Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-02-04, n. 202000917

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-02-04, n. 202000917
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202000917
Data del deposito : 4 febbraio 2020
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/02/2020

N. 00917/2020REG.PROV.COLL.

N. 06506/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6506 del 2010, proposto da
D R C, rappresentato e difeso dagli avv.ti L P ed U T, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Alberico II n. 4, presso lo studio dell'avv. R N;

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t. non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza n. 146 del 15 gennaio 2010, pronunciata dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sede di Napoli, Sez. VII, con la quale è stato rigettato il ricorso (R.G. 6244/2008) promosso dal sig. D R C avverso:

- nota prot. n. GDAP-0337059-2008 del 9 ottobre 2008, adottata dal Ministero della Giustizia-Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria – Direzione Generale del Personale e della Formazione – Ufficio III – Sezione IV – Promozioni ed avanzamenti Polizia Penitenziaria, con la quale l'Amministrazione ha dichiarato che il ricorrente non può ottenere il beneficio della ricostruzione della carriera in quanto mancano norme che disciplinano la ricostruzione della carriera in favore del personale del Corpo medesimo;

- ogni altro atto e/o provvedimento preordinato, collegato, connesso e conseguente.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 gennaio 2020 il Cons. Roberto Politi e uditi per le parti gli avvocati U T;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Premette l’odierno appellante di aver prestato servizio presso il Corpo della Polizia Penitenziaria dall’11 aprile 1994, con il grado di Assistente Capo.

Soggiunge di essere cessato dal servizio prestato nell'Esercito con grado di Sergente, ottenendo il proscioglimento dalla ferma volontaria, con conseguente collocamento nella categoria di completamento, ai sensi degli artt. 40, lett e), e 41 della legge 599/1954.

Evidenzia che il Ministero della Difesa non ha mai adottato alcun decreto di perdita del grado rivestito;
né il Ministero della Giustizia ha chiesto all'appellante, all'atto del “transito”, la sottoscrizione di “rinuncia del grado di Sottufficiale” rivestito nella Forza Armata di provenienza.

Con due istanze (la prima, del 30 maggio 2008;
la seconda, del 3 luglio 2008), il sig. D R chiedeva la ricostruzione della carriera nel ruolo di Sottufficiale, sulla base del riconoscimento del grado di Sergente dell'Esercito Italiano posseduto prima del “transito” nei ruoli della Polizia Penitenziaria.

A seguito di atto di messa in mora, con nota prot. n. GDAP-0337059-2008 del 9 ottobre 2008, l'Amministrazione Penitenziaria rappresentava di non aver provveduto in ordine alle suindicate istanze, a fronte della impossibilità, per il personale della Polizia Penitenziaria, di ottenere la ricostruzione della carriera, in ragione della inesistenza di una normativa specifica che lo consenta.

2. Con ricorso n. 6244 del 2008, proposto innanzi alla sede di Napoli del T.A.R. della Campania, il signor D R chiedeva l’annullamento del provvedimento da ultimo indicato.

A sostegno della proposta impugnativa, veniva argomentata l’illegittimità dell'atto sotto i seguenti profili:

- falsa applicazione delle leggi nn. 395/1990, 599/1954 e 408/1968, atteso che nessuna norma presente nell'ordinamento dispone la perdita del grado all'atto del transito nel Corpo della Polizia Penitenziaria;

- violazione della legge n. 241/1990 per carenza assoluta di motivazione;

- violazione delle leggi nn. 408 del 1968 e n. 436 del 1987, che prevedono la possibilità dell'avanzamento di grado per ricostruzione della carriera.

3. Costituitasi l’Amministrazione intimata, il Tribunale, con sentenza della Sezione VII n. 146 del 15 gennaio 2010, ha respinto il ricorso, ritenendo che “la … posizione di ex appartenente alla Forza Armata non sia presa in alcuna particolare considerazione dalla normativa relativa al Corpo di Polizia Penitenziaria”, non essendovi “alcuna disposizione normativa che attribuisca rilievo al permanere del grado nell'ambito dell'Ordinamento della Polizia Penitenziaria"; e ciò, pur rilevando che il ricorrente non aveva perduto “il grado di Sergente (per non essere l'assunzione di servizio nel Corpo della Polizia Penitenziaria ricompreso tra le cause che, ai sensi dell'art. 60 L. 599/1954, determinano un tale effetto)”.

