Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-04-04, n. 201201990
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N. 01990/2012REG.PROV.COLL.
N. 00016/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 16 del 2010, proposto da:
Agenzia del Demanio Filiale Campania, Ministero dell'Interno - Utg di Napoli, rappresentati e difesi dall'Avvocatura, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
C Duca V D'Aquara, rappresentato e difeso dall'avv. S C, con domicilio eletto presso S C in Roma, via Giovanni Antonelli, 49;
nei confronti di
Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. G T, A P, con domicilio eletto presso E Associati Srl Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. CAMPANIA - NAPOLI: SEZIONE VII n. 06005/2009, resa tra le parti, concernente la nota prot. 10267/09, emessa in data 19.05.09 dall’Agenzia del Demanio – Filiale della Campania, con cui è stata comunicata l’esistenza di un decreto prefettizio del 30.04.1943 che individuava come ricovero antiaereo n. 5 la cavità tufacea sottostante immobile di proprietà dell’appellante.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di C Duca V D'Aquara e di Comune di Napoli;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 marzo 2012 il Cons. S D F e uditi per le parti gli avvocati S C, G T e Agnese Soldani (avv. St.);
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
L’attuale ricorrente in riassunzione, sig. V C, avanzò al Comune di Napoli richiesta di autorizzazione a realizzare una autorimessa sotterranea in cavità tufacea di sua proprietà sottostante il fabbricato condominiale di via Chiaia n.138 in Napoli.
L’autorizzazione fu negata con la motivazione, addotta dalla Agenzia del Demanio, della affermazione che tale cavità, nella quale doveva eseguirsi l’intervento, non fosse di proprietà del richiedente, in quanto in realtà essa era stata espropriata nell’anno 1943 dalla Prefettura di Napoli con nuova destinazione a rifugio antiaereo.
Pertanto, l’attuale ricorrente impugnò tale diniego dinanzi al Tar Campania, che lo accolse con la sentenza succintamente motivata n.6005 del 19 maggio 2009, sulla base della mancata dimostrazione dell’invocato atto di esproprio risalente all’anno 1943.
Questa Sezione, adita in appello dalla Agenzia del Demanio, con sentenza n.5172 del 2010 riformava la sentenza di primo grado e dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario.
In tale giudizio si costituivano sia il C che il Comune di Napoli, ma nessuno dei due spiegava ricorso incidentale.
Avverso la sentenza n.5172 della Sezione il C proponeva impugnazione dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Tale ultimo giudizio è stato definito con sentenza n.15976 del 21 luglio 2011, con la quale la Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e dichiarando la giurisdizione del giudice amministrativo.
Pertanto, il C ha proposto ricorso in riassunzione dinanzi al Consiglio di Stato, per consentire al giudice di secondo grado di delibare sull’appello, chiedendo che il medesimo sia respinto perché totalmente infondato con condanna alle spese.
Con l’ultima memoria depositata la parte appellata C, ricorrente in primo grado, eccepisce l’inammissibilità dell’appello dell’Agenzia del demanio, perché in alcun punto avrebbe contestato il capo di impugnazione che ha concluso per l’inesistenza del decreto di esproprio.
Alla udienza pubblica del 20 marzo 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Si può prescindere dall’esame dei rilievi preliminari di inammissibilità, in quanto l’appello è infondato.
Come ha riportato anche la sentenza della Suprema Corte, in primo grado il ricorrente aveva impugnato: 1) la nota dell’Agenzia del demanio con la quale era comunicata l’esistenza del decreto prefettizio del 1943 che individuava la cava in questione come ricovero antiaereo;2) ove esistente, il decreto di esproprio;3) l’atto del dirigente comunale che aveva negato l’autorizzazione alla realizzazione dell’autorimessa;4) la nota del Dirigente della Prefettura con cui era negata l’autorizzazione alla realizzazione della rimessa ed era comunicato che il decreto prefettizio del 1943 non era stato rinvenuto.
