Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-20, n. 202108439

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-12-20, n. 202108439
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202108439
Data del deposito : 20 dicembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/12/2021

N. 08439/2021REG.PROV.COLL.

N. 02625/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2625 del 2021, proposto dal
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

Signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato E S D, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la -OMISSIS-, sezione staccata di -OMISSIS-, n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’impugnazione del provvedimento del 19 novembre 2019 di perdita del grado per rimozione;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 settembre 2021 il Cons. Cecilia Altavista;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Al signor -OMISSIS-, appuntato scelto in servizio presso la stazione dei Carabinieri di -OMISSIS-, con provvedimento del Direttore generale del personale militare del Ministero del 19 novembre 2019 è stata irrogata la sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione ed è stato iscritto nei ruoli dei militari di truppa dell’esercito senza alcun grado.

Il provvedimento sanzionatorio è basato sull’accertamento effettuato presso l’Istituto di Medicina legale del Policlinico di -OMISSIS-, in data 3 maggio 2019, da cui era risultata la positività all’assunzione di cannabinoidi, ritenuta la contrarietà dell’uso di sostanze stupefacenti con i “ principi di moralità e rettitudine che devono improntare l’agire di un militare ”, con i “ doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza e di esemplarità propri dello status di militare e di appartenenza all’Arma dei carabinieri nonché lesivo del prestigio della istituzione. La condotta accertata è, altresì, deontologicamente censurabile in relazione alla ricezione a qualsiasi titolo di sostanza stupefacente, condotta attraverso cui il militare ha direttamente favorito l'attività delittuosa del traffico di stupefacenti, rendendosi in tal modo incompatibile con l'esercizio delle delicate funzioni svolte dall'Arma dei Carabinieri, impegnata prioritariamente in compiti di prevenzione e repressione dei fenomeni criminosi anche connessi alla droga”. I fatti erano ritenuti “di rilevanza tale da richiedere l’applicazione della sanzione disciplinare massima di stato”.

Nel corso del giudizio disciplinare l’appuntato -OMISSIS- aveva ammesso di avere fatto uso del tutto sporadico di sostanza stupefacente, in concomitanza con un particolare stato di stress emotivo dovuto alla vicende familiari, in particolare per i contenziosi giudiziari con la ex moglie e la ex compagna per l’affidamento dei figli e per le relative condizioni;
il 3 maggio, giorno dell’accertamento tossicologico, era proprio quello della udienza fissata davanti al Tribunale di -OMISSIS- per le condizioni della separazione dalla ex moglie.

A riprova dell’uso del tutto sporadico e occasionale si era sottoposto a nuovi esami il 27 maggio, il 28 maggio, il 29 maggio e il 6 giugno, dai quali era stato escluso l’uso di sostanza stupefacenti.

Avverso il provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare l’Appuntato -OMISSIS- ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della -OMISSIS-, sezione di -OMISSIS-, esponendo le circostanze già indicate nel procedimento disciplinare ovvero di avere fatto uso sporadico e occasionale, per il particolare stress emotivo in cui si era trovato a causa dei contenziosi delle separazioni, in particolare della cannabis light regolarmente acquistata presso un esercizio commerciale;
a sostegno di tali circostanze ha depositato in giudizio una certificazione del SERD di -OMISSIS- in cui si dava atto che si era sottoposto nel periodo 27 maggio 30 settembre 2019 a 22 esami tossicologici con esiti sempre negativi;
una relazione tecnica tossicologica le cui conclusioni ritenevano compatibili i valori di positività accertati il 3 maggio 2019 con l’uso di cannabis light ;
è stato formulato un unico articolato motivo di ricorso censurando l’ eccesso di potere, l’erronea presupposizione in fatto ed in diritto, la perplessità dell'azione amministrativa, la violazione dei principi di proporzionalità e buon andamento, la violazione delle disposizioni di cui all'art. 1355, agli art. 1376 e ss. del Codice dell'Ordinamento Militare, l’ irragionevolezza ed ingiustizia manifeste ”, in primo luogo per la violazione delle norme procedimentali, in quanto il ricorrente non avrebbe avuto comunicazione formale del deferimento alla Commissione di disciplina e non avrebbe potuto partecipare a tale fase del procedimento;
inoltre il Ministro avrebbe dovuto convocare una nuova Commissione di disciplina, ai sensi dell’art. 1389 c.o.m., prima di disporre il deferimento;
sono state poi contestate le circostanze poste a base del provvedimento impugnato, in particolare quelle relative ai contatti con persone della criminalità e dedite allo spaccio di stupefacenti, deducendo di avere acquistato la cannabis light presso un esercizio commerciale;
è stata poi lamentata la violazione del principio di proporzionalità nella irrogazione della sanzione, non essendo giustificata la sanzione massima della perdita del grado per rimozione, in relazione alla particolarità della situazione concreta e tenuto conto dello stato di servizio del militare e degli encomi ricevuti.

