Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-01-28, n. 201400432

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-01-28, n. 201400432
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201400432
Data del deposito : 28 gennaio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06496/2012 REG.RIC.

N. 00432/2014REG.PROV.COLL.

N. 06496/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso r.g.a.n. 6496/2012, proposto da L M, rappresentato e difeso dall'avvocato M M, con domicilio eletto presso lo studio legale Delli Santi in Roma, via Monserrato, 25;

contro

il Comune di Lizzano, in persona del sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati G C e R N, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Giuseppe Placidi, in Roma, via Cosseria, 2,

per la riforma della sentenza del T.a.r. Puglia, Lecce, sezione I, n. 1281/2012, resa tra le parti e concernente il denegato ampliamento di un’area in concessione demaniale.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati, con tutti gli atti e i documenti di causa.

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Lizzano appellato.

Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 9 gennaio 2014, il Consigliere C C e uditi, per le parti, l’avvocato M M e l'avvocato G C.

Ritenuto e considerato, in fatto e diritto, quanto segue.


FATTO

A) L M riferisce di essere titolare, già dal giugno del 2005, di una concessione demaniale marittima per l’esercizio di uno stabilimento balneare sul litorale del Comune di Lizzano (LE) e di avere impugnato dinanzi al T.a.r. della Puglia, Lecce (con ricorso n. 970/2012) il provvedimento in data 21 giugno 2012, con cui detto comune aveva respinto l’istanza da lui proposta al fine di ottenere l’ampliamento dell’estensione dell’area in concessione (da mq.

1.276 a mq. 2.825).

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale amministrativo adìto ha respinto il ricorso, ritenendo che la pretesa di ottenere l’ampliamento dell’area data in concessione non trovasse un fondamento nella pertinente normativa regionale (in particolare: v. legge regionale 23 giugno 2006 n. 17, recante ‘ disciplina della tutela e dell’uso della costa ’).

B) La sentenza in questione è stata impugnata dall’interessato Monopoli, il quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi:

Con il primo motivo l’appellante lamenta che la motivazione posta a fondamento dell’atto comunale di diniego (e consistente nella mancata approvazione del piano comunale delle coste) risulterebbe in contrasto con il richiamato art. 17, che non inibirebbe in via assoluta l’esercizio dell’attività concessoria dei comuni nelle more dell’approvazione dei piani comunali delle coste.

Sotto tale aspetto, la sentenza in epigrafe sarebbe caduta in un’insanabile contraddizione, laddove:

- per un verso ha affermato che, a seguito dell’approvazione del piano regionale delle Coste (9 novembre 2011), e nelle more dell’approvazione dei rispettivi piani comunali, gli enti locali potrebbero ( rectius : dovrebbero) esercitare comunque l’attività concessoria, applicando in via diretta le prescrizioni rinvenienti dal p.r.c.;

- per altro verso ha affermato che, in assenza della pianificazione comunale (costituente un fondamentale ‘ tassello del mosaico ’ disciplinare - sic - per l’uso delle coste nella regione Puglia), non potrebbe comunque consentirsi l’esercizio dell’attività concessoria.

Con il medesimo motivo di ricorso l’appellante contesta il passaggio della sentenza con cui si è richiamata la previsione dell’art. 16, legge regionale n. 17/2006 (secondo cui una quota non inferiore al 60 per cento del territorio demaniale marittimo di ciascun comune costiero sarebbe riservata all’uso pubblico e alla libera balneazione).

I primi giudici hanno affermato che tale previsione normativa confermerebbe il convincimento secondo cui dovrebbe necessariamente essere rimessa alla pianificazione comunale la determinazione della quantità e dell’ubicazione delle aree da destinare – rispettivamente – alla libera balneazione e alla concessione a soggetti privati.

C) Secondo l’appellante, tale parte della sentenza sarebbe erronea per non essersi adeguatamente considerato che il piano regionale (approvato nel novembre 2011 e allo stato pienamente efficace) potrebbe costituire ex se e in modo adeguato un parametro orientativo per il legittimo esercizio dell’attività concessoria da parte dei comuni.

