Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 2014-06-30, n. 201403274
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N. 03274/2014REG.PROV.COLL.
N. 01016/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1016 del 2011, proposto dal Fallimento della Società Marconi di G Giancarlo &C. S.a.s., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv. M M e B C D T, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via di Porta Pinciana, n. 6;
contro
Comune di Pavia di Udine, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. R P, con domicilio eletto presso il medesimo in Roma, via Luigi Canina, n. 6;
nei confronti di
De La Ines e M Oreste, rappresentati e difesi dagli avv. Francesco Pittino e Guido Rossi, con domicilio eletto presso il secondo in Roma, via Pompeo Magno, n. 23/A;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. FRIULI-VENEZIA-GIULIA, SEZIONE I, n. 359/2010, resa tra le parti, concernente rimozione smaltimento rifiuti plastici.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Pavia di Udine e dei signori Ines De La e O M;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2014 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati M M, R P e Guido Rossi;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Provincia di Udine con nota del 4 luglio 2008 comunicò al Comune di Pavia di Udine che presso l’area, con annesso capannone industriale, sita in Via Palmanova della frazione di Lauzzacco, concessa in locazione dai signori Ines De La e O M alla società Marconi di G G. &C. s.a.s., era stato depositato in modo incontrollato un rilevante volume di rifiuti, non protetti da copertura e tenuti in loco senza che fosse stato realizzato alcun sistema di captazione e trattamento delle acque meteoriche di dilavamento. La Provincia invitò quindi il Sindaco di Pavia di Udine agli adempimenti di competenza ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, ai fini dello smaltimento di tali rifiuti tramite ditte autorizzate e per il ripristino dello stato dei luoghi.
In ottemperanza all’invito il Sindaco emise in data 14 agosto 2008 l’ordinanza n. 33/2008 per la rimozione, l’avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti ed il ripristino dello stato dei luoghi: più specificamente, “ al fine di rimuovere la situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente ” veniva ordinato al sig. G G, quale socio accomandatario e legale rappresentante della s.a.s. Marconi di G G. &C. (di seguito, la MARCONI), nonché ai signori Ines De La e O M, nella loro qualità di comproprietari pro indiviso dell’area in locazione alla società, di rimuovere e smaltire i rifiuti in siti idonei nel termine perentorio di 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza (effettuata il 18 agosto 2008).
Successivamente la MARCONI, con fax trasmesso al Comune il 15 novembre 2008, in relazione a talune difficoltà a procedere alle operazioni prescrittele presentò una richiesta di proroga del termine assegnato dall’ordinanza. La scadenza prescritta venne perciò prorogata con la successiva ordinanza sindacale n. 63 del 10 dicembre 2008 di 60 giorni, vale a dire fino al 15 gennaio 2009.
Le due ordinanze nn. 33 e 63/2008 non furono impugnate.
In data 19 dicembre 2008 pervenne però al Comune una comunicazione a firma del dott. A B segnalante che la società ed il suo socio accomandatario erano stati dichiarati falliti con sentenza emessa dal Tribunale di Udine due giorni prima, provvedimento che lo aveva nominato curatore.
Il successivo 10 marzo 2009 il legale dei proprietari dell’immobile informò il Comune che i suoi clienti, essendo ancora in corso il contratto di locazione con la curatela, non avevano la disponibilità materiale dell’area e perciò la possibilità di intervenire per ottemperare all’impartito ordine di rimozione, asporto e ripristino, e che, di conseguenza, essi avevano invitato il curatore del fallimento a dare esecuzione all’ordinanza sindacale.
Lo stesso Comune, poiché nella richiesta di proroga dell’ordinanza sindacale n. 33/2008 il G aveva segnalato che avrebbe incaricato dello smaltimento la ditta Bruneco s.r.l. di Marghera, richiese a quest’ultima di quantificare il costo di tale operazione, onere che, in presenza di un quantitativo di rifiuti stimato in circa 4.000 tonnellate, venne preventivato in circa € 600.000.
Nella notte tra il 5 e il 6 ottobre 2009 presso l’immobile occupato dai rifiuti divampò indi uno spaventoso incendio, con la fuoriuscita di fumi maleodoranti per parecchie ore: i relativi sopralluoghi consentirono di rilevare che presso l’area ed il capannone rimanevano ancora abbandonati considerevoli quantitativi di rifiuti, in particolare rifiuti in plastica provenienti da raccolta differenziata. Da qui il permanere di una situazione di potenziale pericolo per l’incolumità stessa della cittadinanza.
