Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-07-25, n. 202206551
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Pubblicato il 25/07/2022
N. 06551/2022REG.PROV.COLL.
N. 06110/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6110 del 2016, proposto da Ministero per i Beni e Le Attivita' Culturali, Soprintendenza per Beni Archeologici Paesistici, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
R B, rappresentato e difeso dall'avvocato Nicolo' De Marco, con domicilio eletto presso lo studio Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro n.1/A;
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Prima) n. 00066/2016, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di R B;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza smaltimento del giorno 30 maggio 2022 il Cons. S Z e udito l’avvocato De Marco Nicolò, in collegamento da remoto attraverso videoconferenza mediante utilizzo della piattaforma “Microsoft Teams”.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
A sostegno del gravame l’appellante ricostruisce i fatti riprendendoli dalla sentenza impugnata.
La quale a sua volta osserva quanto segue.
La parte appellata è proprietaria di locali a piano terra di un immobile in Fasano con accesso dalla Via Mogavero, nei quali conduce un esercizio di Bar-Pasticceria ed annesso laboratorio.
L'immobile in questione (noto come Palazzo Albano), sito nel centro storico del Comune di Fasano, con Decreto del Ministro dei Beni Culturali e Ambientali del 3 novembre 1989 è stato dichiarato di notevole interesse ai sensi della Legge 1.6.1939 n.1089.
Con istanza dell’ 8 settembre 1997, onde adeguarsi alle norme di prevenzione sicurezza ed antincendio, pena la chiusura dell'attività, chiedeva al Comune di Fasano l'autorizzazione ad aprire una porta di accesso esterna, delle dimensioni di mt. 2,00 di altezza e mt. 1,00 di larghezza del tutto uguale ad altra esistente sulla stessa facciata interna del Palazzo.
Non essendole pervenuta risposta, realizzava l’intervento, chiedendone successivamente la sanatoria.
Il 28 febbraio 2007, il Comune di Fasano si esprimeva sulla domanda in sanatoria del 7 dicembre 2006, dichiarandosi incompetente per qualsiasi valutazione in assenza del parere della Soprintendenza, e chiarendo altresì che, per effetto della modifica intervenuta con l'art.2 del D.Lgs. 156/2006, decorsi i 30 gg. dalla diffida, si maturava un silenzio-rifiuto, impugnabile dinanzi al Tar, e non più un silenzio assenso.
Con nota prot. n.13889 del 21 dicembre 2007, la Soprintendenza, avviando il procedimento sanzionatorio ex art. 160 comma 1 D. lgs. 22.01.2004 n.42, esprimeva parere negativo sulla istanza di sanatoria, rinviando in toto alla precedente nota n.702 dell'8 gennaio 2007 con la quale, secondo il Soprintendente, l'Amministrazione aveva riscontrato in senso negativo le richieste di sanatoria, ordinando "il ripristino delle condizioni quo ante entro 15 gg. dal ricevimento della presente riferita ai portoni d'accesso dalla Via Mogavero e Via Pepe ed ad ottemperare all'ordinanza comunale n.140 del 31.10.2006 che si condivide".
Il Soprintendente nell’occasione chiariva che le opere della ricorrente consistevano nella demolizione a piano terra di portoni sulla Via Mogavero e Via Pepe, di cui si chiedeva il ripristino, e che dette opere erano dannose ad arbitrarie in quanto avevano alterato il corretto ed originario rapporto dimensionale dell'apertura e la tipologia originaria dell'immobile.
Con ricorso al Tar Puglia Sede di Lecce l’appellata impugnava tutti questi atti della Soprintendenza, ivi compresa, con motivi aggiunti, la nota n.702 dell'8 gennaio 2007, facendo rilevare l'evidente travisamento dei fatti, non avendo mai demolito alcun portone.
La sentenza appellata accoglieva il ricorso, rilevando che la Soprintendenza, "con tutta evidenza ha affrontato non l'abuso commesso dalla B, ma gli abusi molto più consistenti commessi dalla sig.ra R M (proprietaria dei piani superiori) e consistenti nella radicale modificazione mediante eliminazione dei "rosoni" in pietra preesistenti dei portoni esistenti sulle vie Mogavero e Pepe...” In altre parole la nota 18 gennaio 2007 n. 702 era stata emessa sulla base di una errata percezione della realtà ed era annullata, a ciò conseguiva l’annullamento anche delle successive note 13 dicembre 2007 n.13523 e della nota 21 dicembre 2007 n.13889 che si richiamava al precedente.
