Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-04-24, n. 202304114

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2023-04-24, n. 202304114
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202304114
Data del deposito : 24 aprile 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/04/2023

N. 04114/2023REG.PROV.COLL.

N. 00078/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 78 del 2017, proposto da
-OMISSIS- S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati A L e F N, con domicilio digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato A L in Roma, via Nomentana, n. 257;

contro

Inps, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A C, V T e V S, con domicilio digitale come da pubblici registri e domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato V S in Roma, via Cesare Beccaria, n. 29;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la-OMISSIS-, Sezione Prima, n. -OMISSIS-, resa tra le parti;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Inps;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 8 marzo 2023, tenuta da remoto, il Cons. Fabrizio D'Alessandri, udito per l’INPS l’avvocato Stumpo e dato atto della richiesta del difensore della società appellante di passaggio in decisione senza discussione della causa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1.La società -OMISSIS- s.r.l. (d’ora in avante anche solo l’appellante o la società), operatore economico esercente attività di produzione e confezionamento di prodotti farmaceutici, inoltrava in data 18/04/2011, previa fase concertata con le organizzazioni sindacali, per via telematica domanda di ammissione al Trattamento di Integrazione Guadagni per il periodo compreso tra il 16/05/2011 e 06/08/2011: la richiesta era circoscritta a soli diciotto lavoratori, su un totale di ottantasei applicati nell'unità produttiva. Perdurando lo stato di crisi aziendale, la società inoltrava una nuova richiesta di ammissione alla C.I.G.O. per il periodo dal 26/09/2011 al 24/12/2011, esperita anche per tale seconda procedura la preventiva consultazione sindacale.

A supporto di tali richieste evidenziava che sin dall’aprile 2011 si era trovata costretta a interrompere il processo produttivo a causa di potenziali ed elevati rischi di frammischiamento e contaminazione del prodotto, imprevedibili e correlati alla complessità della filiera nello specifico settore merceologico;
dalla temporanea stasi delle attività predette derivava la preclusione ad acquisire nuovi ordinativi sul mercato.

La ripresa dell’attività lavorativa avveniva a conclusione del periodo richiesto per il trattamento salariale (06/08/2011), per quanto il ripristino della funzionalità dei reparti imponeva nuova autorizzazione dell’AIFA nello specifico ambito merceologico, provvedimento rilasciato solo dopo alcuni mesi: da qui la nuova richiesta di fruizione del trattamento ordinario della C.I.G. per il periodo 26/09/2011 – 24/12/2011.

La società che per entrambe le richieste formulate erano seguiti gli accessi ispettivi della Direzione Provinciale del Lavoro ed era stata inoltrata la documentazione necessaria a comprovare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi;
la Commissione Provinciale per la C.I.G. riscontrava positivamente solo la domanda relativa al secondo periodo, riconoscendo l’imprevedibilità dell’evento che aveva causato la crisi aziendale, mentre per il periodo 16/05/2011-06/08/2011 riteneva che la temporanea interruzione del processo produttivo fosse da imputarsi a una condotta volontaria del datore di lavoro.

2. La società impugnava detto diniego dinanzi al T.A.R.-OMISSIS- che con la sentenza segnata in epigrafe lo ha rigettato, in quanto l’evento che aveva determinato lo stato di crisi era da ricondurre al pieno controllo dell’imprenditore, non assumendo la vicenda contenziosa i connotati di imprevedibilità propri dell’ammissione al trattamento salariale, con conseguente legittimità del provvedimento amministrativo, destinato in detti termini a mantenere eguale contenuto, anche se disatteso l’obbligo di inoltro del preavviso di rigetto ex art. 10 bis l. n. 241 del 1990. Nello specifico il provvedimento di rigetto aveva così motivato: “ Considerato che la compliance aziendale è data dall’insieme di tutte quelle attività organizzate, programmate e controllate finalizzate a prevenire il rischio di non conformità delle attività aziendali alle norme vigenti e che, pertanto, non sussiste nella causale addotta il requisito di legge della non imputabilità dell’evento al datore di lavoro trattandosi, viceversa, di interventi programmabili con modalità organizzative diverse ”.

3. La società ha chiesto la riforma di tale sentenza, lamentandone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di due motivi di gravame, così rubricati:

I. Illogicita’ sentenza di primo grado, nella parte in cui ascrive all’imprenditore un evento inconfutabilmente estraneo ai poteri di controllo di quest’ultimo, violazione dell’art. 1 l. n° 164/1975;

II. Illogicita’ sentenza di primo grado, a fronte di atto amministrativo che difetta appieno di parte motiva circa la riconducibilita’ dell’evento ai poteri di gestione o comunque preventivi della parte datoriale. erroneita’ sentenza, violazione e falsa applicazione dell’art. 10 bis l. n° 241/1990, per non avere l’ente previdenziale anteposto al provvedimento negativo il preavviso di rigetto.

