Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-08-17, n. 202105901

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2021-08-17, n. 202105901
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202105901
Data del deposito : 17 agosto 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/08/2021

N. 05901/2021REG.PROV.COLL.

N. 00910/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 910 del 2021, proposto da
COMUNE DI ASCEA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A B, Pasquale D’Angiolillo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio A B in Roma, via Taranto, n. 18;

contro

SONE S, rappresentato e difeso dall’avvocato E S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITÀ CULTURALI E DEL TURISMO, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Salerno, sezione seconda, n. 1474 del 2020;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di S S e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 luglio 2021 il Consigliere D S;

L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, e dell’art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto dalla circolare del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa 13 marzo 2020, n. 6305;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.‒ I fatti principali, utili ai fini del decidere, possono essere così sintetizzati:

- il signor Sabia Solone impugnava la deliberazione del Consiglio Comunale di Ascea n. 27 del 22 luglio 2020, con cui era stato dichiarato, ai sensi del comma 5 dell’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il prevalente interesse pubblico a mantenere e non demolire una struttura realizzata sine titulo, acquisita al patrimonio indisponibile del Comune, in quanto ritenuta non contrastante con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali, al fine di destinarla ad accogliere le attività e i servizi del museo archeologico di Elea-Velia;

- a fondamento dell’impugnativa, l’istante deduceva in sintesi che: i) il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo in quanto il prodromico atto di acquisizione al patrimonio comunale non sarebbe mai stato formalmente adottato;
ii) l’Amministrazione avrebbe sovrapposto e confuso la valutazione dei ‘prevalenti interessi pubblici’ al mantenimento delle opere abusive alla verifica dei ‘rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico’, ed inoltre, per il compendio oggetto della deliberazione consiliare gravata, sarebbe stato ancora pendente procedimento di condono edilizio;
iii) anche qualora l’amministrazione comunale avesse inteso conferire al deliberato consiliare impugnato la valenza di diniego della domanda di condono edilizio, risulterebbero violate le garanzie di partecipazione procedimentale;

- il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con sentenza n. 1474 del 2020, con sentenza in forma semplificata, accoglieva il ricorso, rilevando che:

«[…] come dedotto e documentato dal ricorrente, per il compendio, oggetto della deliberazione consiliare gravata, pende tuttora procedimento di condono edilizio, promosso dal ricorrente e riavviato, dal Comune di Ascea, con la nota, prot. 12233 dell’8.12.2019, a seguito della verifica, da parte dell’ente, del mancato adempimento delle garanzie partecipative, ex art. 10 bis l. 241/90.

Nel contesto di tale nota, il Responsabile del S. U. E. comunale determinava “di sospendere a norma e per effetti dell’art. 21 quater della legge 241/90 – al fine di non arrecare alcun pregiudizio agli interessati – l’efficacia della determina n. 24 del 26/08/2019” (di diniego dell’istanza di condono prot. n. 1904 del 27/02/1995 e contestale ordine di ripristino ex art 31 d. P. R. 380/01: nde), “fino all’adozione del provvedimento finale di cui al presente procedimento di riesame, da adottare nel termine di 60 giorni a decorrere dalla presente comunicazione”.

O, parte ricorrente ha dedotto che tale procedimento di riesame della propria istanza di condono, ad onta della fissazione, da parte del dirigente comunale, del termine di giorni sessanta, non s’è in realtà ancora concluso.

Né alcunché al riguardo è stato rilevato, in senso contrario, dall’Amministrazione Comunale di Ascea, rimasta estranea al presente giudizio.

Ne deriva che la deliberazione consiliare impugnata si presenta irrimediabilmente viziata, non potendosi evidentemente dare atto, nella medesima, che “sono state acquisite gratuitamente al patrimonio del Comune le opere abusive e le relative aree site in località Velia di Ascea”, di cui alle mentovate particelle, nella perdurante pendenza del procedimento di riesame dell’istanza di condono, proposta dal ricorrente, avviato dalla stessa Amministrazione Comunale e giammai definito, giusta quanto testé osservato.

Tale circostanza costituisce palese motivo d’illegittimità della stessa delibera di C. C., puntualmente fatto rilevare da parte ricorrente, il quale assume carattere dirimente, ed assorbente delle ulteriori doglianze, sollevate dalla medesima;
con conseguente annullamento del provvedimento impugnato
[…]».

