Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2013-08-29, n. 201304315
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N. 04315/2013REG.PROV.COLL.
N. 10487/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10487 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
M F, rappresentato e difeso dagli avv. A C, F C, con domicilio eletto presso A C in Roma, via Principessa Clotilde N.2;
contro
Comune di Gioia del Colle, rappresentato e difeso dagli avv. G N, E M, con domicilio eletto presso Studio Alfredo E Giuseppe Placidi in Roma, via Cosseria N. 2;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE II n. 03686/2010, resa tra le parti, concernente ESPROPRIAZIONE AREE PER ESECUZIONE LAVORI DI AMMODERNAMENTO FASCIO FERROVIARIO - RIS. DANNI
Visti il ricorso in appello, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Gioia del Colle;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2011 il Cons. O F e uditi per le parti gli avvocati A C E M in proprio e su delega di G N;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con l’appello in esame, il sig. M F impugna la sentenza 20 ottobre 2010 n. 3686, con la quale il TAR per la Puglia, sez. II della sede di Bari ha respinto il suo ricorso proposto, in particolare, avverso due decreti di esproprio (nn. 24 e 45 del 2010) di immobili di sua proprietà.
La controversia riguarda l’espropriazione di talune aree di proprietà del sig. F, occorrenti per la realizzazione dei lavori relativi alla riqualificazione del fascio ferroviario RFI nell’abitato di Gioia del Colle.
La sentenza appellata afferma:
- “con la pubblicazione nell’albo pretorio del Comune di Gioia del Colle dell’avviso di avvio del procedimento di variante e di approvazione del progetto definitivo dei lavori e con la contemporanea pubblicazione, nel quotidiano la Gazzetta del Mezzogiorno, essendo il loro numero superiore a 50, dell’elenco dei proprietari dei beni da espropriare, risulta soddisfatta anche la formalità ex art. 11 DPR 327/2001;
- l’avviso di avvio del procedimento di espropriazione “deve essere inviato prima della predisposizione del progetto dell’opera da realizzare”, poiché, in caso diverso, vi sarebbe una impossibilità di modifica del progetto, tale da rendere la partecipazione priva di significato;
- vi è stata comunicazione da parte dell’amministrazione dell’approvazione del progetto definitivo dei lavori di riqualificazione della fascia ferroviaria.
Avverso tale decisione, il sig. F ha proposto i seguenti motivi di appello:
a) violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c.;infrapetizione;errores in iudicando e in procedendo;motivazione omessa o insufficiente;omessa pronuncia sulle ulteriori ragioni di fondatezza del ricorso di I grado, con riproposizione di ogni motivo, anche se eventualmente assorbiti;
b) erroneo apprezzamento e governo del materiale istruttorio;erroneità dell’interpretazione ed applicazione del materiale cognitivo, della normativa e dei principi in materia di espropriazione e di interpretazione, violazione di legge;errores in procedendo e in iudicando;violazione art. 11, co. 2 DPR n. 327/2011;art. 7 l. n. 241/1990;art. 97 Cost.;poiché “la mancata pubblicazione sul sito istituzionale del Comune è provata dall’autentica del sito internet depositata agli atti del giudizio e tanto invalida la sentenza che non ha fatto buon uso del materiale istruttorio” (stante la violazione della normativa sulla partecipazione degli interessati al procedimento);
c) violazione art. 16 , co. 4 e 5, e 17, co. 2, DPR n. 327/2001, poiché vi è “la violazione delle norme tese a garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento di espropriazione, con riferimento alla fase procedimentale della dichiarazione di pubblica utilità, sia con riferimento all’avviso di avvio del medesimo procedimento, sia con riferimento all’avviso di conclusione del procedimento, determinandosi la nullità per violazione di legge del provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità”. Tale avviso deve essere inviato “a seguito del deposito del progetto definitivo presso l’ufficio tecnico dell’Ente”, essendo illegittima ogni comunicazione anteriore ed in ogni caso vi è infungibilità della comunicazione ex art. 16 DPR n. 327/2001, con quella di cui all’art. 11 DPR cit. (né in ogni caso tali comunicazioni non contengono l’indicazione del termine per ricorrere e l’autorità giudiziaria competente). Da tali omissioni, consegue la rimessione in termini dell’interessato, onde consentirne l’impugnazione degli atti;
