Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-05-07, n. 201502294

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2015-05-07, n. 201502294
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201502294
Data del deposito : 7 maggio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00308/2014 REG.RIC.

N. 02294/2015REG.PROV.COLL.

N. 00308/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 308 del 2014, proposto da:
Kammerwiesen s.a.s. di Tarascio Antonio &
Co, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato L M, con domicilio eletto presso lo studio del medesimo, in Roma, via Federico Confalonieri, 5;

contro

Comune di Lana, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati F G e F M, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Ronciglione, 3;

per la riforma

della sentenza del T.R.G.A. - SEZIONE AUTONOMA PER LA PROVINCIA DI BOLZANO, n. 295/2013, resa tra le parti e concernente: determinazione contributi di concessione;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Lana;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2014, il Cons. B L e uditi, per le parti, gli avvocati Manzi e Mazzei;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.r.g.a., Sezione autonoma di Bolzano, pronunciava definitivamente sul ricorso n. 247 del 2011, proposto dalla Kammerwiesen s.a.s. di Tarascio Antonio &
Co
avverso gli atti del Comune di Lana aventi ad oggetto la determinazione dei contributi di concessione dovuti per le opere di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione del capannone ‘Pircher’ tavolarmente identificato dalla p.ed. 1061/1 in C.C. Lana, di cui alla concessione edilizia n. 04/66 del 14 giugno 2004 e alle successive quattro concessioni in variante, nonché teso all’accertamento dell’esatto ammontare degli oneri dovuti ed alla condanna del Comune alla restituzione degli importi pagati in eccedenza (da detrarre dall’importo complessivo versato di euro 467.332,60), oltre agli accessori.

Il capannone a destinazione commerciale all’ingrosso (commercio di frutta), con annesso appartamento di servizio, esisteva sin dal 1957 e nel 1987 era stato ricostruito a seguito di un incendio. Lo stesso, sin dal primo p.u.c. di Lana varato nei primi anni 70, è incluso in ‘zona residenziale B di completamento’, priva di piano di attuazione.

In particolare, l’adìto T.r.g.a. provvedeva come segue:

(i) respingeva l’eccezione di inammissibilità del ricorso per intervenuta acquiescenza – sollevata dalla Amministrazione resistente sotto il profilo che la ricorrente avrebbe firmato due atti unilaterali d’obbligo di convenzionamento dei costruendi alloggi, in tal modo approvando, senza riserva alcuna, il correlativo calcolo del contributo concessorio –, rilevando, per un verso, che si verteva in materia di giurisdizione esclusiva sulla fondatezza, o meno, della pretesa contributiva fatta valere dall’Amministrazione comunale, sicché ogni relativo diritto poteva essere azionato (anche in via di accertamento negativo) entro il termine ordinario di prescrizione, e, per altro verso, che il contributo concessorio era dovuto nella misura fissata dalla disciplina, legislativa e regolamentare, di natura pubblicistica e inderogabile, con conseguente sottrazione alla disponibilità delle parti;

(ii) nel merito, in esito ad un esame congiunto dei motivi di ricorso, fissava i criteri di determinazione del contributo di concessione dovuto dalla ricorrente e condannava il Comune alla restituzione dell’eccedenza, sulla base dei seguenti rilievi:

- la fattispecie in esame, a fronte della difformità radicale tra la costruzione demolita e quella realizzata sulla base della concessione edilizia n. 04/66 del 14 giugno 2004 e delle successive concessioni in variante, non poteva qualificarsi alla stregua di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. d), e comma 3, l. prov. 11 agosto 1997, n. 13 (l. urb. prov.), ma doveva considerarsi alla stregua di ‘nuova costruzione’, con conseguente insussistenza del diritto allo scomputo del contributo assolto (virtualmente o effettivamente) in relazione alla costruzione preesistente;

