Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-04-16, n. 201802268

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-04-16, n. 201802268
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201802268
Data del deposito : 16 aprile 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 16/04/2018

N. 02268/2018REG.PROV.COLL.

N. 06840/2012 REG.RIC.

N. 07170/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sull’appello n. 6840 del 2012, proposto dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e l’Università di Salerno, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Il signor F C, rappresentato e difeso dall'avvocato L M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato E M M in Roma, Piazza di Pietra, n. 63;



sul ricorso numero di registro generale 7170 del 2012, proposto dall’Università degli Studi di Salerno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Il signor F C, non costituito in giudizio;

per la riforma

quanto ad entrambi i ricorsi n. 7170 del 2012 n. 6840 del 2012:

della sentenza del T.a.r. Campania - Sez. staccata di Salerno, Sezione I n. 389/2012, resa tra le parti, concernente il diniego di immatricolazione al corso di laurea in medicina per l'anno accademico 2011/2012.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione del signor F C, nel giudizio n. 6840 del 2012;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 marzo 2018 il Cons. Italo Volpe e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Marco Stigliano Messuti e l’avvocato E M M, su delega dell'avvocato L M;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Col primo ricorso in epigrafe n.r.g. 6840/2012, il Ministero dell’università, dell’istruzione e della ricerca ha impugnato la sentenza del Tar della Campania, Sezione di Salerno, n. 389/2012, che – a spese compensate – ha accolto l’originario ricorso proposto dall’appellato avverso:

- il bando di concorso dell’Università degli Studi di Salerno– per 180 posti per i cittadini comunitari e 10 posti per i cittadini extracomunitari, non ricompresi nella l. 30 luglio 2002, n. 189, per l’ammissione alla facoltà di medicina e chirurgia –, qualora lo stesso dovesse intendersi nel senso d’impedire lo scorrimento della graduatoria in caso di vacanze tra i posti riservati a cittadini extracomunitari;

- il decreto rettorale n. 51720 del 27 dicembre 2011, che ha respinto la sua domanda di immatricolazione.

1.1. La sentenza impugnata n. 389 del 2012 ha premesso che l’originario ricorrente s’era classificato 218° con un punteggio (41,25) superiore a quello (20) necessario per l’idoneità e che lo stesso aveva inutilmente chiesto, per l’immatricolazione, di fruire di uno dei posti, rimasti vacanti, riservati ai cittadini extracomunitari.

Ciò posto, il TAR ha rilevato che ad un primo esame, le regole sul numero chiuso per le immatricolazioni si baserebbero sull’esigenza di consentire la razionalizzazione del numero dei medici da immettere sul mercato del lavoro in ambito comunitario in rapporto al fabbisogno occupazionale, nonché sulla considerazione che la quota riservata agli extracomunitari residenti all’estero sarebbe finalizzata alla formazione di personale che, una volta conseguito il titolo di studio, è destinato a rientrare nel paese di origine, senza incidenza sulla situazione occupazionale italiana, riferibile ai soli cittadini comunitari e a quelli extracomunitari residenti in Italia (e si potrebbe considerare, dunque, norma eccezionale quella dell’art. 1, comma 2, della legge n. 133/2001, che ha consentito di utilizzare i posti vacanti riservati agli studenti extracomunitari in relazione all’anno accademico 1999/2000).

Il TAR ha però ritenuto preferibile la tesi opposta, rilevando che:

a) dal punto di vista giuridico, la ratio della previsione di un numero chiuso per le immatricolazioni (art. 3, comma 1, lett. a), della legge n. 264/1999) riguarderebbe la valutazione della potenzialità dell’offerta formativa universitaria, rispetto alla quale la considerazione del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo si porrebbe come criterio subalterno e perciò non vincolante;

b) non si potrebbe ravvisare la regola della non utilizzabilità dei posti residui vacanti (per quanto originariamente riservati agli extracomunitari non residenti), dato che anche il numero di questi posti viene determinato in relazione alla stimata potenzialità formativa di un Ateneo;

