Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2010-07-09, n. 201004458
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N. 04458/2010 REG.DEC.
N. 02721/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
Sul ricorso numero di registro generale 2721 del 2008, proposto da:
Dnd Immobiliare S.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. L V M, C P e B T, con domicilio eletto presso Lucio Valerio Moscarini in Roma, via Sesto Rufo, 23;
contro
Comune di Lanciano, rappresentato e difeso dall'avv. G C, con domicilio eletto presso Dario Di Gravio in Roma, via Anapo 29;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA n. 00947/2007;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 maggio 2010 il Consigliere R P e uditi per le parti gli avvocati Moscarini, Paone, Taverniti e Carlini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con le delibere n. 56 del 1996 e n. 11 del 1997, il Consiglio comunale di Lanciano rispettivamente adottava ed approvava il piano di recupero del patrimonio edilizio esistente dai numeri civici 4 e 6 di via De Titta e con concessione n. 180 del 1998, il Comune consentiva alla s.r.l. D.N.D. immobiliare la ristrutturazione di un immobile sua proprietà (‘villa Tinaro’) e la realizzazione di un fabbricato residenziale.
In accoglimento di ricorsi (nn. 885 del 1997 e n. 496 del 1998) proposti dal confinante avv. Pietro S, il TAR dell’Abruzzo, sezione di Pescara, con la sentenza n. 458 del 1999 (confermata dalla Sez. V del Consiglio di Stato con la decisione n. 697/2003), annullava tali atti, indicando a motivazione il fatto che il P.R.G. aveva previsto un unico comparto per le aree in questione, mentre il piano di recupero aveva riguardato i beni di proprietà della società e non anche quelli dell’avv. S.
Nel corso del giudizio, la società realizzava però i lavori assentiti con la annullata concessione edilizia n. 180 del 1998 e l’immobile era venduto a diversi proprietari.
In accoglimento di ulteriore ricorso (n. 369 del 2004) proposto dall’avv. S, con la sentenza n. 859 del 2004 il Tar adìto ordinava quindi al Comune di Lanciano di dare esecuzione alla predetta sentenza n. 458 del 1999, passata in giudicato. In particolare, con tale decisione il Tribunale individuava le “regole cui deve uniformarsi l’amministrazione in sede di esecuzione” (volte a rimuovere le conseguenze delle commesse illegittimità, in ordine alla mancata approvazione di un unico piano per il comparto, alla realizzazione di un ulteriore edificio, in assenza della demolizione di quelli preesistenti, e all’eccesso di volumetria);la sentenza ,inoltre, rilevava il dovere Comune di “procedere alla demolizione coattiva delle opere edilizie realizzate, ovvero, sussistendo interesse pubblico contrario, all’applicazione di altra sanzione secondo le previsioni delle vigenti norme in materia di abusi edilizi”, oppure conformando “diversamente la situazione di fatto alla normativa urbanistica con riferimento agli strumenti vigenti all’epoca di notifica della sentenza del Consiglio di Stato, dando conto, in particolare, attraverso un giudizio che implica anche valutazioni di interesse pubblico, della compatibilità delle opere realizzate con gli stessi strumenti urbanistici, con particolare riferimento alla questione concernente la volumetria residenziale realizzata”.
In sede di esecuzione di tale giudicato, con la delibera n. 36 del 14 dicembre 2004 la Giunta comunale di Lanciano stabiliva:
a) di procedere alla “attuazione del comparto nella sua unitarietà”, “approvando un piano di recupero” e “soprassedendo nelle more” “alla demolizione dell’edificio compatibile con lo strumento urbanistico di attuazione”;
b) di invitare il dirigente a demolire – dopo l’approvazione del comparto – le opere incompatibili ( per la misura di mc. 1976,51) applicando la sanzione pecuniaria per l’impossibilità di procedere alla demolizione di ulteriori mc 253, 52.
Con la nota n. 18993 del 2005, il dirigente della programmazione urbanistica comunicava poi l’avviso di avvio del procedimento per l’attuazione del comparto ed invitava l’avv. S e la società DND a costituire il consorzio previsto dall’art. 26 della legge regionale n. 18 del 1983, in assenza del quale il Comune prospettava l’approvazione d’ufficio del piano.