4. Si è costituito in giudizio l’INPS, deducendo l’infondatezza dell’appello, di cui ha chiesto il rigetto.

5. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica dell’8.3.2023.

DIRITTO

1. L’appello è infondato.

2. La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso avverso il provvedimento di diniego di ammissione al trattamento di integrazione salariale ordinaria per l’inesistenza di una causa di imprevedibilità e non imputabilità alla normale sfera di controllo dell’imprenditore sul processo produttivo dell’evento che aveva determinato la crisi aziendale.

In particolare, la sentenza ha ritenuto che “nel caso di specie, tenuto conto della natura dell’attività produttiva svolta dalla società ricorrente (produzione e confezionamento di prodotti farmaceutici), non può che ascriversi al novero dei rischi prevedibili e, dunque, alla normale alea imprenditoriale la necessità verificatasi, nel corso della prima parte dell’anno 2011, di adeguare dal punto di vista tecnico gli spazi aziendali “per eliminare rischi di frammischiamento e contaminazione del prodotto”. Non si rinviene, infatti, nell’esigenza appena prospettata alcun elemento denotativo dell’imprevedibilità del fatto occorso e della sua non imputabilità alla normale sfera di controllo dell’imprenditore sul processo produttivo. Sul punto, il giudice amministrativo ha precisato: “La disciplina normativa dettata in materia di cassa integrazione (CIG) non può che ritenersi di stretta interpretazione, tenuto conto delle finalità sociali e assistenziali dell'istituto e dell'impiego al riguardo di risorse pubbliche, ad attenuazione del rischio di impresa. In tale ottica il contributo presuppone una situazione di temporanea crisi aziendale, non riconducibile a responsabilità dell'imprenditore e rimessa alla valutazione discrezionale, sotto tale profilo, dell'Amministrazione competente. La norma basilare dettata in materia (art. 1 della legge 20 maggio 1975, n. 164) - nel riferirsi a “situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all'imprenditore o agli operai” - implica l'assoluta estraneità dell'evento rispetto alla sfera psichica dei soggetti interessati, sotto il profilo sia della prevedibilità dell'evento stesso che della responsabilità, con sostanziale riconduzione dell'applicazione della norma a situazioni di forza maggiore;
i fatti che abbiano causato una contrazione o una sospensione dell'attività di impresa debbono peraltro risultare estranei anche alla sfera di responsabilità di soggetti diversi dall'imprenditore, cui possa essere riferita, a titolo risarcitorio, la responsabilità dell'evento interruttivo e la riparazione delle conseguenze patrimoniali pregiudizievoli” (cons. Stato, sez. VI, 22 aprile 2016, n. 1120).

Si aggiunga, infine, che il sindacato di questo giudice deve arrestarsi una volta rinvenuta la plausibilità della decisione dell’Amministrazione in relazione ai presupposti di legge di applicazione dell’istituto in parola, trattandosi di una fattispecie in cui l’autorità amministrativa è chiamata ad esercitare la propria discrezionalità tecnica: “il sindacato del giudice amministrativo sul provvedimento di diniego dell'ammissione alla Cassa integrazione guadagni, ordinaria o straordinaria, ha dei limiti connessi all'ampio margine di discrezionalità tecnica che caratterizza la valutazione dell'Ente previdenziale sul riconoscimento di una situazione di crisi aziendale ai sensi dell'art. 1 l. 20 maggio 1975, n. 164 e, pertanto, le scelte dell'Ente sono sindacabili soltanto se evidentemente illogiche, manifestamente incongruenti o inattendibili ovvero viziate per travisamenti in fatto.” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15/07/2013 n. 3783) ”.

3. L’appellante ha sostenuto col primo motivo di appello che i segnalati “pericoli di frammischiamento e contaminazione incrociata rilevata sui luoghi di lavoro” possono rientrare tra gli eventi rientranti nella sfera di controllo del datore di lavoro, contestando gli assunti del giudice di primo grado ed affermando l’erroneità del presupposto logico argomentativo secondo cui, in sostanza, l’evento interruttivo avrebbe costituito una conseguenza di scelte imprenditoriali erronee, o comunque un’ipotesi prevedibile, le cui conseguenze economiche dovevano ricadere sul datore di lavoro, in quanto i “i rischi di frammischiamento e contaminazione del prodotto” erano insiti nello specifico settore merceologico e la sospensione del processo produttivo, conseguente alla necessità di adeguamento degli spazi aziendali, rientrava nella normale alea insita nell’attività di impresa. Secondo l’appellante invero la suddetta contaminazione, nel caso di specie, avrebbe costituito un fenomeno che prescindeva dal potere di controllo datoriale ed era illogica la decisione che aveva ritenuto non imputabile al datore di lavoro solo la stasi produttiva nel secondo dei periodi anzidetti, in quanto se il tutto doveva intendersi generato da fattore umano, neppure per il secondo periodo avrebbe potuto essere accordato il trattamento salariale.

