Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-12-23, n. 202211285

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-12-23, n. 202211285
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202211285
Data del deposito : 23 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/12/2022

N. 11285/2022REG.PROV.COLL.

N. 01232/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1232 del 2021, proposto da D T, rappresentato e difeso dagli avvocati Salvatore D'Albenzio e A R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'istruzione, in persona del Ministro pro tempore , Ufficio Scolastico Regionale Campania, Ufficio Scolastico Regionale Abruzzo, Ufficio Scolastico Regionale Basilicata, Ufficio Scolastico Regionale Calabria, Ufficio Scolastico Regionale Emilia Romagna, Ufficio Scolastico Regionale Friuli Venezia Giulia, Ufficio Scolastico Regionale Lazio, Ufficio Scolastico Regionale Liguria, Ufficio Scolastico Regionale Lombardia, Ufficio Scolastico Regionale Marche, Ufficio Scolastico Regionale Molise, Ufficio Scolastico Regionale Piemonte, Ufficio Scolastico Regionale Puglia, Ufficio Scolastico Regionale Sardegna, Ufficio Scolastico Regionale Sicilia - Direzione Generale, Ufficio Scolastico Regionale Toscana, Ufficio Scolastico Regionale Umbria, Ufficio Scolastico Regionale Veneto, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti

Paolo Amodeo, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede di Roma, Sezione Terza, n. 7200/2020, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'istruzione;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 ottobre 2022 il Cons. D D C;

Nessuno è presente per le parti costituite;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’appellante, docente diplomato presso Istituti tecnico pratici, ha impugnato la sentenza del

TAR

Lazio, Sez.

III

Bis n. 7200 del 26 giugno 2020 con cui, previa riunione, è stato respinto il ricorso n. 7891/17 proposto avverso il Decreto Ministeriale n. 400 del 12 giugno 2017, nella parte in cui non consente l’inserimento dei docenti ITP nelle graduatorie ad esaurimento, nonché avverso il

DM

22 giugno 2016 n. 495, il

DM

3 giugno 2015 n. 325 e il

DM

1 aprile 2014 n. 235 recanti disciplina di aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento per il triennio 2014/2017, ed è stato, altresì, dichiarato improcedibile il ricorso n. 193/20 proposto per l'esecuzione del giudicato cautelare formatosi sull’ordinanza n 4880 del 15 settembre 2017, della stessa Sezione del TAR, con cui era stata accolta, ai fini dell’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento, l'istanza avverso il DM n. 400 del 12 giugno 2017.

2. Il Ministero intimato ha resistito al gravame.

3. All’udienza pubblica del 18 ottobre 2022 la causa è stata trattenuta in decisione.

4. Oggetto di impugnazione in primo grado è il complesso di atti i quali, nel dettare le disposizioni per l’aggiornamento delle graduatorie provinciali ad esaurimento, non ha consentito al ricorrente di iscriversi nelle stesse, ritenendo che il suo titolo di studio non sarebbe valido per l’accesso a tali graduatorie.

5. Il Tribunale amministrativo regionale, dopo aver accolto l’istanza cautelare con ordinanza n. 4880/2017, con la quale, in adesione ad un orientamento all’epoca favorevole, disponeva l’inserimento dei ricorrenti nelle graduatorie in parola, con sentenza n. 7200 del 26 giugno 2020 ha respinto il ricorso conformandosi alla decisione del Consiglio di Stato n. 4503 del 23 luglio 2018, in cui è stato affermato il valore non abilitante del diploma conseguito presso Istituti tecnico pratici ed ha, quindi, dichiarato improcedibile il ricorso per l’ottemperanza alla suindicata ordinanza n. 4880/2017.

6. La parte appellante contesta tale motivazione ritenendola inadeguata e non idonea a fornire risposta ai motivi di doglianza.

Più in particolare, l’appellante denuncia l’ error in judicando in cui sarebbe incorso il primo giudice per avere omesso di motivare in ordine al mancato inserimento del suo nominativo nelle GAE, limitandosi a motivare il rigetto dell’impugnazione avverso il bando n. 400 del 12 giugno 2017, soltanto in ordine all’inserimento del nominativo nella II fascia delle graduatorie di istituto.

