Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-07-13, n. 202205897

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-07-13, n. 202205897
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202205897
Data del deposito : 13 luglio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/07/2022

N. 05897/2022REG.PROV.COLL.

N. 09119/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9119 del 2017, proposto da
Case Andora S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A M, F P e P V, con domicilio eletto presso lo studio F P in Roma, via Maresciallo Pilsudski, n. 118;

contro

Comune di Andora, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato P G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Roma, n. 4/3;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria n. 613/2017.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Andora;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 giugno 2022 il Cons. G L;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 - Con ricorso proposto al TAR per la Liguria, la società appellante ha chiesto il risarcimento del danno derivante dall’illegittimità dell’ingiunzione di demolizione emessa dal Comune di Andora relativamente al fabbricato sito in via San Bernardino, annullata con sentenza n. 2057/2015 di questa Sezione.

2 - Il TAR ha respinto il ricorso, ritenendo sussistere un errore scusabile dell’amministrazione in grado di escluderne la colpa, in ragione della complessità della fattispecie esaminata che, significativamente, aveva dato luogo a conclusioni opposte nei due gradi di giudizio.

3 - Avverso la pronuncia indicata in epigrafe propone appello l’originaria ricorrente, lamentandone l’erroneità per le seguenti ragioni:

- il T.A.R. avrebbe dedotto l’inesistenza di un comportamento colpevole dell’Amministrazione da una presunta incertezza della situazione, che sarebbe comprovata dalle due sentenze di segno opposto. Questa conclusione, però, divergerebbe dalle ipotesi che la giurisprudenza qualifica come scusanti rispetto all’elemento soggettivo. In particolare, i differenti esiti di primo e secondo grado non sarebbero riconducibili a un contrasto giurisprudenziale, ma ad una differente valutazione dei fatti di causa;

- il primo giudice avrebbe frainteso le conclusioni contenute nella sentenza n. 2057/2015, che non avrebbe inteso derogare ai principi in tema di atto implicito, ma avrebbe annullato i gravati provvedimenti comunali stigmatizzando il comportamento poco lineare e contraddittorio tenuto dall’Amministrazione nella vicenda in questione;

- il primo giudice avrebbe dovuto attestare la sussistenza dell’elemento oggettivo, dell’elemento soggettivo e del nesso di causalità tra la condotta e i danni procurati all’appellante, pari a 159.454,07, che sarebbero articolati nelle seguenti voci: a) incremento dei prezzi di costruzione intervenuto tra la sospensione e la ripresa dei lavori;
b) riduzione dei valori del mercato immobiliare tra la sospensione e la ripresa dei lavori;
c) corresponsione di interessi passivi sul mutuo nel periodo di sospensione;
d) rovina di parte dell’immobile determinatasi durante la sospensione dei lavori;
e) spese per il mantenimento del cantiere e la gestione della società.

4 - L’appello merita accoglimento nei limiti di seguito indicati.

4.1 - In via preliminare, giova ricordare che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il risarcimento del danno a carico della pubblica amministrazione non è conseguenza automatica e costante dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento amministrativo, richiedendosi a tal fine anche la verifica positiva in ordine alla sussistenza della colpa in capo all’amministrazione e al nesso causale tra il provvedimento illegittimo e il danno sofferto ( cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 14 ottobre 2016, n. 4266).

4.2 - Nello specifico, quanto alle ragioni del rigetto della domanda da parte del TAR, deve ricordarsi che è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui l’accertata illegittimità del provvedimento determina una presunzione di colpa in capo alla pubblica amministrazione, sicché l’onere probatorio a carico del richiedente può ritenersi assolto con l’indicazione di tale circostanza, mentre grava sull’amministrazione l’onere di provare l’assenza di colpa attraverso l’errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti ovvero, ancora, dal comportamento delle parti del procedimento ( cfr., ex multis , Cons. Stato, sez. IV, 22 novembre 2016, n. 4896).

4.3 - Tanto precisato, nel caso in esame, contrariamente a quanto argomentato dal TAR, non risultano persuasivi gli argomenti addotti dalla difesa del Comune di Andora a prova dell’esistenza di un errore scusabile discendente dalla peculiarità e complessità della fattispecie concreta.

In primo luogo, deve rilevarsi che il precedente del TAR per la Liguria (poi riformato in sede di appello) si configura come un mero fatto, successivo al comportamento illecito del Comune e, come tale, irrilevante ai fini della configurabilità, o meno, della responsabilità in capo all’Amministrazione.

