Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-03-20, n. 201801770

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2018-03-20, n. 201801770
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201801770
Data del deposito : 20 marzo 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/03/2018

N. 01770/2018REG.PROV.COLL.

N. 04511/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4511 del 2017, proposto da:
Azienda Sanitaria Locale Caserta, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avvocato F D M, domiciliato ex art. 25 cod. proc. amm. presso la Segreteria della III Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;

contro

Tiziana Gentile e Società Agricola La Sovrana S.r.l. s., rappresentati e difesi dall'avvocato R R, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Pieve Ligure, 48;

nei confronti di

Regione Campania, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE V, n. 06011/2016, resa tra le parti, concernente abbattimento di capi di bestiame risultati positivi alla tubercolosi bovina;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Tiziana Gentile e Società Agricola La Sovrana S.r.l.s.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 marzo 2018 il Cons. P U e uditi per le parti gli avvocati F D M e R R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La ASL di Caserta, con nota prot. 109916 in data 18 dicembre 2015, ha disposto l’avvio alla macellazione dei capi bufalini dell’azienda zootecnica della società odierna appellata che erano risultati positivi alle prove ufficiali della tubercolosi (test di intradermoreazione), e poi, con ordinanza n. 2 in data 22 gennaio 2016, ha disposto l’abbattimento di quelli non ancora abbattuti (mentre con nota prot. 109934 in data 18 dicembre 2015 ha disposto misure di prevenzione nei confronti dei capi risultati dubbi).

2. L’azienda ha proceduto all’abbattimento di 5 dei 25 capi risultati positivi (nei quali, all’esito dell’esame ispettivo post mortem , non sono state rilevate lesioni tubercolari) ed ha impugnato detti provvedimenti dinanzi al TAR Campania, prospettando articolate censure.

3. Il TAR Campania, con la sentenza appellata (V, n. 6011/2016), ha ritenuto fondate ed assorbenti le censure di difetto di istruttoria e di motivazione, annullando gli atti impugnati nella parte in cui dispongono l’immediato abbattimento dei capi risultati positivi. Ha invece ritenuto immuni dalle dedotte censure, le prescrizioni e le cautele, pure inserite negli atti impugnati, dirette ad evitare la diffusione del contagio o pericoli per la salute umana (isolamento degli animali risultati positivi o di dubbia positività, interdizione di qualsiasi movimentazione dei predetti animali da e per l’allevamento, invio alla macellazione dei capi bufalini positivi e per quelli di dubbia positività, in assenza di autorizzazione, e divieto di monta naturale per gli animali di dubbia positività, etc.).

4. A tal fine, il TAR ha sottolineato che nella relazione (nota esplicativa degli esiti ispettivi post mortem , a firma del prof. C) depositata dalla ricorrente, pur dandosi atto che la intradermoreazione della tubercolina costituisce la prova ufficialmente utilizzata per la individuazione in vita degli animali affetti da tubercolosi, si evidenzia tuttavia: “Poiché si tratta di prova indiretta, in alcuni casi, può presentare reazioni falsamente positive o falsamente negative, che la letteratura scientifica compendia nell’ordine del 15% ... . Per tale ragione, onde accertare la reale presenza del microrganismo nell’animale e, quindi, il reale stato di infezione, è necessario confermare l’esito diagnostico con accertamenti di tipo anatomo - patologico e istologico (rilevamento delle lesioni tubercolari dopo la macellazione), nonché con accertamenti di tipo microbiologico e biomolecolare, che permettono l’isolamento e l’identificazione dell’agente causale, a conferma o meno dello stato di infezione dell’animale….In tempi relativamente recenti, a supporto di questi strumenti diagnostici, si è aggiunta la prova del gamma (y) interferone (Y-IFN test) …”.

Ad avviso del TAR, poiché la possibilità da parte del test di intradermoreazione di produrre false positività o false negatività non era stata contestata dalle amministrazioni resistenti, che si sono limitate ad evidenziare di essersi attenute ai protocolli previsti da norme nazionali e regionali, “a fronte della documentata negatività dei cinque capi abbattuti … l’amministrazione avrebbe dovuto provvedere ad un approfondimento istruttorio (come peraltro, indicato nella ordinanza di accoglimento della istanza cautelare) al fine di contemperare le esigenze di tutela della salute pubblica con quella di evitare alla ricorrente un inutile sacrificio economico per la propria azienda. La puntuale osservanza dei protocolli statali e regionali non è incompatibile con un supplemento istruttorio diretto a verificare l’effettiva positività degli animali individuati come positivi al test di intradermoreazione”.