L’avv. S impugnava dinanzi al TAR tali provvedimenti con ulteriori ricorsi (nn. 67 e 262 del 2005) al TAR Abruzzo, i quali con la sentenza n. 98/2006 venivano accolti, sulla base delle seguenti considerazioni:
- la delibera n. 36 del 2004 aveva constatato l’interesse pubblico alla conservazione dell’edificio realizzato da oltre cinque anni (ed abitato da dieci famiglie), in base a piano di recupero a suo tempo annullato;
- era stata prevista la formazione del comparto non per attuare la previsione del piano regolatore, ma per sanare l’opera divenuta abusiva per l’annullamento della concessione edilizia n. 180 del 1998;
- l’esecuzione della medesima delibera comporterebbe la conservazione di immobili su una sagoma diversa da quella prevista dal piano regolatore, in assenza del consenso del proprietario finitimo e con un eccesso di volumetria;
- in sostanza, la delibera mirava a soddisfare esigenze meramente privatistiche alla conservazione di un bene abusivo, senza tenere conto delle esigenze del proprietario finitimo, del cui villino è prevista la demolizione.
Tale sentenza veniva impugnata dalla società DND innanzi al Consiglio di Stato, e in quella sede confermata (sez. IV, sent. n. 2840/2007) .
Nel corso di tale giudizio, il Dirigente del settore programmazione urbanistica, con l’ordinanza n. 346 del 13 dicembre 2006, preso atto della conferma giurisdizionale dell’annullamento dei titoli edilizi (Cons. di Stato, n.697/2003) disponeva il ripristino dello stato dei luoghi del lotto di terreno in questione, entro il termine di 120 giorni dalla notifica.
La società DND, con ulteriore ricorso al TAR Abruzzo (n.78/2007), impugnava la predetta ordinanza, deducendo le seguenti censure:
1) Violazione dell’art. 97 della Costituzione. Eccesso di potere per errore dei presupposti, per contraddittorietà, per illogicità ed ingiustizia manifeste e per difetto di istruttoria;nell’atto impugnato non si fa riferimento alla circostanza che la sentenza n. 98/06 era stata appellata e che il relativo giudizio era pendente ;inoltre, non vi era alcuna urgenza a demolire il fabbricato privando gli acquirenti della loro prima casa.
2) Illegittimità derivata, essendo il provvedimento inficiato dagli stessi vizi dedotti in sede di appello della predetta sentenza n. 98/2006.
La ricorrente proponeva altresì’ istanza di risarcimento danni, trattandosi di edificio costruito con concessione edilizia solo successivamente annullata.
Il Tar adìto, infine, superate alcune questioni pregiudiziali (tra cui la mancata notifica del ricorso al soggetto confinante) respingeva l’impugnativa nel merito;di qui l’odierno appello proposto dalla società DND, i cui motivi si intendono qui riportati.
Si è costituita nel giudizio l’amministrazione comunale intimata, resistendo al gravame ed esponendo in memoria le proprie argomentazioni difensive, che si hanno qui per riportate.
Alla pubblica udienza del 4 maggio 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1.-L’appello in esame tende all’annullamento della ordinanza di demolizione del villino realizzato dalla ditta appellante sul mappale n. 57/4405 (Comune di Lanciano) , provvedimento la cui legittimità è stata affermata dalla sentenza impugnata.
2.- Il Comune appellato ripropone l’eccezione pregiudiziale della mancata notifica del ricorso di primo grado al soggetto confinante (avv. Pietro S), questione assorbita dal TAR in ragione della ritenuta infondatezza del ricorso nel merito. Il Collegio, pur non disconoscendo la posizione di controinteressato del soggetto confinante, osserva che quest’ultimo, in difesa dell’ordine di ripristino di cui si controverte, ha già avuto modo di svolgere le proprie argomentazioni nel ricorso al TAR n.68/2007, proposto dai proprietari dell’immobile e del quale ha ricevuto notificazione.
3.- Con la sentenza epigrafata il giudice di prima istanza ha respinto le due censure che sostenevano il ricorso e proposte sulla base della ritenuta legittimità di precedenti provvedimenti (impugnati però dal confinante) che, in esecuzione della sentenza TAR n. 859 del 2004, avevano indicato a soluzione della articolata vicenda un procedimento di ripianificazione ( individuazione di comparto e di piano di recupero). Il TAR ha in contrario argomentato che i predetti provvedimenti sono stati annullati su ricorso del confinante da precedente sentenza (n.98/2006), confermata in sede di appello proposto dalla stessa odierna appellante (Cons di Stato, sez.IV, n. 2840/2007).