Ne seguiva la nota prot. n. 16221 in data 14 ottobre 2009 del Comune, che richiedeva al curatore, quale avente causa nel contratto di locazione della fallita MARCONI e soggetto avente la disponibilità dell’immobile, di dare corso alle attività a suo tempo prescritte dalle riferite ordinanze.
Il Fallimento della MARCONI proponeva a quel punto ricorso al locale T.A.R. avverso quest’ultima nota, nonché contro le ordinanze da essa richiamate.
A sostegno dell’impugnativa veniva dedotto un unico mezzo, variamente articolato, denunciandosi il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 192 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
In sostanza, si contestava sotto diversi profili la titolarità in capo all’organo fallimentare dell’obbligo di adempiere le prescrizioni richiamate dalla nota sindacale, opponendo che il Fallimento era estraneo all’illecito ambientale e che comunque esso sarebbe stato privo di poteri gestori eccedenti la liquidazione della società ed il soddisfacimento della massa dei creditori (la quale non avrebbe potuto essere sottoposta al depauperamento discendente dagli ingenti costi implicati dalla misura ripristinatoria).
Secondo la ricorrente, in definitiva, l’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 addosserebbe gli obblighi in questione al responsabile dell’illecito e, solidalmente, al proprietario dell’area (o titolare di altro diritto di godimento) cui la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, ma i detti obblighi non avrebbero potuto essere estesi ad essa Curatela.
Si costituivano in giudizio in resistenza al ricorso il Comune di Pavia di Udine nonché, nella dedotta veste di controinteressati, i sigg. De La e M, comproprietari dell’area in locazione, chiedendo il rigetto del gravame.
All’esito il Tribunale adìto, con la sentenza n. 359/2010 in epigrafe, dichiarava il ricorso inammissibile, osservando:
- che la nota sindacale del 14 ottobre 2009 indirizzata al curatore fallimentare rivestiva la natura di un semplice invito o mera comunicazione illustrativa ed era quindi sprovvista di contenuto provvedimentale;
- che le due ordinanze sindacali nn. 33 e 63 del 2008, pur lesive degli interessi della MARCONI, erano rimaste inoppugnate a tempo debito;
- che, ad ogni modo, la ricorrente non aveva dedotto specifici motivi di censura – anche a prescindere dalla tardività della relativa impugnazione – nei confronti delle ordinanze suddette.
A titolo di completezza, infine, il Tribunale osservava comunque che il ricorso risultava, oltre che inammissibile, anche infondato nel merito, per la ragione che il curatore era subentrato all’impresa fallita nel rapporto di locazione dell’immobile interessato, prendendolo in consegna, e doveva pertanto ritenersi subentrato anche nell’obbligo di dare esecuzione alle ordinanze indicate.
Avverso tale sentenza la parte soccombente spiegava quindi il presente appello, riproponendo le proprie domande e doglianze e sottoponendo a critica gli argomenti posti a base della pronuncia impugnata.
Resistevano all’appello l’Amministrazione comunale ed i comproprietari dell’area, deducendone con le loro rispettive memorie l’infondatezza.
L’appellante, dal canto suo, insisteva nelle proprie doglianze e deduzioni con una successiva memoria.
Ciascuna delle parti costituite presentava, infine, uno scritto di replica, sviluppando ulteriormente i propri argomenti e controdeducendo alle tesi avversarie.
Alla pubblica udienza del 13 maggio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.
L’appello è fondato.
1 La Sezione deve esaminare preliminarmente il primo mezzo d’appello, con il quale è stata sottoposta a critica la declaratoria di inammissibilità emessa dal T.A.R. sul ricorso di prime cure sul presupposto che questo investisse un atto privo di natura provvedimentale.
In proposito va osservato che la nota del 14 ottobre 2009 diretta dal Comune al Fallimento, se nella parte richiamante le pregresse ordinanze nn. 33/2008 e n. 63/2008 rivestiva valenza di atto meramente confermativo, aveva invece una portata autonoma dove, innovando sul versante della relativa legittimazione passiva, richiedeva l’adempimento degli obblighi scaturiti dalle stesse ordinanze ad un soggetto diverso (il Fallimento) dal loro destinatario (la MARCONI), sul presupposto che il primo fosse succeduto al secondo.
Va altresì rilevato che la nota sotto questo nuovo profilo non si risolveva in un mero invito, ma rivestiva nei riguardi del Fallimento una natura prescrittiva.