4. Avverso tale pronuncia, il signor D R ha interposto appello, notificato il 1° luglio 2010 e depositato il successivo 19 luglio, lamentando che il Giudice di prime cure:

- avrebbe omesso di pronunziarsi sul motivo di ricorso riguardante l’affermata violazione dell’art. 3 della legge 241 del 1990 (obbligo di motivazione), assumendosi inadeguata la rappresentata inesistenza di normativa disciplinante la ricostruzione di carriera;

- avrebbe errato nel ritenere che, pur riconoscendo che l’odierno appellante non ha mai perso il grado di Sergente dell'Esercito Italiano all'atto del transito avvenuto ai sensi del decreto legge 96/1994, tuttavia, non esiste alcuna norma che consenta la ricostruzione della carriera (e, quindi, la conservazione del grado all'interno del Corpo in cui il transito è avvenuto). In proposito, la parte rileva che, se è vero che il decreto legge da ultimo citato ha previsto il transito nel nuovo Corpo, senza che ciò potesse comportare rinuncia al grado, allora il personale transitato sotto la vigenza di tale disciplina nel Corpo della Polizia Penitenziaria, non poteva non conservare il grado rivestito all'interno del Corpo di appartenenza (in proposito, trovando applicazione le leggi nn. 408 del 1968 e 436 del 1987 che prevedono la possibilità dell'avanzamento di grado per ricostruzione della carriera).

5. L’Amministrazione appellata non si è costituita in giudizio.

6. In vista della trattazione nel merito dell’appello, il sig. D R ha depositato in atti (alla data del 13 dicembre 2019) memoria ex art. 73 c.p.a., insistendo per l’accoglimento del ricorso ed evidenziando che in precedente vicenda, riguardante altro militare transitato nei ruoli della Polizia Penitenziaria, l’Amministrazione della Giustizia avrebbe consentito la ricostruzione di carriera, all’interessato come sopra negata.

7. L’appello viene trattenuto per la decisione alla pubblica udienza del 28 gennaio 2020.

DIRITTO

1. L’appellante sig. D R, in servizio nel Corpo della Polizia Penitenziaria in qualità di Assistente capo, ha chiesto, con il ricorso in prime cure promosso dinanzi al T.A.R. Campania, l’annullamento della nota, con la quale l’Amministrazione di appartenenza ha riservato negativo riscontro a reiterate istanze finalizzate a conseguire una “ricostruzione della carriera”, sulla base del riconoscimento del grado di Sergente dell’Esercito Italiano, posseduto anteriormente al transito dell’interessato nei ruoli della stessa Polizia Penitenziaria.

L’Amministrazione ha, in particolare, ha rilevato la genericità della richiesta di “ricostruzione della carriera” avanzata dal sig. D R, arruolato nel Corpo di Polizia Penitenziaria in data 11 marzo 1994, insuscettibile di permettere l’adozione di “alcun provvedimento legittimo, non essendo rinvenibili nell'ordinamento del Corpo di Polizia Penitenziaria disposizioni che disciplinano ipotesi di ricostruzione di carriera in favore del personale del Corpo medesimo”.

L’odierno ricorrente, in effetti, attraverso reiterate richieste di “ricostruzione della carriera”, ha dimostrato di aspirare a conseguire un nuovo e migliore inquadramento giuridico.

La pretesa azionata rivela, quindi, sostanza di interesse legittimo, atteso che la collocazione del dipendente pubblico nelle varie qualifiche dei ruoli organici dell’Amministrazione di appartenenza discende da atti autoritativi (dai quali soltanto scaturisce il diritto al corrispondente trattamento economico): sicché, rispetto a tali provvedimenti di tipo organizzatorio, l’interessato vanta una posizione sostanziale – appunto – di interesse legittimo al corretto esercizio del relativo potere (pur sempre autoritativo, ancorché vincolato) e non una posizione di diritto soggettivo accertabile dal giudice amministrativo.

