Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2024-06-11, n. 202405241
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Pubblicato il 11/06/2024
N. 05241/2024REG.PROV.COLL.
N. 09866/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9866 del 2023, proposto da Fassa S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A B, S T, A Z, G V, con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Cori, in persona Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati T C, M D N, F S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato E C, con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia;
nei confronti
Città Metropolitana di Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Giovanna Albanese, con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia;
Ministero della Cultura, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Valmontone, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Adriano Perica, con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia;
Comune di Colleferro, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Daniela Palma, con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia;
Comitato Residenti Colleferro, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Vittorina Teofilatto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Oreste Della Posta, Umberto Proietti, Oreste Vacca, Bruno Cappella, Michele Scazzola, Silvia Santi, Claudio Caratelli, Agostina Gilardo, Paolo Fiorini, rappresentati e difesi dall'avvocato Guglielmo Raso, con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia;
e con l'intervento di
ad opponendum:
Comitato Uniti per la Salvaguardia dell'Ambiente e della Salute, rappresentato e difeso dagli avvocati Matteo Benozzo, Francesco Bruno, con domicilio digitale come da pec da Registri di Giustizia;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 16404/2023.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Cori, della Regione Lazio, della Città Metropolitana di Roma Capitale, del Ministero della Cultura, del Comune di Valmontone, del di Comune di Colleferro, del Comitato Residenti Colleferro, di Oreste Della Posta e di Umberto Proietti e di Oreste Vacca e di Bruno Cappella e di Michele Scazzola e di Silvia Santi e di Claudio Caratelli e di Agostina Gilardo e di Paolo Fiorini;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 aprile 2024 il Cons. L F, uditi per le parti gli avvocati e viste le conclusioni delle parti come da verbale.
FATTO
1.Con il ricorso di primo grado, notificato in data 12 settembre 2023, il Comune di Cori ha domandato l’annullamento:
(i) della determinazione n. G07499 del 30 maggio 2023 della Regione Lazio, pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 47 del 13 giugno 2023, recante provvedimento autorizzatorio unico regionale (“PAUR”), ex art. 27- bis del d.lgs. n, 152/2006, per l’approvazione e autorizzazione del «Progetto di “Ampliamento dello Stabilimento Fassa di Artena”» proposto da FASSA s.r.l.;
(ii) della determinazione n. G04158 del 28 marzo 2023 della Regione Lazio di approvazione e rilascio della Autorizzazione Integrata Ambientale (“AIA”), pubblicata sul BURL, n. 30 del 13 aprile 2023;
(iii) della determinazione n. GI4567 del 25 ottobre 2022 della Regione Lazio di approvazione e rilascio della Valutazione di Impatto Ambientale (“VIA”), pubblicata sul BURL del 10 novembre 2022 - n. 93, nonché sul sito web dell’autorità competente in data 26 ottobre 2022.
A sostegno del ricorso ha dedotto l’illegittimità dei predetti provvedimenti per “ Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 14-bis, 14-ter e 14-quater della legge 241/1990, dell’art. 27-bis del d.lgs. 152/2006, della legge regionale 45/1998 e delle deliberazioni della giunta regionale 131/2018 e 884/2022;violazione e/o falsa applicazione dei principi di prevenzione, di precauzione e di leale collaborazione;eccesso di potere in tutte le figure sintomatiche tra cui il difetto d’istruttoria, il travisamento dei fatti, l’irragionevolezza, l’errore dei presupposti, l’erronea o assente valutazione di fatti rilevanti, il difetto di motivazione e lo sviamento ”, atteso che “ l’atto conclusivo, l’AIA e l’intero procedimento, inclusa la VIA, sono viziati in quanto la Regione non ha tenuto per nulla in considerazione quanto rilevato, espresso, contestato e prescritto da Arpa in merito alle esternalità negative del Progetto (prima tra tutte: l’inquinamento atmosferico) ”.
2. Costituitasi in giudizio, FASSA s.r.l. ha eccepito:
(i) l’irricevibilità e/o l’inammissibilità del ricorso, in quanto VIA e AIA – poi recepiti dalla Regione con l’adozione del provvedimento di PAUR – sono stati impugnati oltre il termine di 60 giorni decorrente dalla data di pubblicazione sul BURL;
(ii) in subordine, l’infondatezza del ricorso nel merito.
