Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-01-04, n. 201800036

Sintesi tramite sistema IA Doctrine

L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta

Segnala un errore nella sintesi

Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-01-04, n. 201800036
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201800036
Data del deposito : 4 gennaio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 04/01/2018

N. 00036/2018REG.PROV.COLL.

N. 02467/2012 REG.RIC.

N. 02468/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2467 del 2012, proposto da R C, rappresentato e difeso dall'avvocato T C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L T in Roma, via Cosseria, 5;

contro

Ministero della difesa, Ministero dell'interno, Ministero della giustizia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., non costituiti in giudizio;



sul ricorso numero di registro generale 2468 del 2012, proposto da C V, T M, C S, G A, M A, L O, Mario D'Auria, Alessandro Palladino, Walter Candiracci, Luigi Rocco, rappresentati e difesi dall'avvocato T C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato L T in Roma, via Cosseria, 5;

contro

Ministero della difesa, Ministero dell'interno, Ministero della giustizia, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

quanto a entrambi i ricorsi:

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, sezione I bis , 9 marzo 2011, n. 2127.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa, del Ministero dell'interno, del Ministero della giustizia e dell’Arma dei carabinieri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 dicembre 2017 il consigliere G C;

Uditi per le parti l’avvocato Migliaccio, su delega dell’avvocato Contu, e l’avvocato dello Stato Cesaroni;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Il signor C V e 16 altri suoi colleghi, tutti appartenenti all’Arma dei carabinieri, hanno chiesto l’accertamento del diritto a vedersi retribuire l’attività lavorativa asseritamente svolta al di fuori del normale orario di servizio, in seno al Nucleo traduzione detenuti del Comando di Livorno, dal 1991 al 1996.

2. Con sentenza 9 marzo 2011, n. 2127, il T.A.R. per il Lazio, sez. I bis , ha respinto il ricorso, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio. Il Tribunale regionale ha ritenuto che i ricorrenti non avessero assolto l’onere della prova in ordine al fondamento della pretesa fatta valere in giudizio non producendo neppure la documentazione che dovrebbe pacificamente rientrare nella loro piena disponibilità, a partire dalla necessaria autorizzazione a svolgere il lavoro straordinario.

3. Alcuni degli originari ricorrenti hanno interposto due separati appelli, di identico contenuto, avverso la sentenza n. 2127/2011 (n.r.g.2012/2467 e n.r.g. 2012/2468).

4. Gli appellanti premettono che la sentenza di primo grado sarebbe effetto di grave colpa del Tribunale territoriale e sarebbe stata adottata al termine di un giudizio ingiustificatamente lungo. Per tali ragioni si riservano di proporre un’azione di responsabilità civile e di chiedere il risarcimento dei danni materiali e morali ex c.d. “legge Pinto”.

5. Nel merito, essi rinnovano la richiesta - già formulata in primo grado e disattesa dal T.A.R. - di ordinare all’Arma dei carabinieri di produrre in giudizio tutta la documentazione idonea a ricostruire il lavoro straordinario prestato nonché di nominare un consulente del lavoro per l’analisi di tale documentazione e la ricostruzione del lavoro straordinario svolto in relazione a diversi istituti (stipendio, ferie, tredicesima mensilità, trattamento di fine rapporto, trattamento pensionistico e previdenziale). Chiedono infine che, all’esito dell’istruttoria, l’Amministrazione sia condannata al pagamento delle somme che risulteranno dovute con interessi legali e rivalutazione monetaria.

6. L’Avvocatura generale dello Stato, per conto dei Ministeri della difesa, degli interni e della giustizia nonché dell’Arma dei carabinieri, si è costituita in giudizio per resistere all’appello nel solo ricorso n.r.g. 2012/2468.

7. All’udienza pubblica del 14 dicembre 2017, gli appelli sono stati chiamati e trattenuti in decisione.

8. In via preliminare gli appelli, che investono la medesima sentenza, devono essere riuniti a norma dell’art. 96, comma 1, c.p.a.

