Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-11-13, n. 202007006
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Testo completo
Pubblicato il 13/11/2020
N. 07006/2020REG.PROV.COLL.
N. 05273/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5273 del 2011, proposto dalla signora M N C, rappresentata e difesa dall’avvocato L C, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato N D P in Roma, via Tagliamento, n. 55,
contro
il Comune di Gravina in Puglia, in persona del Sindaco in carica
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avvocato G V, elettivamente domiciliato presso lo studio del dott. A P in Roma, alla via Barnaba Tortolini, n. 30,
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Puglia, sede di Bari (Sezione II), n. 1392 del 4 marzo 2010, resa inter partes , concernente un diniego di concessione edilizia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Gravina in Puglia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2020, il consigliere G S;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso n. 2518 del 1999, proposto innanzi al T.a.r. per la Puglia, sede di Bari, la signora M N C aveva chiesto l’annullamento del provvedimento del 6 luglio 1999, con il quale veniva respinta la sua domanda di concessione edilizia per la variazione di prospetto ed il completamento delle opere interne di un fabbricato già interessato da provvedimento di condono edilizio n. 835/94 in quanto ritenuto dall’Amministrazione inefficace per inesistenza delle opere condonate.
2. A sostegno dell’impugnativa la ricorrente aveva dedotto quanto segue:
i) la precedente concessione edilizia in sanatoria non poteva considerarsi inefficace per inesistenza dell’abuso (5° piano attico) anche perché tale provvedimento non era stato mai rimosso in autotutela;
ii) il condono edilizio aveva riguardato opere effettivamente realizzate essendo il piano attico, al momento della sospensione dei lavori (mercé l’ordinanza sindacale n. 106 del 6 giugno 1969), ben individuabile nella sua estensione plano-volumetrica con la copertura ed i balconi;
iii) l’Amministrazione sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 43 della legge n. 47/85 laddove consente il completamento dell’unità immobiliare condonata.
3. Costituitasi l’Amministrazione comunale resistendo, il Tribunale adìto (Sezione II) ha così deciso il gravame al suo esame:
- ha condiviso i corni motivazionali dell’impugnato provvedimento imperniati sulla inefficacia della precedente concessione edilizia in sanatoria e sul vincolo di inedificabilità gravante sull’area centro storico;
- ha quindi respinto il ricorso reputandolo infondato;
- ha dichiarato assorbita ogni altra censura;
- ha compensato le spese di lite.
4. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
- “ Il suddetto parere negativo si fonda sulla circostanza in forza della quale la precedente concessione edilizia in sanatoria n. 835/94 è “priva di efficacia” in quanto viene in rilievo nel caso di specie un abuso non commesso ed in considerazione del fatto che la richiesta di variazione di prospetto e completamento delle opere interne è in realtà finalizzata alla realizzazione di un tompagno allo stato inesistente e di tramezzature interne parimenti inesistenti ”;
- “ E’ evidente che il tompagno e le tramezzature interne realizzate dalla ricorrente e per le quali la stessa presentava domanda di concessione edilizia prot. n. 5379 del 10.3.1999 su cui il Dirigente dell’Ufficio Tecnico del Comune di Gravina in Puglia esprimeva il parere negativo impugnato in questa sede non possono considerarsi lavori strettamente necessari alla funzionalità delle opere ultimate ai sensi del menzionato art. 43, comma 5, primo periodo legge n. 47/1985 per le quali soltanto è possibile ottenere l’estensione del condono edilizio di cui alla originaria concessione in sanatoria n. 835/94, trattandosi a ben vedere di nuove strutture diverse dalla costruzione originariamente condonata che evidentemente la Cavallera intendeva completare attribuendo alla stessa una differente configurazione ”;
- “ Inoltre il parere negativo impugnato in questa sede specifica che l’edificio de quo si trova all’interno del centro storico ove vige un vincolo di inedificabilità su tutte le aree libere ed è vietata l’alterazione delle volumetrie esistenti, il che indubbiamente rappresenta un ostacolo insuperabile all’accoglimento della domanda di concessione edilizia prot. n. 5379 del 10.3.1999 ”.