d) eccesso di potere dell’approvazione del progetto definitivo per contraddittorietà con precedente delibera C.C., nonché violazione delle norme di legge in tema di copertura finanziaria delle opere da realizzare;poiché, per un verso, con le deliberazioni del Consiglio comunale “si perviene ad una approvazione della totalità del progetto originario, prevedendo pur tuttavia una copertura solamente parziale delle opere dal finanziamento CIPE di cui il Comune è organo attuatore”;per altro verso, non si “dispone sulla copertura finanziaria delle opere che permangono non finanziate dalla erogazione CIPE”;
e) (1° motivo aggiunto): erroneo apprezzamento e governo del materiale istruttorio;erroneità dell’interpretazione ed applicazione del materiale cognitivo, della normativa e dei principi in materia di espropriazione e di interpretazione;violazione di legge;errores in procedendo e in iudicando, anche in relazione agli ulteriori atti depositati in data 5 ottobre 2010 (v. pagg. 24 – 29 app.);
f) invalidità propria e derivata, poiché “tutti i motivi investono tutti gli atti gravati, sia con il ricorso sia con i motivi aggiunti”;
g) violazione artt. 91 e 92 c.p.c.;insufficiente e incongrua motivazione, in ordine alla condanna dell’appellante al pagamento (e nella misura liquidata) delle spese processuali;
h) riproposizione delle domande di accertamento,m reintegra, restituzione e risarcimento del danno.
L’appellante precisa che i motivi aggiunti proposti con il ricorso in appello consistono in “mere specificazioni di censure già presenti nel ricorso di I grado e che, in verità, vedono il loro fondamento confermato dalla produzione documentale” del 5 ottobre 2010 (v. pag. 7 app.).
Inoltre, l’appellante chiede anche “l’accertamento e la declaratoria di già conseguita inefficacia e decadenza degli atti gravati e/o disapplicazione”, in particolare poiché “dopo l’assegnazione a sentenza nel giudizio di I gradosi sono consumati i termini che la deliberazione di C.C. n. 67 del 18 dicembre 2008 indica quale cronoprogramma delle attività amministrative che consente di arrivare all’appalto delle opere entro il 31 dicembre 2009, termine ultimo per l’utilizzo delle risorse di cui alla delibera CIPE n. 3/2006”.
Con ricorso del 17 gennaio 2011, il sig. M F propone “motivi aggiunti in appello”, all’esito della intervenuta cognizione (per il tramite dell’esercizio del diritto di accesso), in date 17 dicembre 2010, 23 dicembre 2010, 10 gennaio 2011, 13 gennaio 2011, di ulteriori atti preordinati, presupposti o comunque afferenti al procedimento espropriativo, ed avverso tali atti richiede “annullamento, nullità, disapplicazione”, precisando che la domanda è formulata in relazione agli atti “reperiti negli accessi” predetti, sia in relazione a tutti gli atti “che non abbiano già formato oggetto di anteriore impugnazione, siano essi anteriori o successivi agli atti gravati innanzi al TAR” (v. pag. 8 ric.). Gli specifici motivi di doglianza sono esposti alle pagg. 8 – 25 ric..
Con ulteriore ricorso del 8 febbraio 2011, il sig. M F propone un “secondo atto per motivi aggiunti in appello”, riferito ai “nuovi documenti conseguiti il 25 gennaio 2011 (supporto informatico del progetto preliminare)”, nonché agli “esiti dell’accesso del 7 febbraio 2011 con riferimento a “SIA studio di incidenza ambientale” dell’intervento A e B”, ed agli atti ottenuti nei precedenti accessi nelle date sopra indicate. Gli specifici motivi di doglianza sono esposti alle pagg. 11 – 26 ric.)
Si è costituito in giudizio il Comune di Gioia del Colle, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello per essere irricevibile il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, con conseguente inammissibilità dei ricorsi per motivi aggiunti proposti in grado di appello. Ha comunque concluso per il rigetto dell’appello e dei ricorsi per motivi aggiunti in appello, stante la loro infondatezza.
All’udienza di trattazione, dopo il deposito di ulteriori memorie, la causa è stata riservata in decisione.
DIRITTO
2. Il Collegio deve innanzi tutto dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi per motivi aggiunti datati 17 gennaio e 8 febbraio 2011, nonché dei “motivi aggiunti” contenuti nel ricorso in appello, nei sensi e limiti di seguito precisati.
