Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-05-03, n. 201601693

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 2016-05-03, n. 201601693
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201601693
Data del deposito : 3 maggio 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03655/2012 REG.RIC.

N. 01693/2016REG.PROV.COLL.

N. 03655/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3655 del 2012, proposto dal Ministero dell'Interno e dalla Prefettura di Reggio Calabria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Il signor R M, non costituitosi nel secondo grado del giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Calabria, Sezione staccata di Reggio Calabria, n. 976/2011, resa tra le parti, concernente un divieto di detenzione di armi e munizioni;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 aprile 2016 il pres. Luigi Maruotti e udito per le Amministrazioni appellanti l'avvocato dello Stato Marco La Greca;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con l’atto notificato il 30 novembre 2011, il Prefetto di Reggio Calabria ha disposto nei confronti dell’appellato sig. Re. Mac. il divieto di detenzione di armi e munizioni, ai sensi dell’art. 39 del testo unico approvato con il regio decreto n. 773 del 1931.

A fondamento dell’atto, il Prefetto ha rilevato che:

- nel Comune di Cinquefrondi risiede il figlio dell’appellato (sig. Fr. Macr.), il quale è stato condannato per il delitto previsto dall’art. 73 del testo unico approvato con d.P.R. n. 309 del 1990 ed è stato denunciato più volte in sede penale;

- l’appellato, al quale è stato a suo tempo rilasciata la licenza per portare armi e munizioni, lavora come carpentiere in un Comune della provincia di Aosta e, più volte, quando è tornato nella sua città d’origine di Cinquefrondi, ha portato con sé le armi legittimamente detenute (in particolare, un fucile da caccia);

- vi è il concreto rischio che il figlio dell’appellato possa entrare in possesso delle armi del padre.

2. Col ricorso di primo grado n. 714 del 2011 (proposto al TAR per la Calabria, Sezione di Reggio Calabria), l’interessato ha impugnato il provvedimento del Prefetto, lamentandone l’illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere.

3. Il TAR, con la sentenza n. 976 del 2011, ha accolto il ricorso, ha annullato l’atto impugnato ed ha condannato l’Amministrazione al pagamento delle spese del giudizio, ritenendo inadeguata la motivazione sulla pericolosità sociale dell’appellato.

3. Con l’appello in esame, il Ministero dell’Interno ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia respinto.

L’Amministrazione appellante ha ricostruito i fatti emersi in sede amministrativa, ha richiamato i consolidati principi affermati dalla giurisprudenza in ordine all’ambito di applicazione degli articoli 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931 ed ha dedotto che la Prefettura di Reggio Calabria ha ragionevolmente ritenuto come i fatti riscontrati siano da considerare tali da giustificare una valutazione di mancato affidamento di non abusare delle armi.

4. Ritiene la Sezione che l’appello sia fondato e vada accolto.

4.1. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto degli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931.

L’art. 11 dispone che « Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:

1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;

2) a chi è sottoposto all'ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.

Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.

Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione ».

L’art. 39 dispone che « Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne ».

L’art. 43 dispone che « oltre a quanto è stabilito dall'art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:

a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;

b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all'autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico;

c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.

La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi ».

Da tale quadro normativo, come rilevato da questa Sezione con la sentenza 7 marzo 2016, n. 922, emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati (ai sensi dell’art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell’art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro) e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali (ai sensi dell’art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell’art. 39 e 43, secondo comma).

In relazione all’esercizio dei relativi poteri discrezionali, l’art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità «di abusarne», mentre l’art. 43 consente alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi - di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche – in alternativa - l’assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia (non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato: Cons. Stato, Sez. III, 1° agosto 2014, n. 4121;
Sez. III, 12 giugno 2014, n. 2987).

4.2. Nella specie, ritiene la Sezione che, come ha dedotto l’atto di appello, il provvedimento impugnato in primo grado non sia affetto dal vizio rilevato dal TAR.

Il Prefetto ha emesso il proprio provvedimento, in applicazione dell’art. 39 del testo unico, sulla base delle risultanze di una relazione dei Carabinieri di data 16 giugno 2011, i quali hanno riferito che l’appellato - quando torna nella propria città di origine di Cinquefrondi – porta con sé le armi legittimamente detenute.

Nella stessa città vive il figlio dell’appellato, il quale ha riportato una condanna per violazione dell’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, è stato denunciato per altri reati ed è stato destinatario di un provvedimento di prevenzione, con obbligo di dimora nel Comune di residenza.

Al riguardo, osserva la Sezione che l’Autorità di polizia può ragionevolmente disporre il divieto di detenere armi, ovvero la revoca di una licenza, quando il suo titolare sia un congiunto di un destinatario di un provvedimento di prevenzione (oppure di un appartenente alla criminalità organizzata) e abbia consueti rapporti con questi, ovvero ne sia anche saltuariamente convivente: si può senz’altro ritenere sussistente un pericolo di abuso, quando il titolare di una licenza custodisca un’arma nella stessa abitazione di un destinatario di un provvedimento di prevenzione (oppure di un appartenente alla criminalità organizzata), non solo perché è concretamente ipotizzabile che vi sia la possibilità di utilizzare l’arma senza il consenso del titolare, ma anche perché il legame familiare e la convivenza comportano reciproci condizionamenti o tolleranze.

Non occorre al riguardo uno specifico giudizio di pericolosità sociale del destinatario del provvedimento, poiché ciò che conta – in tali circostanze – è il pericolo in sé che vi siano occasioni per l’utilizzo indebito dell’arma.

Peraltro, dalla documentazione acquisita nel corso del procedimento risulta che l’appellato più volte, quando si è recato a Cinquefrondi, ha frequentato pregiudicati anche per gravi reati (di omicidio, rapina, estorsioni, furto, associazione a delinquere di stampo mafioso), il che – pur volendo considerare che si trattava per lo più di parenti – manifesta viepiù la ragionevolezza della valutazione del Prefetto, sul rischio che vi siano abusi di uso dell’arma che l’appellato reca con sé, quando torna nella propria città.

5. Per le ragioni che precedono, l’appello va accolto e, in riforma della sentenza appellata, va respinto il ricorso di primo grado n. 714 del 2011, perché manifestamente infondato.

La condanna al pagamento delle spese e degli onorari dei due gradi segue la soccombenza.

Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

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