Con la sentenza n. -OMISSIS- il Tribunale amministrativo regionale della -OMISSIS- ha respinto le censure procedimentali, risultando dagli atti del giudizio l’avvenuta partecipazione del militare alla fase davanti alla Commissione di disciplina;
ha accolto le altre censure, ritenendo non provati i rapporti con il mercato illecito degli stupefacenti, posto tra le altre circostanze a base del provvedimento impugnato, in relazione all’acquisito della cannabis light , comunque consentito in esercizi commerciali aperti al pubblico e ritenuto lecito dalla giurisprudenza penale al momento dei fatti;
ha ritenuto, altresì, la sussistenza della violazione del principio di proporzionalità, per l’assunzione sporadica e temporalmente circoscritta di una sostanza lecita.

Avverso tale pronuncia ha proposto appello il Ministero della Difesa, contestando le affermazioni del giudice di primo grado in ordine alla cannabis light , deducendo che le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza 10 luglio 2019, n. 30475, hanno affermato che anche la cannabis light rientra nelle fattispecie previste dall’art. 73 del D.P.R. 309 del 1990, in assenza di alcun valore soglia preventivamente individuato dal legislatore rispetto alla percentuale di THC;
inoltre la difesa appellante ha sostenuto che l’uso di sostanze stupefacenti è, comunque, incompatibile con lo status di un militare, in particolare dell’Arma dei Carabinieri, sia per le funzioni svolte sia per il prestigio della istituzione;
ha contestato poi anche il difetto di proporzionalità ravvisato dal giudice di primo grado, sostenendo la assoluta gravità del comportamento del militare per cui la massima sanzione sarebbe ampiamente giustificata, essendo irrilevante lo stato di servizio del militare e ampiamente discrezionale il potere esercitato dall’Amministrazione.

Si è costituito in giudizio l’appuntato -OMISSIS-, contestando la fondatezza dell’appello e depositando la documentazione già prodotta in primo grado.

Con ordinanza n. -OMISSIS- è stata fissata l’udienza pubblica per la trattazione del merito del giudizio, ai sensi dell’art. 55 comma 10 c.p.a..

In vista dell’udienza pubblica, la difesa appellata ha presentato memoria e memoria di replica, insistendo per l’infondatezza dell’appello, in particolare con riferimento alla censura sulla proporzionalità del provvedimento.

All’udienza pubblica del 21 settembre 2021 l’appello è stato trattenuto in decisione.

Il Collegio condivide solo in parte le argomentazioni dell’Avvocatura dello Stato circa l’uso della cannabis light .

In primo luogo, deve precisarsi che la sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, 10 luglio 2019, n. 30475, citata dalla difesa appellante, ha affermato il seguente principio di diritto “ La commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L. e, in particolare, di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicabilità della L. n. 242 del 2016, che qualifica come lecita unicamente l'attività di coltivazione di canapa delle varietà ammesse e iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell'art. 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002 e che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati, sicchè la cessione, la vendita e, in genere, la commercializzazione al pubblico dei derivati della coltivazione di cannabis sativa L., quali foglie, inflorescenze, olio, resina, sono condotte che integrano il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, anche a fronte di un contenuto di THC inferiore ai valori indicati dalla L. n. 242 del 2016, art. 4, commi 5 e 7, salvo che tali derivati siano, in concreto, privi di ogni efficacia drogante o psicotropa, secondo il principio di offensività ".

Ha, quindi, parificato la cannabis light alle altre sostanze stupefacenti, ai fini della fattispecie penale della cessione, ma applicando anche a tale sostanza il principio, corollario di quello di offensività, per cui deve essere accertata l'idoneità della sostanza a produrre, in concreto, un effetto drogante.

Nondimeno, ad avviso del Collegio, la rilevanza penale attribuita alla Cassazione alla cannabis light , con la sentenza citata, al pari delle altre sostanze stupefacenti, è irrilevante rispetto alla presente vicenda, che riguarda il comportamento di un militare dell’Arma dei Carabinieri sotto il profilo disciplinare, per cui la circostanza o meno della rilevanza penale della cessione anche della cannabis light – oggetto della citata sentenza della Cassazione a Sezioni Unite – non potrebbe comunque di per sè scriminare il comportamento dell’uso di una sostanza che, anche se con limitati effetti stupefacenti, comunque appare lesivo del prestigio dell’Arma dei carabinieri e incompatibile con le funzioni svolte.

Infatti, ai sensi dell’art. 1352 del codice dell’ordinamento militare, “ costituisce illecito disciplinare ogni violazione dei doveri del servizio e della disciplina militare sanciti dal presente codice, dal regolamento, o conseguenti all'emanazione di un ordine ”.

Quindi, sotto il profilo disciplinare, rileva il comportamento del militare, che costituisca violazione dei doveri del proprio status, anche a prescindere dalla rilevanza penale, che nella specie è comunque esclusa, non essendo integrata alcuna fattispecie penale dall’uso personale di sostanze stupefacenti (salvo quanto si osserverà infra , circa la ricettazione della sostanza) e non richiedendosi, quindi, neppure la prova dell’efficacia drogante della sostanza stessa.