Al riguardo, la giurisprudenza ha avuto modo di affermare che “ non esclude la colpa la circostanza che il giudice di primo grado abbia dato ragione all’amministrazione con decisione ribaltata in appello, in quanto anche il T.A.R. può incorrere in errore … e comunque non appare ragionevole dare rilevanza ad un fatto successivo a quello che ha generato l'illecito ”;
inoltre, “ aderendo a tale impostazione, la sussistenza della colpa sarebbe ravvisabile nelle sole ipotesi in cui il privato ottenga ragione in entrambi i gradi di giudizio, finendo il giudizio di primo grado ad essere quello decisivo ” (Cons. Stato, Sez. VI, 17/2/2017, n. 730).

Deve inoltre osservarsi che il Consiglio di Stato ha annullato la citata sentenza del T.A.R. per la Liguria non già in applicazione di un differente orientamento giurisprudenziale, bensì sulla scorta di una diversa valutazione del comportamento posto in essere dal Comune nella vicenda in esame.

La sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito, oltre che dall’illegittimità del provvedimento impugnato, nel caso in esame risulta confermata dai seguenti elementi fattuali:

- il Comune ha ordinato la sospensione dei lavori a distanza di oltre cinque mesi dalla data in cui Case Andora ha comunicato l’avvio dell’intervento edilizio, dopo che il medesimo Comune aveva chiesto alla Società appellante sia la corresponsione degli oneri dovuti per la realizzazione dell’intervento, sia la documentazione integrativa richiesta per la definizione della pratica paesaggistica. Oltretutto, con riferimento all’autorizzazione paesaggistica, si erano già espresse favorevolmente sia la Commissione Locale del Paesaggio, sia la Soprintendenza;

- nella citata sentenza n. 2057/2015 è stato chiaramente affermato che, “ in disparte la verifica dell’avvenuta formazione di un atto implicito di autorizzazione paesaggistica ”, il “ comportamento del Comune non può non essere ritenuto concludente ai fini che qui occupano ”… “ non pare dubbio che la richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione e il successivo silenzio dell’Amministrazione – sia a seguito dell’effettivo pagamento degli oneri, sia anche a seguito della comunicazione dell’inizio dei lavori per oltre cinque mesi (durante i quali il fabbricato è stato completato al rustico) – rendano l’evidenza che il Comune, a partire dalla comunicazione in data 18 gennaio 2012, ha domandato il detto pagamento come effetto di un’avvenuta favorevole conclusione del procedimento di autorizzazione paesaggistica ”.

Pertanto, emerge il carattere contraddittorio del comportamento tenuto dal Comune, dal momento che, come ancora statuito da questo Consiglio di Stato nella sentenza 2057/2015, “ il fatto che il Comune abbia richiesto tali adempimenti alla subentrante società anziché al suo dante causa mostra che la mancata presentazione della richiesta di voltura per il procedimento paesaggistico non è stata considerata di ostacolo per rivolgersi al nuovo proprietario anche con riguardo a tale diverso procedimento ”. Il Comune era d’altronde perfettamente consapevole della compravendita nel frattempo intervenuta a favore della società Case Andora, stante la già intervenuta istanza di voltura rispetto al procedimento edilizio e la richiesta di pagamento degli oneri di urbanizzazione e di integrazione della documentazione paesaggistico/ambientale direttamente alla Case Andora s.r.l.

In definitiva, la situazione di fatto non poteva dirsi particolarmente complessa, né la soluzione cui è giunto questo Consiglio, con la sentenza n. 2057/2015, può considerarsi un unicum nel panorama giurisprudenziale come tenta di sostenere parte appellata.

Non appare dunque scusabile la condotta del Comune che, una volta ottenuto il parere favorevole della Soprintendenza, ha, dapprima, chiesto alla Società appellante il pagamento degli oneri concessori e, successivamente, è rimasto silente per oltre cinque mesi dopo aver ricevuto la comunicazione di inizio lavori da parte di Case Andora.

In altri termini, la mancata adozione di un titolo espresso da parte dell’amministrazione comunale ha dato luogo ad una situazione di incertezza, che non può certo imputarsi a parte appellante e non può essere invocata dal Comune per andare esente da responsabilità, dovendosi invece ritenere che tale situazione sia attribuibile allo stesso Comune, responsabile del descritto comportamento incoerente.

5 – Quanto alla sussistenza del nesso causale, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 3 del 2011 richiamata da parte appellata, ha chiarito che l’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., nel prevedere che nel determinare il risarcimento, “ il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti ”, pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, afferma che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. Di qui la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell’omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi.