Basti dire che il suo testo: si apriva con il richiamo alla vincolatività delle prescrizioni imposte dalle pregresse ordinanze, e con la sottolineatura che le medesime erano rimaste inadempiute;rimarcava l’urgenza del provvedere alla relativa esecuzione;enunciava il principio che il curatore fallimentare, per la posizione rivestita, doveva ritenersi “ tenuto a dare ottemperanza all’ordinanza di rimozione e smaltimento ”;ed infine, tutto ciò posto, si concludeva con la “ richiesta ” al curatore, “ a tutti gli effetti, … di dare al più presto corso alle attività … prescritte ”.
Alla detta nota, che non configurava quindi un mero “invito”, vanno riconosciute natura provvedimentale e carica lesiva nella parte in cui l’atto si indirizzava ad un soggetto nuovo considerandolo quale successore negli obblighi imposti dalle precedenti ordinanze, delle quali richiedeva a tutti gli effetti l’adempimento.
Da ciò l’impugnabilità della nota sotto lo stesso profilo.
2 Venendo al merito delle critiche mosse dal Fallimento, va anticipato che questo a ragione ha escluso di essere tenuto all’adempimento delle pregresse ordinanze nn. 33/2008 e 63/2008 emesse a carico della società MARCONI.
2a La Sezione, dato subito atto che è pacifico che il Fallimento non sia stato autorizzato, nella specie, alla prosecuzione dell’attività della società fallita, sul thema decidendum non può non richiamarsi al proprio precedente, motivato pronunciamento di cui alla decisione n. 4328 del 29 luglio 2003.
“ 12 La questione da esaminare … consiste nello stabilire se la curatela fallimentare possa essere destinataria di ordinanze sindacali dirette alla bonifica di siti inquinati, per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell'impresa fallita.
13 Al riguardo, il comune sostiene che la responsabilità del fallimento deriva dalla inottemperanza ai precedenti provvedimenti adottati nei confronti della società (…).
14 Inoltre, l'amministrazione espone che le "migliaia di tonnellate dei pneumatici inquinanti", oggetto dell'ordinanza impugnata, sono uscite dalla disponibilità della società fallita, entrando a far parte della massa fallimentare, gestita ed amministrata dal curatore.
15 In tal senso, secondo l'appellante, si pone un orientamento giurisprudenziale, in forza del quale l'adempimento dell'obbligo di smaltimento dei rifiuti grava sulla curatela fallimentare (TAR Toscana, Prima Sezione, 3 marzo 1993, n. 196;Tar Toscana, Seconda Sezione, 28 aprile 2000, n. 780), poiché la disponibilità dei beni, anche di quelli classificati come rifiuti nocivi, entra giuridicamente nella titolarità del curatore e conseguentemente con essa anche il dovere di rimuoverli in applicazione delle leggi vigenti.
16 In termini più generali, il comune sostiene che il fallimento subentra negli obblighi facenti capo all'impresa fallita e, quindi, è tenuto all'adempimento dei doveri derivanti dall'accertata responsabilità della stessa impresa.
17 A tal fine, il comune appellante richiama, fra l'altro, le disposizioni della legge fallimentare riguardanti la prosecuzione dei contratti facenti capo all'impresa fallita.
18 Nessuno degli argomenti proposti è persuasivo.
19 In primo luogo, proprio l'amministrazione comunale evidenzia che l'ordinanza sindacale è rivolta al fallimento in conseguenza dell'inottemperanza dell'impresa ad un precedente provvedimento. In tal modo, si evidenzia l'estraneità della curatela fallimentare alla determinazione degli inconvenienti sanitari riscontrati nell'area.
20 In questo senso, si pone, del resto, anche una parte della giurisprudenza amministrativa di primo grado (TAR Toscana, Sezione Terza, 1 agosto 2001, n. 1318), la quale evidenzia l'assenza di una corresponsabilità del fallimento, anche meramente omissiva, in relazione alle condotte poste in essere dall'impresa fallita.
21 In secondo luogo, il riferimento alla disponibilità giuridica degli oggetti, qualificati dal comune come rifiuti inquinanti, non è sufficiente per imporre l'adempimento di un obbligo gravante sull'impresa fallita.
Il potere di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti.
22 In terzo luogo, poi, proprio il richiamo alla disciplina del fallimento e della successione nei contratti evidenzia che la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito.
Non assume alcun rilievo la disposizione contenuta nell'art. 1576 del codice civile, poiché l'obbligo di mantenimento della cosa in buono stato locativo riguarda i rapporti tra conduttore e locatore e non si riverbera, direttamente, sui doveri fissati da disposizioni dirette ad altro scopo.
23 Si deve aggiungere, poi, che il fallimento non è stato autorizzato a proseguire l'attività precedentemente svolta dall'impresa fallita. Pertanto, l'obbligo di bonifica del sito non potrebbe essere nemmeno collegato allo svolgimento di operazioni potenzialmente inquinanti.