3. Analoghe difese sono state svolte dalla Città Metropolitana Roma Capitale, dal Comune di Artena, dall’Asl Roma 5 e dalla Regione Lazio;in particolare, la Regione Lazio ha prodotto documentazione a sostegno dell’ampiezza, della correttezza, dell’esaustività dell’istruttoria svolta e della correttezza della motivazione del provvedimento impugnato.
4. Il T.a.r. Lazio, con decisione 6 novembre 2023, n. 16404, ha accolto il ricorso, ritenendo, in relazione alla predetta eccezione di irricevibilità del ricorso, che: « il primo atto impugnabile della complessa serie procedimentale» sarebbe il PAUR, perché nel citato provvedimento veniva espressamente previsto che “i termini di efficacia del provvedimento di V.I.A., di tutti i pareri, autorizzazioni, concessioni, nulla osta o atti di assenso comunque denominati, definiti dalle norme di settore ed acquisiti nell’ambito della conferenza di servizi, decorrono dalla data di pubblicazione sul BURL della presente determinazione motivata di conclusione della conferenza” » (p. 4 Sentenza).
Nel merito, ha concluso nel senso che il provvedimento di PAUR sarebbe “ assolutamente carente sul piano motivazionale ”, in quanto l’ARPA avrebbe reso un parere “ obbligatorio ancorché vincolante ” nelle cui conclusioni ha ritenuto “ necessario un aggiornamento dello studio di dispersione ”, di cui l’amministrazione regionale si sarebbe “ limitata a prendere atto ” osservando che “ rispetto alle criticità di analisi sollevate dall’ARPA ( … .) la Società proponente ha prodotto integrazioni acquisite con prot. n. 0172596 del 15/02/2023 ” (p. 6 Sentenza).
5. FASSA s.r.l. ha proposto appello per i motivi riportati nella parte in diritto.
6. Si sono costituiti in giudizio la Regione Lazio, la Città Metropolitana di Roma Capitale chiedendo di accogliere l’appello.
Si sono costituiti in giudizio il Comune di Cori, il Comune di Valmontone, il Comune di Colleferro, chiedendo il rigetto dell’appello.
Si è costituito con memoria di stile il Ministero della Cultura.
Sono intervenuti ad opponendum il Comitato Residenti Colleferro e il Comitato uniti per la salvaguardia dell’ambiente e della salute.
7. La causa è stata decisa alla pubblica udienza del 4 aprile 2024.
DIRITTO
1. La questione all’esame del Collegio attiene alla qualificazione giuridica del PAUR quale provvedimento in grado di assorbire, anche sul piano della relativa impugnativa processuale, i presupposti provvedimenti di VIA e di AIA, ovvero quale provvedimento non idoneo ad assorbire l’autonoma efficacia lesiva dei presupposti provvedimenti di VIA e di AIA.
2. L’appello è fondato nei limiti di seguito indicati.
3.Con un primo motivo di appello FASSA s.r.l. deduce error in iudicando. violazione e falsa applicazione: (i) degli artt. 29 e 41 c.p.a., nonché degli artt. 34, 35 e 60 c.p.a.;(ii) degli artt. 5, 25, 27-bis e 29 e ss. del d.lgs. n. 152/2006. omesso ed erroneo esame degli atti e dei documenti di causa
In particolare, la parte appellante assume l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto ricevibile il ricorso di primo grado.
A sostegno dell’assunto rileva che l’art. 27- bis del d.lgs. n. 152/2006, dispone che nei procedimenti di VIA di competenza regionale il proponente presenta un’istanza finalizzata al rilascio delle autorizzazioni e degli atti di assenso occorrenti e prevede che la determinazione finale assunta dalla Conferenza di Servizi « costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale e comprende, recandone l’indicazione esplicita, il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto » (art. 27 bis co. 7 cit.).
Dalla formulazione letterale di tale disposizione si ricaverebbe, a giudizio della parte appellante, la conclusione per cui il PAUR non avrebbe l’idoneità ad assorbire l’autonoma lesività del provvedimento di VIA.