Allo stesso modo, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per avere il primo giudice affermato che l’eventuale esercizio da parte dei comuni del’attività concessoria, nelle more dell’adozione dei singoli piani comunali, determinerebbe un “ pregiudizio non scongiurabile ” in danno della stessa attività di pianificazione a livello regionale e comunale, provocando una sorta di permanente pregiudizio, che neppure potrebbe dirsi scongiurato in ragione del carattere comunque temporaneo delle concessioni.

Sotto questo aspetto, il Tribunale territoriale avrebbe omesso di tenere in adeguata considerazione le previsioni della stessa legge regionale n. 17/2006 (e, segnatamente, del comma 7 dell’art. 16) e del conseguente piano regionale, intesi – appunto – a regolare, mediante espresse disposizioni di carattere transitorio, il passaggio a regime delle disposizioni della complessiva pianificazione in tema di coste, pure in presenza di concessioni rilasciate nelle more del completamento del complesso processo di pianificazione (regionale e comunale).

Con il secondo motivo di appello, l’attuale appellante L M ha lamentato il mancato esame, da parte dei primi giudici, degli ulteriori motivi di ricorso proposti in primo grado e compendiati nella formula dell’eccesso di potere e della violazione di legge sotto svariati profili.

Si è costituito in giudizio il Comune di Lizzano, il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Alla pubblica udienza del 9 gennaio 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del collegio il ricorso in appello proposto dal titolare di una concessione demaniale marittima sul litorale del Comune di Lizzano (LE) avverso la sentenza del T.a.r. della Puglia, Lecce, con cui era stato respinto il ricorso dal medesimo proposto avverso il provvedimento comunale recante rigetto dell’istanza vòlta a ottenere l’ampliamento dell’area demaniale data in concessione.

2. L’appello è fondato.

2.1. Come è stato osservato sia dal Tribunale di prima istanza sia dall’appellante, il fulcro della controversia consiste nello stabilire se, in base alla pertinente normativa regionale pugliese, possa ritenersi che, all’indomani della definitiva approvazione del piano regionale delle coste, ma nelle more dell’adozione dei singoli piani comunali, agli enti locali sia comunque consentito o resti precluso l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di demanio marittimo, tramite il rilascio di nuove concessioni (ovvero – come nel caso in esame – attraverso l’ampliamento di concessioni già in precedenza assentite).

2.2. Allo stesso modo, sia i primi giudici, sia le parti in causa concordano nel ritenere che la questione debba essere affrontata e risolta avendo riguardo – per un verso – alle previsioni di cui agli artt. 16 e 17, legge regionale n. 17/2006 e – per altro verso – alle stesse prescrizioni desumibili dal piano regionale approvato nel novembre del 2011.

Essi, tuttavia, pervengono a conclusioni diametralmente opposte per quanto riguarda gli esiti della richiamata operazione ermeneutica.

2.2.1. Come si è detto in precedenza, infatti, il Comune di Lizzano e il T.a.r. salentino ritengono che le previsioni di cui agli artt 16 e 17 della richiamata legge regionale non consentano il pieno esercizio dell’attività concessoria da parte dei comuni, nelle more dell’approvazione dei singoli piani delle coste.

Secondo questa tesi, non può negarsi che all’indomani dell’approvazione del p.r.c. la ripresa dell’attività concessoria da parte dei comuni risulti doverosa, in quanto “ esplicazione della naturale obbligatorietà dell’azione amministrativa, nell’osservanza del piano regionale ” (pag. 4 della sentenza impugnata).