Il ricorrente in primo grado aveva dedotto che non poteva essergli negato il diritto a costruire sulla base della mancanza della titolarità, in quanto tale affermazione era basata su un atto del 1943 che non esisteva e che comunque non era stato rinvenuto;che tale atto non era stato mai notificato né a lui né al suo dante causa;che tale supposto atto non era stato mai trascritto nei registri immobiliari;che non era stata mai corrisposta alcuna indennità;che il proprietario aveva sempre pagato le imposte quale proprietario.
La Suprema Corte ha osservato come la causa principale verta sugli atti di diniego del permesso alla realizzazione dell’opera, restando relegata al rango di questione incidentale presupposta la vicenda della titolarità del bene, dipendente dalla avvenuta espropriazione o meno.
L’appello proposto dalla appellante amministrazione, con intervento adesivo del Comune di Napoli, è infondato.
Con il primo motivo l’appello (con giudizio riassunto dal ricorrente di prime cure, odierno appellato) lamenta l’inammissibilità del ricorso originario, perché il C avrebbe impugnato atti meramente ricognitivi del decreto prefettizio di esproprio del 1943.
L’assunto è infondato.
Infatti, come si evince anche dalla pronuncia del giudice regolatore della giurisdizione, il ricorso originario si è appuntato soprattutto sul diniego illegittimo rispetto alla istanza di rilascio del permesso di costruire, contrastato perché motivato sulla base della mancanza di titolarità del bene.
Al proposito il primo giudice ha ritenuto che il decreto prefettizio non era mai esistito e comunque che non è stata data la giusta prova, con conseguente annullamento degli atti comunali basati su quel presupposto errato (l’avvenuto esproprio).
E’ da rigettare anche il motivo di appello basato sulla asserita tardività dell’impugnativa rispetto all’ipotetico atto di esproprio.
Infatti, come già detto, il ricorso originario si è appuntato, quale controversia principale, proprio sulla illegittimità dei dinieghi comunali basati su un’avvenuta ablazione, in realtà in nulla dimostrata.
Con riguardo alla questione della dimostrazione della titolarità del bene, contestata dall’appello perché essa non sarebbe stata dimostrata dal ricorrente originario, il Collegio osserva che: il C ha prodotto denuncia di successione del bene mortis causa dal padre Lucio C d’Aquara al figlio V;ha prodotto nota della Conservatoria dei registri immobiliari dalla quale si evincono le annotazioni dei beni trasferiti a C V, tra cui anche la suddetta cavità tufacea;al punto h della seconda pagina della scheda testamentaria pubblicata si parla di terraneo nel cortile di via Chiaia 138 con annessa grotta in catasto ditta e sezione come sopra, foglio 3, particella 27, sub 7. Il ricorrente originario aveva prodotto anche scheda testamentaria di pubblicazione del testamento olografo richiesta dalla vedova di Lucio C, madre di V, da cui risultava la successione di V in tutti i beni (compresa quindi la cavità tufacea), eccettuati quelli lasciati alla moglie.
La convinzione della piena titolarità del C è dimostrata anche dal comportamento tenuto dalle varie amministrazioni.
Nei fatti, inoltre, il Comune di Napoli con nota del 16 gennaio 2004 scriveva al C per effettuare una verifica sulla sua proprietà nella cavità suddetta in via Chiaia 138;il Ministero per i beni e le attività culturali aveva autorizzato la società indicata dal C a realizzare il parcheggio auto in cavità tufacea;in data 19 maggio 2008 il Comune di Napoli comunicava a C V di voler annullare in via di autotutela il titolo abilitativo già conseguito.
In definitiva, secondo la prospettazione del C, tutte le diverse autorità competenti hanno sempre ritenuto sussistere la sua titolarità sulla cavità tufacea.
Infine, dalla esibita nota del catasto edilizio urbano datata 16 giugno 1984 si evince la indicazione della cavità per la quale è sorta la controversia, come grotta di mq.600, foglio 3 particella 27.
