Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-08-02, n. 202307489

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2023-08-02, n. 202307489
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202307489
Data del deposito : 2 agosto 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 02/08/2023

N. 07489/2023REG.PROV.COLL.

N. 03633/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3633 del 2020, proposto da
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati C A, A V, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione Seconda n. -OMISSIS- del 20 dicembre 2019, resa tra le parti


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2023 il Pres. M C e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza.

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

L’odierno appellato, cittadino -OMISSIS-, richiedente protezione internazionale e ospite presso il centro di accoglienza temporanea sito in -OMISSIS-, è destinatario delle misure di accoglienza previste dal d.lgs. n. 142/2015 riservate ai richiedenti asilo privi di mezzi sufficienti a garantire il proprio sostentamento.

Con relazione del 28 giugno 2019 la Polizia Municipale ha segnalato alla Prefettura di Firenze la condotta violenta e minacciosa tenuta dal cittadino straniero in una stazione ferroviaria in data 5 giugno 2019. In tale occasione, lo straniero aveva supportato altro cittadino extracomunitario che, alla richiesta di mostrare il titolo di viaggio da parte di un dipendente di Trenitalia, aveva reagito aggredendo verbalmente e fisicamente il medesimo, nonché i colleghi e due agenti della Polizia Municipale, accorsi in suo aiuto: in particolare, al cittadino straniero viene attribuita dalla relazione la condotta consistita nell’essersi fatto avanti e aver riacceso l’alterco. Per effetto dell’aggressione subita, i due agenti della Polizia Municipale e il dipendente di Trenitalia riportavano lesioni tali da dover ricorrere alle cure del locale Pronto Soccorso. Per questi fatti, i due cittadini stranieri sono stati denunciati da parte degli agenti in questione e nei loro confronti è stata data comunicazione di notizia di reato per i delitti di cui agli artt. 336, 337 e 582 c.p.

A seguito della segnalazione, la Prefettura di Firenze ha avviato nei confronti dell’appellato il procedimento di revoca delle misure di accoglienza per violazione grave delle regole dell’accoglienza e, non avendo lo straniero fatto pervenire, nel termine assegnatogli, osservazioni o documenti utili, ha concluso il procedimento con l’adozione del decreto indicato in epigrafe, con cui sono state revocate le misure di accoglienza disposte in favore dell’interessato.

Il provvedimento prefettizio ha tratto fondamento dalla gravità del comportamento tenuto dallo straniero, il quale si è posto in evidente contrasto con le regole del vivere civile.

Avverso il provvedimento in esame, ha proposto ricorso il cittadino extracomunitario innanzi al Tar Toscana, formulando a supporto del gravame le doglianze di violazione di legge ed eccesso di potere.

L’adito Tribunale ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato il provvedimento impugnato.

In particolare, il Giudice di prime cure ha richiamato la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue - Grande Sezione del 12 novembre 2019, resa in causa C-233/2018 – con la quale i Giudici di Lussemburgo hanno stabilito che: « L’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, letto alla luce dell’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che uno Stato membro non può prevedere, tra le sanzioni che possono essere inflitte ad un richiedente in caso di gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché di comportamenti gravemente violenti, una sanzione consistente nel revocare, seppur temporaneamente, le condizioni materiali di accoglienza, ai sensi dell’articolo 2, lettere f) e g), della menzionata direttiva, relative all’alloggio, al vitto o al vestiario, dato che avrebbe l’effetto di privare il richiedente della possibilità di soddisfare le sue esigenze più elementari». La Corte ha poi aggiunto che «l’imposizione di altre sanzioni ai sensi del citato articolo 20, paragrafo 4, deve, in qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo, in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana» e che nel caso – rinvenibile nella vicenda esaminata in quella sede, ma non in quella oggetto delle presente controversia – di minore non accompagnato, «dette sanzioni devono, in considerazione, segnatamente, dell’articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali, essere adottate tenendo conto con particolare riguardo dell’interesse superiore del minore».

Su tali basi, il primo Giudice ha ritenuto che dalla citata pronuncia emergesse la contrarietà rispetto al diritto dell’Unione europea della revoca delle misure di accoglienza disposta nelle ipotesi previste dall’art. 23, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 142/2015 (violazione grave o ripetuta delle regole della struttura in cui il richiedente asilo è stato accolto, ovvero comportamenti gravemente violenti), con la conseguente disapplicazione della suddetta norma interna incompatibile, per aver questa previsto la sanzione della revoca della misura di accoglienza quale unica sanzione applicabile nel caso di specie. Il Tribunale, con sentenza del 20 dicembre 2019, -OMISSIS-, ha, previa disapplicazione della citata normativa, accolto il ricorso.