A sostegno della censura, l’appellante sostiene che non sarebbe condivisibile la motivazione che “ Il ricorso è infondato secondo quanto affermato dalla decisione del Consiglio di Stato n. 4503 del 23

luglio 2018 e più volte ribadito da questa Sezione, da ultimo, nella sentenza n. 7334/2019. ” e che “ la oggettiva mancanza di percorsi ordinari abilitanti non può valere per consentire l’iscrizione nella seconda fascia che autorizza direttamente l’insegnamento ma può giustificare la partecipazione degli insegnanti pregiudicati a concorsi pubblici che richiedono l’abilitazione in quanto in questo caso la verifica dell’idoneità all’insegnamento passa attraverso il filtro della procedura concorsuale ”.

Il presupposto di tale assunto sarebbe errato in quanto, si sostiene, anche coloro che risultano inseriti nella terza fascia delle g.i. sono ammessi direttamente all’insegnamento.

Ciò risulterebbe sulla base del decreto MIUR n. 131 del 13.06.2007 concernente il “Regolamento per il conferimento delle supplenze al personale docente ed educativo ai sensi dell’art. 4 della legge 3 maggio 1999 n. 124”, il quale all’art. 5, comma 3, statuisce espressamente che: “ Per ciascun posto di insegnamento viene costituita una graduatoria distinta in tre fasce, da utilizzare nell’ordine, composte come segue:

I Fascia: (…);



II

Fascia: (…);



III

Fascia: (…)
”.

Di conseguenza, “ dire che solo la seconda fascia delle g.i. ammette direttamente all’insegnamento è del tutto improprio, in quanto tutte e tre le fasce servono per reperire del personale docente necessario per le supplenze. Tant’è vero che anche il personale incluso in terza fascia delle g.i. viene normalmente utilizzato per le supplenze, ovviamente seguendo l’ordine di priorità di cui al decreto n. 131/2007, ossia recependo dapprima il personale incluso in I fascia, poi quello in II e, infine, quello incluso in III fascia .”.

Inoltre, la pronuncia non sarebbe condivisibile anche perché trascurerebbe che “ Sempre il decreto MIUR n. 131 del 13.06.2007 nell’art. 5, comma 3, nel disciplinare le tre fasce espressamente dispone:

I Fascia: (…);



II

Fascia: comprende gli aspiranti non inseriti nella corrispondente graduatoria ad esaurimento forniti di specifica abilitazione o specifica idoneità a concorso cui è riferita la graduatoria di circolo e di istituto;



III

Fascia: (…).
”.

Su questa premessa, l’appellante sostiene che “ Esaminando la normativa vigente si comprende come i ricorrenti, tutti ITP, siano muniti dell’idoneo titolo di accesso per essere inseriti nella II fascia delle g.i.. Infatti, nello specifico, il D.Lgs. 16 aprile 1994 n. 297 nell’art. 402, nel disciplinare il reclutamento dei docenti, al comma 1 lettera c) esclude espressamente per gli insegnanti tecnico-pratici il possesso dell’abilitazione ai fini della partecipazione al concorso;
infatti, così recita “... tranne che per gli insegnanti per i quali è sufficiente il diploma di istruzione secondaria superiore”, riconoscendo, quindi, la loro specifica idoneità a concorso
”.

7. A questo proposito, la Sezione fa rilevare che della vicenda in questione questo Consiglio si è occupato funditus in alcuni precedenti dai quali non si ravvisano motivi per discostarsi e di cui si richiamano le motivazioni (cfr., da ultimo, Sez. VII, 28 aprile 2022, n. 3373).

Oggetto del contendere è la possibilità per i diplomati tecnico pratici, non abilitati, di essere inseriti nelle graduatorie ad esaurimento.