- ciò, in quanto la costruzione preesistente era costituita da un capannone alto 10 m e con una cubatura di 9.096 mc (secondo quanto affermato in sentenza), mentre il nuovo manufatto era costituito da un edificio costruito bensì nel rispetto dell’altezza preesistente, ma con un aumento della cubatura a 12.646 mc e con una modifica della sagoma, suddiviso in tre piani fuori terra con la realizzazione di appartamenti nei due piani superiori e di negozi al pianterreno (successivamente trasformati in un supermercato), nonché di garages e cantine nei due piani interrati, con la conseguenza che non poteva ravvisarsi continuità alcuna con le preesistenze edilizie;

- alla luce delle risultanze dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio, la cubatura assentita con il progetto del 2004 era quantificabile in 12.646 mc, di cui 10.860 mc destinati ad uso residenziale e 1.786 mc destinati ad uso commerciale, sicché il Comune era tenuto ad eseguire un nuovo calcolo del contributo di concessione sulla base dei parametri vigenti nell’anno 2004, distinguendo tra cubatura commerciale (per la quale dovevano calcolarsi anche gli oneri di urbanizzazione secondaria, non spettando l’esenzione di cui all’art. 78, comma 3, l. urb. prov.) e cubatura residenziale (interamente convenzionata), nonché tra la cubatura fuori terra e sotto terra, e tenendo conto che, all’epoca, sia la cubatura ad uso residenziale convenzionata, sia la cubatura destinata al commercio al dettaglio erano esenti dalla quota del contributo di concessione commisurata al costo di costruzione, e che la prima fruiva di una riduzione per la quota commisurata agli oneri di urbanizzazione;

- le ripetute proroghe concesse dal Comune erano riferibili alla concessione originaria del 2004 e non potevano qualificarsi alla stregua di nuove concessioni o rinnovi, sicché il contributo doveva essere calcolato solo sulle opere aggiuntive di volta in volta approvate con le singole varianti, e non già ex novo su tutte le opere non ancora ultimate;

- la prima variante assentita il 25 febbraio 2005 comportava un aumento della cubatura commerciale di 893 mc (da 1.786 mc a 2.679 mc), per la quale il Comune aveva calcolato il contributo di costruzione nell’importo di euro 25.718,00, non specificamente contestato dalle parti;

- la seconda variante del 12 novembre 2008 – comportante un aumento della cubatura a complessivi 14.346 mc e una ridistribuzione tra cubatura a destinazione residenziale (ridotta a 8.631 mc) e cubatura a destinazione commerciale (aumentata a 5.716 mc) –, in aderenza alle conclusioni del c.t.u., doveva qualificarsi alla stregua di variante non essenziale, con la conseguenza che anche in relazione alla medesima era dovuto il contributo di costruzione solo sulle opere aggiuntive, da determinare secondo la disciplina di cui alle sopravvenienze legislative (l. prov. n. 3 del 2007) e regolamentari (regolamento comunale n. 39 del 2007);

- nulla era dovuto per la terza variante assentita il 12 novembre 2009, non essendo aumentata la cubatura, né essendo cambiata la destinazione d’uso, mentre per la quarta variante del 19 ottobre 2010, comportante un aumento della cubatura commerciale di 396,26 mc, il correlativo contributo doveva calcolarsi secondo i criteri innanzi precisati;

(iii) affermava di conseguenza il diritto della ricorrente alla restituzione dell’eventuale eccedenza, oltre agli interessi legali dalla data del versamento fino al saldo, mentre « nell’ipotesi inversa, in assenza di conclusioni corrispondenti da parte della difesa del Comune, l’eventuale credito in favore del Comune va chiesto con atto separato » (v. così, testualmente, l’appellata sentenza);

(iv) dichiarava le spese di causa interamente compensate tra le parti, ponendo il contributo unificato a carico della ricorrente e le spese di c.t.u. a carico solidale di entrambe le parti.