Avverso la sentenza ha proposto appello il Ministero dell’Interno, chiedendone la riforma, previa sospensione cautelare, e deducendo, con un unico motivo di appello, l’error in iudicando: violazione ed erronea applicazione dell’art. 23, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 142/2015 e degli artt. 20, paragrafi 4 e 5, e 21 della direttiva 2013/33/Ue, nonché del principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia Ue con sentenza del 12 novembre 2019, causa C-233/18, nonché il difetto di motivazione ex art. 3 del d.lgs. n. 104/2010.

Il Ministero appellante mette in luce, in primo luogo, le possibili letture alternative emergenti dal tenore della sentenza della Corte di Giustizia: questa, da un lato, al punto 52, evidenzia la possibilità di ricorrere a sanzioni alternative e siffatto elemento non escluderebbe del tutto l’applicabilità della revoca delle condizioni di accoglienza;
dall’altro lato, però, sembra enunciare il principio di diritto in termini generali, per cui non sarebbe possibile allo Stato membro applicare la sanzione della revoca, pure in caso di gravi violazioni, da parte del richiedente, delle regole del centro di accoglienza, o di comportamenti gravemente violenti da parte sua. L’appellante nondimeno lamenta che l’applicazione generalizzata del suesposto principio di diritto porterebbe a risultati assurdi, poiché comporterebbe l’impossibilità di sanzionare con la revoca il richiedente la protezione:

a) senza distinguere tra soggetti vulnerabili (quali i minori non accompagnati) e soggetti che non sono tali (come nel caso di specie il cittadino straniero appellato);

b) indipendentemente dalla gravità del comportamento tenuto dal soggetto.

In secondo luogo il Ministero si sforza di dimostrare la diversità della vicenda portata all’esame della Corte di Giustizia UE rispetto a quella oggetto del provvedimento di revoca annullato dal Tar Toscana. Infatti, il caso da cui è generato il rinvio pregiudiziale alla Corte (effettuato dall’Autorità Giudiziaria del Belgio) riguardava la revoca delle misure di accoglienza nei confronti di un minore non accompagnato, che si era reso protagonista di una rissa all’interno del centro di accoglienza dove era temporaneamente ospitato. L’odierno appellato, invece, non solo era già maggiorenne all’epoca della commissione dei fatti, ma non rientrava nemmeno nell’elenco delle persone vulnerabili (anche diverse dai minori) di cui all’art. 21 della direttiva comunitaria, come riprodotto dall’art. 17 del d.lgs. n. 142/2015. Ancora, il caso oggetto della pronuncia della Corte riguardava la violazione di una regola del centro di accoglienza, mentre quella ascritta all’appellato è una condotta illecita tenuta al di fuori del centro di accoglienza, contraria dunque alle norme penali del nostro ordinamento e che integra una pluralità di fattispecie criminose: lesioni, violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale. Si tratterebbe di condotta, che secondo il Ministero appellante ben potrebbe rientrare tra i “comportamenti gravemente violenti” a cui fa espresso riferimento l’art. 23, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 142/2015, prevedendo per essi la sanzione della revoca delle misure di accoglienza, disposta dal Prefetto con provvedimento motivato.

Né rileva in contrario, secondo il Ministero, che la vicenda in cui è stato coinvolto lo straniero si sia svolta – come detto – fuori del centro di accoglienza, dal momento che il beneficiario delle misure di accoglienza deve serbare un comportamento irreprensibile tanto all’interno della struttura in cui è accolto, quanto all’esterno di essa: la sanzione della revoca si correla alla gravità del comportamento tenuto, quale che sia il luogo in cui questo si è verificato, e tende ad evitare l’insorgere e la diffusione di condotte criminali, mirando a preservare il buon funzionamento dei centri di accoglienza, anche in ragione del fatto che tali centri debbono garantire un percorso di integrazione fondato sulla legalità e sul rispetto delle regole dell’ordinato vivere sociale.