Tale conclusione troverebbe conforto, ad avviso della parte appellante, nella decisione della Corte costituzionale 14 novembre 2018, n. 198.
Tale conclusione, argomenta ulteriormente la parte appellante, sarebbe più coerente con il constante indirizzo interpretativo secondo cui: « il procedimento per la valutazione d’impatto ambientale (VIA) e quello per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) sono preordinati ad accertamenti diversi ed autonomi (e possano avere quindi un’autonoma efficacia lesiva, che consente l’impugnazione separata dei rispettivi provvedimenti conclusivi » (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3561/2017; sez. V, n. 3000/2016;n. 313/2015).
Di qui la richiesta di annullare la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato il ricorso di primo grado avverso il provvedimento di PAUR ricevibile, nonostante il fatto che, con esso sono stati fatti valere vizi non autonomi, ma discendenti dal precedente provvedimento autorizzatorio di VIA.
4. Il Comune appellato contesta le argomentazioni della parte appellante, rilevando in senso contrario che esse, ove accolte, frustrerebbero gli obiettivi di razionalizzazione, accelerazione e semplificazione sottesi alla conferenza di servizi finalizzata al rilascio del PAUR (sfumare dicendo che si tratta di un caso peculiare).
5. Il motivo è fondato.
5.1. In via preliminare, occorre dire che la questione sottoposta al Collegio investe il tema, più generale, della invalidità derivata degli atti, che, come è noto, è stato oggetto di particolare approfondimento sia in dottrina che in giurisprudenza sotto due differenti profili.
In primo luogo, è stata esaminata la questione dei riflessi processuali del nesso di presupposizione tra atti, la quale è stata però indagata principalmente sotto il profilo degli effetti, caducanti o meramente vizianti, che l’annullamento dell’atto presupposto illegittimo può produrre sull’atto presupponente.
In questi casi, non basterebbe semplicemente constatare il carattere viziato dell’atto presupposto al fine di “contagiare” anche l’atto presupponente, ma occorrerebbe provocare l’annullamento dell’atto a monte al fine di trasmettere il vizio anche al conseguente atto a valle (vizio caducante o viziante, a seconda della intensità del legame che avvince il nesso di presupposizione).
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la nozione di atto presupposto è fondata, in relazione ad atti di un unico procedimento o anche ad atti autonomi, sull’esistenza di un collegamento fra gli atti stessi, così stretto nel contenuto e negli effetti, da far ritenere che l’atto successivo sia emanazione diretta e necessaria di quello precedente, così che il primo è in concreto tanto condizionato dal secondo nella statuizione e nelle conseguenze da non potersene discostare (Consiglio di Stato, Sez. IV, 23 marzo 2000, n. 1561;Sez. V, 15 ottobre 1986, n. 544).
La connessione di più provvedimenti amministrativi per presupposizione postula un aspetto strutturale ed uno funzionale.
Sotto l’aspetto strutturale, gli atti sono in una relazione di successione giuridica e cronologica, o di necessario concatenamento;l’atto presupposto non soltanto precede e prepara quello presupponente, ma ne è il sostegno esclusivo.
Gli effetti del provvedimento pregiudiziale sono i fatti costitutivi del secondo, o meglio del relativo potere;vi è una consequenzialità necessaria tra i due provvedimenti, tale che l’esistenza e la validità di quello presupposto sono condizioni indispensabili affinché l’altro possa legittimamente esistere e produrre la propria efficacia giuridica.
Quanto all’aspetto funzionale, poi, gli atti risultano preordinati alla realizzazione di un unico rapporto amministrativo, riguardano, cioè, un unico bene della vita;ciascun atto spiega da solo taluni effetti giuridici, ma soltanto congiuntamente all’altro dà vita al rapporto giuridico, che rappresenta l’oggetto dell’interesse pubblico considerato dai più poteri funzionalmente collegati.
Da quanto detto emerge che, sul piano della disciplina, l’illegittimità ed il conseguente annullamento dell’atto presupposto determinano l’illegittimità di quello conseguente (c.d. trasmissione della antigiuridicità;cfr. ex multis Consiglio di Stato n. 6922/2020).
È evidente tuttavia che questo tema di indagine non può nel caso di specie assumere rilievo, in quanto nel caso in esame è mancata proprio l’impugnazione dell’atto presupposto.
