Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2019-03-07, n. 201901567
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Pubblicato il 07/03/2019
N. 01567/2019REG.PROV.COLL.
N. 04201/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4201 del 2009, proposto dal Comune di Viterbo, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall'avvocato M B, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Antonio Bertoloni, 26/B
contro
A F in proprio e in qualità di legale rappresentante del Panificio Anselmi S.n.c., B E in proprio e in qualità di legale rappresentante dell’omonima Ditta Individuale, M M in proprio e in qualità di legale rappresentante della Divip Catering S.n.c., C S in proprio e in qualità di legale rappresentante del Divip Catering S.n.c., rappresentati e difesi dall'avvocato M M, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Serena Pratali in Roma, via del Circo Massimo n. 9
nei confronti
Rocchetti Alessandro, Sposetti Elvira non costituiti in giudizio
per la riforma della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione II-ter, n. 4583/2009
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori A F, B E, M M e C S;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2019 il Cons. C C e uditi per le parti l’avvocato Tomaselli per delega dell’avvocato Brugnoletti e l’avvocato Mazza in dichiarata delega dell’avvocato Mattei;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue
FATTO
Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. del Lazio e recante il n. 2043 del 2009, il sig. Fabrizio Anselmi e altri operatori economici impugnavano l’ordinanza sindacale del Comune di Viterbo n. 185 del 29 dicembre 2008 recante una nuova disciplina degli orari di apertura e chiusura di esercizi commerciali e, in generale, delle attività produttive insistenti sul territorio comunale.
I ricorrenti contestavano sotto svariati profili la violazione del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (‘ Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali ’).
Con sentenza n. 4583 del 5 Maggio 2009, il T.A.R. del Lazio, ravvisando l’illegittimità del ricorso allo strumento dell’ordinanza contingibile e urgente da parte del Sindaco (articolo 50, comma 5 del citato T.U.), accoglieva il ricorso e annullava il provvedimento gravato.
Per l’annullamento, previa adozione di misure cautelari, di siffatta sentenza, il Comune di Viterbo proponeva il ricorso appello rubricato al n. 4201/2009.
L’impugnativa veniva affidata a un unico complesso motivo (rubricato ‘ Errores in iudicando riconducibili al travisamento dei presupposti, alla violazione dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000 e alla violazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 114 del 1998 ’).
Si costituivano in giudizio i signori A F, B E, M M e C S, i quali concludevano per il rigetto dell’appello con conferma della sentenza appellata e la condanna dell’amministrazione al risarcimento del danno nonché, in via subordinata, la riforma della sentenza con annullamento dell’ordinanza gravata nei limiti dell’art. 5 ivi contenuto.
Ad esito della camera di consiglio del 26 Giugno 2009, il Collegio adito, con ordinanza n. 3338/2009, accoglieva la domanda cautelare ritenendo che l’ordinanza sindacale impugnata non potesse qualificarsi come contingibile e urgente.
All’udienza pubblica del 21 Febbraio 2019 il ricorso è trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Comune di Viterbo avverso la sentenza n. 4583 del 5 Maggio 2009, con cui il T.A.R. del Lazio ha accolto il ricorso proposto da alcuni esercenti attività commerciali nel Comune di Viterbo e ha conseguentemente annullato l’ordinanza sindacale n. 185 del 29 dicembre 2008 (recante “ regolamentazione degli orari delle attività produttive ”).
2. Con il primo motivo di ricorso il Comune di Viterbo lamenta che erroneamente i primo Giudice abbia annullato l’ordinanza sindacale n. 185 del 2008 ritenendo (in modo parimenti erroneo) che essa si configurasse quale ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’articolo 50, comma 5 del decreto legislativo n. 267 del 2000.
Al contrario, l’ordinanza impugnata in primo grado si qualificava come atto di natura ordinaria volto a disciplinare gli orari di apertura degli esercizi ai sensi dell’articolo 50, comma 7 del medesimo decreto legislativo.
2.1. Il motivo è fondato.
Dall’esame degli atti di causa emerge in effetti che il T.A.R. abbia dato per acquisita la qualificazione dell’atto impugnato quale ordinanza contingibile ai sensi dell’articolo 50, comma 5 e dell’articolo 54, comma 4 del testo unico degli enti locali ( i.e. : quale atto volto a fronteggiare con rimedi contingibili emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale).
Una volta assunta tale qualificazione, il primo Giudice ha valutato se sussistessero nel caso in esame i presupposti e le condizioni per l’adozione di tale tipologia di ordinanza e ha concluso in senso negativo.
Ma il punto è che una serie di elementi deponevano nell’opposto senso di qualificare l’ordinanza in questione quale ordinanza volta a coordinare e riorganizzare (ai sensi del comma 7 del medesimo articolo 50) gli orari degli esercizi commerciali e dei pubblici esercizi.