Il punto è che, sempre in base a tale tesi, “ individuare nel piano regionale delle coste la fonte normativa cui deve necessariamente uniformarsi lo spettro completo dell’attività amministrativa, nell’attesa del piano comunale, porterebbe al pregiudizio dello stesso, non scongiurabile dalla temporaneità delle concessioni per le aspettative che una concessione temporanea determina

Quindi, secondo la richiamata tesi, la ripresa dell’attività concessoria da parte dei comuni richiederebbe in via necessaria che questi ultimi avessero previamente approvato i rispettivi piani: tasselli imprescindibili di un ‘ mosaico’ disciplinare che solo una volta completato consentirebbe il riavvio della richiamata attività concessoria.

Secondo il primo giudice, del resto, ai soggetti interessati che si vedessero precludere l’esercizio in proprio favore dell’attività concessoria resterebbe pur sempre uno strumento di tutela in sede giurisdizionale, rappresentato dall’azione avverso l’inerzia del comune nell’adozione e nella successiva approvazione del proprio piano.

2.3. L’approccio in questione non può essere condiviso, in quanto contrastante con il pertinente quadro normativo e – lato sensu – disciplinare.

2.3.1. La legge regionale pugliese 23 giugno 2006 n. 17 ha profondamente modificato la normativa regionale in tema di tutela e uso della costa, nonché – ai fini che qui rilevano – in tema di esercizio dell’attività amministrativa in materia di concessioni demaniali marittime, in precedenza recata dalla legge regionale 4 agosto 1999 n. 25.

Mette qui conto richiamare le disposizioni transitorie di cui all’art. 17, legge regionale n. 17/2006, cit..

In particolare:

- il comma 1 dell’art. 17 ha stabilito che, nelle more dell’approvazione del piano regionale delle coste, avrebbe dovuto considerarsi sostanzialmente precluso il rilascio di nuove concessioni, rimanendo consentito ai comuni (fra l’altro ) il rinnovo delle concessioni già in precedenza rilasciate;

- il successivo comma 2 ha, invece, stabilito che “ fino all’approvazione dei p.c.c. i comuni applicano, nell’attività concessoria, esclusivamente le disposizioni rivenienti dal p.r.c. ”.

2.4. Ebbene, questo essendo il quadro normativo e sistematico di riferimento, il collegio ritiene che possano trarsene le seguenti conclusioni.

In primo luogo, il raffronto fra i commi 1 e 2 dell’art. 17, cit. rende chiaro che:

- nelle more dell’approvazione del p.r.c., il legislatore regionale ha ritenuto d’inibire in via generale l’esercizio dell’attività concessoria (in specie, in sede di rilascio di nuove concessioni), onde evitare che tale rilascio, avvenendo nella totale assenza di un qualunque quadro disciplinare di riferimento, producesse una sorta di ‘effetto di spiazzamento’ in danno della complessiva regolamentazione d’imminente adozione e attuazione.

A tal fine, il novero delle attività comunque consentite nel corso di tale delicatissimo frangente temporale veniva individuato attraverso la tecnica del ‘ numerus clausus ’ ( ex art. 17, comma 1, lettere da a) a f) ), con elencazione evidentemente tassativa e inestensibile;

- al contrario, all’indomani dell’approvazione del p.r.c. e nelle more dell’approvazione dei singoli p.c.c., il legislatore regionale – con formula volutamente ampia – ha ammesso il riavvio da parte dei comuni dell’attività concessoria in tutta la sua estensione (è da ritenersi: anche attraverso il rilascio di nuovi titoli concessori, cui è certamente da assimilare l’ampliamento fisico delle preesistenti concessioni, come nel caso che qui viene in rilievo).

L’unico limite espresso che la richiamata legge regionale pone al riespandersi dei poteri, prerogative e facoltà ricollegabili all’esercizio dell’attività concessoria è rappresentato dal fatto che essa debba avvenire in applicazione “ [delle] disposizioni rivenienti dal p.r.c. ”.

Quindi, il legislatore regionale ha reso chiaro come l’approvazione del p.r.c. costituisse il presupposto – per così dire – necessario e sufficiente per ammettere il riavvio dell’attività concessoria, da parte dei comuni, e come dovessero conseguentemente essere limitate a casi residuali le ipotesi in cui la mancata approvazione del p.c.c. sarebbe risultata ostativa all’assenso per nuove concessioni.

