Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2018-06-08, n. 201803489
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Testo completo
Pubblicato il 08/06/2018
N. 03489/2018REG.PROV.COLL.
N. 02094/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2094 del 2009, proposto da
Gi Aunziata in qualità di coerede di D L, D R in qualità di coerede di D L, rappresentati e difesi dagli avvocati L T, S T, con domicilio eletto presso lo studio Lodovico Visone in Roma, via del Seminario n. 113/116;
D G in qualità di coerede di D L, D V in qualità di coerede di D L, D D in qualità di coerede di D L, D M in qualità di coerede di D L, D S in qualità di coerede di D L, D M in qualità di coerede di D L, D E in qualità di coerede di D L, non costituiti in giudizio;
contro
Comune di Napoli, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Tarallo, Antonio Andreottola, Fabio Maria Ferrari, Bruno Ricci, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Quinta) n. 21503/2008, resa tra le parti, concernente il pagamento di stipendi non corrisposti per l’allontanamento dal servizio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 giugno 2018 il Cons. Paolo Giovanni Nicolò Lotti e uditi per le parti gli avvocati Erra in dichiarata delega di Tozzi e Scafarelli su delega di Ricci;
FATTO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, sez. V, con sentenza 29 dicembre 2008, n. 21503, ha respinto il ricorso proposto dall'attuale parte appellante per l’accertamento del diritto del ricorrente a percepire le retribuzioni non corrispostegli e per la conseguente condanna dell'intimato Comune al pagamento in favore del ricorrente degli stipendi non corrisposti relativamente al periodo in cui in, detratti gli assegni alimentari percepiti, nella misura di curo 51.587,96, oltre rivalutazione ed interessi successivi sulle somme sopra riconosciute spettanti.
Secondo il TAR, sinteticamente:
- il ricorso, pur afferendo a questione antecedente alla data del 30 giugno 1998 (pagamento delle retribuzioni dal' marzo 1992 al luglio 1995), è stato proposto dopo il termine decadenziale del 15 settembre 2000, in quanto notificato e depositato il 27 marzo 2004;
- pertanto, il ricorso è inammissibile, ai sensi dell'art. 45, comma 17, d.lgs. n. 80-1998, abrogato ad opera dell'art. 72, comma 1, lett. bb) d.lgs. n. 165-2001, ma riprodotto, con diversa formulazione, nell'art. 69, comma 7, del medesimo Decreto, ha attribuito al giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro le controversie di cui all'art. 68 d.lgs. n. 29-1993 relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998;
- pertanto, è irrilevante ai fini della prosecuzione del processo la circostanza dell'avvenuto decesso del ricorrente originario D, comunicata dalla difesa del Comune resistente in giudizio, anche previa allegazione in giudizio del certificato di morte;
- infatti, ai sensi dell'art. 299 c.p.c., un tale evento per determinare l'interruzione del processo occorre che sia dichiarato in udienza dal difensore della parte deceduta;
- anche a voler considerare che la medesima azione era stata instaurata innanzi al Pretore del Lavoro di Napoli che, con sentenza n. 8578 del 26.5.2000, aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, il ricorrente non può beneficiare neanche degli effetti conservativi derivanti dalla c.d. translatio iudicii, secondo quanto rilevato nella sentenza n. 77-2007 della Corte Costituzionale;
- infatti, attraverso l'applicazione analogica dell'art. 50 c.p.c., solo entro sei mesi dalla comunicazione della sentenza che dichiara il difetto di giurisdizione può essere riassunto il processo innanzi al giudice munito di giurisdizione.
La parte appellante, nella persona dei sigg. Gi Aunziata, D G, D V, D D, D M, D S, D M e D E, tutti nella qualità di coeredi del de cuius sig. Luigi D, contestava la sentenza del TAR deducendone l’erroneità per i seguenti motivi:
- errore scusabile in relazione alla mancata osservanza del termine di cui all’art.69, comma 7, d.lgs. n. 165-2001 in seguito ad atti interruttivi della prescrizione del diritto azionato;
- tempestività del ricorso e impossibilità di una estinzione del diritto all'azione se non in chiave di violazione di principi costituzionali;
- difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Con l'appello in esame chiedeva la riforma della sentenza di primo grado.
Si costituiva il Comune appellato chiedendo il rigetto dell'appello.