2. Avverso tale sentenza interponeva appello l’originaria ricorrente, deducendo i motivi come di seguito rubricati:

a) « Violazione dell’art. 106 cpa e dell’art. 395 co. 1 n. 4) cpc;
violazione e falsa applicazione degli artt. 59, co. 3, 66 e 73 L.P. n. 13/1997 nonché dell’art. 9 L.P. n. 1/1978. Errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa perché la cubatura esistente è superiore (e non inferiore) a quella ricostruita. Erronea qualificazione dell’intervento come “nuova costruzione”. Motivazione contraddittoria
», con conseguente erronea esclusione dello scomputo degli oneri di urbanizzazione relativi alla costruzione preesistente;

b) « Violazione degli artt. 66 e 73 L.P. n. 13/1997 e degli artt. 3 e 97 Cost.: l’assoggettamento del volume commerciale al pagamento degli oneri per l’urbanizzazione secondaria è irragionevole e viola il principio della corrispondenza al carico urbanistico », dovendosi la volumetria commerciale ritenere esente dalla quota del contributo di concessione commisurata agli oneri di urbanizzazione secondaria, non incidendo la stessa ontologicamente sulle spese comunali relative alle corrispondenti infrastrutture;

c) « Violazione degli artt. 59, co. 3, 66 e 73 L.P. n. 13/1997, nonché dell’art. 9 L.P. n. 1/1978, in merito al contributo di urbanizzazione per il cambiamento di destinazione d’uso per 3.036 mc in occasione del rilascio della 2° variante del 2008 », qualora le statuizioni (a p. 16 dell’appellata sentenza) relative alla determinazione dei criteri di calcolo concernenti la seconda variante dovessero interpretarsi nel senso della necessità di un ricalcolo con riferimento al costo di costruzione vigente nel 2008 anche per la parte già concessionata in precedenza, non essendo intervenuta alcuna decadenza o modifica essenziale;

d) l’erronea statuizione sulle spese.

L’appellante assumeva pertanto che la quota del contributo di costruzione commisurata al costo di costruzione ammontava ad euro 10.779,97, mentre quella commisurata agli oneri di urbanizzazione ammontava ad euro 164.006,62, per cui il contributo concessorio ammontava all’importo complessivo di euro 174.786,59, con conseguente diritto alla restituzione dell’eccedenza di euro 292.546,01 sull’importo versato (di euro 467.332,60), oltre agli accessori di legge. Il ricorso in appello, nei paragrafi successivi [nn. 4) e 5), pp. da 26 a 35 del ricorso], non contiene alcuna ulteriore censura alla sentenza di primo grado, ma si limita ad esporre il calcolo del contributo dovuto, in applicazione delle proprie tesi difensive, pervenendo ai riportati risultati.

3. Si costituiva in giudizio l’appellato Comune di Lana, eccependo l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse – sotto il profilo che la controparte aveva proposto ricorso per ottemperanza alla sentenza di primo grado senza formulare riserva alcuna con riguardo all’esito del giudizio d’appello promosso avverso la sentenza ottemperanda, tenendo pertanto una condotta incompatibile con la volontà di coltivare ulteriormente il presente giudizio di impugnazione – e contestandone comunque la fondatezza nel merito.

L’Amministrazione comunale proponeva inoltre appello incidentale autonomo e incondizionato, deducendo i seguenti motivi:

a) l’erroneo rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’avversario ricorso di primo grado per intervenuta acquiescenza;

b) l’erronea mancata qualificazione della terza concessione in variante del 12 novembre 2009 come nuova concessione edilizia per intervenuta decadenza della concessione originaria del 2004 e correlativa violazione dell’art. 72, comma 7, l. urb. prov. in punto di proroga delle concessioni edilizie;

c) l’erronea qualificazione delle varianti del 25 febbraio 2005 (prima variante) e del 12 novembre 2008 (seconda variante) come varianti non essenziali e correlativa violazione degli artt. 75, comma 3, e 82, comma 2, l. urb. prov.;

d) l’erroneità della sentenza, qualora interpretata nel senso che nel calcolo del contributo concessorio non dovessero essere considerati i volumi interrati;