5.2. Non ricorrendo siffatta ipotesi, occorre interrogarsi sulla connessa questione della c.d. doppia impugnazione, dell’atto presupposto e dell’atto presupponente, nei casi di invalidità derivata.
Sotto questa diversa prospettiva, il regime processuale degli atti collegati può variare in ragione della natura dell’atto presupposto, prima ancora che del loro nesso di presupposizione.
In particolare, il discrimine tra impugnativa immediata o differita dell’atto presupposto illegittimo è strettamente correlato alla autonoma portata lesiva dell’atto presupposto stesso.
L’esempio ricorrente è quello del rapporto che lega la dichiarazione di pubblica utilità al successivo decreto di espropriazione.
Come noto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la dichiarazione di pubblica utilità, pur inserendosi nell’ambito del più ampio procedimento espropriativo, ma rivestendo autonoma portata lesiva, deve essere impugnata nel termine perentorio di decadenza che decorre dalla sua adozione.
Successivamente, la parte interessata avrà l’onere di impugnare anche l’atto conclusivo del procedimento, nella specie il decreto di esproprio, sia per vizi propri sia per far valere la sua eventuale illegittimità derivante dal vizio che inficiava la dichiarazione di pubblica utilità.
E tuttavia, sempre ad avviso di un costante orientamento giurisprudenziale, in mancanza di previa impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità, non sarà più possibile far valere l’illegittimità derivata dell’atto successivo.
La ratio sottesa a tale regime processuale risiede, come anticipato, nel contenuto dell’atto e, segnatamente, nel suo effetto dispositivo-sostanziale da cui deriva la sua autonoma portata lesiva e il conseguente onere di impugnarlo.
5.3. Tanto premesso, occorre verificare l’eventuale incidenza di tali principi nel caso in esame.
La valutazione di impatto ambientale è un istituto di matrice europea, dove una prima regolazione della materia si rinviene già nella Dir. 85/337/CEE, oggetto nel corso del tempo di rilevanti modifiche, confluite nella Dir. 2014/52/UE.
Nell’ordinamento interno, tale disciplina europea relativa alla valutazione di impatto ambientale ha trovato attuazione, dapprima con una disciplina transitoria, e, da ultimo nel codice dell’ambiente di cui d.lgs. n. 152/2006 (oggetto in parte qua di modifiche, a partire dal d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, fino alle più recenti di cui, la più rilevante, al D.L. 31 maggio 2021, n. 77).
La valutazione di impatto ambientale, espressione dei principi comunitari di prevenzione, precauzione, integrazione e sviluppo sostenibile, consiste in quel particolare procedimento finalizzato a considerare gli impatti ambientali di un progetto, ossia gli effetti significativi, diretti e indiretti, che il progetto genera su differenti fattori: popolazione e salute umana;biodiversità;territorio, suolo, acqua, aria e clima;beni materiali, patrimonio culturale, paesaggio e le interazioni tra i fattori precedentemente elencati.
Si tratta di un procedimento amministrativo complesso, scandito in una articolata sequenza procedimentale, che vede il suo avvio con la presentazione dello studio d'impatto ambientale (SIA) da parte del proponente. Seguono poi lo svolgimento delle consultazioni, la valutazione del SIA e l'integrazione eventuale delle informazioni fornite. Il procedimento culmina con l'adozione del provvedimento di VIA e l'integrazione di quest'ultimo nel provvedimento di approvazione o autorizzazione del progetto.
Si tratta, quindi, di un sub-procedimento autonomo, che si inserisce in un procedimento autorizzativo più ampio relativo ad un determinato progetto.
Sul punto, un costante indirizzo giurisprudenziale ha più volte sottolineato l'autonomia del procedimento di VIA, che trova la sua ratio nella tutela di un interesse specifico: la tutela dell'ambiente.
Tale caratteristica contribuisce a rendere l'atto conclusivo del procedimento immediatamente impugnabile in quanto potenzialmente idoneo a generare una lesione immediata dei valori ambientali.