5.1 - Alla stregua dei detti principi, occorre esaminare nel caso concreto gli effetti del comportamento serbato dalla società appellante, che ha omesso di impugnare l’ordine di sospensione dei lavori precedente all’ordine di demolizione successivamente impugnato. Al riguardo, deve escludersi che la scelta di parte appellante di non impugnare l’ordine di sospensione lavori abbia concretamente inciso, accrescendolo, sul pregiudizio della stessa lamentato.

Infatti, come noto ( cfr . Cons. St., Sez. V, 29 novembre 2004, n. 7746), il ricorso proposto avverso l’ordinanza di sospensione dei lavori viene assorbito dall’adozione dell’ordine di demolizione e diviene pertanto improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (in mancanza dell’atto definitivo di demolizione, l’ordine di sospensione consuma comunque la sua efficacia nel termine di 45 giorni dalla sua emanazione e anche in questo caso la sua eventuale impugnazione diviene improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse).

Pertanto, non appare contrario alla normale diligenza l’aver omesso di impugnare l’atto di sospensione lavori, in quanto atto comunque destinato ad esaurire in breve tempo la propria efficacia, dal momento che le conseguenze dannose si sarebbero prodotte “definitivamente” con l’ordine di demolizione, il quale è stato ritualmente impugnato dall’appellante.

6 - Quanto alla determinazione dei danni, con l’ordinanza n. 6683 del 2020, la Sezione ha disposto una verificazione tesa ad accertare la sussistenza e l’esatta quantificazione dei danni lamentati dall’appellante nel periodo di tempo tra il 23 ottobre 2012, data del provvedimento di sospensione dei lavori, e il 24 aprile 2015, data di pubblicazione della sentenza n. 2057/2015 di questa Sezione, in relazione alle seguenti voci: a) incremento dei prezzi di costruzione intervenuto tra la sospensione e la ripresa dei lavori;
b) riduzione dei valori del mercato immobiliare tra la sospensione e la ripresa dei lavori;
c) corresponsione di interessi passivi sul mutuo nel periodo di sospensione;
d) rovina di parte dell’immobile determinatasi durante la sospensione dei lavori;
e) spese per il mantenimento del cantiere e la gestione della società.

6.1 - Con riguardo alla voce di danno sub a), il Verificatore ha ritenuto di condividere gli elementi di calcolo assunti a fondamento della perizia di parte depositata con il ricorso in appello dalla società appellante.

Al riguardo, tuttavia, deve essere accolta l’eccezione sollevata dal Comune circa l’opportunità di non considerare i danni riferiti al box esterno, che l’appellante ha confermato in sede di sopralluogo che non verrà realizzato.

Quanto agli ulteriori rilievi dedotti dal Comune, deve rilevarsi che, salvo la copertura dell’edificio, danneggiata durante il periodo di sospensione e poi ripristinata e completata, i lavori necessari al completamento della costruzione non sono ancora stati eseguiti dalla società, pertanto essa non avrebbe potuto produrre in giudizio i documenti attestanti l’ammontare dei maggior costi effettivamente sostenuti. Appare pertanto ragionevole utilizzare, al fine di stimare la differenza tra il costo preventivato in origine e quello che la società andrà a sostenere per il completamento dei lavori, i prezziari regionali pubblicati nei due momenti che comprendono il periodo di sospensione (2012 - 2015), non venendo in alcun modo in rilievo, diversamente da quanto asserito da parte appellata, una presunta modifica contrattuale o un nuovo contratto che avrebbe modificato l’importo previsto nel primo appalto: il danno lamentato da parte appellante, al contrario, attiene proprio ai maggiori costi che dovrà sostenere rispetto a quanto pattuito in sede contrattuale.

Riassumendo: decurtando l’importo stimato con riguardo al box per €1.006,56, la prima voce di danno risulta liquidabile nella misura di €8.829,03.

6.2 - Con riguardo alla voce di danno sub b) (decremento del mercato immobiliare e conseguente nocumento in sede di alienazione dell’immobile a un minor prezzo), le eccezioni di parte appellata meritano invece di trovare pieno accoglimento, dovendosi escludere che il lamentato pregiudizio trovi un antecedente causale nel provvedimento di cui è stata accertata l’illegittimità ( cfr . art. 1223 c.c.).

Dall’esame degli atti di causa non emerge infatti che, secondo la logica del “più probabile che non”, qualora non fosse stata ordinata la demolizione dell’immobile la società appellante avrebbe venduto l’edificio oggetto di causa al valore di mercato registrato nel 2012 dalle “Tabelle Osservatorio Mercato Immobiliare”. Non è infatti possibile affermare che l’immobile sarebbe stato completato e alienato nel 2012 in mancanza dell’ordine di demolizione annullato, non risultando agli atti alcuna prova atta dimostrare la sussistenza di una seria trattativa contrattuale andata perduta a causa dell’esercizio illegittimo del potere da parte dell’ente comunale.