L’art. 1, comma 605, lett. c), della L. n. 296/2006 stabilisce che: “ Con effetto dalla data in vigore della presente legge le graduatorie permanenti di cui all’articolo 1 del decreto legge 7 aprile 2004, n. 97, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 giugno 2004, n. 143, sono trasformate in graduatorie ad esaurimento. Sono fatti salvi gli inserimenti nelle stesse graduatorie da effettuare per il biennio 2007-2008 per i soggetti già in possesso di abilitazione, e con riserva del conseguimento del titolo di abilitazione, per i docenti che frequentano, alla data di entrata in vigore della presente legge, i corsi abilitanti speciali indetti ai sensi del predetto decreto-legge n. 97 del 2004, i corsi presso le scuole di specializzazione all’insegnamento secondario (SSIS), i corsi biennali accademici di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID), i corsi di didattica della musica presso i Conservatori di musica e il corso di laurea in Scienza della formazione primaria. La predetta riserva si intende sciolta con il conseguimento del titolo di abilitazione… ”.

Come si ricava dalla trascritta norma, le GAE hanno natura ‘chiusa’ e questa preclude la possibilità di nuove iscrizioni, salve le eccezioni (che qui non ricorrono, come evidenziato in sede cautelare) espressamente contemplate nella medesima disposizione.

Peraltro, giova rilevare che coloro per i quali è prevista la possibilità di nuovo inserimento risultano essere o docenti già abilitati, ovvero soggetti che hanno in corso una procedura di abilitazione, ma pur sempre in relazione a situazioni configurabili al momento di entrata in vigore della disposizione, con conseguente implicita esclusione di abilitazioni ovvero iscrizioni a percorsi abilitanti maturati in epoca successiva.

In relazione alla natura ‘chiusa’ delle graduatorie va poi osservato che gli interventi legislativi che hanno successivamente consentito l’inserimento di nuove categorie di docenti sono di stretta interpretazione e, dunque, gli stessi, stante il loro carattere eccezionale, non modificano la natura delle graduatorie medesime, sì da giustificare l’esistenza di un principio generale alla derogabilità del carattere ordinariamente ‘chiuso’ delle stesse (Cons. Stato, Sez. I, 2 dicembre 2020, n. 1868).

In proposito, deve essere evidenziato che l’esistenza di pregresse deroghe legislative al carattere ‘chiuso’ delle graduatorie ad esaurimento non configura l’illegittimità di successivi provvedimenti che abbiano escluso dall’iscrizione in graduatoria docenti che solo in epoca posteriore abbiano conseguito l’abilitazione tramite percorsi abilitanti speciali (PAS) o si siano iscritti al relativo percorso abilitante.

Si tratta, infatti, di deroghe legislative giustificate dalla peculiare situazione degli interessati, diversa rispetto a quella degli appellanti, in relazione alla quale non risultano evidenti ragioni di tutela dell’affidamento ovvero di salvaguardia di posizioni giuridiche maturate in fasi di passaggio a nuovi assetti ordinamentali della materia.

La lamentata esclusione risulta, pertanto, coerente con la natura ormai ‘chiusa’ delle graduatorie ad esaurimento e con il carattere eccezionale delle deroghe previste dal legislatore, le quali, proprio in virtù di tale natura, non appaiono suscettibili di interpretazione analogica né utilizzabili per invocare una disparità di trattamento ovvero l’irragionevolezza o l’illogicità delle disposizioni che, in ossequio al carattere ‘chiuso’ delle graduatorie in parola, non abbiano previsto l’inserimento di soggetti successivamente abilitatisi o, ai fini della loro iscrizione con riserva, di docenti che in epoca successiva abbiano avviato un percorso di abilitazione (Cons. Stato, Sez. VI, 16 giugno 2021, n. 4654).

Il carattere eccezionale di tali nuovi inserimenti trova conferma anche in interventi normativi, successivi alla citata legge n. 296/2006, che hanno ribadito il carattere “chiuso” delle suddette graduatorie.