2.‒ Avverso la predetta sentenza ha proposto appello il Comune di Ascea, sostenendo che il giudice di primo grado sarebbe stato indotto in errore dalla falsa rappresentazione dei fatti per come esposti dal ricorrente, il quale avrebbe ‘equivocato’ sulla pendenza di un procedimento di condono edilizio, il quale concernerebbe invece beni del tutto estranei alla situazione contenziosa. Il procedimento di adibizione dei fabbricati alla finalità pubblica deliberata avrebbe subito così una ingiustificata battuta di arresto, dopo avere il Ministero definito ben due accordi di valorizzazione della struttura con il Comune di Ascea, finalizzati all’implementazione del sistema museale del parco archeologico appartenente al Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO.

3.‒ Si è costituito in giudizio il signor S S, replicando che:

i) il ricorso in appello sarebbe inammissibile, in quanto la delibera con la quale il Comune di Ascea n. 27 del 2020 avrebbe proceduto all’acquisizione del compendio immobiliare sarebbe priva dei prescritti presupposti di fatto e di diritto;

ii) poiché sull’area di interesse nazionale insiste un vincolo archeologico statale, il Comune incompetente si sarebbe sostituito allo Stato, senza neppure acquisire il parere da parte dei competenti organi statali, trovando applicazione nel caso de quo il comma 6 (e non 5) dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001;

iii) l’atto di acquisizione gratuita al patrimonio comunale non risulterebbe essere mai stato adottato.

4.– Si è costituito in giudizio il Ministero Per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, sia pure con memoria di mero stile.

5.‒ All’udienza del giorno 8 luglio 2021, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

6.‒ L’appello è fondato.

6.1.– È dirimente, ai fini della decisione, ripercorrere i principali snodi procedimentali dell’attività amministrativa per cui è causa:

- con determina n. 39 del 31 dicembre 2018, l’Amministrazione rigettava l’istanza prot. n. 1907 del 27 febbraio 1994, avanzata dal signor S S per il condono edilizio, ai sensi della legge 23 dicembre 1994, n. 724, di una struttura (realizzata sine titulo in area classificata dal vigente strumento urbanistico quale ‘zona di rispetto archeologico’, nonché soggetta a vincoli paesaggistico-ambientali) costituita da due corpi di fabbrica, identificata nel catasto urbano con la particella n. 279 del foglio n. 9, ordinandone la demolizione;

- il provvedimento appena citato non veniva impugnato dall’odierno appellato, il quale neppure procedeva al ripristino dello stato dei luoghi;

- con ordinanza dell’11 luglio 2019, il Tribunale Ordinario di Vallo della Lucania rigettava l’istanza del signor S S ‘di provvedere da sé alla demolizione’, motivando che la stessa «doveva essere proposta nel termine di novanta giorni per procedere alla demolizione delle opere, fissato dalla determina 39 del 31.12.2018, decorso il quale si deve ritenere prodotto l’effetto acquisitivo, rispetto al quale non vale richiamare l’esistenza del sequestro penale, avendo l’onere l’interessato che voglia evitare l’effetto ablativo di richiedere il dissequestro al limitato fine dell’abbattimento»;

- successivamente, il responsabile del Comando di polizia municipale, con nota prot. 8966 del 4 settembre 2019, accertava la mancata demolizione dei manufatti;

- l’Amministrazione comunale, con atto prot. n. 9044 del 6 settembre 2019, notificato in data 12 settembre 2020, richiamato il citato verbale della polizia municipale, comunicava al signor S S che, ai sensi dell’art. 31, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001, avrebbe eseguito (il successivo 13 settembre 2019) l’immissione in possesso dell’immobile e delle aree pertinenti, con la definizione del relativo stato di consistenza e la redazione del verbale;

- il proprietario, con nota prot. 9580 del 24 settembre 2019, dichiarava «la propria disponibilità all’esecuzione dell’ordinanza di demolizione», contenuta nella determina n. 39 del 2018;

- in data 7 luglio 2020, la Guardia di Finanza provvedeva alla rimozione del sequestro ai sensi dell’art. 321 c.p.p., ed alla conseguente consegna dei beni al Sindaco;

- da ultimo, il Consiglio Comunale, con la deliberazione impugnata n. 27 del 22 luglio 2020, stabiliva:

« 1. DI PRENDERE ATTO che, in virtù degli atti e delle attività indicate in parte narrativa, sono state acquisite gratuitamente al patrimonio del Comune le opere abusive e le relative aree site in località Velia di Ascea, distinte attualmente in Catasto Terreni al fog. 9 p.lla 425 e in N.C.E.U. al fog. 9 parte della p.lla 279 (come da planimetria allegata al presente atto);