5. Avverso tale pronuncia la signora Cavallera ha interposto appello, notificato il 1° giugno 2011 e depositato il 23 giugno 2011, lamentando, attraverso un unico complesso motivo di gravame (pagine 14-16) al quale ha fatto seguito la reiterazione dei motivi di primo grado reputati assorbiti (pagine 16-21), quanto di seguito sintetizzato:
I) il Tribunale non avrebbe tenuto conto della formula dell’art. 43 su citato, laddove consente il completamento delle opere non ultimate “ per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali ”, fermo restando che l’unità immobiliare de qua era già definita al momento dell’ordinanza di sospensione dei lavori;
II) si ripropongono, pertanto, i motivi dichiarati assorbiti e segnatamente quelli coi quali si deduceva il difetto dei presupposti per l’esercizio del potere di autotutela anche in ordine alla pretesa inesistenza dell’abuso.
6. L’appellante ha concluso chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza, l’accoglimento del ricorso di primo grado e quindi l’annullamento dell’atto con lo stesso impugnato.
7. In data 10 marzo 2016, il Comune di Gravina in Puglia si è costituito nel presente giudizio con memoria di controdeduzioni, concludendo per la reiezione dell’opposto gravame.
8. In vista della trattazione nel merito del ricorso parte appellata ha depositato memoria insistendo per la reiezione del ricorso, memoria alla quale ha fatto seguito la replica di parte appellante al fine di insistere per l’accoglimento del gravame.
9. La causa, chiamata per la discussione alla pubblica udienza del 6 ottobre 2020, è stata ivi trattenuta in decisione.
10. Ritiene il Collegio che l’appello sia infondato e sia pertanto da respingere.
10.1. Si impone, preliminarmente, la disamina dell’eccezione d’inammissibilità del gravame sollevata da parte appellata per la mancata contestazione del capo della sentenza relativo al vincolo di inedificabilità in centro storico (23 c.p.a.), profilo questo posto a base del diniego impugnato e considerato “ insuperabile ” dal T.a.r. Per vero, tale versante motivazionale non risulta oggetto di rilievi nemmeno nel ricorso di prime cure in quanto evidentemente ritenuto dall’appellante automaticamente travolto dalle censure, ove reputate fondate, relative all’altro versante della motivazione perché il completamento della struttura escluderebbe di per sé che possa configurarsi un’alterazione delle volumetrie esistenti che possa confliggere con il vincolo.
10.2. Ritiene ad ogni modo il Collegio che, attesa l’infondatezza del ricorso, si possa esaminare il merito della controversia prescindendo da una compiuta disamina di tale eccezione in rito.
11. La questione sollevata dall’appellante è se può dirsi condonabile un’opera in parte priva delle tompagnature, ovverosia delle pareti laterali costituenti parte integrante della sua struttura. Al quesito la Sezione ha già avuto modo di formulare risposta negativa avendo, di recente, osservato che “ In tema di condono, ai fini dell’ultimazione del fabbricato sono necessarie non solo le tompagnature esterne, ma anche l’esistenza di una copertura che ha la funzione di definire le dimensioni dell'intervento realizzato, dal punto di vista della sagoma e del volume mentre, dal punto di vista costruttivo, ha lo scopo di rendere conto della compiutezza della realizzazione stessa ” (Cons. Stato, sez. II, 14 gennaio 2020, n. 339).
11.1. Il baricentro però delle deduzioni dell’appellante si incentra sulla pretesa applicabilità al caso di specie dell’art. 43, comma 5, primo periodo della legge n. 47/1985 laddove prevede che “ Possono ottenere la sanatoria le opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori che siano strettamente necessari alla loro funzionalità. Il tempo di commissione dell'abuso e di riferimento per la determinazione dell'oblazione sarà individuato nella data del primo provvedimento amministrativo o giurisdizionale ”.