L’art. 104 del Codice del processo amministrativo prevede:
“1. Nel giudizio di appello non possono essere proposte nuove domande, fermo quanto previsto dall’ articolo 34, comma 3, né nuove eccezioni non rilevabili d’ufficio. Possono tuttavia essere chiesti gli interessi e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni subiti dopo la sentenza stessa.
2. Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.
3. Possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati.”.
L’art. 104 Cpa costituisce specificazione di quanto, in generale, previsto dall’art. 345 c.p.c., secondo il quale:
“Nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa.
Non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d'ufficio.
Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio”.
Le disposizioni ora richiamate – ed in particolare l’art. 104 Cpa, applicabile al presente giudizio – intendono preservare alla cognizione del giudice di appello il thema decidendum offerto al giudizio di I grado e oggetto della sentenza impugnata, che non può ricevere ampliamenti – in tal modo sfuggendo alla regola del doppio grado di giudizio – ma semmai riduzioni, per effetto dei motivi di impugnazione concretamente proposti dalle parti, che ben possono circoscriverlo in II grado, rispetto al precedente grado di giudizio.
Il divieto di proposizione di motivi nuovi in appello, nel confermare l’esigenza che tutto il “dedotto ed il deducibile”, offrendosi alla cognizione del giudice di I grado, non sfugga al doppio grado di giudizio, costituisce anche attuazione dei principi enunciati dall’art. 24 Cost. in tema di diritto alla tutela giurisdizionale e di diritto di difesa, cui inerisce il principio di parità processuale delle parti.
Ed infatti, salvo taluni casi nei quali, per esigenze processuali ed in ossequio al principio di effettività della tutela giurisdizionale, è possibile derogare al principio del doppio grado di giudizio (non costituzionalizzato ma positivamente previsto, in via generale, dalla legge processuale), non può riconoscersi ad alcuna delle parti la possibilità di sottrarre alle altre – attraverso un uso temporalmente differito dei mezzi di tutela – il diritto ad avere i gradi di giudizio previsti dal codice di rito (e quindi, nel caso della giurisdizione di legittimità, la doppia verifica del giudice).
In tal senso, si è affermato che nel giudizio amministrativo il divieto di motivi nuovi in appello costituisce la logica conseguenza dell'onere di specificità dei motivi di impugnazione in primo grado del provvedimento amministrativo e più in generale dell'onere di specificazione della domanda da parte di chi agisce in giudizio (Cons. Stato, sez. IV, 27 ottobre 2011 n. 5758).
L’art. 104, comma 3, consente la proposizione di motivi aggiunti “qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati”.
La giurisprudenza ha già avuto modo di precisare, in linea generale, che nel giudizio amministrativo il divieto dei motivi nuovi concerne esclusivamente i motivi sollevati da chi introduce il giudizio di prime cure, mentre il divieto delle nuove eccezioni, sancito dal secondo comma del medesimo articolo, non si applica alle mere difese, che sono sempre esaminabili per la prima volta in grado di appello;e ciò in quanto il divieto di proporre motivi nuovi in appello è riferibile solo al ricorrente originario e non anche ai resistenti, che possono addurre qualunque motivo (salve le preclusioni previste dalla legge) per dimostrare al giudice di secondo grado l'infondatezza della domanda del ricorrente (Cons. stato, sez. VI, 24 febbraio 2011 n. 1154)
Più in particolare, questo Consiglio di Stato ha affermato come i motivi aggiunti sono consentiti in appello solo per dedurre ulteriori censure in relazione ad atti e provvedimenti già impugnati, allorchè i vizi ulteriori emergano da documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di I grado, il che determina l’inammissibilità dell’impugnazione in appello di nuovi atti, fermo restando la possibilità per la parte, ove ne ricorrano le condizioni, di proporre avverso questi ultimi autonomo ricorso giurisdizionale (Cons. Stato, sez. V, 30 giugno 2011 n. 2913;sez. V, 21 settembre 2011 n. 5329). Sul punto, questa Sezione (sent. 16 giugno 2011 n. 3662), ha già avuto modo di affermare, con considerazioni dalle quali non vi è motivo di discostarsi nella presente sede:
“l’art. 104, comma 3, cod. proc. amm., laddove consente la proposizione di motivi aggiunti in appello “qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati”, ha codificato il pregresso orientamento giurisprudenziale che ammette i motivi aggiunti in grado d’appello al solo fine di dedurre ulteriori vizi degli atti già censurati in primo grado, e non anche nella diversa ipotesi in cui con essi si intenda impugnare nuovi atti sopravvenuti alla sentenza di primo grado (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 aprile 2008, nr. 1442;Cons. Stato, sez. V, 28 settembre 2007, nr. 5024;Cons. Stato, sez. VI, 25 luglio 2006, nr. 4648).