5. La ASL di Caserta ha appellato la sentenza, prospettando i tre ordini di censura appresso indicati.

(I) – Violazione dell’art. 2697 c.c. e difetto di motivazione.

Poiché l’allevatore non ha mai avanzato richiesta al Servizio veterinario regionale di applicazione della gamma interferone al fine di eradicare al più presto il focolaio, così come non sono stati prospettati in ricorso vizi nella adozione dei provvedimenti resi nella osservanza dei protocolli, sia statali che regionali, per la adozione degli atti impugnati, ma sono state prospettate soltanto generiche argomentazioni non ancorate a dati fattuali, erroneamente ed in violazione dell’art. 2697, c.c., della d.G.R.C. n. 916/2010, e senza motivazione alcuna, il TAR ha introdotto il metodo acquisitivo sul quale si fonda la decisione adottata.

(II) – Violazione dell’ordinanza del Ministero della sanità 2 gennaio 1993, del d.m. n. 592/1995, della d.G.R. Campania n. 916/2010 e dell’ordinanza del Ministero della salute 28 maggio 2015.

Contrariamente a quel che afferma il TAR, detti atti normativi non possono considerarsi come aventi valore solo esemplificativo e non costituiscono un contenitore che riceve passivamente dati derivanti da ulteriore e discrezionale attività istruttoria dei presidi sanitari, non prevista espressamente;
al contrario, detti atti sono molto dettagliati nella definizione dei reciproci impegni di efficacia vincolante, escludono qualsivoglia forma di autonomia organizzativa ed operativa e margine di discrezionalità e da essi dipende una efficace azione di analisi, studio e concreta eradicazione della malattia.

Ciò non di meno, se i regolamenti e gli atti a contenuto generale su cui si fonda l’atto annullato, erano ritenuti suscettibili di esplicare effetto lesivo con l’adozione degli atti applicativi, gli stessi ben potevano e dovevano impugnarsi unitamente a questi ultimi.

(III) – idem (vengono riproposti i parametri normativi già invocati).

L’ordine da parte del TAR di un incombente istruttorio non previsto comporta la violazione della competenza dello Stato e delle Regioni in materia di prove diagnostiche ufficiali per la eradicazione della Tubercolosi bovina e bufalina, dovendosi affermare di contro che le uniche prove diagnostiche ufficiali e da praticare nella materia che ci occupa sono quelle previste dalla normativa nazionale e regionale vigente.

6. La società appellata si è costituita in giudizio (così come, in proprio, il suo rappresentante legale) ed ha ribadito la correttezza delle argomentazioni della sentenza del TAR (senza riproporre le censure assorbite in primo grado;
in ogni caso, la memoria risulta depositata oltre i termini previsti dall’art. 101, comma 2, cod. proc. amm.).

7. L’appellante ha depositato memoria finale.

8. Le censure dedotte possono essere esaminate congiuntamente, presentandosi come profili complementari di una tesi sostanzialmente unitaria.

Il Collegio osserva anzitutto che la prova del gamma interferone, secondo quanto dedotto dalla ASL di Caserta e non confutato dall’appellata, si attiva su impulso dell’allevatore al fine di eradicare al più presto il focolaio (cfr. all. A, punto 1.C e punto 1.D, d.G.R.Campania n. 916/2010).

Nella specie, la ASL sostiene che l’appellata non aveva a suo tempo presentato alcuna richiesta in tal senso, e al riguardo non vi è specifica confutazione di controparte.

In generale, la ASL ha affermato fin dal primo grado di aver applicato correttamente le disposizioni vigenti in materia di prevenzione e contrasto alla diffusione della tubercolosi negli allevamenti bovini, invocate nell’appello, e tale circostanza non è stata messa in discussione dal TAR, né viene confutata da controparte.

Tuttavia, ad avviso del TAR, la puntuale osservanza dei protocolli statali e regionali di riferimento non sarebbe condizione sufficiente, potendosi integrare il contenuto degli atti normativi con ulteriori attività di accertamento di cui devono ritenersi onerate le strutture sanitarie pubbliche.

Il Collegio sottolinea però che le metodologie indicate negli atti richiamati dalle parti (ordinanza Ministero sanità 2 gennaio 1993, d.m. n. 592/1995, d.G.R. Campania n. 916/2010, ordinanza Ministero salute 28 maggio 2015) come quelle pertinenti al tema, e delle quali la ASL ha fatto applicazione, costituiscono organizzazione e autolimitazione della discrezionalità tecnico-scientifica spettante alle Amministrazioni statale e regionale nella materia della prevenzione della diffusione della malattia della tubercolosi bovina, e riposano sul presupposto della loro idoneità a far fronte alle esigenze di tutela.