In relazione alla natura del provvedimento in esame, in particolare, la giurisprudenza ha costantemente ritenuto che questo sia espressione di due differenti matrici: da un lato, è in esso presente una valutazione tecnico-scientifica sul grado di effettiva nocività dell'opera;dall'altro, la discrezionalità esercitata dall'amministrazione non si esaurisce in un "mero giudizio tecnico", ma presenta profili particolarmente intensi "di discrezionalità amministrativa e istituzionale in relazione all'apprezzamento degli interessi pubblici e privati coinvolti, con conseguenti limiti al sindacato giurisdizionale sulla determinazione finale emessa".
Si tratta, per tale motivo, di un provvedimento con cui viene esercitata una vera e propria funzione di indirizzo politico-amministrativo, attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità dei contrapposti interessi pubblici e privati.
5.4. Nel delineato quadro regolatorio, il successivo d.lgs. n. 104/2017 ha modificato in maniera rilevante la parte seconda del codice ambiente, al fine di realizzare, in conformità con quanto previsto alla legge delega, un'operazione di "semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale anche in relazione al coordinamento e all'integrazione con altre procedure volte al rilascio di pareri e autorizzazioni a carattere ambientale”.
Il d.lgs. n. 104/2017 ha, in particolare, introdotto nel codice dell’ambiente due nuovi istituti volti alla razionalizzazione delle procedure autorizzative relative a progetti sottoposti a VIA, dando ampio rilievo ai procedimenti unici come mezzo di semplificazione e coordinamento: il provvedimento unico ambientale (art. 27) e il provvedimento autorizzatorio unico regionale (art. 27- bis )..
L’art. 27- bis , più nel dettaglio, dispone che nei procedimenti di VIA di competenza regionale il proponente presenta un’istanza finalizzata al rilascio delle autorizzazioni e degli atti di assenso occorrenti e prevede che la determinazione finale assunta dalla conferenza di servizi « costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale e comprende, recandone l’indicazione esplicita, il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l’esercizio del progetto » (art. 27 bis , co. 7, cit.).
Esso, inoltre, prevede che per tutti quei progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale di competenza regionale si svolga obbligatoriamente un unico procedimento finalizzato al rilascio della VIA e di tutti gli altri titoli abilitativi necessari per la realizzazione e l'esercizio del progetto nel provvedimento finale, il PAUR.
La "autorità competente" alla quale il proponente deve presentare l'istanza per il rilascio del PAUR è « la pubblica amministrazione cui compete (...) l'adozione dei provvedimenti di VIA » (art. 5, comma 1, lett. p, del codice ambiente). Più in generale, in merito alla competenza in materia di VIA e all’ "autorità competente".
Nel caso del PAUR, dunque, il proponente è tenuto a presentare l'istanza di VIA all'autorità competente, allegando tutta la documentazione finalizzata al rilascio di "tutte le autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, concerti, nulla osta e assensi comunque denominati, necessari alla realizzazione e all'esercizio del medesimo progetto". A seguito di una fase di verifica della correttezza documentale e di consultazione, l'Autorità competente è tenuta a convocare una conferenza di servizi alla quale partecipano il proponente e tutte le amministrazioni competenti o potenzialmente interessate.
La conferenza di servizi si svolge ai sensi dell'art. 14-ter, L. n. 241/1990, e la determinazione motivata di conclusione della conferenza costituisce il PAUR, che comprende il provvedimento di VIA e i singoli provvedimenti abilitativi.
5.5. Tanto premesso sul piano della individuazione della normativa di riferimento, reputa il Collegio che il PAUR non sostituisce ad ogni effetto tutti gli atti di assenso comunque denominati rilasciati all'interno della conferenza di servizi, ma (pur presentando una propria autonomia sul piano effettuale), più limitatamente, li ricomprenderebbe.
Depone, in primo luogo, a sostegno di questa conclusione l’orientamento interpretativo sviluppato dalla giurisprudenza costituzionale.
In relazione al PAUR, la Corte costituzionale ha, a più riprese, evidenziato come esso non comporta un assorbimento dei singoli titoli autorizzatori necessari alla realizzazione dell'opera e non sostituisce i diversi provvedimenti emessi all'esito dei procedimenti amministrativi, di competenza eventualmente anche regionale, ma li ricomprenda nella determinazione che conclude la conferenza di servizi.
In sintesi, secondo tale ricostruzione interpretativa, il PAUR include in un unico atto i singoli titoli abilitativi che vengono rilasciati all'interno della conferenza di servizi, ma non rappresenta un atto sostitutivo, bensì comprensivo delle singole autorizzazioni.
Quanto, invece, al valore della conferenza di servizi, la stessa Corte costituzionale ha evidenziato come, nel disegno normativo di cui all'art. 27-bis, questa assurga a sede decisoria di adozione del provvedimento di VIA regionale. In questa prospettiva, l'art. 27-bis del codice dell’ambiente e l'art. 14, comma 4, L. n. 241/1990, sono espressione di un unico disegno riformatore che "individua un punto di equilibrio tra l'esigenza di semplificazione e di accelerazione del procedimento amministrativo, da un lato, e la "speciale" tutela che deve essere riservata al bene ambiente, dall'altro".
In tale ottica, quindi, il PAUR rappresenta un quid pluris rispetto alla VIA, ma, allo stesso tempo non ha la capacità di sostituire i singoli provvedimenti autorizzativi, che si limita a ricomprendere al suo interno.
La Corte costituzionale, con la citata sentenza n. 198/2018, ha, in particolare, affermato al riguardo che “ La disciplina del provvedimento unico regionale, in coerenza con la delega conferita dal Parlamento, è finalizzata a semplificare, razionalizzare e velocizzare la VIA regionale, nella prospettiva di migliorare l’efficacia dell’azione delle amministrazioni a diverso titolo coinvolte nella realizzazione del progetto. È appena il caso di notare, peraltro, come la norma censurata non comporti alcun assorbimento dei singoli titoli autorizzatori necessari alla realizzazione dell’opera. Il provvedimento unico non sostituisce i diversi provvedimenti emessi all’esito dei procedimenti amministrativi, di competenza eventualmente anche regionale, che possono interessare la realizzazione del progetto, ma li ricomprende nella determinazione che conclude la conferenza di servizi (comma 7, del nuovo art. 27-bis cod. ambiente, introdotto dall’art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017). Esso ha, dunque, una natura per così dire unitaria, includendo in un unico atto i singoli titoli abilitativi emessi a seguito della conferenza di servizi che, come noto, riunisce in unica sede decisoria le diverse amministrazioni competenti. Secondo una ipotesi già prevista dal decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenze di servizi, in attuazione dell’articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124) e ora disciplinata dall’art. 24 del decreto legislativo censurato, il provvedimento unico regionale non è quindi un atto sostitutivo, bensì comprensivo delle altre autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto ”.
Tale qualificazione ha trovato riscontro anche in dottrina, ove si è, in particolare, affermato che il PAUR non realizza un effetto sostitutivo “pieno” degli altri titoli autorizzatori necessari alla realizzazione dell'opera, in quanto questi ultimi mantengono la loro autonomia formale, come comprova peraltro la circostanze per cui la determinazione finale adottata all’esito della conferenza di servizi, nell'includerli in un unico atto, ne darà espressa menzione.
Sul piano dell’interpretazione letterale, questo esito è suffragato dal fatto che il legislatore afferma che la determinazione conclusiva “comprende”, tra l’altro, la VIA e la VAS.
Si utilizza una espressione che è diversa da quella che compare nella disciplina generale della conferenza di servizi, dove si afferma, invece, che l’atto conclusivo “sostituisce” ad ogni effetto i diversi atti di assenso previsti (art. 14- quater , l. n. 241 del 1990).
Sul piano dell’interpretazione sistematica, la soluzione in esame è, inoltre, più coerente con il constante indirizzo interpretativo secondo cui: «il procedimento per la valutazione d’impatto ambientale (VIA) e quello per il rilascio dell’autorizzazione integrata ambientale (AIA) sono preordinati ad accertamenti diversi ed autonomi (e possano avere quindi un’autonoma efficacia lesiva, che consente l’impugnazione separata dei rispettivi provvedimenti conclusivi» (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 3561/2017;Sez. V, n. 3000/2016;n. 313/2015).
