Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-08-26, n. 201404300

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2014-08-26, n. 201404300
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201404300
Data del deposito : 26 agosto 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 09244/2006 REG.RIC.

N. 04300/2014REG.PROV.COLL.

N. 09244/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9244 del 2006, proposto da:
Comune di Roma, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso per legge dall'N S, domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21;

contro

Societa' Bonnet Worldwide Corp. (Gia' Veronese 84 S.A.), rappresentato e difeso dall'avv. M A S, con domicilio eletto presso M A S in Roma, corso Vittorio Emanuele 349;

nei confronti di

Ministero dell'Economia (gia' Ministero del Tesoro);

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del LAZIO – Sede di ROMA - SEZIONE II BIS n. 08344/2005, resa tra le parti, concernente condono edilizio e oblazione


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Societa' Bonnet Worldwide Corp. (gia' Veronese 84 S.A.);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 maggio 2014 il Consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Sabato e Sandulli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con la sentenza in epigrafe appellata, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio – sede di Roma – ha deciso, previa riunione dei medesimi per connessione, due distinti ricorsi di primo grado corredati da motivi aggiunti proposti dalla società

VERONESE

84 s.p.a., (società cui è subentrata l’odierna appellata).

Segnatamente, con il ricorso n. 4419/1989 era stato chiesto l’annullamento dell’ordinanza del Sindaco del Comune di Roma del 16.5.1988 avente ad oggetto la reiezione delle istanze di condono edilizio, presentate dalla società Veronese ’84 di cui ai prot. nn. 72725/86- 72726/86- 73014/86, per la formulazione dell’istanza di rilascio della concessione edilizia in sanatoria e delle successiva integrazioni in quanto riferite soltanto ad una parte del realizzato ed articolate in modo tale da non consentire una esatta distinzione tra le parti per le quali è stata richiesta la sanatoria e quelle escluse, per la grave inesattezza ed incompletezza della documentazione presentata a corredo dell’istanza di rilascio della sanatoria edilizia e delle successive integrazioni nonché per l’infedele dichiarazione per l’omessa richiesta di sanatoria riferito a tutto quanto costruito.

Con i motivi aggiunti proposti in relazione a detto mezzo, erano stati gravati gli atti preparatori dell’ordinanza sindacale di rigetto delle istanze di condono edilizio, depositati agli atti del giudizio tardivamente da parte del Comune in data 20.3.1991 ( in vista dell’udienza di trattazione nel merito del ricorso fissata per l’8.4.1991), ed in particolare, delle schede istruttorie della XV Ripartizione n. 73014/86, 72725/86, 72726/86 e del parere dell’Avvocatura del Comune di Roma n. 650/88 del 20.1.1988.

Con il ricorso rg. n. 15045/1999 era stato chiesto l’annullamento del provvedimento del Comune di Roma- Dipartimento VI- Ufficio Condono Edilizio prot. n. 175570 del 23.6.1999, ritirato il 7.7.1999, con il quale era stata respinta l’istanza presentata dalla società originaria ricorrente con la nota di cui al prot. n. 135935 del 7.6.1999, avente ad oggetto l’eccezione di prescrizione della richiesta del Comune di conguaglio dell’oblazione dovuta ai sensi dell’art. 35, co. 12, della L. n. 47/1985, con la motivazione che il termine della prescrizione si intendeva decorrere dalla data della perizia giurata di cui al prot. n. 50148 del 13.9.1999, che aveva determinato la riapertura della istruttoria, con la conseguenza che “ resta, pertanto, inalterato il contenuto delle notifiche … del 23.9.1999 per quanto concerne gli altri importi e la necessità di acquisire la documentazione a corredo della domanda di condono, per consentire il rilascio della concessione edilizia in sanatoria”.

Era stato altresì richiesto l’accertamento in ordine alla circostanza che nessuna somma era dovuta da parte della società originaria ricorrente al Comune di Roma a titolo di conguaglio dell’oblazione, interessi e sanzioni per l’intervenuta prescrizione ai sensi dell’art. 35, co. 12, della L. n. 47/1985, con riferimento alle istanze di rilascio delle concessioni edilizie in sanatoria di cui ai prot. nn. 72725/85, 72726/86, 73014/86 e 64640/87 e successiva istanza ai sensi della L. n. 724/1994 di cui alla racc. a./r. n. 3399 dell’1.3.1995 nonché la declatoria - del diritto della detta società originaria ricorrente a conseguire la restituzione delle maggiori somme corrisposte al Comune di Roma a titolo di conguaglio dell’oblazione, di interessi e di sanzioni relativamente alle istanza di rilascio della concessione edilizia in sanatoria.