4. Col secondo motivo di gravame la società .appellante ha ribadito il difetto di motivazione del provvedimento di diniego, che non aveva evidenziato le ragioni sottese alla mancata erogazione del trattamento salariale, evidenziando che l’obbligo di motivazione non poteva intendersi assolto, o ovviato, in nome della discrezionalità tecnica che connota tali valutazioni.

Ha lamentato, altresì, l’omesso inoltro del preavviso di rigetto, previsto dall’art. 10 bis della legge n. 241/1990, ritenendo incongrua la motivazione della sentenza di primo grado che aveva ritenuto l’inosservanza di detta guarentigia “ inidonea ai fini del contendere, sul presupposto della equipollenza di risultato cui doveva pervenire l’Ente Pubblico ”.

5. Ai fini della decisione è utile in via preliminare rammentare i consolidati indirizzi giurisprudenziali, anche recenti (Cons. Stato, Sez. III, 7 marzo 2023, n. 2330), sul fondamento e i limiti di applicabilità dell’istituto della Cassa integrazione guadagni ordinaria.

Nello specifico, l'art. 1, comma 1, n. 1 della legge. 164 del 20 maggio 1975 - sostanzialmente riproposto dall'art. 11, comma 1, del Decreto legislativo del 14 settembre 2015, n. 148 - dispone che agli operai dipendenti da imprese industriali che siano sospesi dal lavoro o effettuino prestazioni di lavoro a orario ridotto è dovuta l'integrazione salariale ordinaria nei seguenti casi: lett. a) "situazioni aziendali dovute ad eventi transitori e non imputabili all'imprenditore o agli operai";
lett. b) "situazioni temporanee di mercato".

In presenza di tali presupposti è prevista la corresponsione dell'integrazione salariale ordinaria, chiesta dalla società ricorrente, in due ipotesi, l'una correlata a situazioni aziendali dovute ad eventi transitori non imputabili all'imprenditore e agli operai, e l'altra a situazioni temporanee di mercato, ipotesi che fanno riferimento a situazioni dipendenti da caso fortuito o forza maggiore indipendenti dal normale andamento dell'azienda.

L'istituto della cassa integrazione guadagni opera in via di eccezione rispetto alla regola del sinallagma dell'obbligo retributivo, con assunzione dello stesso a carico della collettività, così che la relativa disciplina è di stretta interpretazione quanto ai presupposti che danno luogo all'intervento di garanzia del lavoratore.

Secondo la giurisprudenza gli eventi idonei a giustificare l'ammissione alla C.I.G.O. possono consistere "tanto in fatti naturali quanto in fatti umani esterni, che sfuggono al dominio, secondo l'ordinaria diligenza, di chi organizza i fattori di impresa", quali "il caso fortuito, la forza maggiore, il factum principis ovvero il fatto o l'illecito del terzo" (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 aprile 2014, n. 2009), specificando inoltre che il requisito della "non imputabilità" all'imprenditore, previsto dal succitato art. 1 della l. n. 164 del 1975, deve intendersi nel senso che "i fatti che hanno causato la contrazione o la sospensione dell'attività di impresa devono risultare estranei non solo all'imprenditore ma anche ad altri soggetti che con lo stesso hanno concluso contratti, in quanto, diversamente, l'istituto dell'integrazione salariale verrebbe inammissibilmente piegato al perseguimento di finalità ad esso estranee e si tradurrebbe, altrettanto inammissibilmente, in un meccanismo di immediata socializzazione del rischio d'impresa" (cfr. Cons. St. 1251 del 2019;
sez. III, 11 dicembre 2019 n. 8434;
15 ottobre 2019, n. 7000;
19 agosto 2019 n. 5743;
30 luglio 2019 n. 5398;
Sez. VI, 28 gennaio 2013, n. 497 e 23 febbraio 2011, n. 1131).

Deve, poi, rilevarsi che la "transitorietà" della contingente situazione aziendale va valutata in termini di prevedibilità della ripresa produttiva al momento della presentazione della domanda, secondo un giudizio prognostico ex ante (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 22 novembre 2010, n. 8129);
più in generale, la valutazione dei requisiti di ammissione all'integrazione salariale ha carattere prognostico e, quindi, deve essere effettuata soltanto sulla base delle informazioni disponibili ex ante e, naturalmente, in primis fornite dallo stesso imprenditore richiedente (cfr. Cons. Stato, VI, n. 4084/2013;
n. 3783/2013;
n. 2503/2012).

