Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2022-07-25, n. 202206506
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Pubblicato il 25/07/2022
N. 06506/2022REG.PROV.COLL.
N. 07722/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7722 del 2017, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F G, domiciliato presso la Segreteria Sezionale Cds in Roma, piazza Capo di Ferro, 13;
contro
Ministero dell'Interno, Questura Bologna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. -OMISSIS-, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno e di Questura Bologna;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 maggio 2022 il Pres. M C e viste le conclusioni delle parti come da verbale di udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
In data 30.12.2016, il sig. -OMISSIS-, cittadino pakistano, impugnava, dinanzi al Tar per l’Emilia Romagna, il decreto del 3.03.2016, notificato il 17.10.2016, meglio in epigrafe specificato, con cui la Questura di Bologna opponeva il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro/attesa occupazione, a fronte dell’istanza presentata dal medesimo il 20.07.2015.
Il provvedimento traeva origine da una serie di circostanze: il ricorrente non aveva comunicato alcuna variazione del proprio domicilio rispetto a quello indicato nell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, non ricevendo neppure la comunicazione ex art. 10 bis L. 241/1990 essendo risultato destinatario sconosciuto all’indicato indirizzo. Alla data di adozione del provvedimento, inoltre, il ricorrente non risultava in possesso di un valido documento di identità, non avendo lo stesso dato riscontro alcuno alla predetta richiesta della Questura, con la quale lo si invitava ad esibire il passaporto in corso di validità.
Mediante il predetto ricorso, il sig. -OMISSIS-si doleva dell’illegittimità del provvedimento e di difetto di istruttoria, con particolare riferimento all’art. 5, comma 5, dlgs 286/1998, per mancata valutazione di elementi sopravvenuti al medesimo favorevoli. Invero, il ricorrente riferiva di essere stato, all’atto dell’inoltro dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno, in possesso di un passaporto valido prossimo alla scadenza e di essersi attivato, nelle more del procedimento, per ottenere un nuovo passaporto, rilasciatogli il 30.09.2016.
2. Con sentenza n. -OMISSIS-, il giudice di primo grado respingeva il predetto ricorso.
3. Con ricorso notificato il 3.02.2017 (la cui notifica si perfezionava in data 3.10.2017), depositato il 2.11.2017, il ricorrente, con contestuale istanza di sospensione del decreto di diniego del rinnovo di permesso di soggiorno, avversava la predetta sentenza, riproponendo, nella sostanza, le censure non accolte in primo grado. Nello specifico, lamentava l’illegittimità del decreto per violazione dell’art. 5, comma 5 e si doleva del fatto che, contrariamente a quanto statuito dal giudice di primo grado, non si era disinteressato della pratica di rinnovo del permesso di soggiorno, essendo stato impossibilitato a produrre il passaporto senza sua colpa, a causa del ritardo, allo stesso non imputabile, del rilascio del predetto documento da parte delle Autorità competenti, più volte sollecitate.
Infine, veniva avanzata domanda di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE per la supposta violazione del diritto al rinnovo del permesso di soggiorno.
4. Si costituiva in giudizio il Ministero dell’Interno.
5. Con ordinanza cautelare del giorno 1.12.2017, veniva respinta l’istanza cautelare.
6. Alla pubblica udienza del 19 maggio 2022 a causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è parzialmente fondato, nei termini che seguono.
2. L’attuale disciplina in tema di rilascio o di rinnovo di permesso di soggiorno (artt. 4, 5 e 6 d.lgs. 286/1998 e art. 9, dpr 394/1994) non consente il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno nell’ipotesi in cui sia riscontrata, nella relativa istanza, la mancanza di requisiti fondamentali, tra cui un passaporto o altro documento equipollente in corso di validità, nonché l’indicazione della sistemazione alloggiativa ove il richiedente intende soggiornare.
3. L’appellante deduce che in data 30.09.2016, ossia nelle more tra la definizione del procedimento amministrativo (avvenuta il 3.03.2016) e l’instaurazione del processo dinanzi al Giudice di primo grado, gli è stato rilasciato un nuovo passaporto. L’appellante ha, peraltro, riferito di essere stato impossibilitato a produrre in tempo utile un nuovo valido passaporto senza sua colpa, a causa del ritardo, allo stesso non imputabile, del rilascio del predetto documento da parte delle Autorità competenti, più volte sollecitate.
Il Collegio ritiene che la circostanza allegata dall’appellante non comporta l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto lo stesso è il risultato di una decisione maturata sulla base della valutazione delle circostanze di fatto e di diritto esistenti nel momento della sua adozione sulla scorta del principio del tempus regit actum . L’amministrazione non poteva quindi che determinarsi in quel modo specifico e pertanto, sotto questo profilo, l’appello non può trovare accoglimento.