e) l’erroneità delle ordinanze istruttorie n. 253 del 17 luglio 2012 e n. 307 del 24 ottobre 2012, laddove si afferma che nel preesistente capannone sarebbe stata esercitata attività di commercio all’ingrosso di frutta acquistata dagli agricoltori, trattandosi per contro di attività agricola, rispettivamente che il Comune avrebbe concesso ripetute proroghe per l’ultimazione dei lavori, mentre, come dedotto nel secondo motivo di appello incidentale, all’atto del rilascio della terza concessione in variante la concessione originaria era già scaduta, sicché si trattava di nuova concessione per la parte dell’intervento non ancora realizzato a tale data (il 78% delle opere).

L’Amministrazione chiedeva pertanto in parte qua la riforma dell’appellata sentenza e, per il resto, la reiezione dell’appello principale.

4. All’udienza pubblica del 16 dicembre 2014 la causa veniva trattenuta in decisione.

5. Procedendo in ordine logico all’esame delle questioni devolute a questo Collegio con gli appelli in epigrafe, proposti rispettivamente in via principale ed incidentale, si osserva che manifestamente infondata è l’eccezione di improcedibilità dell’appello principale, sollevata dall’Amministrazione comunale sotto il profilo che la proposizione di ricorso per ottemperanza alla sentenza di primo grado, da parte della Kammerwiesen , senza formulare riserva alcuna, equivarrebbe a rinuncia all’appello o ad acquiescenza alla sentenza di primo grado.

Invero, in difetto di provvedimento cautelare di sospensiva, le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive, e l’azione di ottemperanza intentata dalla parte parzialmente vittoriosa in primo grado non preclude alla stessa di impugnare la sentenza nelle parti ad essa sfavorevoli, non potendovisi ravvisare né rinuncia all’appello proposto nelle more né acquiescenza, occorrendo all’uopo atti espressi ed univoci, non ravvisabili nella mera circostanza della proposizione dell’azione di ottemperanza ai capi di sentenza favorevoli.

6. In via pregiudiziale di rito occorre, altresì, precisare che la memoria di replica depositata dall’odierna appellante principale il 25 novembre 2014 (nel rispetto del termine di venti giorni liberi prima dell’udienza di discussione), senza previo deposito di memoria conclusionale (entro il termine di trenta giorni liberi prima dell’udienza), è processualmente inutilizzabile nelle parti in cui contiene deduzioni difensive dirette avverso atti diversi dall’avversaria memoria difensiva depositata il 13 novembre 2014, pena la violazione della parità delle armi nel processo.

Entro tali limiti, merita accoglimento l’eccezione di inammissibilità al riguardo sollevata dall’appellato Comune in via per così dire ‘preventiva’ nella memoria di replica depositata il 20 novembre 2014.

7. Affrontando in ordine logico i vari motivi d’appello, dedotti in via principale e rispettivamente incidentale, si osserva che destituito di fondamento è il primo motivo d’appello incidentale, di cui sopra sub § 3.a), non potendosi agli atti unilaterali d’obbligo del 4 e 21 maggio 2004, di convenzionamento della volumetria residenziale, attribuire valenza di acquiescenza con riguardo all’ivi contenuto calcolo dei contributi concessori per gli oneri di urbanizzazione.

Infatti, la controversia attinente alla spettanza e liquidazione del contributo per gli oneri di urbanizzazione, riservata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a norma dell’art. 16 l. 29 gennaio 1977, n. 10 [oggi, ex art. 133, lett. f) , cod. proc. amm.], ha ad oggetto l’accertamento di un rapporto di credito a prescindere dall’esistenza di atti della pubblica amministrazione e non è soggetta alle regole delle azioni impugnatorie-annullatorie degli atti amministrativi ed ai rispettivi termini di decadenza, con conseguente inconfigurabilità dell’istituto dell’acquiescenza rispetto alla liquidazione del contributo e alla sua corresponsione ( pro quota o per intero) in funzione del rilascio del titolo edilizio (v., ex plurimis , Cons. St., Sez. IV, 21 agosto 2013, n. 4208;
Cons. St., Sez. IV, 10 marzo 2011, n. 1565);
in tale contesto, irrilevante è il convenzionamento, o meno, dell’immobile costruendo, incidente sulla misura del contributo di concessione, ma non sui principi generali in tema di contestazione giudiziale del contributo e di eventuale azione di ripetizione, entro il termine ordinario di prescrizione.