9. Gli appelli sono infondati.

9.1. Le parti private hanno formulato e reiterato una pretesa patrimoniale generica e indeterminata nel suo fondamento, si sono rimessi ai poteri del giudice per dare a essa effettivo contenuto, non hanno nemmeno prodotto gli atti (in specie: l’autorizzazione a svolgere lavoro straordinario) che - come correttamente osserva il T.A.R. - dovevano essere necessariamente in loro possesso.

9.2. Il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado si pone dunque al limite dell’inammissibilità, in quanto chiede l’accertamento di un diritto in astratto e non in relazione a una situazione concreta e, lungi dal provare, non contiene nemmeno l’allegazione di un minimo di elementi di fatto costitutivi della domanda.

9.3. Quanto all’istanza istruttoria che dovrebbe dare più solido fondamento alla pretesa degli appellanti, formulata in primo grado e rinnovata in questa sede di appello, il Collegio rileva che l’art. 63, comma 1, c.p.a., fa salvo il principio dell’onere della prova, così rinviando all’art. 2697 c.c.

9.4. Vero è che, secondo un diffuso orientamento, la strutturale disparità fra le parti nel processo amministrativo, almeno nell’ambito dei rapporti fra privato e P.A., e l’interesse pubblico immanente alla tutela della giustizia nell’Amministrazione sono a base dell’attribuzione dei particolari poteri istruttori del giudice ora testualmente riconosciuti dagli artt. 63 e 64 c.p.a., da esercitarsi anche d’ufficio.

9.5. Tuttavia, anche ad ammettere che, in tema di prova, il processo amministrativo non sia retto dal principio dispositivo pieno e che l’onere della prova si attenui nell’onere del principio di prova, certo è che:

a) l’attività istruttoria del giudice presuppone quanto meno l’allegazione in maniera sufficientemente circostanziata e precisa, ad opera della parte interessata, dei fatti da provare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 17 settembre 2001, n. 4862);

b) la parte non può limitarsi a formulare le proprie richieste e censure in modo del tutto generico, invocando nella sostanza una attività istruttoria al solo scopo di dare un contenuto concreto alla propria iniziativa processuale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 novembre 1999, n. 1702);

c) quando il ricorrente non fornisca almeno un principio di prova, il giudice non può disporre d’ufficio indagini istruttorie (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 gennaio 1998, n. 90;
sez. V, 10 febbraio 1998, n. 151);

d) l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio non è doveroso, ma resta rimesso al prudente apprezzamento del giudice (cfr. Cons. Stato, sez. V, 23 aprile 1991, n. 637);

10. Dalle considerazioni che precedono discende che l’istanza istruttoria non può essere accolta e che - come anticipato - gli appelli sono infondati e vanno perciò respinti, con conferma della sentenza impugnata.

11. Nulla deve disporsi quanto alle spese di giudizio per l’appello n.r.g.2012/2467, nel quale l’Amministrazione non è costituita.

In ordine all’appello n.r.g. 2012/2468, le spese del presente grado di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55.

12. Il Collegio rileva, inoltre, che la pronuncia di reiezione dell’appello si basa, come sopra illustrato, su ragioni manifeste che integrano i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 1, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio, sostanzialmente recepita, sul punto in esame, dalla novella recata dal decreto-legge n. 90 del 2014 all’art. 26 c.p.a. [cfr. sez. V, 21 novembre 2014, n. 5757;
sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210;
sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252;
sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733;
sez. V, 9 luglio 2015, n. 3462;
cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria conformemente, peraltro, ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo sez. VI, 2 novembre 2016;
sez. VI, 12 maggio 2017, n. 11939)].

13. La condanna degli appellanti ai sensi dell’art. 26 c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2 quinquies , lett. a) e d), della legge 24 marzo 2001, n. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208.

Iscriviti per avere accesso a tutti i nostri contenuti, è gratuito!
Hai già un account ? Accedi