiamo…a fatti oggettivi”, idonei a giustificare l’esercizio del potere discrezionale utilizzato dalla Questura.
2. Avverso la predetta sentenza veniva proposto l’atto di appello in esame (n. 2835/06, notificato il 9.3.2006), nel quale si reiteravano le censure difetto di motivazione e di istruttoria, nonché di erronea valutazione dei fatti, dovendo l’Amministrazione effettuare, in base alle norme sopra richiamate, una valutazione discrezionale, ma alla stregua del cosiddetto “doppio rapporto di causalità”, dovendo la condotta del ricorrente (ed attuale appellante) “dare causa, cioè…ingenerare il sospetto” di essere “dedito alle attività, di cui all’art. 1 della legge n. 1423/1956”, con ulteriore sussistenza del presupposto di vivere con i proventi di attività delittuose e conseguente compromissione della sicurezza e della tranquillità pubblica.
Nel caso di specie, i comportamenti segnalati sarebbero privi di oggettivi elementi di riscontro e non si sarebbe tenuto conto dell’attività svolta dall’interessato presso l’impresa artigiana del padre, con percezione di un reddito più che sufficiente per le proprie esigenze di vita (€. 18.000,00 annui).
Quanto ad un precedente provvedimento di divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, non si sarebbe inoltre tenuto conto dell’intervenuta assoluzione del medesimo signor D S al termine del procedimento penale, avviato per un episodio di violenza fra opposte tifoserie, in occasione di una partita cui partecipava la squadra di calcio del Savona.
L’Amministrazione appellata non si è costituita nella presente fase di giudizio.
2. Così riassunte le vicende che hanno condotto al secondo grado del giudizio, il Collegio ritiene che l’appello non possa trovare accoglimento, essendosi basato il provvedimento impugnato su specifici ed oggettivi elemento di fatto.
Va premesso che la valutazione sulla pericolosità sociale del soggetto avvisato non richiede prove compiute della commissione di reati, essendo sufficienti anche meri sospetti supportati da elementi di fatto, tali da indurre l’Autorità di polizia a ritenere sussistenti i presupposti della misura di prevenzione, in caso di persistenza delle condotte segnalate (cfr. in tal senso Cons. St., sez. VI, 22 febbraio 2010, n. 1023).
Nella situazione in esame, il provvedimento impugnato indica sinteticamente, ma in modo ben intellegibile, numerosi presupposti di fatto giustificativi della determinazione adottata, mentre la completezza dell’istruttoria appare illustrata in una relazione dell’Amministrazione, depositata in atti, da cui emergono dettagliati riscontri sulle circostanze non smentite dall’interessato: quest’ultimo riferisce infatti di essere stato assolto dall’imputazione connessa a fatti di violenza sportiva, ma non smentisce di essere stato tratto in arresto, il 15 febbraio 2004, per minaccia, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali (con successiva scarcerazione e sottoposizione all’obbligo di dimora).
Inoltre, l’interessato è stato segnalato all’Autorità Giudiziaria per rapina, violazione della normativa in materia di stupefacenti e danneggiamento, e risulta aver frequentato pregiudicati, tutti nominativamente indicati.
In tale contesto, fondatamente l’Amministrazione ha concluso che l’avviso orale, avendo natura preventiva, può essere sorretto anche solo da una “valutazione indiziaria di portata generale….fondata su contesti significativi nel loro complesso, anziché su fatti univoci e su episodi definiti”. Può essere ritenuto sufficiente per l’applicazione della norma di cui trattasi, in altre parole, “qualora non sia possibile documentare che l’interessato viva dei (soli) proventi di attività delittuosa o sia dedito a traffici illeciti o si associ con pregiudicati….che il modello comportamentale complessivo del soggetto faccia ragionevolmente presumere la persistenza di una pericolosità sociale”.
Tale linea interpretativa è condivisa dal Collegio e consente, nel caso di specie, di ritenere sussistenti i presupposti per l’emanazione del provvedimento impugnato in primo grado, con conseguente rigetto dell’appello.
Nessuna statuizione va presa sulle spese giudiziali, non essendosi costituita in giudizio l’Amministrazione appellata.