Nel caso di specie, la sanzione della revoca – aggiunge il Ministero appellante – appare conforme altresì al principio di proporzionalità (richiamato dalla sentenza della Corte di Giustizia quale criterio-guida per la previsione delle sanzioni) proprio in conseguenza del comportamento particolarmente violento ed aggressivo tenuto dall’odierno appellato. L’Amministrazione non avrebbe potuto irrogare misure sanzionatorie diverse, e in specie non avrebbe potuto disporre il trasferimento dello straniero in altro centro di accoglienza, trattandosi di sanzione prevista dal regolamento prefettizio solo per violazioni non gravi: di talché – conclude il Ministero – la revoca si è rivelata sanzione non solo proporzionata, ma anche necessaria alla fattispecie esaminata.

Si è costituito nel giudizio l’appellato, sollevando in via preliminare questione di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 142/2015 per contrasto con l’art. 27 Cost., già sollevata in primo grado, ma assorbita dal T.A.R. alla luce del ritenuto contrasto della predetta norma interna con l’ordinamento comunitario e, in particolare, con l’art. 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE. In estrema sintesi, l’appellato censura la norma interna ove interpretata – come ha fatto il provvedimento impugnato in primo grado – nel senso che la revoca delle misure di accoglienza possa essere disposta per vicende penalmente rilevanti a seguito di una mera denuncia e senza che su tali vicende sia intervenuto alcun accertamento giudiziale;
nel caso di specie, infatti, alla denuncia non è seguito alcun provvedimento di qualsiasi natura, né cautelare, né istruttorio, talché la pretesa della P.A. di revocare le misure di accoglienza in difetto del riconoscimento di una responsabilità penale, per fatti non accertati e la cui attribuzione rimane incerta, contrasterebbe con il principio di non colpevolezza di cui all’art. 27 Cost.

L’appellato, oltre a richiamare le censure di merito del giudizio di primo grado, ha replicato alle doglianze di parte appellante, eccependo che l’apparato sanzionatorio per le violazioni commesse dai soggetti ammessi alle misure di protezione deve essere improntato a proporzionalità sia rispetto alle violazioni stesse, sia rispetto alla dignità umana. La normativa interna di recepimento della direttiva europea (art. 23 del d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142), invece, ha indicato come unica sanzione, rispetto ai comportamenti gravemente violenti, la revoca delle misure di accoglienza, senza la possibilità di graduare la sanzione in funzione della gravità della condotta. Ciò, sebbene l’art. 20 della direttiva: a) preveda a favore dei singoli Stati la mera possibilità di aggiungere una sanzione per i comportamenti gravemente violenti;
b) parli non di revoca, ma di “sanzioni applicabili”.

Nella camera di consiglio del 4 giugno 2020, questa Sezione ha accolto l’istanza cautelare del Ministero unicamente ai fini della sollecita fissazione del merito.

All’esito dell’udienza pubblica del 12 novembre 2020, il Collegio ha pronunciato l’ordinanza collegiale -OMISSIS- del 30 dicembre 2020, con la quale ha investito la Corte di Giustizia della questione pregiudiziale di compatibilità con le norme del diritto europeo delle norme nazionali fin qui descritte, nei termini che seguono:

«Se l’art. 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, osti ad una normativa nazionale che preveda la revoca delle misure di accoglienza a carico del richiedente maggiore di età e non rientrante nella categoria delle “persone vulnerabili”, nel caso in cui il richiedente stesso sia ritenuto autore di un comportamento particolarmente violento, posto in essere al di fuori del centro di accoglienza, che si sia tradotto nell’uso della violenza fisica ai danni di pubblici ufficiali e/o incaricati di pubblico servizio, cagionando alle vittime lesioni tali da rendere per le stesse necessario il ricorso alle cure del Pronto Soccorso locale».

Il Collegio, disponendo la rimessione alla Corte di Giustizia dell’Ue della questione pregiudiziale euro-unitaria quale sopra formulata, ha sospeso il giudizio in attesa della pronuncia della Corte di Lussemburgo.

La Corte di Giustizia si è pronunciata sulla questione pregiudiziale sollevata con la sentenza del 1° agosto 2022 (nella causa -OMISSIS-), nella quale i Giudici di Lussemburgo hanno statuito che:

- per quanto riguarda l’obiettivo perseguito, poiché l’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33 mira ad autorizzare gli Stati membri a sanzionare in modo adeguato i comportamenti particolarmente violenti posti in essere da un richiedente protezione internazionale, tenuto conto del pericolo che tali comportamenti possono rappresentare per l’ordine pubblico e per la sicurezza delle persone e dei beni, nulla giustifica la limitazione di tale possibilità ai soli comportamenti particolarmente violenti posti in essere all’interno di un centro di accoglienza.