Il Collegio rammenta che, anche in materia di concessione di costruzione, deve essere applicato il principio secondo cui, ai fini dell'accertamento della proprietà di un'area, i dati catastali hanno valore meramente indiziario e ad essi può essere attribuito valore probatorio soltanto quando non risultino contraddetti da specifiche determinazioni negoziali delle parti o dalla complessiva valutazione del contenuto dell'atto al quale deve farsi risalire la titolarità dell'area medesima, da cui emerga l'effettiva, diversa estensione e delimitazione dell'oggetto del contratto stesso (Consiglio Stato, sez. V, 29 marzo 2004, n. 1631).
Nella specie, i dati catastali non sono smentiti e anzi sono supportati da altri indizi che confermano la titolarità in capo al C.
D’altronde, la questione della titolarità del bene in ordine al quale viene chiesto titolo abilitativo al Comune, è questione incidentale che non può farsi coincidere del tutto con l’accertamento della titolarità reale, che non compete funditus né all’adito giudice amministrativo, né alla amministrazione competente in materia edilizia.
Ai fini del rilascio del permesso di costruire l'amministrazione è onerata del solo accertamento della sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio: cioè l'astratta proprietà desunta dagli atti pubblici prodotti ed in via residuale dalle risultanze catastali.
Nel procedimento di rilascio dei titoli edilizi, l'amministrazione ha il potere e il dovere di verificare l'esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull'immobile interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, costituendo tale verifica un'attività istruttoria che non è diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario degli immobili interessati, ma che risulta finalizzata, più semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente.
Considerato che l'art. 11 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 dispone che il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, la pubblica Amministrazione ha il diritto-dovere di verificare il presupposto della disponibilità giuridica del bene immobile interessato dall'attività edificatoria, particolarmente in presenza di contestazioni al riguardo.
Il Comune ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente la concessione edilizia e ora il permesso di costruire, accertando che sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria (tra tante, Consiglio Stato, V, 12 maggio 2003, n.2506).
Al di là di tale onere di accertamento, non incombe, però, alla p.a. l’onere di effettuare complesse indagini e ricognizioni giuridico-documentali sul titolo di proprietà depositato dal richiedente.
Sussiste il potere-dovere del Comune teso alla verifica della esistenza in capo all’istante delle condizioni giuridiche soggettive necessarie all’ottenimento del titolo, affinché la concessione sia assentita soltanto a chi abbia titolo a pretenderla.
La Sezione osserva altresì che, nella specie, l’invocato atto di esproprio si è rivelato del tutto insussistente, né è stato evidenziato alcun atto o fatto tale da dimostrare un minimo di principio di prova in ordine alla sua passata esistenza, sicché non si rende necessario affrontare la problematica relativa alla esigenza o meno della sua trascrizione e agli eventuali effetti della disposta pubblicità (per esempio, si cita: fra gli atti non soggetti a trascrizione non può legittimamente ricomprendersi il decreto di espropriazione di bene immobile secondo Cassazione civile , sez. III, 04 agosto 2000 , n. 10229).
In definitiva, va confermata la sentenza del giudice di primo grado laddove ha stigmatizzato quale atto illegittimo e erroneamente motivato il diniego del permesso di costruire, basato erroneamente sulla mancanza della titolarità dell’immobile (perché sarebbe stato espropriato con atto del 1943), in assenza di ogni minimo principio di prova in ordine a tale asserita e non dimostrata espropriazione e in presenza, al contrario, di fatti e circostanze non solo indiziari, ma di consistenza probatoria, tali da dimostrare, ai suddetti fini, l’esistenza del requisito della titolarità della cavità tufacea sita in via Chiaia 138 in capo al C.
Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza appellata.
La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue in parte la soccombenza nei confronti della Agenzia appellante;le spese sono liquidate in dispositivo. Compensa per il resto.