Ciò si ricava da una piana lettura della disposizione innanzi citata, la quale non parla affatto di impugnazione degli atti sopravvenuti, ma solo dell’emergere (a seguito della sopravvenuta conoscenza di documenti già esistenti, ma non prodotti in primo grado) di ulteriori “vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati”, con tale locuzione dovendo intendersi quelli oggetto dell’originaria impugnazione;l’opposta opzione ermeneutica consentirebbe l’impugnazione dei nuovi atti sopravvenuti per la prima volta e direttamente in sede di appello, con violazione del principio del doppio grado di giurisdizione”.
Alle considerazioni già esposte, occorre aggiungere che, dalla disamina del comma 3 dell’art. 104 Cpa, si deduce che l’oggetto del giudizio di appello resta circoscritto agli atti e provvedimenti impugnati in I grado.
Ciò comporta, non solo che ulteriori “atti”, ancorchè non aventi natura provvedimentale (non a caso la norma cita distintamente “atti” e “provvedimenti”), non possono essere oggetto di impugnazione, ma anche che i vizi ad essi eventualmente attribuiti non possono riverberarsi quali vizi – in via di illegittimità derivata – degli atti già impugnati.
Diversamente opinando, si giungerebbe o ad ammettere che un provvedimento amministrativo possa risentire in via derivata dell’illegittimità di un atto del procedimento, pur senza impugnazione di questo;ovvero che, in sostanza, si aggirerebbe il chiaro limite posto dall’art. 104, co. 3, alla proposizione di motivi aggiunti in appello, in quanto, pur non ammettendone formalmente l’impugnazione, i nuovi atti (ed i loro vizi) dispiegherebbero effetti sui provvedimenti impugnati, allo stesso modo che se fossero stati anch’essi oggetto di impugnazione.
Il Collegio ritiene, inoltre, che la condizione della mancata produzione del documento nel giudizio di I grado, costituisce soltanto un limite preclusivo oggettivo alla considerabilità dello stesso ai fini della proposizione di motivi aggiunti in appello, ma che tale condizione non “seleziona” a contrariis tutti gli altri documenti come “sopravvenuti”, e quindi utilizzabili ai fini di eventuali motivi aggiunti.
Infatti, ai documenti “prodotti” devono aggiungersi i documenti che – pur non prodotti dall’amministrazione o da altre parti – possono comunque formare oggetto di acquisizione istruttoria ai sensi degli artt. 63 e 65 Cpa.: questi documenti, quindi, ancorchè non acquisiti al procedimento, non possono in futuro essere posti a fondamento di un eventuale ricorso per motivi aggiunti.
In definitiva, ai fini dell’esclusione di motivi aggiunti in appello ai documenti “conosciuti” (perché prodotti dalle parti), occorre aggiungere i documenti “conoscibili”, ancorchè non effettivamente conosciuti.
Diversamente considerando:
- per un verso si svuota il senso stesso dell’istruttoria presidenziale e collegiale di cui all’art. 65, ed in particolare quanto previsto dal comma 3, secondo il quale “ove l’amministrazione non provveda al deposito del provvedimento impugnato e degli altri atti ai sensi dell’art. 46, il presidente o un magistrato da lui delegato ovvero il collegio ordina, anche su istanza di parte, l’esibizione degli atti e dei documenti nel termine e nei modi opportuni”;
- per altro verso, si finisce per svuotare di senso sia la stessa natura del termine decadenziale per la proposizione del ricorso giurisdizionale, sia il senso stesso del decisum proprio della sentenza di I grado, ben potendo ipotizzarsi una sorta di istruttoria successiva ed extra iudicium, in pendenza di termine per l’appello ed anche dopo la scadenza di questo, venendo in tal modo a prodursi una sorta di “giudizio a formazione progressiva”, che prescinde dal rispetto dei gradi di giudizio previsti per legge.