c) nulla poi escluderebbe che gli extracomunitari non residenti, una volta laureatisi, rimangano in Italia a lavorare, incidendo così sulla situazione occupazionale italiana (col che si smentisce che la programmazione del numero delle immatricolazioni terrebbe conto – secondo l’opposta tesi – dell’esigenza di considerare la prefigurazione di un dato numero di successivi occupati laureati);

d) nemmeno potrebbe escludersi che un certo numero di immatricolati residenti (italiani e non) abbandonino poi il ciclo di studi, alleggerendosi di riflesso la relativa incidenza sulla situazione occupazionale in Italia;

e) dal punto di vista dell’interesse pubblico generale, l’immatricolazione di un numero di studenti inferiore a quello consentito dalla potenzialità recettiva delle Università contrasterebbe con la dichiarata finalità pubblica della programmazione delle immatricolazioni (ossia la piena occupazione delle potenzialità, coi correlativi, positivi riflessi sulle entrate degli Atenei);

f) confrontando la disciplina degli accessi programmati ai corsi di laurea delle professioni sanitarie con quella dell’altrettanto programmato accesso ai corsi di laurea in medicina e chirurgia, si noterebbe che la prima non distinguerebbe tra i posti destinati agli extracomunitari non residenti e quelli disponibili per gli altri studenti, sicché si potrebbe affermare che l’art. 1, comma 2, della legge n. 133/2001 non sia norma eccezionale, quanto piuttosto disposizione pur sempre espressiva di un principio generale;

g) la non breve durata del corso di laurea in medicina e chirurgia fa sì che le stime di fabbisogno professionale del mercato del lavoro di riferimento possano subire scostamenti, in funzione della realtà occupazionale che via via si determina, onde tali stime neppure potrebbero essere considerate con un rigido criterio applicativo;

h) rileverebbe il principio costituzionale sul diritto allo studio, idoneo a giustificare lo scorrimento delle graduatorie degli idonei anche sui posti, rimasti vacanti, originariamente computati come disponibili per gli extracomunitari non residenti.

2. L’appello del Ministero ha richiamato i principi enunciati da questa Sezione con la sentenza n. 5593/2011, la quale – in un caso in cui lo studente non aveva concorso per uno dei posti disponibili per gli studenti extracomunitari non residenti – ha rilevato che tra le due aliquote di posti (quella per gli extracomunitari non residenti e quella dei cittadini comunitari ed extracomunitari residenti) non è contemplata la migrazione e che la normativa di riferimento ha preso in considerazione (ai fini della stima dei posti disponibili per immatricolazioni) non solo la potenzialità recettiva delle Università, ma anche il fabbisogno professionale nel mercato del lavoro dei laureati in questione, sicché si deve tenere conto anche di questo secondo criterio valutativo.

3. Nel giudizio così instaurato si è costituito l’originario ricorrente.

4. Col secondo ricorso in epigrafe n.r.g. 7170/2012, anche l’Università ha impugnato la sentenza di primo grado, articolando censure analoghe a quelle formulare dal Ministero.

5. Le cause, chiamate alla pubblica udienza di discussione del 22 marzo 2018, sono state ivi trattenute in decisione.

6. Gli appelli devono essere in primo luogo riuniti, tenuto conto che sono tati proposti avverso la medesima sentenza.

7. Ad avviso delle Amministrazioni appellanti, l’art. 1 della legge n. 264/1999 ha previsto la programmazione del numero chiuso (per la facoltà di medicina e chirurgia) relativamente ai posti destinati agli studenti comunitari ed a quelli extracomunitari residenti, distinguendoli in modo tale che non è possibile incrementare il numero destinati agli studenti comunitari, per il caso in cui restino disponibili e non coperti tutti i posti destinati agli studenti extracomunitari non residenti.

Esse hanno dedotto che:

- rileva la “valutazione dell'offerta potenziale del sistema universitario, tenendo anche conto del fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo”;

- la programmazione di posti per studenti extracomunitari non residenti genera una “aliquota differenziata di posti”, di cui non si possono avvalere gli studenti comunitari.