Si aggiunga che l’obbligo della corresponsione del contributo di concessione, essendo obiettivamente collegato alla posizione di titolare della concessione edilizia rilasciata, dà vita a un’obbligazione di diritto pubblico priva di ogni connotazione negoziale, con la conseguenza che anche la sottoscrizione, al momento del rilascio della concessione, di un impegno a corrispondere al comune il contributo in una determinata misura non preclude all’interessato la tutela giurisdizionale per l’accertamento del diritto a non pagare il contributo in misura eccedente a quanto dovuto per legge, versandosi in materia sottratta alla disponibilità delle parti (v. in tal senso, ex plurimis , Cons. St., Sez. V, 6 dicembre 1999, n. 2056).

Il T.r.g.a. ha, pertanto, correttamente respinto l’eccezione in esame.

8. L’appello principale è fondato parzialmente, entro i limiti di seguito evidenziati.

8.1. Merita, in particolare, accoglimento il primo motivo di appello principale, di cui sopra sub § 2.a), con cui si deduce l’erronea esclusione del diritto allo scomputo del contributo per oneri di urbanizzazione assolto (virtualmente o concretamente) in relazione all’edificio preesistente, sulla base del rilievo che si verterebbe in fattispecie di costruzione nuova, e non già di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione.

8.1.1. Occorre al riguardo premettere, in linea di diritto, che l’art. 59 l. urb. prov. – emanato nell’esplicazione della potestà legislativa primaria della Provincia autonoma di Bolzano in materia urbanistica, ai sensi dell’art. 8, n. 5) dello Statuto di autonomia – definisce come interventi di ristrutturazione edilizia « quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo per sagoma, superficie, dimensione e tipologia in tutto o in parte diverso dal precedente », aggiungendo che « tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti », e sancendo, nel secondo comma, la prevalenza delle disposizioni dello stesso art. 59 sulle previsioni dei piani urbanistici comunali e dei regolamenti edilizi.

Il terzo comma del citato art. 59 – come sostituito dall’art. 25 l. prov. 31 marzo 2003, n. 5, e dall’art. 14, comma 3, l. prov. 2 luglio 2007, n. 3 (ossia, nella versione sostanzialmente richiamata a p. 11 della sentenza di primo grado, in parte qua non investita da specifico motivo di gravame) – prevede, poi, che « edifici siti in zone residenziali non soggette a un piano di attuazione (quale la zona di ubicazione dell’edificio in questione, qualificata sin dal primo piano regolatore del Comune di Lana come ‘zona residenziale B di completamento’, priva di piano di attuazione;
n.d.e.) possono essere demoliti e ricostruiti nei limiti della cubatura e dell’altezza preesistenti, rispettando però gli altri parametri di edificabilità previsti dal piano comunale ».

La citata previsione normativa, ai fini della qualificazione dell’intervento edilizio come ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, a differenza dalla disciplina statale di cui all’art. 3, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 380 del 2001, non postula dunque la ‘fedele ricostruzione’ con il rispetto della volumetria e della sagoma dell’edificio preesistente, ma sancisce la continuità tra i due manufatti alla sola condizione del rispetto di volumetria ed altezza (peraltro, anche nell’ordinamento statale, con la recente novella apportata dal d.-l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito nella legge 9 agosto 2013, n. 98, all’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 è stata eliminata la condizione del rispetto della sagoma dell’edificio preesistente).