2.4.1. In definitiva, all’indomani dell’approvazione del p.r.c. (e nelle more dell’approvazione dei singoli p.c.c.), la regola è rappresentata dalla possibilità di procedere al rilascio delle concessioni (e a tal fine i comuni dovranno rinvenire nell’ambito delle dettagliate previsioni dello stesso p.r.c. i relativi presupposti, condizioni e limiti), mentre l’eccezione sarà rappresentata dalle ipotesi – a questo punto, residuali – in cui la mancata approvazione dei p.c.c. precluda comunque il rilascio delle discusse concessioni.

Tuttavia, un tale effetto preclusivo dovrà essere verificato caso per caso e motivatamente limitato alle sole ipotesi in cui la mancata approvazione del piano comunale palesi una lacuna non colmabile attraverso il ricorso alla lettura e all’interpretazione del piano regionale.

2.5. Ebbene, riconducendo i princìpi appena delineati al caso in esame, la sentenza in epigrafe dev’essere riformata in quanto:

- effettivamente, il costrutto sistematico delineato dai primi giudici risulta affetto da un’insanabile contraddizione laddove - per un verso - afferma che la mancata approvazione dei p.c.c. non impedirebbe ai comuni di riavviare l’attività concessoria (il cui esercizio, al contrario, rappresenta “ doverosa esplicazione della naturale obbligatorietà dell’azione amministrativa ”), mentre – per altro verso – finisce per ritenere che la mancata approvazione del p.c.c. farebbe venir meno un ‘tassello’ indispensabile per il riavvio di quell’attività, di fatto bloccandone quindi l’esercizio.

In tal modo opinando, tuttavia, è evidente come l’eccezione ( i.e. : l’impossibilità di riavviare l’attività concessoria) finisca per travalicare e privare di qualunque significato concreto la regola, pure affermata in via generale ( i.e .: la doverosità di riavviare la medesima attività all’indomani dell’approvazione del p.r.c.);

- il capo della sentenza secondo cui il p.r.c. non sarebbe idoneo a rappresentare (nelle more dell’approvazione dei p.c.c.) lo “ spettro completo ” al quale conformare l’esercizio dell’attività concessoria, finisce a sua volta per negare nella pratica il principio che si era affermato appena poco prima;

- vero è che – come si è detto in precedenza – possono darsi alcune ipotesi in cui, effettivamente, le sole prescrizioni del p.r.c. non forniscano un quadro disciplinare idoneo a consentire il rilascio della concessione richiesta (o, addirittura, depongono nel senso d’imporre il rigetto della relativa domanda).

Un’ipotesi in tal senso può essere rappresentata dal caso – invero, echeggiato dalla stessa sentenza in epigrafe – in cui il rilascio della richiesta concessione determinerebbe il superamento del rapporto fra superfici concedibili e aree da riservare alla libera balneazione, di cui all’art. 16 della più volte richiamata legge regionale.

Il punto è che nel caso di specie il Comune di Lizzano non ha indicato alcuna concreta ed effettiva circostanza ostativa al rilascio del provvedimento richiesto (quale, appunto, il superamento del richiamato limite), attestandosi piuttosto – e in modo del tutto apodittico - ad affermare che la richiesta concessione non avrebbe potuto comunque essere rilasciata, in base al dato assorbente dalla mancata approvazione del p.c.c.;

- non può essere condiviso il passaggio della sentenza secondo cui il rilascio di nuove concessioni nelle more dell’approvazione dei p.c.c. dovrebbe essere impedito per evitare un pregiudizio al complessivo assetto fissato dal p.r.c., anche in considerazione delle aspettative che una concessione – pur se temporanea – sarebbe comunque idonea a determinare.