2. DI DICHIARARE, per tutte le ragioni espresse in premessa ed in attuazione dell’art. 31, comma 5, del d.P.R. n. 380/2001, che per le opere abusive in questione sussistono prevalenti interessi pubblici e pertanto si ritiene di non demolirle, ma di mantenerle nella disponibilità del patrimonio comunale, non contrastando con rilevanti interessi urbanistici, ambientali e di rispetto dell’assetto idrogeologico;

3. DI DEMANDARE ai Responsabili dei Settori interessati le attività e formalità dirette a provvedere al frazionamento dell’area relativa alla predetta p.lla 279, ad inserire nel redigendo PUC la realizzazione del Museo archeologico di Elea-Velia (e di locali da adibire ad attività connesse) nell’area su cui sorgono i fabbricati in questione ed ogni ulteriore attività e formalità diretta a raggiungere gli indirizzi e gli obiettivi di cui sopra;

4. DI DICHIARARE, stante l’urgenza, con successiva e separata votazione favorevole unanime e palese, la presente deliberazione immediatamente eseguibile ai sensi dell’art. 134, comma 4°, del D. Lgs. 267/2000 ».

6.2.– Su questa basi, la decisione di primo grado – nella misura in cui ha ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso, con assorbimento delle ulteriori censure, in ragione del fatto che, per il compendio oggetto della deliberazione consiliare gravata, sarebbe stato ancora pendente il procedimento di condono edilizio – si appalesa erronea per due concomitanti motivi.

7.– In primo luogo, è evidente che il ricorrente – non avendo ottemperato all’ordine demolitorio contenuto nell’ordinanza n. 39 del 2018 e avendo lasciato inoppugnati anche i restanti atti della serie procedimentale (tra cui: l’atto di contestazione dell’inadempimento all’ordine ripristinatorio, con verbale della Polizia Locale prot. n. 8966 del 2019;
nonché l’atto prot. n. 9044 del 6 settembre 2019, recante la comunicazione dell’immissione in possesso dell’immobile e delle aree pertinenti) – non vantava più alcuna relazione dominicale (oltre che di fatto) con i cespiti oggetto del provvedimento impugnato, nel frattempo acquisiti alla proprietà pubblica, con conseguente difetto di legittimazione ad agire al momento della proposizione del ricorso.

7.1.– Vale la pena rimarcare che, se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi entro novanta giorni dalla notificazione dell’ingiunzione a demolire, il bene immobile abusivo e l’area di sedime (nonché quella necessaria, secondo le prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive) sono acquisiti, di diritto e gratuitamente, al patrimonio del Comune (comma 3 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).

L’atto con cui si accerta l’inottemperanza all’ingiunzione a demolire entro il termine di novanta giorni costituisce, previa notifica all’interessato, titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari (comma 4 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).

Come precisato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 148 del 2018, il fatto che, con l’acquisizione al patrimonio comunale, il bene diventi pubblico non comporta, tuttavia, che l’opera diventi legittima sotto il profilo urbanistico-edilizio. Essa è destinata a essere «demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso» (comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).

La regola della demolizione ammette però una deroga. Il legislatore statale ha infatti consentito, in via di eccezione, ai singoli Comuni – con attribuzione della relativa competenza al consiglio comunale – di utilizzare, anziché demolire, l’opera abusiva quando ritengano l’esistenza di un interesse pubblico alla conservazione e la prevalenza di esso sul concorrente interesse, anch’esso pubblico, al ripristino della conformità del territorio alla normativa urbanistico-edilizia. L’interesse pubblico alla conservazione dell’opera, inoltre, può essere preso in considerazione – e ritenuto, eventualmente, prevalente – sempre che non sussistano le situazioni preclusive costituite dal contrasto dell’opera «con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico».

Per gli interventi abusivamente eseguiti su terreni sottoposti, in conformità a leggi statali o regionali, a vincoli di inedificabilità, l’acquisizione gratuita, nel caso di inottemperanza all’ingiunzione a demolire, «si verifica di diritto a favore delle amministrazioni cui compete la vigilanza sull’osservanza del vincolo», le quali «provvedono alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi», sempre a spese dei responsabili dell’abuso (primo e secondo periodo del comma 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).