La previsione provinciale trova la sua ratio giustificatrice nella circostanza che, a cagione della sua particolare conformazione geomorfologica, solo una parte esigua del territorio provinciale è suscettibile di utilizzazione edificatoria, e nella conseguente filosofia di risparmio del territorio che permea la locale legislazione urbanistica, tesa, per quanto possibile, a concentrare gli interventi edilizi nell’ambito del territorio già edificato ed a rivalorizzare le volumetrie esistenti.

Ne deriva l’inconcludenza dei precedenti giurisprudenziali invocati dall’appellato Comune nella memoria conclusionale, relativi alla – all’epoca – in parte qua diversa disciplina statale.

In linea di fatto, si osserva che, alla luce delle acquisite risultanze istruttorie, devono ritenersi sussistenti entrambe le condizioni per la qualificazione dell’intervento in questione sub specie di ristrutturazione mediante demolizione e ricostruzione, risultando sia la volumetria sia l’altezza dell’edificio ricostruito inferiori rispetto a quelle del preesistente capannone.

Quanto alla volumetria urbanisticamente rilevante – definita dall’art. 1 delle n.t.a. del p.u.c. di Lana come « volume fuori terra di un edificio, calcolato sulla base delle sue dimensioni esterne » –, si osserva che, mentre la cubatura assentita con la concessione n. 04/66 del 2004 era di 12.646 mc (v. pp. 5, 20 e 22 della relazione del consulente tecnico d’ufficio di primo grado) fino a raggiungere una volumetria di 14.310 mc all’esito della quarta variante, quella preesistente era alquanto maggiore, superando i 16.000 mc.

Detta misura emerge dalle seguenti risultanze istruttorie:

- dalla relazione dello stesso consulente tecnico di parte del Comune, secondo cui la volumetria urbanisticamente rilevante del preesistente capannone era di 16.013,96 mc con riferimento alla costruzione realizzata nel 1957 e di 17.961,67 mc con riferimento al progetto presentato nel 1987 in occasione della ricostruzione in seguito all’incendio (v. pp. 13 e 15 della relazione del c.t.p. dell’odierna appellata, allegata alla relazione del c.t.u.);

- dalla relazione tecnica di parte dell’odierna appellante, che indica la misura della volumetria preesistente in 16.181 mc;

- dal ‘calcolo della cubatura esistente’, prodotto dalla Kammerwiesen in primo grado ( sub doc. 1) unitamente al progetto, in allegato alla concessione edilizia del 14 giugno 2004 (il tutto, prodotto in copia);

- dalla relazione del c.t.u., laddove (a p. 13, in risposta alle osservazioni del consulente dell’Amministrazione resistente) afferma che « il sottoscritto non era tenuto a considerare anche gli oneri di urbanizzazione, concernente la concessione edilizia 04/66 del 14.06.2008 ( rectius : 14.06.2004;
n.d.e.) in quanto la cubatura esistente era maggiore rispetto alla cubatura progettata ».

Il T.r.g.a., indicando la misura della volumetria preesistente in 9.060,42 mc, è incorso in un travisamento delle risultanze istruttorie, facendo riferimento ad un valore rilevante ai soli fini del computo dei contributi di concessione [ai sensi dell’art. 78, comma 2, l. urb. prov., che, per le concessioni relative ad opere ed impianti non destinati alla residenza, prevede che, « in caso di impianti con luce netta interna dei singoli piani superiore a tre metri (come nel caso del preesistente capannone ‘Pircher’;
n.d.e.) , ai fini del contributo relativo alla concessione edilizia viene computata solo l’altezza di tre metri per ogni piano »], mentre, ai fini della qualificazione, o meno, come ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. d), e comma 3, l. urb. prov. occorreva aver riguardo alla volumetria urbanisticamente rilevante dell’edificio preesistente, nella specie superiore a 16.000 mc.