All’udienza pubblica del 7 giugno 2017 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L'appello è infondato.
Infatti, secondo la ormai consolidata giurisprudenza amministrativa, civile e costituzionale, in tema di pubblico impiego, le controversie relative a questioni attinenti al rapporto di lavoro anteriore alla data del 15 settembre 2000 restano attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ma debbono essere state proposte entro il suddetto termine.
Tale data, entro la quale, nell'ambito del rapporto di impiego pubblico, le controversie relative al periodo del rapporto di lavoro precedente il 30 giugno 1998 dovevano essere proposte, è stata concepita dal legislatore non già quale limite alla persistenza della giurisdizione suddetta, ma quale termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale: con il che, elasso il termine ne ultra quem, la domanda non può più essere proposta né innanzi al giudice amministrativo né davanti al giudice ordinario. (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 16 febbraio 2015, n. 785).
Peraltro, anche di recente, la Corte Costituzionale (con sentenza 18 gennaio 2018, n. 6) ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell' articolo 69, comma 7, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 in riferimento all'articolo 117, primo comma, della Costituzione e al parametro interposto dalle norme Cedu come acclarato dalla sentenza della Corte Edu, nella parte in cui stabilisce il termine di decadenza del 15 settembre 2000 per la proposizione, davanti al giudice amministrativo, delle controversie riguardanti rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, se relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore alla data del 30 giugno 1998, poiché la Corte Edu, nelle sentenze Mottola e Staibano, ha censurato il diniego di accesso alla giustizia conseguente al mutamento di indirizzi giurisprudenziali nella specie insussistente alla luce del diritto vivente nazionale, mentre ha riconosciuto che il termine fissato dalla norma è "finalizzato alla buona amministrazione della giustizia" e "in sé non eccessivamente breve".
Peraltro, la legittimità della scelta del legislatore di prevedere un termine di decadenza sarebbe stata già accertata dalla Corte costituzionale con l'ordinanza n. 213-2005, che ha giustificato tale misura processuale con effetti sostanziali, in quanto è idonea a prevenire il temuto sovraccarico di entrambi i giudici investiti del contenzioso del pubblico impiego ed idonea, altresì, a realizzare tra di essi un ordinato riparto di tale contenzioso, con l'evitare che per la medesima concreta controversia fosse previsto il succedersi, nel tempo, della giurisdizione di un giudice a quella di una altro giudice.
2. Peraltro, la giurisprudenza della Corte di cassazione, quanto meno dal 2001 (Sezioni Unite civili, 27 marzo 2001, n. 139;4 giugno 2002, n. 8089;30 gennaio 2003, n. 1511;3 maggio 2005, n. 9101;3 novembre 2005, n. 21289;27 febbraio 2013, n. 4846;30 settembre 2014, n. 20566), afferma che l'art. 69, comma 7, in esame, non pone una questione di riparto di giurisdizione, ma di decadenza dall'azione, con la conseguenza che il giudice regolatore della giurisdizione ha sempre escluso la cognizione del giudice ordinario sulle controversie in esame.
Inoltre, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 69, comma 7, sollevate sulla base di diversi parametri interni sono state sempre rigettate dalla Corte Costituzionale (ordinanze n. 197-2006, n. 328 e n. 213-2005, n. 214-2004).
Tale uniformità giurisprudenziale ai massimi livelli, impedisce di concepire la sussistenza nel caso di specie, di un effetto sorpresa derivante dai mutamenti giurisprudenziali, con la conseguenza che è inapplicabile l'istituto della rimessione in termini per errore scusabile, invocato dalle parti appellanti.
Questa Sezione ha, inoltre, già chiarito che l'art. 45, comma 17, d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e la decadenza ivi prevista (così come quella analoga di cui all’art. 69 d.lgs. n. 165-2001), rispondono all'esigenza pubblica di assicurare la chiara ripartizione della giurisdizione in tema di pubblico impiego tra autorità giurisdizionale ordinaria e autorità giurisdizionale amministrativa, e la norma non presenta apprezzabili profili di incertezza, tali da consentire la concessione dell'errore scusabile e la conseguente rimessione in termini (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 16 settembre 2011, n. 5182).
5. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.
Le spese di lite del presente grado di giudizio possono essere compensate, sussistendo giusti motivi.