Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-12-15, n. 201106603
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N. 06603/2011REG.PROV.COLL.
N. 09299/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9299 del 2003, proposto da:
Dragojesolo S.p.A., in persona del legale rappresentante in carica rappresentato e difeso dagli avv. F L, L. M B, con domicilio eletto presso F L in Roma, via del Viminale, 43;
contro
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Provveditorato Regionale Alle Opere Pubbliche, Magistrato Alle Acque di Venezia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. del VENETO – Sede di VENEZIA- SEZIONE II n. 01293/2003, resa tra le parti, concernente RIDUZIONE IN PRISTINO DI DUE PESCHIERE NON AUTORIZZATE.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Provveditorato Regionale Alle Opere Pubbliche e del Magistrato Alle Acque di Venezia;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2011 il Consigliere F T e uditi per le parti l’ Avvocato F L e l’Avvocato dello Stato Federica Varrone;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato chiesto dalla società odierna appellante DRAGOJESOLO s.p.a. l’annullamento del provvedimento del Presidente del Magistrato alle acque di Venezia 10 marzo 1995 n. prot. 3410, con cui le era stato ordinato il ripristino dello stato dei luoghi, relativamente a due peschiere non autorizzate realizzate nella valle da pesca di proprietà della stessa.
Erano stati prospettati motivi di censura incentrati sui vizi di eccesso di potere e di violazione degli articoli 3, 8, 25, 28 della legge 5 marzo 1963, n. 366.
Il Tribunale amministrativo regionale ha analiticamente esaminato le dedotte doglianze e le ha respinte.
In particolare, il primo giudice ha rilevato che per le infrazioni che davano luogo ad un’alterazione fisica era previsto dall’art. 28 della legge 5 marzo 1963, n. 366, l’ordine di riduzione in pristino oppure l’ordine di effettuare scavi di compenso, e non occorreva una particolare motivazione dimostrativa della circostanza che le due peschiere (con strutture frangivento ottenute con tamerici e canneti) erano opere che – per la loro consistenza fisica – alteravano lo stato dei luoghi.
Quanto alla circostanza che non era stato previamente sentito l’Ufficio del genio civile, nessuna violazione era possibile ravvisare in considerazione del fatto che il predetto Ufficio statale era venuto meno a seguito del trasferimento di tale struttura organizzativa alle regioni con d.p.r. n. 8 del 1972 (art. 12) e con d.p.r. n. 616 del 1977 (tab. A ), senza che le regioni avessero competenza in materia e senza, perciò, che tali uffici potessero aver conservato le attribuzioni conferite dalla legge n. 366 del 1963.
Era poi irrilevante che le due peschiere fossero asseritamente “estranee al buon regime lagunare “e che precedentemente era sempre stata autorizzata la loro manutenzione perché il ripristino poteva essere ordinato in ogni caso di “alterazione dello stato delle cose”, indipendentemente dall’incidenza sul buon regime idraulico.
Il primo giudice, infine, ha respinto, la doglianza fondata sulla omessa preventiva valutazione in ordine alla circostanza che l’opera costituisse “modificazione sostanziale”ed ha infine rilevato che risultava logico non aver ordinato lo scavo di compenso, atteso che tale rimedio sembrava applicabile alla differente ipotesi degli interramenti.
Avverso la sentenza in epigrafe la società originaria ricorrente ha proposto un articolato appello evidenziando che la motivazione della impugnata decisione era apodittica e non teneva conto della circostanza che erano stati in passato autorizzati lavori di manutenzione insistenti sulle predette peschiere.
Si è in particolare ivi sostenuto che la carenza di pregresso provvedimento autorizzatorio non poteva condurre alla sanzione della riduzione in pristino (ma unicamente all’applicazione di una sanzione pecuniaria) e che il primo giudice aveva apoditticamente respinto la censura relativa all’omesso ordine di effettuare scavi di compenso.
In ultimo, se anche rispondeva al vero la circostanza che l’Ufficio del genio civile era venuto meno a seguito del trasferimento di tale struttura organizzativa alle regioni, ne doveva discendere che il provvedimento impugnato era affetto dal vizio di difetto di istruttoria.
All’adunanza camerale del 13 aprile 2010 fissata per la trattazione dell’incidente cautelare la causa è stata cancellata dal ruolo.
Con memoria datata 31 ottobre 2011 la difesa dell’appellante società ha fatto presente di avere ottenuto la sanatoria delle opere per cui è causa ed ha rappresentato che non aveva più interesse alla coltivazione dell’appello, chiedendo il ricorso di primo grado venisse dichiarato improcedibile, con annullamento senza rinvio dell’impugnata decisione e compensazione delle spese.
Alla odierna pubblica udienza del 6 dicembre 2011 la difesa dell’appellante ha ribadito la superiore richiesta e la causa è stata posta in decisione dal Collegio.
DIRITTO
1.Il Collegio prende atto della dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione del ricorso di primo grado e lo dichiara improcedibile, con conseguente annullamento senza rinvio dell’impugnata decisione .
2.Le spese di giudizio devono essere compensate a cagione della circostanza che la sopravvenuta carenza di interesse discende dalla sopraggiunta emissione del provvedimento di sanatoria delle opere di cui si era ordinata la demolizione e riduzione in pristino.