In primo luogo, viene in rilievo l’art. 9, comma 20, del decreto legge n. 70 del 2011, il quale ha sostituito il primo periodo dell’articolo 1, comma 4, del decreto legge 7 aprile 2004, n. 97 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 giugno 2004, n. 143), con il seguente: « A decorrere dall’anno scolastico 2011/2012, senza possibilità di ulteriori nuovi inserimenti, l'aggiornamento delle graduatorie, divenute ad esaurimento in forza dell'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, è effettuato con cadenza triennale e con possibilità di trasferimento in un’unica provincia secondo il proprio punteggio, nel rispetto della fascia di appartenenza. L’aggiornamento delle graduatorie di istituto, di cui all’articolo 5, comma 5, del regolamento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione 13 giugno 2007, n. 131, per il conferimento delle supplenze ai sensi dell’articolo 4, comma 5, della legge 3 maggio 1999, n. 124, è effettuato con cadenza triennale ».

Anche l’art. 14, comma 2-ter, del decreto legge n. 216 del 2011 ha espressamente confermato che le graduatorie ad esaurimento restano chiuse. Nel contempo, ha istituito una fascia aggiuntiva alle predette graduatorie « limitatamente ai docenti che hanno conseguito l’abilitazione dopo aver frequentato i corsi biennali abilitanti di secondo livello ad indirizzo didattico (COBASLID), il secondo e il terzo corso biennale di secondo livello finalizzato alla formazione dei docenti di educazione musicale delle classi di concorso 31/A e 32/A e di strumento musicale nella scuola media della classe di concorso 77/A, nonché i corsi di laurea in scienze della formazione primaria negli anni accademici 2008-2009, 2009-2010 e 2010-2011 ».

L’appellante non rientra in alcuna delle predette categorie speciali di docenti, le quali devono ritenersi tassative, in quanto integrano deroghe eccezionali al principio di pubblico concorso.

La normativa in esame, cosi come interpretata e ricostruita, non solleva i dubbi di illegittimità costituzionale, in base alla consolidata lettura del principio di eguaglianza, che non esclude l’introduzione nel corso del tempo di fattori di differenziazione, secondo un modulo dinamico che non può escludere discipline diverse in situazioni differenti.

D’altra parte, come espressamente affermato dallo stesso art. 1, comma 605, della legge n. 296/2006, il carattere chiuso delle graduatorie risponde alla finalità “ di dare adeguata soluzione al precariato storico e di evitarne la ricostituzione ”.

È di tutta evidenza che le disposizioni normative in esame sono volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito.

Ove le tesi difensive dell’appellante fossero accolte, viceversa, non potrebbe che formarsi un nuovo consistente precariato, che allungherebbe i tempi del perseguimento del sistema previsto a regime, o lo renderebbe addirittura non perseguibile. Nella presente sede di giudizio di legittimità, pertanto, è sufficiente rilevare che non può essere ammessa la riapertura delle graduatorie ad esaurimento, per ragioni non puntualmente previste a livello legislativo, senza che ciò determini dubbi di legittimità costituzionale o comunitaria (Cons. Stato, Sez. VII, 24 gennaio 2022, n. 481, 482, 483, 484, 485, 486).

Risultano, infatti, insussistenti sia i dedotti profili di incostituzionalità, sia le prospettate violazioni del diritto eurounitario.

Al riguardo posso richiamarsi le motivazioni espresse nel citato parere n. 1958/2020 della Sezione I di questo Consiglio di Stato.

« Come si è sopra visto, il sistema delle graduatorie ad esaurimento persegue lo scopo della progressiva eliminazione del precariato e della piena attuazione, a regime, della regola del pubblico concorso ai fini dell’accesso ai pubblici uffici.

Trattasi, dunque, di norme pienamente conformi alla regola generale del pubblico concorso ed al principio di buon andamento dell’attività della pubblica amministrazione, sanciti dall’articolo 97 della Costituzione.

L’esigenza, poi, di salvaguardia e tutela del cd. “precariato storico”, attraverso il suo progressivo assorbimento, giustifica per tali soggetti (tra i quali non rientrano i nuovi abilitati o chi sia in procinto di conseguire l’abilitazione) l’inclusione nelle graduatorie e, pertanto, la possibilità, attraverso tale canale, di essere assunti.

Si è, dunque, di fronte a disposizioni normative rispettose del principio costituzionale di ragionevolezza, atteso che esse attuano un equo contemperamento tra la regola del pubblico concorso e l’interesse pubblico alla stabilizzazione del precariato più antico.