Ciò risulta confermato dal fatto che, a distanza di quasi sette anni dal passaggio in giudicato della sentenza con cui questo Consiglio ha annullato l’ordine di demolizione, l’immobile risulta ancora di proprietà della società appellante, che non può pertanto pretendere di addossare all’ente comunale la supposta svalutazione del valore commerciale dell’immobile ultimato.

6.3 – Vale un discorso sostanzialmente analogo in merito alla voce di danno sub c), relativa alla corresponsione di interessi passivi sul mutuo nel periodo di sospensione dei lavori.

Anche rispetto a tale supposto pregiudizio non è dato individuare alcun nesso giuridicamente rilevante con l’illegittimità del provvedimento di demolizione, dal momento che l’appellante avrebbe dovuto in ogni caso corrispondere gli interessi sul mutuo, indipendentemente dall’intervenuta sospensione dei lavori.

Da un altro punto di vista, come già detto, deve escludersi la sussistenza di una certa (o probabile) prospettiva di vendita dell’immobile, il cui introito avrebbe consentito di estinguere il mutuo.

Tale conclusione assorbe gli ulteriori rilievi sollevati dal Comune a questo riguardo.

6.4 - In riferimento alla voce di danno sub d), concernente la rovina di parte dell’immobile determinatasi durante il periodo di sospensione dei lavori, non appare possibile riconoscere integralmente l’importo così come liquidato dal Verificatore nella somma di Euro 40.826.

Al riguardo, nonostante il mancato deposito di documenti che attestino l’effettivo esborso delle somme in questione al fine di rimediare alla rovina occorsa, deve ragionevolmente ritenersi che la sospensione dei lavori per circa tre anni abbia contribuito alla causazione dei danni alla copertura dell’edificio, esposto agli agenti atmosferici, sia per quanto attiene alla struttura lignea portante, sia per quanto concerne le guaine di coibentazione e di impermeabilizzazione.

Tale danno non può tuttavia essere posto integralmente a carico del Comune, trattandosi di un danno che la società appellante avrebbe potuto, almeno in parte, evitare usando l’ordinaria diligenza ed adottando gli accorgimenti tecnici del caso.

Pertanto, in applicazione dell’art. 30 c.p.a. e dell’art. 1227 c.c. il pregiudizio in esame può essere posto a carico del Comune nella sola misura pari del 50% della misura determinata dal Verificatore.

6.5 - Da ultimo, in merito alla voce di danno sub e) riferita alle spese per il mantenimento del cantiere e la gestione della società, il Verificatore ha riconosciuto la ragionevolezza degli importi pretesi per le spese dei commercialisti, cui sono normalmente deferiti gli adempimenti annuali degli obblighi societari previsti dalla vigente normativa fiscale/amministrativa, e per il mantenimento della fornitura di energia elettrica al cantiere, anche durante una forzata sospensione dei lavori.

Quanto successivamente indicato nella relazione finale della verificazione in merito alla comunicazione avuta con la Dott.ssa Paola Guerrato non vale a superare le prove documentali fornite da parte appellante circa le spese sostenute, successivamente alle quali non rilevano eventuali interruzioni dei rapporti contrattuali avutisi tra l’appellante e la Dott.ssa Guerrato.

Riassumendo: nel periodo della sospensione dei lavori, l’appellante ha sostenuto spese per un totale di Euro 4.993,50;
a tale somma deve essere aggiunto l’importo delle fatture per la fornitura di energia, per un totale di Euro 214,02.

Non può al contrario essere riconosciuta la somma di Euro 490,75 per le spese di consulenza esterna del responsabile di sicurezza, la cui fattura risale al 28.9.2013, data antecedente a quella in cui è intervenuta la sospensione dei lavori.

Alla luce di quanto detto, anche ai sensi dell’art. 1226 c.c., il danno complessivamente subito dall’appellante può essere liquidato attraverso la sommatoria delle singole voci di danno, come innanzi determinate per un totale di €34.449 (8.829 + 20.413 + 5.207).

7. Per tutte le ragioni esposte l’appello deve trovare accoglimento e il Comune di Andora deve essere condannato a risarcire il danno in favore della società appellante liquidato in Euro 34.449, somma già rivalutata alla data della presente sentenza.

7.1 - Le spese di lite del doppio grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e sono poste a carico del Comune.

A carico del Comune devono essere poste anche le spese della Verificazione che il Collegio stima congruo liquidare, tenuto conto della natura dell’attività svolta e della complessità dell’incarico, in conformità alla notula depositata dal tecnico (da cui detrarre quanto già versato a titolo di acconto).

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi