Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-03-06, n. 201801447

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2018-03-06, n. 201801447
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201801447
Data del deposito : 6 marzo 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/03/2018

N. 01447/2018REG.PROV.COLL.

N. 08706/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8706 del 2011, proposto dal sig. P M, rappresentato e difeso dall'avvocato A V, domiciliato ex art. 25 del c.p.a. presso la Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;

contro

il Ministero dell'Università e della Ricerca, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
la Sovrintendenza scolastica regionale per le Marche, i signori M P C, M D S, F B, L C, S M, R M, G N, C Pieri, Lorena Pasqualini, Sergio Spurio, Paola Tomassetti, Marcello Trapè, Antonietta Travaglini e Valeria Viccei, non costituiti in giudizio;
la signora Silvia Moriconi, rappresentata e difesa dall'avvocato Emidio Straccia, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Alessandro D'Urbano in Roma, via della Farnesina, n. 46;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per le Marche, n. 312/2011, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Università e della Ricerca e della signora Silvia Moriconi;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1° marzo 2018 il Cons. D P e uditi l’avvocato A V e l’avvocato dello Stato De Nuntis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con l’appello in esame, il ricorrente in primo grado impugnava la sentenza n. 312 del 2011, con cui il Tar Marche respingeva l’originario gravame.

Quest’ultimo era stato proposto dall’appellante in qualità di partecipante al concorso a cattedre di scuola secondaria di secondo grado indetto con D.M. 23 marzo 1990, relativamente alla classe di concorso A025 –XXV- discipline giuridiche ed economiche.

Egli aveva superato le prove scritte e orali, classificandosi in diciassettesima posizione, ed impugnava il decreto di approvazione della graduatoria, lamentando che l’Amministrazione non avrebbe, erroneamente, valutato il voto della sua laurea , per il quale avrebbe dovuto avere l’attribuzione di punti 8, secondo quanto stabilito dall’allegato II del citato D.M. 23 marzo 1990.

Con la sentenza appellata, il Tar, dopo aver disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei controinteressati presenti in graduatoria che avevano conseguito un punteggio uguale o superiore al ricorrente, nonché acquisito elementi istruttori dal Ministero appellato, respingeva il gravame.

Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante formulava i seguenti motivi di appello: violazione dei principi generali del procedimento amministrativo, travisamento ed erronea interpretazione e valutazione della fattispecie, assenza di conseguenze pregiudizievoli per le parti resistenti e la p.a., oltre alla riproposizione delle eccezioni e dei motivi di primo grado.

Le parti appellate si costituivano in giudizio, chiedendo il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza del 1° marzo 2018, la causa passava in decisione.

DIRITTO

L’appello va respinto.

Come emerge dalla narrativa in fatto e dalla documentazione versata in atti, l’odierno appellante ha partecipato alla procedura , dichiarando, nella domanda di ammissione al concorso, di essere in possesso del diploma di laurea in giurisprudenza, conseguito presso l’Università degli Studi di Macerata con votazione di 110 e lode/110.

Egli non ha però presentato la relativa documentazione entro il termine previsto dal bando, con la conseguente mancata attribuzione, nella graduatoria finale, dei previsti otto punti.

Il bando di cui al D.M. 23 marzo 1990 (in specie sub artt. 5 e 6) aveva era previsto il generale obbligo per i candidati di allegare alla domanda la documentazione comprovante il possesso dei titoli dichiarati.

Veniva consentito di produrre la medesima documentazione dopo il superamento della prova orale;
al riguardo l’art. 6 del bando prevedeva che i concorrenti che si fossero avvalsi dell’autocertificazione dovevano produrre la documentazione relativa ai titoli attestati nella domanda entro 20 giorni dal superamento della prova orale.

In dettaglio, lo stesso appellante si impegnava, nella domanda di ammissione, a presentare la documentazione relativa ai titoli valutabili entro 20 giorni dal superamento della prova orale.

Al fine di semplificazione, il bando conteneva due previsioni: all’art. 7 stabiliva che non potevano essere esclusi dal concorso i candidati che non avessero presentato alcune delle dichiarazioni previste a pena di esclusione, allorquando tali dati si potessero comunque desumere dal contesto della domanda;
l’art. 5, comma 15, esonerava i candidati vincitori anche dall’obbligo di presentare la predetta documentazione, qualora si trattasse di certificazioni rilasciate dalla stessa Amministrazione scolastica che gestiva la procedura, onerando in questo caso gli interessati solo della puntuale indicazione dei dati di riferimento, in modo da consentire all’Amministrazione un’agevole ricerca nei propri archivi.

In considerazione del chiaro dato letterale del D.M. invocato, assume rilievo preminente il principio per il quale il bando, costituendo la "lex specialis" del concorso indetto per l'accesso al pubblico impiego, deve essere interpretato in termini strettamente letterali, con la conseguenza che le regole in esso contenute vincolano rigidamente l'operato dell' amministrazione pubblica, obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità, in ragione sia dei principi dell'affidamento e di tutela della parità di trattamento tra i concorrenti, che sarebbero pregiudicati ove si consentisse la modifica delle regole di gara cristallizzate nella "lex specialis" medesima, sia del più generale principio che vieta la disapplicazione del bando, quale atto con cui l' amministrazione si è originariamente autovincolata nell'esercizio delle potestà connesse alla conduzione della procedura selettiva.

Di conseguenza, le clausole del bando di concorso per l'accesso al pubblico impiego non possono essere assoggettate a procedimento ermeneutico in funzione integrativa, diretto ad evidenziare in esse pretesi significati impliciti o inespressi, ma vanno interpretate secondo il significato immediatamente evincibile dal tenore letterale della parole e dalla loro connessione;
soltanto ove il dato testuale presenti evidenti ambiguità, deve essere prescelto dall'interprete il significato più favorevole all'ammissione del candidato alle prove, essendo conforme al pubblico interesse, e sempreché non si oppongano a ciò interessi pubblici diversi e di maggior rilievo, che alla procedura selettiva partecipi il più elevato numero di candidati (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. V, 27 maggio 2014, n. 2709).

Nel caso di specie, se per un verso il tenore degli obblighi imposti a fini di presentazione e valutazione dei titoli, che lo stesso concorrente sceglie di richiedere, era formulato in termini letterali e chiari, come evidenziato altresì dallo stesso obbligo di produzione entro il termine indicato assunto espressamente dall’odierno appellante in sede di domanda di partecipazione, per un altro verso le regole di semplificazione introdotte dallo stesso bando avevano ad oggetto elementi chiaramente distinti e peculiari (limitazione delle esclusioni e produzione di documentai in possesso della stessa p.a.), cosicché non possono essere oggetto della invocata estensione ermeneutica, secondo il principio appena ricordato, dettato a tutela del fondamentale principio delle procedure concorsuali, la parità di trattamento dei concorrenti.

Pertanto, a fronte della mancata produzione della necessaria documentazione nel termine imposto dal bando, non potevano essere attribuiti i connessi punti invocati da parte appellante.

Al riguardo va ribadito il principio a mente del quale, nell'ambito del procedimento di concorso, i titoli che il candidato intende sottoporre alla valutazione della commissione esaminatrice, onde ottenerne l'attribuzione del relativo punteggio, rientrano nella sua piena disponibilità, di modo che non possono essere attribuiti al candidato punteggi per titoli il cui possesso è indicato, ma non documentato, come nel caso di specie, a fronte di una chiara previsizione del bando che preveda un onere di allegazione documentale a carico del candidato.

Di conseguenza, nelle procedure concorsuali la commissione esaminatrice legittimamente non tiene conto dei titoli non dichiarati e comprovati dal ricorrente nella domanda di partecipazione al concorso, come espressamente stabilito dal bando, a nulla rilevando che si trattasse di titoli noti alla stessa Amministrazione o comunque da questa agevolmente acquisibili d'ufficio (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. IV, 19 agosto 2016, n. 3658).

Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello va respinto.

Sussistono giunti motivi, a fronte della natura della situazione giuridica azionata e della natura formale delle questioni, per procedere alla compensazione delle spese del secondo grado di lite.

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