11.2. E invero, sul punto sostanziale dell’applicabilità della disposizione di cui all’art. 43, comma 5, della legge n. 47/1985 va rilevato:
- che tale disposizione si riferisce chiaramente all’ipotesi in cui, contestualmente alla richiesta di sanatoria degli abusi commessi, l’interessato abbia necessità di completare funzionalmente le opere interrotte a causa di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali (p.es. un sequestro o un ordine di sospensione), per tale evenienza legittimando una nozione di “ ultimazione ” degli abusi – per così dire - più elastica di quella adottata in via ordinaria, ma esclude la possibilità che, dopo il rilascio della concessione in sanatoria, il beneficiario di quest’ultima possa vantare una pretesa al rilascio di un ulteriore titolo abilitativo per eseguire ulteriori lavori sul manufatto condonato;
- che, in un caso analogo, condivisibile giurisprudenza ha ritenuto che “ l’art. 43, ultimo comma della legge n. 47/1985 (richiamato dall'art. 32, comma 28 della legge n. 326/2003) può essere applicato ai soli lavori necessari per assicurare la funzionalità di quanto già costruito e non consente, invece, di integrare le opere con interventi edilizi che diano luogo di per sé a nuove strutture ” (cfr. T.a.r. Napoli, sez. II, 24 febbraio 2016, n. 1026);
- che, nel caso di specie, l’odierna appellante ottenne nel 1994 una concessione in sanatoria sul chiaro presupposto, da essa stessa dichiarato in domanda, che le opere abusive fossero state ultimate a una certa data utile per fruire del condono, e soprattutto senza avvalersi in alcun modo del beneficio di eseguire le opere di completamento di cui al precitato art. 43, comma 5;
- che, successivamente, ha presentato nuova domanda di concessione per eseguire ulteriori lavori definiti di “ completamento ” del manufatto condonato, ma intesi chiaramente come nuovi interventi e non come interventi funzionali e accessori ai pregressi abusi (nella nuova domanda non è affatto menzionato il comma 5 dell’art. 43);
- che, conseguentemente, in modo del tutto corretto il Comune ha valutato l’ammissibilità di tale nuova domanda secondo le norme vigenti all’epoca in cui è stata presentata, ritenendo gli interventi in questione non consentiti dalla disciplina dettata dalle N.T.A. per il centro storico (e su questo punto nessun rilievo è svolto in appello).
11.3. Quanto sopra, disvelando l’impossibilità di “ recuperare ” l’assentibilità degli interventi per cui è causa attraverso l’invocazione ex post del meccanismo di cui all’art. 43, comma 5, della legge n. 47/1985, a causa di scelte pregresse imputabili alla stessa istante, rende del tutto recessiva ogni questione di fatto circa la natura degli interventi oggetto dell’ultima richiesta di concessione e, cioè, se questi consistessero o meno in opere strettamente funzionali al completamento degli abusi sanati con la concessione in sanatoria del 1994.
11.4. Si può convenire col T.a.r. anche sul carattere assorbente dei rilievi che precedono, tali da superare alcune apparenti incongruenze del provvedimento impugnato del 6 luglio 1999, dovendosi rilevare che effettivamente il Comune non poteva reputare sic et simpliciter “ inefficace ” una concessione in sanatoria ritualmente rilasciata e mai annullata;inoltre l’affermazione per cui nella specie non sarebbe stato commesso alcun abuso non trova alcuna rispondenza in punto di fatto.
11.5. A voler comunque esaminare tali censure, che corrispondono ai motivi di primo grado non esaminati dal T.a.r. e riproposti in appello, osserva il Collegio che, in ragione del carattere vincolato delle valutazioni rimesse al Comune sulla domanda di permesso di costruire, può trovare applicazione l’art. 21- octies della legge n. 241/1990 anche in relazione agli eventuali vizi della motivazione del diniego, laddove – come si è visto in questo caso – emerga che in ogni caso l’esito di un eventuale riesame dell’istanza non possa che essere nuovamente sfavorevole al richiedente.
12. In conclusione, l’appello è infondato e deve essere respinto.
13. Sussistono nondimeno giusti motivi, stante l’assoluta particolarità della vicenda, per compensare tra le parti le spese del presente grado di giudizio.