In definitiva, occorre ritenere che i motivi aggiunti in appello, di cui all’art. 104, co. 3, Cpa devono senz’altro riguardare “atti o provvedimenti amministrativi impugnati”, e non possono essere desunti né da atti endoprocedimentali e/o di procedimenti collegati che avrebbero dovuto essere impugnati (e che eventualmente possono ancora formare oggetto di autonoma impugnazione in I grado), né da documenti non solo conosciuti, in quanto prodotti dalle parti in giudizio, ma anche conoscibili, per il tramite dell’esercizio degli ordinari mezzi di prova che il codice riconosce alle parti, ed in specie, al ricorrente.
3. Nel caso di specie, quanto al ricorso in appello introduttivo del presente grado di giudizio, occorre osservare che, con riferimento agli atti depositati in data 5 ottobre 2010, non è ammissibile alcuna impugnazione con ricorso per motivi aggiunti in grado di appello, posto che gli stessi sono stati depositati nel corso del giudizio di I grado (definito all’udienza in camera di consiglio del 7 ottobre 2010, quindi successivamente al loro deposito).
E ciò in quanto, come si è ricordato, l’art. 104, co. 3, nel consentire i motivi aggiunti, si riferisce a “documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati.”, mentre, nel caso di specie, tale deposito risulta effettuato nel corso del giudizio di I grado..
Naturalmente, poiché l’appellante precisa anche (v. pag. 7 app.) che i motivi aggiunti proposti con il ricorso in appello consistono in “mere specificazioni di censure già presenti nel ricorso di I grado e che, in verità, vedono il loro fondamento confermato dalla produzione documentale” del 5 ottobre 2010”, tali censure ulteriori possono essere considerate nei limiti di una migliore illustrazione dell’illegittimità degli atti impugnati in I grado e nei limiti dei vizi illustrati con i motivi in quella sede proposti (e riproposti in appello).
Quanto al primo ricorso per motivi aggiunti (datato 17 gennaio 2011, occorre dichiararne l’inammissibilità, posto che questo è proposto avverso atti preordinati, presupposti o comunque afferenti al procedimento espropriativo, la cui conoscenza si è acquisita mediante accessi intervenuti in date 17 dicembre 2010, 23 dicembre 2010, 10 gennaio 2011, 13 gennaio 2011, e con tale ricorso si richiede “annullamento, nullità, disapplicazione” degli stessi, precisando che la domanda è formulata in relazione agli atti “reperiti negli accessi” predetti, sia in relazione a tutti gli atti “che non abbiano già formato oggetto di anteriore impugnazione, siano essi anteriori o successivi gravati innanzi al TAR” (v. pag. 8 ric.).
Anche il secondo ricorso per motivi aggiunti, datato 8 febbraio 2011, deve essere dichiarato inammissibile, posto che lo stesso è stato determinato da “nuovi documenti conseguiti il 25 gennaio 2011 (supporto informatico del progetto preliminare)”, nonché agli “esiti dell’accesso del 7 febbraio 2011, ed è riferito al “SIA studio di incidenza ambientale” dell’intervento A e B”, ed agli atti ottenuti nei precedenti accessi nelle date già in precedenza indicate (v. pag. 26 ric.).
Poiché in questi casi si tratta di “documenti” rappresentativi di atti endoprocedimentali e/o di procedimenti collegati, per le ragioni innanzi esposte non è possibile ritenere proponibile, in relazione ad essi il ricorso per motivi aggiunti in appello. Né d’altra parte, per le ragioni predette, gli eventuali vizi di tali atti possono riverberarsi in termini di illegittimità derivata sui provvedimenti oggetto di impugnazione in primo grado.
4. Tanto precisato in ordine ai motivi aggiunti proposti con il ricorso in appello e con i due ricorsi ulteriori, il Collegio deve ancora rilevare che, con il ricorso in appello originario, l’appellante chiede anche “l’accertamento e la declaratoria di già conseguita inefficacia e decadenza degli atti gravati e/o disapplicazione”, in particolare poiché “dopo l’assegnazione a sentenza nel giudizio di I grado si sono consumati i termini che la deliberazione di C.C. n. 67 del 18 dicembre 2008 indica quale cronoprogramma delle attività amministrative che consente di arrivare all’appalto delle opere entro il 31 dicembre 2009, termine ultimo per l’utilizzo delle risorse di cui alla delibera CIPE n. 3/2006”.