Nell’ambito del mezzo n. 4419/1989 e del ricorso per motivi aggiunti a quest’ultimo accessivo erano state dedotte sette macrocensure di violazione di legge ed eccesso di potere, mentre con il secondo ricorso (rg. n. 15045/1999) era stata dedotta l’illegittimità del provvedimento impugnato per violazione e falsa applicazione dell’art. 35, co. 18, della L. n. 47/1985, per eccesso di potere per errore nei presupposti e per violazione dei principi generali in materia di decorrenza del termine iniziale di prescrizione.

Il Tribunale Amministrativo Regionale con la impugnata sentenza ha analiticamente e partitamente esaminato le doglianze proposte e le ha in larga parte accolte.

In particolare, il primo giudice ha preliminarmente rilevato che la circostanza che, nelle more del giudizio, la originaria ricorrente avesse ottenuto il rilascio della concessione edilizia in sanatoria, avente ad oggetto gli abusi in questione, sull’istanza di condono edilizio presentato successivamente, ai sensi della L. n. 724/1994, in data 1.3.1995, non appariva idonea a ritenere che fosse sopravvenuta la mancanza di interesse, al ricorso, considerate le conseguenze, sul piano sanzionatorio, della qualificazione in termini di istanza dolosamente infedele ai sensi dell’art. 40, co. 1, della L. n. 47/1985 nonché, soprattutto, delle ulteriori somme per oblazione corrisposte e/o da corrispondere per l’abuso perpetrato, ai sensi della L. 724/1994, al fine di ottenere la sanatoria precedentemente negata.

Ha quindi esaminato nel merito il mezzo n. 4419/1989 e ne ha affermato la fondatezza sotto l’assorbente rilievo della condivisibilità dei motivi nn I e IV del ricorso (della violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 35 nonché dell’art. 40, co. 1, della L. n. 47/1985).

Ad avviso del T, infatti, che ha analiticamente ripercorso le tappe fondamentali della risalente interlocuzione infraprocedimentale, la domanda dolosamente infedele, di cui all'art. 40, co. 1, della L. n. 47 del 1985 era (unicamente) quella che, dal punto di vista oggettivo, conteneva una materiale rappresentazione dei fatti completamente divergente dalla realtà ed idonea ad indurre in errore l'amministrazione al fine di ottenere una sanatoria non dovuta, accompagnata, dal punto di vista soggettivo, dall'intenzione di rappresentare falsamente la realtà proprio al predetto fine di ottenere una sanatoria non dovuta.

Era certo, peraltro, che la inesatta rappresentazione della realtà, nella richiesta di concessione in sanatoria, su un presupposto essenziale ai fini dell'accoglibilità della medesima ( quali la data della sua commissione e la qualificazione giuridica dell'illecito), configurasse un'ipotesi di domanda dolosamente infedele ai sensi dell'art. 40, co. 1, della L. 28 febbraio 1985 n. 47.

Senonchè, doveva affermarsi che l’art. 40, comma 1, della L. 28 febbraio 1985, n. 47 - nella parte in cui escludeva la possibilità di condono, ove l'istanza presentata fosse chiaramente infedele per le rilevanti omissioni di inesattezze riscontrate - imponeva, tuttavia, all'amministrazione, nel provvedimento di rifiuto della domanda, l'onere di una congrua motivazione circa gli elementi che avevano portato al giudizio di dolosa infedeltà e di fornirne le relative prove.

La domanda infedele non poteva equivalere a domanda inesistente, dando luogo ad indagine al fine di accertare la dolosità della manifestazione di volontà ed i vantaggi dalla medesima derivanti all'interessato e ciò soprattutto al fine di eventuale sanzione penale: il provvedimento con il quale si accerti la natura dolosamente infedele della domanda costituiva l'atto terminale del relativo procedimento, parimenti al diniego previsto dall'art. 35, comma 10, della L. n. 47/1985.

Nel caso di specie, ad avviso del T, anche a volere ritenere che l’indicazione erronea dell’importo dell’oblazione da parte dell’interessato potesse essere validamente valorizzato ai fini dell’art. 40, co. 1, della L. n. 47/1985, mancava, tuttavia, comunque, il necessario presupposto dell’elemento soggettivo dell'intenzione, da parte della società originaria ricorrente, di rappresentare falsamente la realtà proprio al predetto fine di ottenere una sanatoria non dovuta.

Detta mancanza dell’elemento soggettivo del dolo intenzionale poteva essere agevolmente ricavata – da avviso del primo giudice - dalla condotta tenuta dalla predetta nell’intera vicenda.