- Segue che, alla prima parte della questione pregiudiziale sollevata, occorre rispondere nel senso che l’articolo 20, paragrafo 4, della direttiva 2013/33 deve essere interpretato nel senso che esso si applica a comportamenti gravemente violenti posti in essere al di fuori di un centro di accoglienza.

- Per quanto riguarda la questione se l’articolo 20, paragrafi 4 e 5, della direttiva 2013/33 osti all’irrogazione, a un richiedente protezione internazionale che abbia posto in essere un comportamento gravemente violento nei confronti di pubblici funzionari, di una sanzione consistente nel revocare le condizioni materiali di accoglienza, si deve constatare che l’imposizione di una sanzione consistente nel revocare, seppur temporaneamente, il beneficio di tutte le condizioni materiali di accoglienza o delle condizioni materiali di accoglienza relative all’alloggio, al vitto o al vestiario è incompatibile con l’obbligo, derivante dal citato articolo 20, paragrafo 5, della menzionata direttiva, di garantire al richiedente un tenore di vita dignitoso, giacché tale sanzione lo priverebbe della possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari, quali nutrirsi, vestirsi, lavarsi e disporre di un alloggio.

- Una sanzione del genere equivale altresì a violare il requisito di proporzionalità stabilito dall’art. 20, paragrafo 5, seconda frase, della direttiva 2013/33, in quanto anche le sanzioni più severe intese a contrastare, in ambito penale, le violazioni o i comportamenti di cui all’art. 20, paragrafo 4, di tale direttiva non possono privare il richiedente della possibilità di provvedere ai suoi bisogni più elementari.

- Alla luce di tali considerazioni, neppure rileva la circostanza secondo cui il comportamento da sanzionare può presentare un carattere particolarmente grave e riprovevole.

- Resta in ogni caso ferma la possibilità degli Stati membri di irrogare altre sanzioni, in ossequio all’art. 20, paragrafo 4, che devono in ogni caso e a prescindere dalla gravità della condotta posta in essere dallo straniero rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 del medesimo articolo, per quel che concerne in particolare il rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana.

- Tali principi si applicano, infine, a qualsiasi richiedente protezione internazionale e non ai soli richiedenti che sono persone vulnerabili ai sensi dell’art. 21 della direttiva 2013/33.

La Corte di Giustizia, con la citata pronuncia, ha dunque rafforzato la tutela dello standard minimo di vita, che era già stato affermato nella sentenza della Corte di Giustizia – Grande Sezione del 12 novembre 2019 (resa nella causa C-233/2018) – estendendolo a qualsiasi richiedente protezione internazionale, a prescindere cioè dall’appartenenza alle categorie delle persone vulnerabili ai sensi dell’art. 21 della direttiva 2013/33/Ue.

Alla pubblica udienza del 13 aprile 2023 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

L’appello deve essere dichiarato estinto, ai sensi dell’art. 35, comma 2 c.p.a., per mancata prosecuzione del giudizio sospeso nel termine perentorio previsto dall’art. 80 c.p.a., decorrente dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea della comunicazione di cui all’art. 92 del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia.

Come esposto in narrativa, in seguito al rinvio pregiudiziale disposto dalla Sezione con l’ordinanza -OMISSIS-/2020, è stata disposta la sospensione del presente giudizio, sul presupposto che la decisione della Corte di Giustizia avrebbe potuto incidere sulla valutazione della questione di che trattasi da parte di questo Collegio.

La Corte di Giustizia si è espressa con la sentenza del 1° agosto 2022 (Causa -OMISSIS-), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea C 408 del 24 ottobre 2022, data da cui, ai sensi del combinato disposto dell’art. 80 c.p.a e art. 92 del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia, decorrono i 90 giorni per la presentazione dell’istanza di fissazione di udienza da parte dell’appellante, ai fini di consentire la prosecuzione del giudizio.

Il Ministero appellante non ha presentato l’istanza di fissazione udienza nel termine di legge e, pertanto, ai sensi dell’art. 35, comma 2 c.p.a., deve essere dichiarata l’estinzione del presente giudizio.

In conclusione, per le ragioni sopraesposte, deve dichiararsi l’estinzione del presente giudizio.

La natura della controversia giustifica la compensazione delle spese del giudizio.

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