Anche tale domanda è inammissibile, posto che essa attiene ad un accadimento successivo alla pronuncia della sentenza, comunque tale da non incidere in termini di illegittimità sugli atti impugnati in I grado.
Per le ragioni esposte, e nei termini sin qui precisati, deve essere dichiarata la parziale inammissibilità del ricorso in appello instaurativo del presente grado di giudizio, nonché dei due ricorsi per motivi aggiunti.
5. Quanto in precedenza esposto, consente di precisare il thema decidendum del presente grado di appello, che deve essere riferito – per il tramite dei motivi proposti – alla verifica della sentenza pronunciata dal giudice di I grado, relativa alla impugnazione di due decreti di esproprio (nn. 24 e 45 del 21 giugno 2010), e di due delibere del Consiglio Comunale di Gioia del Colle, e precisamente le nn. 21 e 22 del 30 aprile 2010, relative, rispettivamente, alla approvazione del progetto definitivo dell’intervento “A” e dell’intervento “B”, della “riqualificazione attraversamento fascio ferroviario RFI”.
Tanto precisato, l’appello deve essere rigettato, stante la sua infondatezza.
Ciò consente di prescindere dalla eccezione di inammissibilità (derivante dalla irricevibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado), proposta dal Comune di Gioia del Colle;e quindi prescindere anche dalla verifica dell’ammissibilità di questa, in quanto avrebbe dovuto essere introdotta con motivo da riproporre con appello incidentale.
Quanto ai primi tre motivi di appello (sub lett. a – c dell’esposizione in fatto) - in disparte la considerazione del primo di essi come censura “generale” riferita ad un difetto di pronuncia in cui sarebbe incorsa la sentenza appellata – occorre osservare che essi attengono alla violazione formale di regole del procedimento, volte a consentire la partecipazione degli interessati, nel caso di specie, al procedimento espropriativo.
O, osserva il Collegio che l’art. 11 del DPR n. 327/2001, recante disposizioni in tema di “partecipazione dei privati”, prevede (comma 1) che “al proprietario, del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all'esproprio, va inviato l'avviso dell'avvio del procedimento:
a) nel caso di adozione di una variante al piano regolatore per la realizzazione di una singola opera pubblica, almeno venti giorni prima della delibera del consiglio comunale;
b) nei casi previsti dall' articolo 10, comma 1, almeno venti giorni prima dell'emanazione dell'atto se ciò risulti compatibile con le esigenze di celerità del procedimento.”
Il successivo comma 2 dispone che:
“l'avviso di avvio del procedimento è comunicato personalmente agli interessati alle singole opere previste dal piano o dal progetto. Allorché il numero dei destinatari sia superiore a 50, la comunicazione è effettuata mediante pubblico avviso, da affiggere all'albo pretorio dei Comuni nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo, nonché su uno o più quotidiani a diffusione nazionale e locale e, ove istituito, sul sito informatico della Regione o Provincia autonoma nel cui territorio ricadono gli immobili da assoggettare al vincolo. L'avviso deve precisare dove e con quali modalità può essere consultato il piano o il progetto. Gli interessati possono formulare entro i successivi trenta giorni osservazioni che vengono valutate dall'autorità espropriante ai fini delle definitive determinazioni.”.
Il legislatore, con il novellato art. 11, ferma la necessità di garantire la partecipazione degli interessati, intende contrapporre modalità di comunicazione personali (ritenute proficuamente gestibili fino a 50 proprietari espropriandi) a modalità di comunicazione diverse, collettive e più rapide, laddove il numero di detti proprietari sia superiore a 50, in ciò conciliando le garanzie partecipative degli interessati al procedimento (in funzione di tutela delle proprie posizioni sostanziali) con le esigenze di celerità del procedimento e, quindi, di efficacia, effettività ed economicità dell’azione amministrativa.
Ciò, peraltro, è perfettamente coerente con quanto previsto, in linea generale, dall’art. 8 l. n. 241/1990, in base al quale (comma 3) “qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o risulti particolarmente gravosa, l’amministrazione provvede a rendere noti gli elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall’amministrazione medesima”.
L’avviso di cui all’art. 11 DPR n. 327/2001 deve contenere gli elementi idonei a rendere edotto il destinatario del procedimento ablatorio del sacrificio che gli si intende imporre e dei beni oggetto di tale sacrificio.