2.1- Nel merito avverso la decisione gravata la società DND, argomenta anzitutto che l’ordinanza di demolizione di cui si controverte (n.346/2006) è stata annullata per effetto di altra decisione del TAR (la n. 156/2008) adottata sul menzionato ricorso dei proprietari acquirenti (e sulla quale pende appello parimenti trattato all’udienza del 4.5.2010). La circostanza è però irrilevante poiché l’annullamento giurisdizionale dell’ordine di ripristino è intervenuto successivamente alla decisione impugnata e non può quindi assurgere a parametro di valutazione dell’operato dei giudici di primo grado; inoltre la demolizione di cui si controverte, essendo stata adottata nel contesto esecutivo nel quale sono state rese le sentenze TAR n.98/2006 e CDS n.2840/2007, deve essere esaminata con riferimento alla portata di quest’ultime.
2.2- Col secondo motivo la società DND sostiene che erroneamente il primo giudice ha rigettato il motivo di illegittimità derivata limitandosi a constatare che il ricorso in appello avverso la sentenza n. 98/2006 era stato respinto con la sentenza del Consiglio di Stato n.2840/2007, senza considerare che i motivi di legittimità volti contro l’ ordinanza avrebbero dovuto essere invece valutati alla stregua dei precetti dettati dalla precedente statuizione del TAR (la n.859 del 2004, resa in merito alla esecuzione originaria sentenza (n.458/1999) di annullamento dei titoli).
La tesi non può essere accolta.
Nel confermare la sentenza n. 98/2006 , il Consiglio di Stato aveva in effetti già rilevato (punto 13.3 sent. n.2840/2007), e per questa ragione annullato gli atti d’esecuzione emessi dal Comune , che questi non aveva adottato nessuna delle soluzioni alternative alla demolizione indicate dalla sentenza n. 859/2004.
Per effetto delle cennate decisioni la società DND può quindi dirsi destinataria di un giudicato d’esecuzione dal cui àmbito sono state espunte tutte le soluzioni alternative (tra le quali quelle pianificatorie) indicate dalla sentenza, rimanendo il ripristino dei luoghi, mediante la contestata demolizione degli abusi individuati derivante dall’annullamento dei titoli edilizi.
In altri termini il TAR, richiamandosi alla citata e confermata sentenza n. 98/2006, ha esattamente respinto le due censure propostegli in quanto tendenti ad affermare l’illegittimità la demolizione (che quindi allo stato permane legittima) escludendo anche le altre soluzioni indicate dalla predetta sentenza TAR n. 859/2004.
3.- Riepilogando, correttamente il TAR, limitandosi alle censure sollevate a carico della sentenza impugnata, le ha respinte, argomentando che:
- quanto alla prima, l’art. 97 della Costituzione, di cui è stata lamentata la violazione, impone alla Pubblica Amministrazione, come la stessa parte ricorrente testualmente afferma nel ricorso, “di improntare l’esercizio dell’azione amministrativa ai principi di efficienza, efficacia ed imparzialità”; la sentenza n. 98/06, ancorché appellata, era esecutiva in base all’art. 33 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, e non era stata sospesa dal Giudice di appello, sicchè il Comune non era certamente obbligato a sospendere le proprie determinazioni sulla vicenda in questione (che si protraeva da circa dieci anni) ed attendere, quindi, la (ulteriore) decisione del riesame;
- quanto alla seconda, il Consiglio di Stato, con la predetta decisione n. 2840/2007, ha respinto l’appello proposto dalla ricorrente ed ha, pertanto, ritenuto infondate le riproposte doglianze contro la sentenza n. 98 del 2006.
4. - Si duole infine la società istante del fatto che il TAR abbia omesso ogni determinazione sulla domanda di risarcimento del danno, proposta in caso di conferma della legittimità dell’ordinanza di demolitozione. L’omissione in effetti sussiste ma la censura , ad avviso del Collegio, è da respingere. Il danno di cui si chiede ristoro non origina infatti dalla demolizione, che, in quanto atto esente dalle censure dedotte, è inidoneo a configurare presupposto di responsabilità civile, bensì dall’accertamento dell’ illegittimità dei titoli edilizi a suo tempo rilasciati (sent. n.458/1999).
Osserva al riguardo la Sezione che la vicenda tutta è sorta perché vi è stata una iniziativa edificatoria, caratterizzata (a parte gli aspetti riguardanti la formazione del comparto) dalla realizzazione di una complessiva volumetria non assentibile, riferibile al comportamento della società. Non sussistono, dunque, neanche sotto tale aspeetto i presupposti per disporre un risarcimento a carico del Comune.
5- Sussistono giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio, attesa la sufficiente complessità della vicenda.