Anche in questo caso, l’argomento produce l’evidente risultato – inammissibile sotto il profilo sistematico – di privare di qualunque effetto concreto la disposizione transitoria di cui al comma 2 dell’art. 17, legge regionale n. 17/2006 cit., e, in ultima analisi, di fornire di tale disposizione una sorta d’interpretazione abrogatrice;

- è innegabile che occorra rinvenire un ragionevole ‘punto di raccordo’ fra due esigenze opposte e apparentemente difficili da conciliare (per un verso, quella di salvaguardare un complesso sistema disciplinare in tema di uso delle coste, basato sull’integrazione fra diversi livelli di pianificazione e, per altro verso, quella d’impedire la completa paralisi dell’attività concessoria, purché compatibile con le prescrizioni generali del p.r.c.).

Tuttavia, quel ragionevole ‘punto di raccordo’ non può essere rinvenuto – come proposto dai primi giudici – nel sostanziale divieto di rilasciare nuove concessioni né è sufficiente affermare che il privato leso dall’inerzia comunale potrebbe comunque attivare i rimedi esperibili avverso il silenzio della pubblica amministrazione;

- al contrario, è la stessa legge regionale n. 17/2006 a fornire ulteriori elementi, nel senso che il richiamato punto di equilibrio debba comunque essere rinvenuto in un assetto che ammetta comunque il rilascio di nuove concessioni (lo si ripete, salvo che ciò non risulti espressamente precluso dalle dirette prescrizioni del p.r.c.).

Non altrimenti potrebbe intendersi la previsione di cui al comma 7 dell’art. 16 della più volte richiamata legge regionale, secondo cui “ le concessioni già assentite in contrasto con il p.c.c. al loro scadere non sono più rinnovate ”.

Ad avviso del collegio, la disposizione in questione deve essere letta e interpretata in combinazione con il successivo comma 2 dell’art. 17 cit., secondo un’ottica comunque vòlta a impedire la paralisi dell’attività amministrativa, nelle more dell’approvazione dei singoli piani comunali delle coste.

Né vi è alcun elemento testuale o sistematico che deponga nel senso che le “ concessioni già assentite ” di cui è menzione al comma 7 dell’art. 16 cit., siano unicamente quelle rilasciate prima ancora dell’approvazione del p.r.c. e non anche quelle assentibili nel torno temporale compreso fra l’approvazione del p.r.c. e quella dei p.c.c..

In base alla medesima considerazione, risulta altresì non condivisibile la tesi del primo giudice, secondo cui la possibilità di rilasciare comunque concessioni demaniali (per quanto provvisorie), nelle more di approvazione dei singoli p.c.c., sarebbe di per sé idonea ad arrecare un vulnus al complessivo impianto di tutela rappresentato dal p.r.c..

2.6. In definitiva, il provvedimento di sostanziale rigetto impugnato in primo grado risulta effettivamente viziato per i numerosi profili d’illegittimità dinanzi descritti e per aver fondato la pronuncia reiettiva sulla pura e semplice circostanza della mancata approvazione dal p.c.c., senza che l’amministrazione comunale si sia fatta carico alcuno di esaminare la richiesta sulla base delle disposizioni rivenienti dal p.r.c. e d’individuare se nell’ambito di tali disposizioni fosse individuabile una qualche ragione ostativa al rilascio della richiesta concessione ( rectius : al richiesto ampliamento concessorio).

3. L’accoglimento del ricorso in appello (e, con esso, di quello di primo grado, con conseguente annullamento dell’atto in quella sede impugnato), per le ragioni dinanzi esaminate sub 2, esime il collegio dall’esame puntuale dell’ulteriore motivo di appello, con cui si sono riproposte le censure di violazione di legge e di eccesso di potere sotto svariati profili, già dedotte in primo grado e il cui esame era stato omesso dal Tribunale territoriale.

4. Per le ragioni sin qui esposte il gravame dev’essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, va annullato il provvedimento di rigetto gravato in prime cure.

Il collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio fra le parti costituitevi, anche in considerazione della complessità della situazione sottesa alla presente decisione.

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