Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-09-16, n. 201105183
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N. 05183/2011REG.PROV.COLL.
N. 07070/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7070 del 2011, proposto da:
Ministero Per i Beni e Le Attivita' Culturali, Soprintendenza Per i Beni Architettonici e Per il Paesaggio del Lazio, in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono ope legis domiciliati;
contro
P O M, rappresentato e difeso dall'avv. I G B, con domicilio eletto presso Irene Bellavia in Roma, via Costabella,23;
per la riforma, previa sospensione dell’esecutività,
della sentenza del T.A.R. del LAZIO –Sede di ROMA- SEZIONE II QUA n. 28508/2010, resa tra le parti, concernente DINIEGO REALIZZAZIONE FABBRICATO AD USO RESIDENZIALE
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di P O M;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 13 settembre 2011 il Consigliere F T e uditi per le parti l’ Avvocato dello Stato Barbieri e l’Avvocato Mastrosanti per Bellavia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dall’odierno appellato Magli Paolo Oronzo l’annullamento del provvedimento del Ministero dei Beni Culturali di annullamento del provvedimento 440 del 7 novembre 2002 con cui il Comune di Frascati aveva espresso parere favorevole ex art. 32 della legge 47/1985 ai fini del rilascio della concessione in sanatoria di un immobile di circa 171 m² realizzato abusivamente su un lotto di 2370 m².
Erano state dedotte sei censure prospettanti i vizi di eccesso di potere e di violazione di legge.
Il Tribunale amministrativo regionale adito con la sentenza impugnata ha accolto la terza censura ed ha annullato il provvedimento impugnato. L’ amministrazione originaria resistente rimasta soccombente ha proposto un sintetico appello avverso la sentenza in epigrafe chiedendone la riforma e sostenendo che il provvedimento repressivo reso nei confronti dell’appellato era assistito da puntuale motivazione e, semmai, la carenza motivazionale doveva riscontrarsi nel provvedimento autorizzatorio comunale annullato.
L’appellato ha depositato una articolata memoria chiedendo la declaratoria di inammissbilità dell’appello perché tardivo e, nel merito, evidenziando la modesta entità dell’abuso commesso e la circostanza che l’area ove insisteva la costruzione aveva subito rilevanti trasformazioni successivamente all’apposizione del vincolo paesaggistico (essa infatti era densamente urbanizzata):l a sentenza impugnata aveva correttamente colto il vizio di istruttoria e di motivazione che connotava il provvedimento repressivo impugnato e, pertanto, meritava di essere confermata.
All’ odierna adunanza camerale del 13 settembre 2011 fissata per l’esame della istanza cautelare di sospensione della esecutività dell’appellata sentenza la causa è stata posta in decisione
DIRITTO
1.Stante la completezza del contraddittorio e la mancata opposizione delle parti, rese edotte della possibilità che venisse resa sentenza, la causa può essere decisa nel merito, tenuto conto della infondatezza dell’appello.
1.1. L’appello è tempestivo e deve pertanto essere respinta l’eccezione di inammissibilità proposta dall’appellato.
La sentenza impugnata, non notificata, è stata infatti depositata il 26 luglio 2010;quindi, al momento dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo (16 settembre 2010) era in corso il termine per impugnarla: ne consegue che trova applicazione l’art. 2 dell’allegato 3 al codice del processo amministrativo e pertanto, il termine “lungo” per impugnarla era pari ad un anno.
Posto che l’appello è stato proposto (data della spedizione per la notifica) il 27 luglio 2011, e dovendosi tenere conto della sospensione feriale del termine, esso è stato presentato tempestivamente.
2. Nel merito, il Collegio evidenzia che la motivazione della decisione resa dal Tribunale amministrativo regionale si fonda sulla circostanza che “nel 2002, la zona ove è situato l’immobile in questione aveva già allora in parte, perso quelle caratteristiche ambientali tipiche che nel lontano ‘54, avevano consentito l’imposizione del vincolo, e che caratterizzavano realmente l’agro romano come insieme di grande valore naturale e paesaggistico”.
Sotto altro profilo, il primo giudice ha evidenziato che “considerando anche il fatto che, sul lotto in questione già preesisteva un magazzino agricolo, la costruzione per cui è causa, di entità tutto sommato modesta, non appariva in grado di costituire un vulnus al paesaggio tale da imporre necessariamente il suo abbattimento.”.
2.2. La sintetica censura di violazione di legge proposta dalla difesa erariale dell’ appellante amministrazione non appare persuasiva.
L’appellante reitera il contenuto del provvedimento impugnato in primo grado e si limita a ribadire che sull’area sussisteva un vincolo e che il provvedimento dell’amministrazione comunale non era motivato.
L’appello non affronta, né supera, il convincimento del primo giudice in ordine alla limitatezza dell’abuso, alla circostanza che trattavasi di area successivamente in gran parte urbanizzata, e neppure in ordine alla incidenza della circostanza che nel sito insisteva già un magazzino rurale, di guisa che il giudizio di compatibilità paesaggistica non poteva non tenere conto del fatto che non v’era stata una edificazione ex novo, ma semmai un ampliamento di un preesistente fabbricato, il che avrebbe dovuto imporre una penetrante motivazione in punto di non sanabilità del manufatto..
3.Conclusivamente, la motivazione della decisione appellata non appare scalfita dalle generiche affermazioni contenute nel ricorso in appello che merita pertanto di essere disatteso.
4. In relazione alla natura della controversia sussistono le condizioni di legge per disporre la integrale soccombenza tra le parti delle spese di giudizio sostenute.