D’altra parte, lo stesso art. 11, nel prevedere che l’avviso di avvio del procedimento deve essere inviato “al proprietario del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all’esproprio”, presuppone che l’amministrazione abbia identificato il proprietario, e ciò può avvenire solo per il tramite dei beni (e dei loro dati catastali) da assoggettare a procedimento ablatorio.
Tale contenuto dell’avviso, proprio per le finalità cui lo stesso è preordinato, deve essere a maggior ragione completo ed idoneo a rendere compiutamente edotto il proprietario espropriando, proprio con riferimento al caso di comunicazione non personale.
Anche la giurisprudenza (che, in non pochi casi, ammette equipollenti all’avviso), ritiene tuttavia indispensabile una chiara individuazione dei soggetti e dei beni espropriandi (Cass. civ., Sez. Un. 2 dicembre 2009 n. 25345;Cons. Stato, sez. IV, 27 giugno 2008 n. 3245).
Nel caso di specie, l’appellante non lamenta la impossibilità di venire a conoscenza dell’essere soggetto passibile di espropriazione, per lacunosità dell’avviso, ma, per un verso, contesta, senza idonea dimostrazione, la possibilità di ricorrere a forme di avviso alternative alla comunicazione personale, per non essere i proprietari espropriandi superiori a 50;per altro verso, ritiene che le forme di comunicazione “alternativa”, previste dall’art. 11, co. 2, devono essere intese in senso “cumulativo”, di modo che, difettando anche una sola di esse, si determinerebbe una violazione di detta norma e, quindi, l’illegittimità in via derivata degli atti adottati.
O, ritiene il Collegio che, come tutte le norme che impongono all’amministrazione di adottare atti che favoriscono la partecipazione degli interessati, anche quelle del DPR n. 3272001, relative alla partecipazione al procedimento espropriativo, devono essere interpretaste non in modo formale, ma in relazione alla finalità (di conoscenza del procedimento) per cui esse sono previste dal legislatore.
Tale interpretazione – che si desume sia dalla previsione della impugnabilità dell’atto per violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990 solo da parte del soggetto nei confronti del quale è stata omessa la comunicazione (art. 8, co. 4), sia, più in generale, dall’art. 21-octies l. n. 241/1990 – porta a considerare ininfluente, ai fini conoscitivi sopradescritti, la eventuale omissione di pubblicazione di avviso di avvio del procedimento sul sito internet dell’amministrazione. E ciò anche prescindendo dal fatto che tale pubblicazione è essa stessa prevista dal legislatore in termini di eventualità.
Le considerazioni ora espresse valgono anche a sostenere il terzo motivo di appello, posto che l’intervenuto assolvimento degli oneri di comunicazione di un procedimento che – per il tramite dell’approvazione della variante urbanistica, del progetto delle opere e, quindi, della individuazione dei beni da espropriare – giunge a determinare l’emanazione di un decreto di esproprio, ben può considerarsi satisfattorio delle esigenze volte a consentire la partecipazione degli interessati.
4. Quanto agli ulteriori motivi di appello (ritenuti inammissibili i motivi sub lett. e) ed f), per le ragioni sopra esposte):
- in relazione al quarto motivo (sub d) dell’esposizione in fatto), in disparte ogni rilievo in ordine alla sussistenza di interesse alla proposizione di detto motivo, occorre osservare che non possono rilevare, quali vizi di legittimità dell’atto, eventuali difetti di integrale copertura finanziaria del progetto approvato;né tale eventuale difetto rende illegittimo il conseguente decreto di esproprio emanato;
- non costituisce illegittimità dell’atto l’omessa indicazione dell’autorità innanzi alla quale proporre ricorso e/o del termine di proposizione di questo;
- quanto alla contestata condanna alle spese (motivo sub g) dell’esposizione in fatto), giova osservare che, in sede di regolazione delle medesime, il giudice è attributario di ampia discrezionalità (il cui esercizio, peraltro, non risulta irragionevole nel caso di specie, da esercitarsi nella considerazione, oltre che della intervenuta soccombenza, degli ulteriori elementi indicati dagli artt. 91 ss. cod. proc. civ, cui rinviano gli artt. 88 e 39 Cpa.
Infine, state il rigetto della domanda di annullamento, e per le ragioni che sorreggono il medesimo, devono essere conseguentemente rigettate le domande di reintegrazione e restituzione del bene, nonché la domanda di risarcimento del danno.
Stante la natura delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.