Avverso la sentenza sono sollevati i seguenti motivi di appello da parte del Ministero: eccesso di potere per travisamento ed errore di fatto, difetto di istruttoria e perplessità ed illogicità della motivazione, disparità di trattamento e sviamento.
Si costituiva in giudizio Bulgaro Rosalba, contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto dell’appello.
DIRITTO
Il provvedimento di ripristino originariamente impugnato si fondava sulla constatazione che la nuova porta di accesso, la cui realizzazione era necessaria per adeguare l’edificio alla normativa antincendio, si sarebbe innestata negativamente sul prospetto del fabbricato insistente su via Mogavero, perché realizzato in prossimità del portoncino principale alterandone l’originaria lettura, ossia la forma armonica.
Un primo motivo di perplessità emerge dalla circostanza che il vincolo della cui protezione si tratta riguardava in particolare l’eleganza della facciata tardo settecentesca prospiciente il Corso Garibaldi, mentre al momento della sua apposizione, i prospetti di via Pepe e via Mogavero, risultavano già rimaneggiati.
Dunque pare acclarato che detto portoncino – che pure rappresenta l’oggetto della tutela e la ragione principale del diniego di sanatoria opposto – avesse subito precedenti abusi commessi da altro soggetto che lo avevano irrimediabilmente modificato. Le stesse intimazioni e diffide, oltre che gli ordini di ripristino, che pure sono citati nell’atto impugnato, vennero rivolti a soggetto diverso dalla parte appellata (tal R M).
Oltre che nell’atto appositivo del vincolo, e nei documenti da ultimo citati, tale circostanza trova un ulteriore riscontro nella documentazione fotografica depositata nel giudizio di primo grado dalla appellata, dalla quale si evidenzia, con riferimento alla facciata principale di via Mogavero, la presenza, a pochi centimetri di distanza tra loro, sia del portone d’ingresso a Palazzo Albano preesistente, modificato, che il nuovo ingresso realizzato ex novo ed oggetto della presente controversia.
Del resto, si osserva ancora, da un lato che lo stesso giudice di prime cure, con altra sentenza (la n.1819/08) aveva riscontrato la presenza di abusi commessi sul palazzo, tra questi in particolare proprio la “radicale modificazione (mediante eliminazione dei rosoni in pietra preesistenti) dei portoni d’accesso esistenti sulle vie Mogavero e Pepe, dall’altro, che l’appellata ha più volte sollecitato la Soprintendenza ad esprimersi sulla sua originaria domanda di autorizzazione in sanatoria, con ciò confermando la natura modesta di esso e la sua buona fede.
Così stando le cose è evidente il vizio motivazionale, consistente nel travisamento dei presupposti, in cui è incorso il provvedimento originariamente impugnato e si tratta di vizio che ha, per così dire, una duplice articolazione.
Da un lato, rappresentando che il diniego serve a tutelare il prospetto originale della facciata, l’atto trascura di valutare che detto prospetto ha già subito un significativo (ed abusivo) mutamento, il che, in un certo senso, fa venir meno il presupposto e la ratio stessa dell’intervento di tutela o, a tutto voler concedere, avrebbe dovuto indurlo a diversamente conformarlo.
Diversa conformazione che, è bene aggiungerlo, non può essere apportata al provvedimento impugnato in questa sede, come pure la memoria di replica dell’amministrazione tende a fare, adducendo per la prima volta la circostanza che trattandosi di bene vincolato, in ogni caso avrebbe dovuto essere rispettata la previsione dell’art.37 del T.U. edilizia, con tendenziale non accoglibilità di qualsivoglia intervento di trasformazione del bene, a prescindere – par di capire –da precedenti interventi abusivi su di esso.
In secondo luogo, il vizio di travisamento – è la sua seconda traiettoria erronea ‒ si concretizza nella constatazione che, non essendo detti abusi imputabili alla richiedente, come invece l’atto sembra presupporre, indicandoli a fondamento del diniego, finisce per far gravare inammissibilmente su costei interventi illeciti commessi da terze persone, che nessun rapporto giuridico e/o personale avevano con la richiedente.
In quest’ultimo manca, in definitiva, un’analisi compiuta dell’opera effettivamente realizzata dall’appellata, e la conseguente valutazione in ordine alla sua compatibilità con la ratio di tutela del vincolo.
Conclusivamente l’appello va rigettato. Il rigetto esonera dal valutare l’appello incidentale introdotto dalla parte appellata.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.