Come tali, sottendono, in base a valutazioni basate sull’esperienza e sugli studi scientifici, un punto di equilibrio tra l’interesse pubblico alla più tempestiva e rigorosa tutela igienico-sanitaria e quello dell’allevatore, destinatario dei poteri di vigilanza e controllo, ad evitare l’abbattimento di capi che potrebbe rivelarsi non necessario. In questo senso, la possibilità di false positività/negatività dei capi costituisce un evento contenuto entro margini statistici (quelli sottolineati nella stessa relazione peritale) che, nella valutazione tecnico-discrezionale sottesa alla normativa, sono stati ritenuti accettabili.

Pertanto, come in sostanza ha lamentato la ASL appellante, o si impugnano ritualmente detti atti generali - nella misura in cui, in ipotesi, si ritenga che essi prevedano test non pienamente attendibili, o non più attuali, e ne omettano di più significativi, ovvero ricolleghino a determinati risultati di positività degli animali la conseguenza dell’abbattimento dei capi, ma in modo sproporzionato poiché non prevedono la necessità di approfondimenti, etc. – ma ciò non è avvenuto nel caso in esame, posto che il ricorso di primo grado è stato unicamente rivolto nei confronti degli atti applicativi della ASL;
oppure, non essendo possibile metterne altrimenti in discussione la legittimità ed efficacia, introducendo parametri e metodologie di valutazione integrativi o alternativi, a detti atti generali occorre dare applicazione.

Viceversa, il TAR, seguendo l’impostazione delle censure che facevano leva sull’esito negativo degli ulteriori test effettuati ed attribuendo prevalenza alle considerazioni della relazione peritale di parte, ha in sostanza disapplicato le previsioni degli atti generali che disciplinano l’attività di prevenzione, per affermare che la ASL, nonostante le avesse rispettate, avrebbe comunque dovuto approfondire l’istruttoria ed effettuare test ulteriori e diversi.

Per difendere tale valutazione, non si può sostenere che il TAR abbia compiuto una disapplicazione di atti regolamentari, in quanto, a supporto della necessità di ulteriori approfondimenti istruttori, non è stato invocato il contrasto degli atti generali con una puntuale disposizione di legge, ma soltanto un’opinione tecnico-scientifica;
vale a dire, il TAR ha fatto propria una valutazione tecnico-discrezionale prescindendo dalla disciplina vigente. Dunque, anche ammettendo il potere di disapplicazione entro margini più ampi di quelli riconosciuti dall’orientamento prevalente, nel caso in esame non ne sussisterebbero comunque i presupposti.

Neanche la circostanza che in favore della azienda appellata fosse in precedenza intervenuta una sentenza favorevole del TAR in esito all’impugnazione di provvedimenti analoghi, poteva esonerare dall’impugnare gli atti generali di cui si è fatta applicazione.

Resta da precisare che in primo grado erano stati contestati anche la violazione dell’art. 7 della legge 241/1990 per omessa adeguata partecipazione procedimentale e l’uso nel test di intradermoreazione di siringhe non conformi alla norma, ma dette censure, assorbite in primo rado, non risultano adeguatamente riproposte in appello e pertanto non possono essere scrutinate.

9. Da quanto esposto discende l’accoglimento dell’appello, non potendosi ritenere illegittimi i provvedimenti impugnati in primo grado.

10. Non è superfluo aggiungere che dall’attestazione della ASL in data 22 settembre 2017, versata in atti dall’appellata, risulta che gli animali dell’allevamento dell’appellata hanno presentato esito negativo ai controlli diagnostici effettuati in data 25 luglio 2017, e quindi l’allevamento è stato riconosciuto “ufficialmente indenne da tubercolosi” - oltre che da brucellosi (attestazione valida fino al 30 giugno 2018).

Poiché l’azione amministrativa deve essere sempre riferita alle risultanze del quadro fattuale aggiornato, non pare dunque esservi più motivo per eseguire l’ordine di abbattimento dei capi superstiti.

Può infine sottolinearsi che la stessa ASL ha ribadito la spettanza all’azienda appellata delle indennità di cui alla legge 615/1994 ed all’art. 8 della ordinanza del Ministero della salute del 28 maggio 2015, a fronte dell’abbattimento e della macellazione dei cinque capi bufalini risultati positivi al test di intradermoreazione per la tubercolosi.

11. Le spese del doppio grado di giudizio, considerata la natura della controversia, possono essere compensate tra le parti.

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