Neppure può parlarsi di violazione del principio di uguaglianza, considerata la peculiare posizione dei soggetti cui è consentita l’inclusione in GAE rispetto a quelli per i quali essa è esclusa, trattandosi di situazioni differenziate per le quali non è affatto irragionevole un differente trattamento normativo.

Vale in proposito rammentare che la Corte Costituzionale ha affermato che la verifica del rispetto del principio di uguaglianza si sostanzia in un “giudizio di relazione (necessariamente dinamico), in cui la disamina di conformità a tale parametro deve incentrarsi sul perché una determinata disciplina operi quella specifica distinzione” (cfr. Corte Cost., 24-10-2014, n. 241).

Il Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost., sent. n. 89/1996) ha, poi, chiarito il collegamento tra il principio di uguaglianza e quello di parità di trattamento, evidenziando che Il parametro della eguaglianza non esprime la concettualizzazione di una categoria astratta, staticamente elaborata in funzione di un valore immanente dal quale l’ordinamento non può prescindere, ma definisce l’essenza di un giudizio di relazione che, come tale, assume un risalto necessariamente dinamico. L’uguaglianza dinanzi alla legge, quindi, non determina affatto l’obbligo di rendere immutabilmente omologhi fra loro fatti o rapporti che, sul piano fenomenico, ammettono una gamma di variabili tanto estesa quante sono le imprevedibili situazioni che in concreto possono storicamente ricorrere, ma individua il rapporto che deve funzionalmente correlare la positiva disciplina di quei fatti o rapporti al paradigma dell’armonico trattamento che ai destinatari di tale disciplina deve essere riservato, così da scongiurare l’intrusione di elementi normativi arbitrariamente discriminatori ”.

La diversità delle posizioni messe a confronto rivela, infine, l’infondatezza del denunciato vizio di violazione del principio di uguaglianza anche sotto ulteriore profilo, osservandosi che tale principio non esclude l’introduzione nel corso del tempo di fattori di differenziazione, secondo un modulo dinamico che non può escludere discipline diverse in situazioni differenti (cfr. Cons. Stato, VI, 29-1-2016, n. 364, richiamando Corte Cost. n. 241/2014 e n. 89/1996).

È da escludersi, infine, la violazione dell’articolo 51 della Costituzione.

Invero, tale norma non attribuisce un diritto indiscriminato ad accedere ai pubblici impieghi, ma lascia salva, in ragione di una riserva relativa di legge, la possibilità per il legislatore e l’amministrazione di regolamentarlo, in relazione alle specifiche esigenze del caso concreto, anche attraverso la previsione di modalità distinte di accesso, correlate al possesso di titoli differenti, conseguiti con procedure e in ambiti temporali diversi.

Le argomentazioni sopra esposte escludono, dunque, che possa esservi una illegittima disparità di trattamento tra i ricorrenti ed i soggetti, in possesso di titolo di abilitazione, già inclusi nelle GAE, considerato che le relative posizioni non sono assimilabili né connotate da identità ».

Deve inoltre essere precisato che della questione - sia pur con riguardo alla diversa vicenda dei diplomati magistrali ante 2001/2002, ma comunque con riferimento alla normativa regolatoria delle graduatorie ad esaurimento - si è occupata l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato nella decisione n. 11 del 2017, chiarendo che « la normativa in esame, così come interpretata e ricostruita non solleva …dubbi di illegittimità costituzionale o di contrarietà con l’ordinamento dell’Unione Europea » ed evidenziando in proposito che « nella situazione in esame appare ragionevole ed ispirato a consistenti ragioni di interesse pubblico il ripristino a regime del sistema di reclutamento degli insegnanti attraverso selezione concorsuale per esami, con salvaguardia delle sole più antiche posizioni di “precariato storico”, per evidenti ragioni sociali. Ragioni, quelle appena indicate, che giustificano pienamente l’attuale disciplina anche in rapporto al diritto comunitario, con particolare riguardo alla clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio in data 28 giugno 1999, che esclude ogni discriminazione dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e postula estensione ai primi degli istituti propri del rapporto dei secondi… ».