Quanto all’altezza del manufatto preesistente, nella sentenza di primo grado (p. 10) si dà per scontato il suo rispetto del progetto del 2004, senza che al riguardo sia stato formulato motivo specifico di appello incidentale (neppure in via subordinata). Peraltro, il dato risulta positivamente comprovato ad un attento esame delle risultanze istruttorie, emergendovi che l’altezza media dell’edificio preesistente era di 9,30/9,40 m (v. allegato alla domanda di concessione edilizia del 1986/1987, rispettivamente allegati planimetrici alla consulenza di parte del Comune, da cui risulta un’altezza di 3,50 m del piano terra e di 5,90 m del primo piano), mentre quella dell’edifico ricostruito è di 9,017 m (v. p. 7 della relazione tecnica allegata all’istanza della quarta concessione in variante, sub doc. 9 del fascicolo della ricorrente di primo grado).

Alla luce delle superiori considerazioni, l’intervento edilizio assentito con la concessione edilizia n. 04/66 del 14 giugno 2004 (e successive concessioni in variante) deve qualificarsi come ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 59, comma 1, lett. d), e comma 3, l. urb. prov..

Peraltro, lo stesso rilascio della menzionata concessione edilizia per i lavori di « ristrutturazione del capannone commerciale ‘Pircher’ » (v. così, testualmente, la concessione edilizia), per una volumetria fuori terra di 12.464 mc, implica per necessità logica la sussunzione, da parte della stessa Amministrazione comunale, dell’intervento in questione sub specie di ristrutturazione edilizia mediante demolizione e ricostruzione, in quanto, diversamente, il rilascio del titolo edilizio sarebbe rimasto precluso dall’indice di fabbricabilità di 2,00 mc/mq stabilita dal p.u.c. all’epoca vigente – che, tenuto conto della superficie del lotto di 3.053 mq, avrebbe consentito l’edificazione entro il limite di soli 6.106 mc –, con la conseguenza che la tesi difensiva del Comune, volta a qualificare l’intervento come nuova costruzione, si risolve in un’inammissibile protestatio contra factum proprium , lesiva dell’affidamento riposto dall’originaria ricorrente nella qualificazione dell’intervento edilizio operata dalla stessa Amministrazione, immanente al rilascio della concessione edilizia negli esposti termini.

8.1.2. Alla qualificazione dell’intervento come di ristrutturazione edilizia consegue che dal contributo per gli oneri di urbanizzazione doveva essere scomputato l’importo imputabile al carico urbanistico generato dall’edificio preesistente. Ciò, sia che il relativo onere si dovesse ritenere assolto virtualmente con riferimento all’originaria costruzione eseguita nel 1957 (ossia, in un’epoca in cui non vigeva ancora l’istituto del contributo concessorio, introdotto nell’ordinamento urbanistico provinciale di Bolzano con la l. prov. 3 gennaio 1978, n. 1, mentre la compartecipazione dei privati alle opere di urbanizzazione aveva trovato una sua prima definizione nel d.P.G.P. 23 giugno 1970, n. 20) – giacché, in difetto di un’imputazione virtuale del pregresso, alla sopravvenuta disciplina impositiva verrebbe data un’inammissibile applicazione retroattiva –, sia che lo stesso si dovesse ritenere assolto (o da assolvere) concretamente in relazione alla ricostruzione avvenuta del 1987 (in seguito ad un incendio). A tale ultimo riguardo si precisa che non rileva se il Comune abbia, di fatto, preteso e percetto il contributo relativo alla concessione del 1987, oppure non l’abbia preteso per effetto dello scomputo di quello in ipotesi ritenuto assolto virtualmente in relazione alle preesistenze risalenti al 1957, atteso che il rapporto contributivo relativo alla concessione del 1987 deve ritenersi ormai esaurito.

Nel caso di specie deve ritenersi appurato, in linea di fatto, che il capannone preesistente era destinato ad attività di commercio all’ingrosso di frutta [v., sul punto, p. 13 delle osservazioni del c.t.p. del Comune, allegate alla c.t.u, secondo cui « negli anni ’50 (prima pratica risalente al 1957) i contadini portavano la loro frutta al Sig.

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