8. Ritiene il Collegio che l’appello risulta fondato e va accolto.

8.1. Quanto alla sussistenza dell’interesse dell’appellato e dell’interesse delle Amministrazioni appellanti alla definizione del secondo grado del giudizio, rileva il Collegio che:

- l’appellato – a seguito dell’iscrizione presso la facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Salerno – ha positivamente superato gran parte degli esami previsti ed è sostanzialmente prossimo a conseguire il diploma di laurea, sicché vi è il suo evidente interesse alla riaffermazione dell’illegittimità dell’originario atto del Rettore n. 51720 del 27 dicembre 2011;

- le Amministrazioni appellanti, nel confermare la circostanza di fatto esposta dall’appellato, nel corso del giudizio hanno insistito per l’accoglimento del proprio atto d’appello, affinché si affermi un principio di diritto avente carattere generale e, inoltre, si precluda la proposizione di eventuali domande risarcitorie, basate sulla illegittimità dell’atto – riscontrata dal TAR – di mancato accoglimento dell’istanza di iscrizione.

8.2. Stando così le cose, rileva il Collegio che – in ragione della loro soccombenza determinata dalla sentenza di primo grado – le Amministrazioni appellanti hanno interesse ad ottenere la riforma della medesima sentenza, col rigetto del ricorso di primo grado.

Tuttavia, come si rileverà al successivo § 10, le circostanze accadute nel corso del giudizio vanno poste a base delle statuizioni conseguenti all’esercizio dei poteri conformativi, spettanti al giudice amministrativo all’esito del giudizio di legittimità.

9. Ciò posto, come detto, ritiene il Collegio che l’appello risulta fondato e va accolto.

Come ha più volte rilevato la Sezione (con le sentenze n. 5593 del 18 ottobre 2011 e n. 7622 del 30 dicembre 2005;
cfr. inoltre Sez. II, 7 giugno 2000, n. 735), la normativa sulla riserva di posti agli extracomunitari non residenti “ è finalizzata alla formazione del personale che, dopo il conseguimento del titolo di studio, è destinato a rientrare al proprio Paese di origine, senza alcuna incidenza sulla situazione occupazionale italiana, la quale, invece, resta incisa dagli extracomunitari con regolare permesso di soggiorno ”: pur se l’art. 3, comma 1, lettera a) della legge n. 264 del 1999 attribuisce rilievo alla “ offerta potenziale del sistema universitario” , il criterio rilevante in materia è quello del “fabbisogno di professionalità del sistema sociale e produttivo ”, inciso tendenzialmente non dagli studenti extracomunitari non residenti in Italia, ma dai cittadini italiani e comunitari e da quelli extracomunitari residenti in Italia.

Il Collegio ritiene dunque di non poter condividere l’opposto orientamento riconducibile alla sentenza di questa Sezione n. 5434 del 2009.

Infatti, l’attribuzione agli studenti comunitari dei posti riservati agli studenti extracomunitari – in quanto non consentita dalla normativa ‘a regime’ – può avere luogo soltanto quando vi sia una espressa disposizione di legge che la consenta (come è avvenuto, in relazione all’anno accademico 1999-2000, con l’art. 1, comma 2, della legge 27 marzo 2001, n. 133).

9. Per le ragioni che precedono, l’appello risulta fondato, sicché – in riforma della sentenza impugnata – il ricorso di primo grado risulta infondato e va respinto.

10. Come osservato al § 8, il Collegio ritiene a questo punto di dover precisare quali siano le conseguenze della presente sentenza, con riferimento alla posizione individuale dell’appellato.

10.1. E’ incontestato tra le parti che l’appellato ha positivamente superato gran parte degli esami previsti ed è sostanzialmente prossimo a conseguire il diploma di laurea.

Ciò è accaduto anche in ragione delle vicende che hanno caratterizzato il secondo grado del giudizio:

il Ministero appellante, pur avendo proposto una domanda cautelare incidentale, volta a far sospendere l’esecutività della sentenza impugnata, ha depositato a suo tempo un atto di rinuncia alla medesima istanza, di cui questa sezione ha preso atto con l’ordinanza n. 4222 del 24 ottobre 2012;

la definizione degli appelli avviene a distanza di anni dalla loro proposizione.