L’Adunanza Plenaria ha inoltre precisato che « …le disposizioni normative in esame rispondono pienamente alla disciplina comunitaria, in quanto, appunto, volte ad eliminare il precariato (pur nel rispetto di parametri di gradualità, introdotti a tutela di situazioni a lungo protrattesi nel tempo e destinate alla stabilizzazione), con tendenziale, generalizzato ritorno ai contratti di lavoro a tempo indeterminato, previa selezione concorsuale per merito, nel già ricordato interesse pubblico alla formazione culturale dei giovani, che la scuola deve garantire attraverso personale docente qualificato. Ove le tesi difensive fossero accolte, viceversa, non potrebbe che formarsi un nuovo consistente precariato, che allungherebbe i tempi del sistema previsto a regime, o lo renderebbe addirittura non perseguibile … è sufficiente rilevare che non può essere ammessa la riapertura delle graduatorie ad esaurimento, per ragioni non puntualmente previste a livello legislativo, senza che ciò determini dubbi di legittimità costituzionale o comunitaria ».

E’ infondata la tesi per cui dovrebbe trovare applicazione il regime transitorio delineato dall’art. 402 del D.Lgs. 16 aprile 1994, che riconosce al diploma tecnico valore abilitante, atteso che la norma invocata è riferita soltanto alla partecipazione ai concorsi e non anche all’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento;
infatti afferma espressamente che « Fino al termine dell'ultimo anno dei corsi di studi universitari per il rilascio dei titoli previsti dagli articoli 3 e 4 della legge 19 novembre 1990, n. 341, ai fini dell'ammissione ai concorsi a posti e a cattedre di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, è richiesto il possesso dei seguenti titoli di studio:… ».

Infine non risulta dirimente, ai fini invocati in ricorso, il richiamo alle direttive n. 36/2005/CE e n. 2013/55/UE atteso che tale corpo normativo riguarda il riconoscimento delle qualifiche professionali già acquisite in uno o più Stati membri dell’Unione Europea che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitare nello Stato membro di origine la professione corrispondente, essendo pertanto irrilevante nel caso in esame, in cui si tratta della validità da riconoscere in Italia ad un presunto titolo professionale formato per intero nell’ordinamento interno (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 2 dicembre 2019, n. 8212).

In ogni caso è stata esclusa la violazione della richiamata normativa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 dicembre 2019, n. 8288).

È stato, in proposito, affermato (Sez. VI, 13 novembre 2019, n. 7789;
id. 20 giugno 2018, n. 6918;
id. 3 aprile 2017, n. 1516) che i sistemi generali di riconoscimento intraeuropeo dei diplomi non regolano le procedure di selezione e reclutamento per l’assegnazione di un posto di lavoro, risultando precipuo oggetto della disciplina comunitaria l’imposizione delle qualifiche ottenute in uno Stato membro per consentire agli interessati di candidarsi ad un posto di lavoro in un altro Stato, ma pur sempre nel rispetto delle relative procedure di selezione e reclutamento ivi vigenti (cfr. C.G.U.E, Sez. VIII, 17 dicembre 2009, n. 586).

Di conseguenza, una volta ritenuta la necessità del possesso dei titoli di studio prescritti dalla normativa nazionale per l’idoneità all’insegnamento, non è ricavabile dalla direttiva comunitaria il divieto di richiedere - nella specie, ai fini dell’iscrizione nelle graduatorie ad esaurimento - ulteriori titoli quali l’abilitazione all’insegnamento.

8. Quanto ai contratti sottoscritti a seguito di ordinanza cautelare del TAR deve ricordarsi che si tratta di atti non riconducibili ad una rinnovata valutazione degli interessi coinvolti ma di semplice esecuzione dell’ordine giurisdizionale (peraltro, di carattere soltanto interinale).

In particolare, diversamente da quanto opina la parte appellante, non emerge dagli atti di causa una condotta provvedimentale dell’amministrazione volta a ritirare i provvedimenti impugnati o a sostituirli con nuovi atti idonei a legittimare autonomamente l’inserimento degli appellanti nelle graduatorie per cui è causa.