Il sindacato del giudice amministrativo sui provvedimenti di diniego dell'ammissione alla cassa integrazione guadagni, sia essa ordinaria o straordinaria, ha dei limiti connessi all'ampio margine di discrezionalità tecnica che caratterizza la valutazione dell'ente previdenziale sul riconoscimento di una situazione di crisi aziendale, di modo che le scelte dell'Amministrazione sono sindacabili soltanto se evidentemente illogiche, manifestamente incongruenti, inattendibili ovvero viziate da travisamento in fatto" (ex multis, cfr. Cons. Stato sez. III, 12 ottobre 2021, n.6851;
id. 30 luglio 2019, n. 5398;
Cons. Stato, Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4084 e 15 luglio 2013, n. 3783).

6. Nel caso di specie deve rilevarsi come l’ampio margine di discrezionalità tecnico-amministrativa di cui è titolare in materia l’amministrazione si estende anche alla valutazione, con riferimento alla causa dedotta dall’azienda, della effettiva ricorrenza o meno delle condizioni di ammissibilità della richiesta di cassa integrazione ordinaria (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 2 maggio 2012, n. 2503;
Sez. VI, 28 gennaio 2013, n. 497;
Sez. II, 28 dicembre 2021, n. 8685;
Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4084;
Sez. VI, 20 giugno 2016, n. 2713, Sez. III, 10 agosto 2017, n. 3987) ) e implica da parte del giudice amministrativo la verifica di come l’Amministrazione abbia hanno fatto corretta applicazione della disposizione contenuta nell'art. 1, n. 1, lett. a), della legge n. 164/1975, applicabile ratione temporis, recante provvedimenti per la garanzia del salario.

Ciò posto deve ritenersi corretta, perché non manifestamente illogica, arbitraria, irrazionale o irragionevole, la valutazione dell’INPS prima e poi del T.A.R. in ordine alla circostanza che la sospensione dell’attività lavorativa nel periodo in esame sia stata dovuta a circostanze prevedibili da parte di un accorto imprenditore del settore farmaceutico e, quindi, per lo meno, derivanti da iniziali valutazioni incomplete o difettose.

Sul punto peraltro l’appellante non è stato in grado comprovare la non imputabilità a sè o all’organizzazione aziendale delle cause di sospensione dell’attività lavorativa o che gli interventi non fossero “programmabili con modalità organizzative diverse”, né possono essere considerate come prova le mere considerazioni di carattere personale al riguardo, sostanziandosi in mere opinioni dissenzienti rispetto alle valutazioni dell’amministrazione e alle conclusioni del giudice di prime cure.

Né, trattandosi di due provvedimenti autonomi, può trarsi come causa di illegittimità del primo diniego la circostanza che la misura sia stata concessa per il secondo periodo di sospensione dell’attività lavorativa.

7. E’ infondato anche il secondo motivo di appello incentrato sul vizio di motivazione del provvedimento impugnato in primo grado e, per altro verso, sulla pretesa violazione della partecipazione procedimentale per l’omesso preavviso di rigetto.

Quanto al primo profilo, la motivazione riportata nel provvedimento impugnato si palesa infatti sufficiente a giustificare il rigetto impugnato, ai sensi di quanto previsto dall’art. 3 della legge n. 241/90, anche in considerazione del richiamo al deliberato della Commissione Provinciale della Cassa Integrazione Guadagni, che ben aveva esplicitato la decisione di rigetto e, in ogni caso, in considerazione di quanto di seguito indicato in ordine all’applicabilità dell'art. 21 octies della legge n. 241/1990.

Quanto all’omessa comunicazione del preavviso di rigetto, risulta corretta e non meritevole di censura la motivazione della sentenza secondo cui “ non costituisce vizio del provvedimento nel caso in cui - come nella fattispecie - il contenuto di esso non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto espresso, ricorrendo in tale ipotesi l'effetto sanante secondo il principio dettato dall'art. 21 octies della medesima legge a tenore del quale il provvedimento amministrativo non è annullabile quando nel corso del giudizio si rileva, ex actis, la mancanza dell'utilità procedimentale sostanziale del detto preavviso. La comunicazione, infatti, non è prescritta quale formalità la cui violazione sia opponibile anche quando la sua omissione non abbia inciso in alcun modo sulla formazione della volontà dell'Amministrazione o sulla difesa dell'interessato ”.

8. In conclusione l’appello va rigettato.

Le spese del grado di appello seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

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