7.2.– La giurisprudenza del Consiglio di Stato è consolidata nel ritenere che l’ingiustificata inottemperanza all’ordine di demolizione comporta l’automatica acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio disponibile del Comune. In base al comma 4 dell’art. 31, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, l’accertamento di tale inottemperanza è necessario unicamente per provvedere all’iscrizione nei registri immobiliari ed all’immissione nel possesso, per cui il relativo atto ricognitivo è normativamente configurato come un atto avente natura meramente dichiarativa, finalizzato al limitato scopo di esternare e formalizzare l’acquisto a titolo originario della proprietà in capo all’amministrazione, che si è già prodotto per il mero decorso del tempo, una volta che sia venuto a scadenza il termine previsto dalla legge e indicato nel provvedimento di demolizione ( cfr . ex plurimis , Consiglio di Stato, sez. IV, 14 aprile 2015, n. 1884).

L’effetto ablatorio in favore del Comune quindi si verifica ‘ope legis’ in forza dell’inutile scadenza del termine fissato per ottemperare all’ingiunzione. Tuttavia, tale effetto, ancorché discendente automaticamente dall’inottemperanza, non esclude la necessità che il suo verificarsi debba formare oggetto di un atto amministrativo che, sia pure avente carattere dichiarativo, rappresenta l’accertamento ricognitivo della consistenza immobiliare oggetto di trasferimento e costituisce titolo necessario per l’immissione in possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari del trasferimento dell’immobile.

Nel caso in esame, come si è già sottolineato, l’interessato non ha impugnato, né il verbale di constatazione dell’inadempienza, né l’atto di accertamento, che facendo proprio l’esito del predetto verbale, costituisce il titolo ricognitivo dell’acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio comunale delle opere edilizie abusivamente realizzate.

7.3.– In disparte l’assoluta inverosimiglianza del preteso ‘diritto a demolire la propria costruzione’, va rimarcato che tale ‘pretesa’ è stata esercitata dall’interessato allorquando i beni erano già transitati de iure nel patrimonio comunale.

8.– Deve poi aggiungersi che – anche nel merito – la statuizione di primo grado si è basata su di una affermazione del tutto destituita di fondamento: la pratica di condono edilizio, che si assumeva ancora pendente, in realtà riguardava beni estranei all’oggetto dell’atto impugnato.

Alla luce infatti di quanto documentato dal Comune appellante (le cui deduzioni sul punto non sono state oggetto di specifica contestazione di controparte), emerge che:

- la nota prot. 12233 del 3 dicembre 2019, invocata dal ricorrente, in forza della quale era stato riattivato il procedimento di condono edilizio (precedentemente conclusosi con l’atto di diniego n. 24 del 26 agosto 2019) riguardava i manufatti contrassegnati con le particelle n. 36 e n. 258 del foglio n. 9, oggetto della procedura di condono avviata con istanza prot. n. 1904 del 27 febbraio 1994;

- i corpi di fabbrica presi invece in considerazione nel provvedimento impugnato n. 27 del 2020, erano quelli identificati con le particelle n. 425 e n. 279 del foglio n. 9, oggetto della diversa istanza di condono prot. n. 1907 del 27 febbraio 1994, respinta la determina n. 39 del 31 dicembre 2018.

9.– Quanto sopra statuito in punto di difetto di legittimazione del ricorrente esime questo Collegio dallo scrutinio delle ulteriori doglianze enucleate nel ricorso di prime cure e rimaste assorbite dal giudice di primo grado, le quali peraltro neppure sono state ritualmente riproposte dall’appellato ai sensi dell’101, comma 2, c.p.a.

Per mera completezza, vale solo osservare che l’Amministrazione ha compiuto una puntuale e approfondita disamina circa la prevalenza delle ragioni d’interesse pubblico alla permanenza dei cespiti nella pubblica disponibilità e la compatibilità dei medesimi con gli interessi urbanistici e ambientali, ai sensi dell’art. 31, comma 5, del d.P.R. n. 380 del 2001.

10.– Per le ragioni che precedono, in riforma della sentenza di primo grado, il ricorso di primo grado va dichiarato inammissibile.

10.1.‒ Nei rapporti con il Comune appellante, la liquidazione delle spese di lite del (solo) secondo grado di giudizio (non essendosi l’Amministrazione comunale costituitasi in primo grado) segue la regola generale soccombenza. Le stesse spese vanno invece compensate nei rapporti con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, in considerazione del suo ruolo ancillare nel presente giudizio e del fatto che la difesa erariale si è costituita con memoria di mero stile.

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