Tuttavia, la specificità della questione al vaglio giurisdizionale, impone una valutazione più ampia sulla possibile rilevanza delle circostanze maturate in un momento successivo all’adozione dell’atto che, se pur non idonee a intaccare sfavorevolmente la valutazione amministrativa, tuttavia incidono significativamente sulla attuale situazione giuridica dell’appellante.
La giurisprudenza amministrativa, in tema di immigrazione, ha talora ritenuto irrilevanti le sopravvenienze. Tale posizione trova conforto in una prospettiva del processo amministrativo inteso come giudizio meramente impugnatorio in cui al centro della valutazione del Giudice sta solo la legittimità dell’atto al momento della sua adozione. In questa prospettiva, il sindacato di legittimità dell’atto si limita alla verifica della ragionevolezza e della proporzionalità della decisione dell’amministrazione secondo quanto conosciuto dalla stessa al momento in cui aveva maturato la propria determinazione.
Questa impostazione, legata alla qualificazione del giudizio amministrativo come meramente impugnatorio, non sempre risulta adeguata alla funzione assegnata al Giudice amministrativo dopo l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo e alla luce della successiva giurisprudenza sovranazionale e interna.
Ciò tanto più nelle ipotesi in cui oggetto del giudizio sono diritti fondamentali della persona umana che possono trovare tutela nel quadro di un idoneo bilanciamento con i valori essenziali della sicurezza e della sostenibilità dei flussi migratori.
Da tempo la giurisprudenza ha dato atto della trasformazione del processo amministrativo “da giudizio amministrativo sull’atto, teso a vagliarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati in sede di ricorso e con salvezza del riesercizio del potere amministrativo, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata.” (Adunanza Plenaria, 2011, n. 3).
È proprio in questi casi in cui il bene della vita da tutelare ha natura personale che oggetto della valutazione giudiziale non può essere solo il provvedimento in sé poiché essa deve necessariamente avvolgere la situazione giuridica soggettiva che fa da sfondo alla vicenda procedimentale.
Se a ciò si aggiungono gli ultimi approdi sull’inesauribilità del potere amministrativo e la specifica funzione riconosciuta al giudicato amministrativo e al giudizio di ottemperanza, diventa chiaro che il giudice amministrativo non può più limitarsi ad una valutazione di tipo statico, ancorata al provvedimento impugnato ma dovrà operare una valutazione di tipo dinamico – fermi restando il potere discrezionale dell’amministrazione competente e il divieto assoluto di sindacato esteso al merito – al fine di evitare il concretizzarsi di un pregiudizio per la situazione giuridica sostanziale.
È in questo quadro che si collocano del resto le ordinanze propulsive a mezzo delle quali il giudice amministrativo, in sede cautelare, ricorre chiedendo all’amministrazione competente di riesaminare la situazione giuridica del ricorrente. Nella specifica materia dell’immigrazione, il giudizio amministrativo come giudizio sulla situazione giuridica soggettiva e non solo sull’atto impugnato, impone dunque la valutazione degli elementi che si sono effettivamente concretizzati nelle more tra l’istanza presentata, il suo esame da parte dell’amministrazione e il giudizio dinanzi al Giudice, specie quando ci sono gli elementi per il riconoscimento di altro titolo di soggiorno perché, se è vero che questi non potevano incidere sull’atto, incidono sulla situazione giuridica dell’appellante e la loro mancata valutazione può comprometterla irrimediabilmente, arrecando un pregiudizio a diritti fondamentali della persona umana.
Alla luce delle suesposte premesse, l’Amministrazione, pertanto, nell’esercizio del suo potere, deve tenere in debito conto le circostanze sopravvenute che, anche se non conoscibili perché non esistenti al momento dell’adozione dell’atto – che quindi deve ritenersi pienamente legittimo – comunque hanno modificato la situazione giuridica dell’appellante e potrebbero, nel rispetto della normativa vigente e in concorrenza degli ulteriori indefettibili presupposti, condurre ad una nuova valutazione ed un differente esito procedimentale.
Sotto questo limitato profilo, può essere accolta l’istanza di tutela dell’appellante, ai soli fini della rivalutazione sulla sua posizione giuridica.
4. Alla luce delle argomentazioni suesposte e del parziale accoglimento del gravame, rimane altresì assorbito il profilo relativo alla presunta incompatibilità dell’impianto normativo nazionale con le norme comunitarie di settore, non ravvisandosi, nella disciplina richiamata, alcuna violazione del diritto al rinnovo del permesso di soggiorno.
5. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese e degli onorari del giudizio.