2.1.1. Un primo elemento che depone in tal senso è desumibile dalle premesse all’ordinanza, ove è dato leggere che “ nell’ambito delle competenze che la legge attribuisce al Sindaco vi è quella del coordinamento degli orari della Città e, tra l’altro, degli esercizi commerciali in genere ”.
Il richiamo in questione è evidentemente riferito alla previsione di cui all’articolo 50, comma 7 del TUEL il quale, appunto, demanda al sindaco i compiti di coordinamento e riorganizzazione degli orari degli esercizi commerciali e dei pubblici esercizi. Si tratta di compiti che sono tipicamente esercitati attraverso ordinanze di contenuto – per così dire - ‘ordinario’, adottate dal sindaco nella sua qualità di capo dell’amministrazione comunale (e non in quella, concomitante, di ufficiale di governo).
Al contrario, la richiamata premessa non appare compatibile con la previsione di cui al comma 5 dell’articolo 50, la quale non riferisce il potere di ordinanza contingibile al coordinamento degli orari cittadini.
2.1.2. Un secondo elemento che depone nel senso indicato è rappresentato dal richiamo (anch’esso contenuto nelle premesse al testo) all’articolo 11 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (‘ Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell’articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 ’).
Ai sensi del comma 1 dell’articolo 11, cit., “ gli orari di apertura e di chiusura al pubblico degli esercizi di vendita al dettaglio sono rimessi alla libera determinazione degli esercenti nel rispetto delle disposizioni del presente articolo e dei criteri emanati dai comuni, sentite le organizzazioni locali dei consumatori, delle imprese del commercio e dei lavoratori dipendenti, in esecuzione di quanto disposto dall'articolo 36, comma 3, della legge 8 giugno 1990, n. 142 ”.
Ebbene, l’articolo 36, comma 3 della l. 142 del 1990 ( i.e .: la disposizione richiamata nell’ambito della norma di legge che risulta a propria volta richiamata dal Comune di Viterbo nelle premesse all’ordinanza n. 185 del 2008) corrisponde nella sostanza all’articolo 50, comma 7 del TUEL del 2000.
Ne consegue che, nelle premesse al testo dell’ordinanza impugnata in primo grado, il Comune di Viterbo aveva richiamato una disposizione nazionale in materia di disciplina degli orari di apertura e chiusura degli esercizi che si riferiva a propria volta all’esercizio da parte del sindaco di un ordinario potere di coordinamento (e non all’adozione di ordinanze contingibili e urgenti).
2.1.3. Un terzo elemento che depone nel senso indicato è rappresentato dal richiamo (ancora una volta esso contenuto nelle premesse al testo) all’articolo 31 della legge regionale 18 novembre 1999, n. 33 (‘ Disciplina relativa al settore commercio ’).
La disposizione in questione, nel dettare i princìpi per l’adozione in ambito comunale dei criteri in materia di orari di vendita, richiama a propria volta l’articolo 36, comma 3 della l. 142 del 1990 ( i.e . la disposizione che, come si è già detto, coincide nella sostanza con l’attuale articolo 50, comma 7 del decreto legislativo n. 267 del 2000, richiamando - al pari di quest’ultima - un ordinario potere di ordinanza sindacale).
Anche in questo caso, quindi, resta escluso per tabulas che, in sede di adozione dell’ordinanza impugnata in primo grado, si fosse inteso attivare il potere di ordinanza contingibile e urgente di cui all’articolo 50, comma 5 del TUEL.
La sentenza in oggetto risulta quindi fondata su una premessa giuridico-fattuale non corretta.
2.1.4. Dal momento che, per le ragioni appena esaminate, l’ordinanza n. 185 del 2008 non poteva essere qualificata come ordinanza contingibile e urgente, non possono trovare accoglimento gli argomenti nella presente sede riproposti dagli appellati, volti a negare la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per l’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente ai sensi dell’articolo 50, comma 5 del TUEL.
2.2. Né può pervenirsi a conclusioni diverse da quelle appena divisate in considerazione del fatto che nelle premesse all’ordinanza n. 185 del 2008 fosse richiamata l’esigenza di “ prevenire (…) situazioni di degrado al decoro delle vie pubbliche ”.
Tale richiamo, infatti risultava volto a giustificare un particolare – e rigoroso – assetto della disciplina di alcuni orari di apertura e chiusura, ma non valeva in alcun modo a giustificare la ritenuta riconducibilità dell’ordinanza n. 185, cit. al novero delle ordinanze contingibili e urgenti di cui all’articolo 50, comma 5 del TUEL.
2.3. Ed ancora, non può pervenirsi a conclusioni diverse in termini qualificatori in considerazione del fatto che l’ordinanza in parola sia entrata in vigore – per alcuni dei suoi destinatari – dopo tre giorni dall’adozione.