24 In definitiva, quindi, l'appello deve essere rigettato ” (C.d.S., Sez. V, n. 4328/2003 cit.).
La Sezione ha ribadito questa chiara impostazione con la successiva decisione n. 3885 del 16 giugno 2009.
La nuova pronuncia, nel convalidare, sulla scia del riferito precedente giurisprudenziale, l’atto dell’Amministrazione che in un caso simile aveva escluso la legittimazione passiva del curatore, ha puntualizzato che la soluzione opposta “ determinerebbe un sovvertimento del principio “ chi inquina paga" scaricando i costi sui creditori che non presentano alcun collegamento con l'inquinamento ”.
2b Né l’impostazione così ribadita potrebbe essere ribaltata in ragione del disposto dell’art. 192, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006.
Questo recita: “ Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni .”
Ai fini di un’eventuale applicazione della norma appena trascritta si pone la questione di stabilire se il Fallimento della MARCONI possa essere considerato alla stregua di un soggetto “ subentrato nei diritti ” della società fallita.
Orbene, il Fallimento non può essere reputato un “ subentrante ”, ossia un successore, dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare.
La società dichiarata fallita, invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio: solo, ne perde la facoltà di disposizione, pur sotto pena di inefficacia solo relativa dei suoi atti, subendo la caratteristica vicenda dello spossessamento (art. 42 R.D. n. 267/1942 : “ La sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento ”;art. 44: “ Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori ”).
Correlativamente, il Fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus publicum rivestito dagli organi della procedura (art. 31 R.D. n. 267/1942: “ Il curatore ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell'ambito delle funzioni ad esso attribuite ”).
Il curatore del fallimento, pertanto, pur potendo sottentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito (cfr. l’art. 72 R.D. n. 267/1942), in via generale “ non è rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell'amministrazione del suo patrimonio per l'esercizio di poteri conferitigli dalla legge ” (Cassazione civile, sez. I, 23/06/1980, n. 3926).
Più ampiamente, la Suprema Corte (sez. I, 14 settembre 1991, n. 9605) ha difatti osservato quanto segue:
“ Il fatto che alla curatela sia affidata l'amministrazione del patrimonio del fallito, per fini conservativi predisposti alla liquidazione dell'attivo ed alla soddisfazione paritetica dei creditori, non comporta affatto che sul curatore incomba l'adempimento di obblighi facenti carico originariamente all'imprenditore, ancorché relativi a rapporti tuttavia pendenti all'inizio della procedura concorsuale. Al curatore competono gli adempimenti che la legge (sia esso il R.D. 16-3-1942 n.. 267, siano esse leggi speciali) gli attribuisce e tra essi non è ravvisabile alcun obbligo generale di subentro nelle situazioni giuridiche passive di cui era onerato il fallito. … Poiché in linea generale, come ricordato, il curatore, nell'espletamento della pubblica funzione, non si pone come successore o sostituto necessario del fallito, su di lui non incombono né gli obblighi dal fallito inadempiuti volontariamente o per colpa, né quelli che lo stesso non sia stato in grado di adempiere a causa dell'inizio della procedura concorsuale, ancorché la scadenza di adempimento avvenga in periodo temporale in cui lo stesso curatore possa qualificarsi come datore di lavoro nei confronti degli stessi dipendenti, o di alcuni di essi .”.
Per quanto esposto, dunque, nei confronti del Fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto dall’art. 194, comma 4, d.lgs. cit., della legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino che l’articolo stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del proprietario versante in dolo o colpa.
2c La Sezione deve conseguentemente concludere che gli obblighi imposti dalle pregresse ordinanze sindacali nn. 33/2008 e n. 63/2008 non possono essere riversati sul Fallimento della MARCONI (risultando privo di specifica rilevanza il punto – peraltro controverso tra le parti - del subentro del Fallimento nel rapporto locatizio instaurato dalla società).
Non compete alla Sezione pronunciarsi, invece, sulla posizione dei comproprietari dell’immobile, in quanto estranea alla controversia;e per la stessa ragione non mette conto occuparsi nemmeno dei modi in cui l’Amministrazione, una volta eventualmente operata l’esecuzione in danno prevista dal comma 3 dell’art. 192 cit., possa recuperare a carico della società fallita le somme così anticipate (il tema esula addirittura dai confini della giurisdizione amministrativa).
3 In definitiva l’appello va accolto, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado e annullata la nota n. 16221 del 14 ottobre 2009 con esso impugnata.
Si ravvisano, tuttavia, ragioni sufficienti a giustificare la compensazione tra le parti delle spese processuali del doppio grado di giudizio.