Ciò posto, occorre preliminarmente osservare che, poiché il proposto ricorso risulta infondato nel merito, può prescindersi dal valutare i pur sussistenti profili di inammissibilità conseguenti alla mancata tempestiva impugnazione dei vari provvedimenti di inquadramento fino ad oggi adottati nei confronti del sig. D R, per effetto dei quali il medesimo ha conseguito il grado rivestito all’epoca del ricorso di prime cure.

Al riguardo, tuttavia, non può esimersi il Collegio dal rammentare come la contestazione dei provvedimenti modificativi dello status , attinenti alla progressione in carriera, ovvero della loro mancata adozione, costituisca necessariamente oggetto di un'azione a carattere impugnatorio, avente ad oggetto il provvedimento esplicito (ovvero, attraverso il meccanismo del silenzio, la mancata adozione del provvedimento).

Né il termine decadenziale per promuovere ammissibilmente la sollecitazione del sindacato giurisdizionale può essere “eluso” attraverso la contestazione del provvedimento con il quale il Ministero resistente ha denegato il beneficio della ricostruzione della carriera, a distanza di svariati anni dall’immissione in servizio e dopo l’adozione di plurimi atti di progressione in carriera (ad agente scelto;
ad assistente;
quindi, ad assistente capo: tutti, peraltro, pacificamente conosciuti dall’appellante).

2. Di quanto sopra dato preliminarmente atto, va osservato come il sig. D R sia stato, su propria domanda, arruolato, all’esito di una procedura selettivo-concorsuale, nel Corpo della Polizia Penitenziaria in data 11 aprile 1994 (in applicazione della peculiare normativa di cui al decreto legge 96/1994, non convertito in legge;
con riferimento al quale, peraltro, l’art. 1, comma 2, del decreto legge 10 giugno 1994, n. 356, convertito in legge 8 agosto 1994, n. 488, ha disposto che restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti legge 8 febbraio 1994, n. 96, e 9 aprile 1994, n. 229).

Precedentemente, l’interessato aveva prestato servizio nell’Esercito Italiano con il grado di Sergente, venendo quindi prosciolto dalla ferma volontaria e collocato in congedo illimitato.

3. Proprio la circostanza che la sua posizione di ex appartenente alla Forza Armata non sia presa in alcuna particolare considerazione dalla normativa relativa al Corpo di Polizia Penitenziaria (ad eccezione del beneficio previsto dall’art. 5, comma 6, del D.Lgs. 443/1992, per cui “il servizio prestato in ferma volontaria o in rafferma della forza armata di provenienza è utile, per la metà e per non oltre tre anni, ai fini dell'avanzamento nel Corpo di polizia penitenziaria”), porta ad escludere che sia possibile la “ricostruzione della carriera” dall’interessato richiesta.

Tale termine pertiene, infatti, ad istituti, variamente atteggiati, denotanti il comune tratto di essere fondati su di una deroga rispetto alle disposizioni normative ordinarie in tema di pubblico impiego, atteso che attraverso l’applicazione degli stessi interviene il riconoscimento di benefici particolari di stato giuridico non a tutto il personale, ma soltanto a chi versi in situazioni ben determinate.

Il presupposto fondante la ratio della ricostruzione di carriera (e la pur eterogenea disciplina che l’istituto ha ricevuto nell’ordinamento) non è ravvisabile nel caso di specie, atteso che, come osservato dal giudice di prime cure, non risulta la presenza di alcuna norma derogatoria, cui sia riconducibile la posizione dell’odierno appellante.

Non, in particolare, l’art. 26 della legge 395/1990 (riferito a personale che, in precedenza, abbia fatto parte del Corpo degli Agenti di Custodia), in quanto il ricorrente non è mai stato nel Corpo degli Agenti di Custodia.

Non la legge 408/1968, riferita a coloro che in precedenza abbiano fatto parte di altre forze di polizia, ma non delle Forze Armate (e, comunque, il richiamo presente nella legge 395/1990 è fatto sempre con riferimento agli ex appartenenti al Corpo degli Agenti di Custodia).

Non, da ultimo, l’art.

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