Si osserva al riguardo che l’eventuale carattere di urgenza riconosciuto a un’ordinanza di contenuto ‘ordinario’ non vale di per sé a qualificare l’atto come contingibile e urgente ai sensi dell’articolo 50, comma 5 del TUEL, restando comunque diverse la funzione e gli ambiti oggettuali dei due tipi di ordinanze.
2.4. Non risulta necessario ai fini del decidere esaminare i motivi di appello con cui si è richiamata la tesi del mancato rispetto della vacatio di quindici giorni, nonché la tesi fondata sulla mancata comunicazione di avvio del procedimento.
Gli argomenti in parola non risultano determinanti ai fini del decidere in quanto la sentenza appellata non risulta fondata su alcuno di essi.
Si osserva inoltre che gli appellati signori Anselmi, Baldini, Moffa e Chiani (i quali avevano proposto tali argomenti di doglianza, non accolti dal T.A.R.) non hanno proposto sul punto appello incidentale, ma si sono limitati a reiterare i relativi argomenti con la memoria di costituzione in data 16 giugno 2009.
2.4.1. A limitati fini che qui rilevano si osserva comunque che il termine di quindici giorni di pubblicazione è previsto dall’articolo 124 del TUEL per le sole deliberazioni assembleari (e non anche per le ordinanze sindacali) e che il successivo articolo 134, comma 4 ammette comunque l’apposizione della clausola di immediata esecutività.
Anche ad ammettere, poi (denegata ipotesi), l’applicabilità nel caso in esame dei termini di cui all’articolo 134 del TUEL, il fatto che il Comune abbia anticipato l’efficacia dell’ordinanza impugnata in primo grado potrebbe se del caso comportare l’invalidità dei soli provvedimenti attuativi adottati prima del termine di dieci giorni di cui all’articolo 134, comma 3 del Testo unico, ma non anche l’illegittimità dell’ordinanza sindacale nel suo complesso.
2.4.2. Per quanto riguarda, poi, le questioni connesse alla comunicazione di avvio del procedimento, si osserva che essa non rileva nel caso in esame, venendo in rilievo l’adozione (non già di un provvedimento amministrativo, bensì) di un atto di regolamentazione a contenuto generale e a valenza sostanzialmente regolamentare.
2.5. Non può poi essere condivisa la tesi degli appellati secondo cui gli argomenti profusi dal Comune a sostegno della qualificazione giuridica dell’ordinanza n. 185 del 2008 come ordinanza di contenuto ‘ordinario’ ai sensi dell’articolo 50, comma 7 del TUEL concreterebbero una sorta di (illegittima) integrazione postula della motivazione dell’atto.
Va premesso al riguardo che l’ordinanza impugnata in primo grado, in quanto atto a contenuto generale, non resta a rigore assoggettata all’obbligo di motivazione ai sensi dell’articolo 3, comma 2 della l. 241 del 1990, ragione per cui non possono ravvisarsi in capo a tale atto vizi di illegittimità relativi al relativo apparato motivazionale.
Si osserva inoltre che la qualificazione giuridica di un atto (nel caso di specie, in relazione al paradigma di cui all’articolo 50 del TUEL) discende dalle sue caratteristiche e dal suo contenuto sostanziale e che gli argomenti profusi in giudizio a sostegno di una determinata qualificazione non possono quindi essere ritenuti quale integrazione (postuma) della motivazione dell’atto medesimo.
2.6. Non può poi essere valorizzato ai fini del decidere l’argomento degli appellati secondo cui l’ordinanza in questione non sarebbe stata preceduta dall’adozione di linee generali di indirizzo da parte del Consiglio comunale.
Al riguardo ci si limita ad osservare che la tesi in questione era stata già avanzata in primo grado dai signori Anselmi, Baldini, Moffa e Chiani e che, non essendo stata accolta dal T.A.R,. avrebbe dovuto – se del caso – costituire oggetto di appello incidentale.
2.7. Allo stesso modo, non può essere valorizzato ai fini del decidere l’argomento degli appellati secondo cui l’ordinanza in questione avrebbe illegittimamente incluso fra i propri destinatari anche gli artigiani.
Anche in questo caso ci si limita qui ad osservare che la tesi in questione era stata già avanzata dai ricorrenti in primo grado e che, non essendo stata accolta dal primo Giudice, avrebbe dovuto – se del caso – costituire oggetto di autonoma impugnativa.
3. Per le ragioni esposte l’appello in epigrafe deve essere accolto e conseguentemente, in riforma della sentenza di primo grado, deve essere respinto il ricorso di primo grado.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese fra le parti, anche in ragione della peculiarità della res controversa .