A favore di tale qualificazione depone l’intera impalcatura normativa del d.lgs. n. 152/2006, il quale qualifica espressamente VIA e AIA come autonomi provvedimenti amministrativi, in quanto tali, produttivi di effetti precettivi loro propri, identificando:
(i) nel provvedimento di VIA, «il provvedimento motivato, obbligatorio e vincolante, che esprime la conclusione dell’autorità competente in merito agli impatti ambientali significativi e negativi del progetto, adottato sulla base dell’istruttoria svolta, degli esiti delle consultazioni pubbliche e delle eventuali consultazioni transfrontaliere» (art. 5, co. 1 lett. o);
(ii) nel provvedimento di AIA, «il provvedimento che autorizza l’esercizio di una installazione rientrante fra quelle di cui all’articolo 4, comma 4, lettera c), o di parte di essa a determinate condizioni che devono garantire che l’installazione sia conforme ai requisiti di cui al Titolo III-bis ai fini dell’individuazione delle soluzioni più idonee al perseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 4, comma 4, lettera c)» (art. 5, co. 1 lett. o.bis).
5.6. In senso contrario non può essere valorizzato il precedente della Sezione 31 gennaio 2023, n. 1072 nel quale si è affermato che Ai sensi dell'art. 27 bis comma 7 del D.Lgs. n. 152 del 2006, in materia di PAUR ambientale "La determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi costituisce il provvedimento autorizzatorio unico regionale e comprende, recandone l'indicazione esplicita, il provvedimento di VIA e i titoli abilitativi rilasciati per la realizzazione e l'esercizio del progetto". Se ne deduce secondo logica che, in termini generali, chi volesse contestare il rilascio di un PAUR dovrebbe impugnare, nel termine di decadenza, la determinazione stessa e poi, se del caso, impugnare con motivi aggiunti il decreto regionale che recepisce questa determinazione.
(…) Nel caso di specie, si potrebbe allora porre un problema di irricevibilità dei ricorsi di I grado nn. 464, 467 e 470/2021, che risultano notificati i primi due il 16 giugno 2021, il terzo il 15 giugno 2021, sono rivolti direttamente contro il Provv. regionale 17 aprile 2021 e impugnano la determinazione della conferenza 11 dicembre 2020 come atto presupposto, e rispetto a quest'ultima potrebbero risultare tardivi.
(…) Sempre nel caso di specie, però, non è così. A semplice lettura del Provv. regionale 17 aprile 2021, si comprende infatti che esso non si limita a recepire tal quale la deliberazione della conferenza, ma compie una nuova istruttoria, nel senso che riepiloga ed ordina tutto quanto nelle varie sedute della conferenza stessa è emerso - obiettivamente non comprensibile con immediatezza in base al solo verbale 11 dicembre 2020 - e dà conto anche degli sviluppi successivi, ovvero dell'opposizione del Comune di Vezzano, che comporta oltretutto che il termine di efficacia del provvedimento sia determinato in modo diverso. È allora evidente che si tratta non di atto meramente confermativo, ma, a tutto concedere, di conferma autonomamente impugnabile, come affermato da giurisprudenza del tutto pacifica, che come tale non richiede puntuali citazioni.
Tale precedente, infatti, non ha affrontato la questione, rilevante nel presente giudizio, dell’eventuale assorbimento da parte del PAUR dei precedenti provvedimenti di VIA e AIA.
Tale pronuncia si è, in effetti, limitata a precisare la necessarietà dell’impugnazione del PAUR senza però negare la necessità di impugnare immediatamente i provvedimenti VIA e/o AIA ad esso presupposti ove ritenuti illegittimi.
5.7. La conclusione sin qui raggiunta non è contraddetta, diversamente da quanto ritenuto dal Comune appellato, dal passo della citata decisione della Corte Costituzionale, nel quale si evidenzia il carattere unitario del P.A.U.R. e si sottolinea la capacità di tale modello procedimentale di incidere sulla “qualità” stessa della decisione”, specificando, in particolare, come in esso “confluiscono tutti gli atti abilitativi/autorizzatori che vengono in rilievo in relazione al singolo progetto esaminato”, così che il suo effetto autorizzativo “deriva dalla stessa determinazione conclusiva” e “non dai singoli atti che la compongono”.