Anzi, proprio i successivi atti di “revoca” dei contratti depongono per la chiara valenza dei suddetti contratti quali atti di ottemperanza all’ordine del Giudice.

Ad una diversa soluzione non può addivenirsi valorizzando il fatto che l’amministrazione non abbia mai espresso una condizione di riserva riferita all’esito del presente giudizio.

Diversamente da quanto sostiene la parte appellante, una chiara volontà provvedimentale ad essi favorevole, tesa a modificare la disciplina ministeriale in origine censurata, che impediva l’inserimento in graduatoria a coloro che fossero privi dell’abilitazione, non potrebbe desumersi, in negativo, dalla circostanza per cui l’amministrazione, nel dare seguito ad un assetto di interessi conseguente ad un ordine cautelare, abbia omesso di formulare espressamente una clausola di riserva, volta a subordinare all’esito del processo inter partes pendente, l’efficacia degli atti adottati in esecuzione dell’ordinanza cautelare pronunciata dal TAR.

È stato condivisibilmente affermato che « L’omessa formulazione di una clausola di riserva in sede amministrativa, per ogni successivo atto esecutivo posto in essere, non manifesta univocamente la volontà spontanea di accogliere l’avversa pretesa, essendo compatibile con la dovuta ottemperanza dell’ordine giudiziale: per propria natura, gli atti esecutivi di un ordine cautelare risentono degli effetti espansivi discendenti dalla caducazione del provvedimento giurisdizionale in cui trovano la loro ragione giustificatrice, non richiedendo l’espressa formulazione di clausole espresse.

Né potrebbe farsi riferimento a condotte inerti, quali la mancata sottrazione del bene della vita concesso interinalmente in esecuzione di un ordine cautelare nelle more divenuto inefficace, facendosi questione di una condotta neutra, di mero silenzio, non espressiva di alcuna univoca volontà dispositiva;
del resto, le ipotesi di silenzio significativo devono ritenersi tipiche (cfr. art. 20 L. n. 241 del1990), in applicazione del principio di certezza dei rapporti giuridici pubblicistici, che esige la manifestazione di un’espressa volontà amministrativa a definizione del procedimento (cfr. art. 2 L. n. 241 del 1990), con conseguente inidoneità dell’inerzia, al di fuori delle fattispecie regolate dal legislatore, ad esprimere la regula iuris del rapporto sostanziale.

L’univoca volontà di attribuire al privato il bene della vita preteso in giudizio, a prescindere dall’esito del processo pendente, richiederebbe, dunque, un quid pluris rispetto all’adozione di provvedimenti carenti di clausola di riserva, ma attuativi di un assetto di interesse conforme all’ordine cautelare.

In particolare, occorrerebbe che l’amministrazione desse atto dell’esistenza del giudizio e che, ciò nonostante, a prescindere dal suo esito, manifestasse la volontà di attribuire il bene della vita ex adverso ambito, nell’esercizio di una propria autonoma e spontanea decisione discrezionale -incompatibile con la volontà di resistenza in giudizio-, pure sciogliendo espressamente in senso favorevole al privato una riserva comunque presupposta dall’esecuzione dell’ordine cautelare » (Cons. Stato, Sez. VI, 26 luglio 2021, n. 5548).

Tali circostanze non sono riscontrabili nel caso di specie.

Dagli atti di causa non emerge affatto un’autonoma ed esplicita volontà di riconoscere il bene della vita al quale mirano gli appellanti;
né emerge che gli stessi siano stati destinatari di contratti o siano stati inseriti nelle GAE a prescindere dalle misure cautelari favorevoli ottenute.

9. Conclusivamente, per tutte le suesposte assorbenti considerazioni, l’appello deve essere respinto.

10. Le spese del giudizio possono essere eccezionalmente compensate tenuto conto dei mutamenti giurisprudenziali intervenuti in subjecta materia e della costituzione del Ministero dell’istruzione, avvenuta in data 14 ottobre 2022, in prossimità dell’udienza di discussione della causa (18 ottobre 2022).

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