Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2021-01-22, n. 202100682
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Testo completo
Pubblicato il 22/01/2021
N. 00682/2021REG.PROV.COLL.
N. 09329/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 9329 del 2019, proposto da
LO AV AN, rappresentato e difeso dagli avvocati Claudio Andreozzi e Cristina Ridolfi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’avv. Cristina Ridolfi in Roma, via Silvio Pellico n. 24;
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentata e difesa dall'avvocato Pier Ludovico Patriarca, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via del Tempio di Giove 21;
nei confronti
CO Attanasio, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda, 2 maggio 2019, n. 5556, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2020 il Cons. Giorgio Manca e uditi per le parti gli avvocati Ridolfi e Patriarca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Il Sig. LO AV AN ha partecipato al concorso per l’assegnazione di n. 150 licenze per l’esercizio del servizio pubblico non di linea (taxi), indetto da Roma Capitale con determinazione dirigenziale n. 1395 del 5 agosto 2005, collocandosi al 51° posto nella graduatoria provvisoria. A seguito della verifica dei requisiti richiesti dal bando di concorso è stato escluso dalla graduatoria finale (con determinazione dirigenziale n. 2710 del 3 settembre 2007) in quanto l’amministrazione aveva acquisito la notizia della sua condanna, con sentenza definitiva, per uno dei reati che, ai sensi dell’art. 17 della legge della Regione Lazio n. 58 del 1993, sono ostativi alla partecipazione al concorso e al rilascio della licenza per il servizio di taxi (nel caso di specie, la condanna aveva per oggetto un delitto contro la fede pubblica, ipotesi prevista dall’art. 17, comma 3, lett. c) , della citata legge regionale, nel testo applicabile ratione temporis ).
2. - Il Sig. LO AV AN ha impugnato il menzionato provvedimento di esclusione con ricorso innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, il quale ha ritenuto infondate le censure osservando, in termini dirimenti, che il soggetto condannato con sentenza definitiva per uno dei reati indicati dall’art. 17, comma 3, lett. c) , della citata legge regionale, non può ottenere la licenza. Non assumerebbe rilevanza, inoltre, la riabilitazione ottenuta dal ricorrente, disposta con ordinanza del Tribunale di sorveglianza del 15 maggio 2007, successiva alla data di presentazione della domanda. Parimenti irrilevante sarebbe l’estinzione del reato per il decorso del termine della sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’art. 167 del Codice penale, inapplicabile per effetto della scelta del legislatore regionale di ancorare il riacquisto dei requisiti morali ad una specifica pronuncia di riabilitazione, anziché alla mera estinzione del reato o alla sospensione condizionale della pena.
3. - Il ricorrente in primo grado ha proposto appello, chiedendo la riforma della sentenza.
4. - Si è costituita in giudizio Roma Capitale, chiedendo che l’appello sia respinto.
5. - All’udienza dell’8 ottobre 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
6. - L’appellante assume l’erroneità della sentenza sotto diversi profili.
6.1. - Anzitutto, con riferimento alla sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 462 del Codice penale, rileva di aver avuto conoscenza del provvedimento di condanna solo agli inizi del 2007, ossia dopo aver presentato la domanda di partecipazione al concorso per le licenze del servizio taxi, in quanto non gli era mai stato notificato il decreto di citazione in giudizio; né avrebbe potuto sapere dell’esistenza della sentenza di condanna attraverso la consultazione del casellario giudiziale, perché il giudice penale