Tale assunto, condiviso anche dal citato precedente della Sezione n. 6245/2021 secondo cui “ … se il P.A.U.R. fosse solo un mero “contenitore” dei titoli abilitativi richiesti dalle vigenti normative di settore, risulterebbe del tutto frustrato l’obiettivo di razionalizzazione, accelerazione e semplificazione perseguito dalla normativa europea” non smentisce l’assunto dell’autonomia formale dei provvedimenti di VIA e AIA.
Tale autonomia formale è, infatti, bilanciata dalla disciplina del procedimento che si fonda su una conferenza di servizi decisoria e sincrona.
La ratio sottesa alla scelta di tale modulo procedimentale è funzionale al “raccordo collaborativo” tra i diversi enti e amministrazioni coinvolti nelle decisioni. Essa, infatti, “assume, nell'intento della semplificazione e accelerazione dell'azione amministrativa, la funzione di coordinamento e mediazione degli interessi in gioco al fine di individuare, mediante il contestuale confronto degli interessi dei soggetti che li rappresentano, l'interesse pubblico primario e prevalente” (Corte costituzionale n. 313 /2010;n. 179/2012).
Del resto, come è stato esattamente rilevato in dottrina, la stessa nozione «conferenza di servizi» sta ad indicare, sia pure ellitticamente, l'opportunità di un esame contestuale di interessi pubblici curati da diverse amministrazioni attraverso una «riunione di persone qualificate per discutere di argomenti specifici».
In tal senso, la Sezione, con la decisione 2 settembre 2021, n. 6195, ha già avuto modo di evidenziare come il perno del procedimento unico di cui all'art. 27-bis debba essere individuato proprio nel modulo procedimentale della conferenza di servizi.
A sostegno di questa conclusione è stata, in particolare, evidenziata la circostanza per cui l’autorità competente in materia di VIA sia competente anche all'adozione della determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi e possa risolvere i conflitti interni alla conferenza stessa sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti alla conferenza tramite i rispettivi rappresentanti.
Ne discende che l’unicità del modulo procedimentale non comporta la compenetrazione tra i titoli acquisiti, che invece rimangono formalmente e sostanzialmente distinti, continuando ad essere contestualmente disciplinati dalle relative disposizioni procedimentali di settore.
5.7. Dall’accoglimento delle suesposte premesse consegue che, nel caso in esame, i provvedimenti di VIA e di AIA, in quanto dotati di autonoma efficacia lesiva rispetto al provvedimento di PAUR, avrebbero dovuto costituire oggetto di espressa impugnazione da parte del Comune di Cori entro il termine di 60 giorni decorrente dalla data della rispettiva pubblicazione sul BURL.
Ciò tanto più in relazione ad una fattispecie, qual è quella in esame, nella quale le censure proposte dal Comune di Cori avverso il provvedimento di PAUR (compresa la censura su cui si è espressa, nel merito, la decisione impugnata), fanno tutte esplicito riferimento a notazioni, studi, approfondimenti, valutazioni e decisioni effettuate dall’amministrazione per l’adozione dei provvedimenti di VIA e di AIA, la cui lesività era già per ciò solo riscontrabile quando questi ultimi provvedimenti sono stati adottati.
Nessuna delle censure proposte con il ricorso di primo grado involge direttamente il PAUR: ognuna di esse, infatti, contesta asseriti errori e/o omissioni che si sarebbero verificati al momento dell’adozione dei provvedimenti di VIA e/o di AIA.
E in effetti, con i primi due motivi del ricorso di primo grado il Comune aveva lamentato una presunta erronea considerazione del parere reso dall’ARPA, al preteso fine di contestare: l’attendibilità delle motivazioni utilizzate dalla Regione Lazio per l’approvazione della VIA e dell’AIA.
Con il terzo motivo del ricorso di primo grado, era stata contestata l’asserita carenza di uno screening preliminare sulla necessità o meno della VIS, sul presupposto che tale adempimento sarebbe imprescindibile per l’adozione dei provvedimenti di VIA e di AIA.
Con il quarto motivo del ricorso di primo grado, era stata contestata: a) l’asserita violazione delle norme che disciplinano la VINCA nell’ambito del procedimento di VIA, sul presupposto che «l’esito della VINCA incide e vincola il provvedimento di VIA» (p. 23);b) l’asserita violazione del decreto