Il T, in particolare, richiamati i tratti salienti del carteggio intercorso con il comune, ha evidenziato che la detta società aveva rappresentato al Comune compiutamente il criterio adottato per il calcolo delle superfici abusive e, conseguentemente, delle relative oblazioni dovute.

Il che escludeva l’emergere, dell’intenzione dolosa di indurre in errore il Comune in ordine alla effettiva consistenza dell’abuso perpetrato.

Né erano accoglibili le deduzioni dell’avvocatura comunale di cui al parere n. 650 del 20.1.1988, (ivi si era ipotizzato che l’atteggiamento doloso fosse rinvenibile nella consapevolezza dell’intera abusività del complesso edilizio in questione come accertato in sede giurisdizionale in via definitiva, nelle dimensioni rilevanti dell’abuso stesso nonché nell’essere la società originaria ricorrente una impresa da tempo operante nel settore con continui rapporti con l’amministrazione comunale).

Le dedotte circostanze non apparivano infatti idonee a ritenere integrato il richiesto elemento del dolo intenzionale nell’induzione in errore del Comune, considerata la circostanza che, l’intera vicenda era pienamente conosciuta nei suoi esatti termini da parte degli uffici comunali competenti a cagione del contenzioso giudiziario intercorso in precedenza.

Peraltro il Comune, nel corpo del provvedimento impugnato, aveva omesso di specificare, altresì, quali fossero le “ gravi inesattezze ed incompletezze” della documentazione presentata in allegato alla prima istanza di condono nonché alla successiva istanza di integrazione e rettifica né detto provvedimento conteneva l’indicazione, in sede di rinvio, degli eventuali atti dai quali evincere esattamente le lamentate carenze documentali.

Il provvedimento impugnato era quindi assolutamente carente dal punto di vista motivazionale ed in ogni caso, riscontrata la supposta carenza documentale, il Comune avrebbe avuto l’onere, ai sensi dell’art. 35, co. 9, della L. n. 47/1985, di richiedere alla società interessata i chiarimenti ritenuti necessari ai fini dell’espletamento della pratica di sanatoria edilizia, non potendo, direttamente, procedere alla sua reiezione prima di avere provveduto al riguardo.

Alla stregua di tali assorbenti considerazioni il primo ricorso è stato accolto.

Parimenti è stato ritenuto fondato il secondo, riunito, ricorso.

Il T ha sul punto evidenziato che, in conseguenza dell’accoglimento del primo ricorso, avente ad oggetto la reiezione delle istanze di rilascio delle concessioni edilizie in sanatoria richieste ai sensi della L. n. 47/1985, era venuto meno l’interesse della società al secondo ricorso (poiché esso aveva ad oggetto il conguaglio dell’oblazione come calcolata con riferimento alla successiva istanza di condono edilizio ai sensi della L. n. 724/1994, dall’accoglimento del primo mezzo conseguiva che allo stato nessun’altra somma era dovuta dalla società originaria ricorrente a titolo di oblazione - oltre a quelle risultanti dall’istanza di condono presentata in data 1.4.1986 sulla quale il Comune di Roma avrebbe dovuto nuovamente pronunciarsi).

In ogni caso, però, anche il ricorso rg. n. 15045/1999 doveva essere accolto in quanto, dal tenore testuale delle note impugnate del 29.3.1999 (e come riconosciuto anche dalla difesa dell’Amministrazione) si evinceva che il Comune aveva richiesto alla società il pagamento dei relativi importi a titolo di conguaglio dell’oblazione e interessi, ritenendo espressamente che la stessa non avesse provveduto al completo versamento dell’oblazione come autodeterminata in sede di istanza di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, ex L. n. 724/94 dichiarando di condividere i calcoli dalla stessa effettuati al riguardo.

Non si trattava, pertanto, del conguaglio dell’oblazione in senso stretto, ossia della rideterminazione, in via autonoma, da parte del Comune, dell’oblazione ritenuta dovuta dall’interessato in misura differente rispetto a quanto indicato in origine dallo stesso nella istanza di rilascio, di cui all’art. 35 della L. n. 47/1985.

Tuttavia la originaria ricorrente aveva dimostrato di avere provveduto al totale pagamento dell’oblazione come autodeterminata in sede di istanza di rilascio del condono edilizio dell’1.3.1995 nella misura complessiva di L. 1.324.059.750, comprensiva della maggiorazione prevista dall’art. 39, comma 6, della legge n. 724/94, avendo provveduto al deposito, agli atti del giudizio, di copia del bollettino del versamento della somma complessiva di L.

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