10.2. Il Collegio condivide l’orientamento per il quale il giudice amministrativo – anche in sede di cognizione – nell’esercizio dei propri poteri conformativi può determinare quale sia la regola più giusta, che regoli il caso concreto, tenendo conto della normativa applicabile nella materia in questione e dell’esigenza che non si producano conseguenze incongrue o asistematiche (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6 aprile 2018, n. 2133;
Ad. Plen., 22 dicembre 2017, n. 13;
Sez. VI, n. 2755 del 2011): tale potere conformativo può essere esercitato dal giudice amministrativo anche per chiarire gli effetti di una propria sentenza che si pronunci quando sussista ‘ una obiettiva e rilevante incertezza circa la portata delle disposizioni da interpretare ’.

10.3. Nella specie, per affermare la salvezza dell’atto di ammissione e di superamento degli esami (conseguenti all’esito del giudizio di primo grado), non rileva il testo dell’art. 4, comma 2 bis, del d.l. 30 giugno 2005, n. 115 (come convertito nella legge 17 agosto 2005, n. 168), poiché esso – pur mirando alla stabilità degli effetti degli atti emanati in conseguenza di pronunce del giudice amministrativo – si è testualmente riferito ai casi in cui, per il conseguimento di una abilitazione professionale o di un titolo, occorra il superamento di “ prove d’esame scritte ed orali ”, che siano state superate a seguito di una ammissione conseguente alle statuizioni del giudice amministrativo.

10.4. Il Collegio ritiene che, nel caso di specie, vi sia ugualmente una situazione di affidamento, con avvio in buona fede di un articolato percorso di studio, quasi completato, che merita un trattamento non dissimile a quello previsto dal sopra richiamato art. 4- bis quando vi sia stato il conseguimento di una abilitazione professionale o di un titolo nei casi ivi previsti.

Come ha osservato la Corte Costituzionale, al § 3 della motivazione della sentenza n. 108 del 2009, per il legislatore “ vi sono l'interesse a evitare che gli esami si svolgano inutilmente, quello a evitare che la lentezza dei processi ne renda incerto l'esito e, soprattutto, l'affidamento del privato, il quale abbia superato le prove di esame e – in ipotesi – avviato in buona fede la relativa attività professionale. Dal punto di vista dell'interesse generale, vi è anche un'esigenza di certezza, sia in ordine ai tempi di conclusione dell'accertamento dell'idoneità dei candidati, sia in ordine ai rapporti instaurati dal candidato nello svolgimento dell'attività professionale ”.

Ad avviso del Collegio, il notevole decorso del tempo e il superamento di quasi tutti gli esami universitari giustificano, nella specie, l’applicazione del principio sancito dal sopra richiamato art. 4- bis .

10.5. L’affermazione in questa sede della salvezza degli esami superati dall’appellato risulta peraltro coerente con il complessivo comportamento processuale delle Amministrazioni appellanti.

Con la dichiarazione di rinuncia alla definizione della domanda incidentale cautelare (poi rilevata dall’ordinanza di questa Sezione n. 4222 del 24 ottobre 2012) e con il successivo comportamento processuale, le Amministrazioni appellanti hanno evidenziano che esse hanno coltivato l’appello per ottenere la riaffermazione in linea di principio e anche pro futuro della legittimità dell’atto di esclusione e per evitare eventuali domande risarcitorie basate su di esso.

Le Amministrazioni, pur nella consapevolezza che il decorso del tempo avrebbe comportato l’ordinaria attività accademica da parte dell’appellato, non si sono avvalse del rimedio processuale che, in pendenza del giudizio d’appello, in ipotesi avrebbe potuto evitare la profusione del relativo impegno per il superamento degli esami.

Anche per questa ragione, mirando precipuamente le Amministrazioni appellanti alla riaffermazione di un principio di diritto, non sussistono i presupposti per ritenere giustificabile lo sconvolgimento e la caducazione del percorso universitario, seguito dall’appellato.

11. Conseguentemente, gli appelli – previa loro riunione – vanno accolti e per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, va respinto il ricorso di primo grado, con la precisazione che il principio di diritto che ne deriva non incide pregiudizievolmente sulla situazione concreta dell’appellato.

Sussistono giustificati motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

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