Si deve, infatti, ricordare che ai sensi dell’art. 1356 del codice dell’ordinamento militare “ in deroga alle norme del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, della legge 30 marzo 2001, n. 125 e della legge 14 dicembre 2000, n. 376, ai militari tossicodipendenti, alcol-dipendenti o che assumono sostanze dopanti, si applicano le disposizioni di stato in materia di idoneità, di sospensione dal servizio e di disciplina ”.

Deve, peraltro, rilevarsi che il giudice di primo grado ha richiamato l’uso della cannabis light al solo fine di ritenere non provato (in quanto non necessariamente implicato) il contatto con il mercato illecito delle sostanze stupefacenti richiamato tra i presupposti del provvedimento impugnato, dando comunque correttamente atto che il provvedimento impugnato era basato anche sui presupposti della violazione dei “ principi di moralità e rettitudine che devono improntare l’agire di un militare ” e dei “ doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza e di esemplarità propri di un appartenente all’Arma dei carabinieri”, i quali costituiscono idonei presupposti, anche da soli considerati, a sorreggere l’adozione di un provvedimento disciplinare.

Inoltre, dagli atti di causa, non risulta effettivamente la prova dell’assunzione della cannabis light , essendo provata, in base all’accertamento tossicologico del 3 maggio 2019, unicamente la positività ai cannabinoidi, nella misura che la relazione di parte ha ritenuto compatibile anche con l’assunzione della cannabis light .

Deve essere quindi ribadito, anche con riferimento al caso di specie, il costante orientamento giurisprudenziale che afferma l'intrinseco disvalore della condotta del militare di assunzione, anche meramente occasionale di sostanza stupefacente, sotto il profilo della affidabilità personale, in relazione alle specifiche attività disimpegnate, per i noti effetti della sostanza stupefacente, che impatta significativamente, almeno nel periodo immediatamente successivo all'assunzione, sull'integrità psico-fisica dell'assuntore, laddove l'appartenente all'Arma dei Carabinieri è sempre tenuto a mantenere, anche fuori dal servizio, non solo un contegno dignitoso, ma anche la capacità psico-fisica di far fronte ad impreviste esigenze;
nonché al radicale contrasto con i doveri incombenti ad un militare che presta servizio nell'Arma dei carabinieri, in quanto l’accertata assunzione di sostanze stupefacenti, anche occasionale ed episodica, da parte di un carabiniere determina una frontale ed eclatante violazione dei doveri di correttezza e di lealtà dallo stesso assunti con il giuramento (Cons. Stato Sez. II, 30 giugno 2021, n. 4950;12 maggio 2021, n. 3731;
id, 15 maggio 2020, n. 3112;
Sez. IV, 1 febbraio 2017, n. 413;
id. 8 marzo 2017, n. 1086).

Sotto tale profilo, ritiene, dunque, il Collegio che non possa essere integralmente confermata la motivazione della sentenza.

Ritiene, invece, il Collegio di dover confermare la sentenza con riguardo all’accoglimento della censura relativa alla violazione del principio di proporzionalità, richiamando l’orientamento giurisprudenziale della Sezione (Cons. Stato Sez. II, 15 ottobre 2019, n. 7037;
20 gennaio 2020, n. 455;
7 novembre 2019, n. 7598), per cui il principio di proporzionalità della sanzione deve ritenersi immanente all'ordinamento anche militare ed in particolare costituisce un principio fondamentale dei procedimenti disciplinari: deve perciò affermarsi che, nonostante l’ampia discrezionalità di cui gode l’amministrazione nella scelta – ove non normativamente tipizzata – della sanzione applicabile a ciascuna specifica violazione, in ogni caso il predetto principio – anche in quanto diretto corollario di quello di ragionevolezza sotteso all’articolo 3 della Costituzione – costituisce un limite invalicabile che, essenzialmente, preclude la legittimità dell’opzione per le sanzioni disciplinari c.d. espulsive al di fuori dei casi in cui, nella condotta del dipendente, sia dato riscontrare effettivamente i massimi livelli di disvalore.

Coerentemente con ciò, deve rilevarsi che proprio la disposizione dell'art. 1355 del codice dell'ordinamento militare, rubricato “ criteri per la irrogazione delle sanzioni disciplinari ” indica espressamente al comma 1 che “ le sanzioni disciplinari sono commisurate al tipo di mancanza commessa e alla gravità della stessa ”;
e, al comma 2, prescrive che: " nel determinare la specie ed eventualmente la durata della sanzione sono inoltre considerati i precedenti di servizio disciplinari, il grado, l'età, e l'anzianità di servizio del militare che ha mancato ";
mentre, ai sensi del comma 3, " vanno punite con maggior rigore le infrazioni: a) intenzionali;
b) commesse in presenza di altri militari;
c) commesse in concorso con altri militari;
d) ricorrenti con carattere di recidività
”.

Pertanto, pur se la perdita del grado è considerata come sanzione unica e indivisibile, non essendo stata stabilita con la caratteristica di una sua possibile graduazione tra un minimo ed un massimo entro i quali l'Amministrazione debba esercitare il potere sanzionatorio (Consiglio di Stato, Sez. II, 22 luglio 2019, n. 5146;
Sez. IV, 23 maggio 2017, n. 2405), tale sanzione può ritenersi legittima, in quanto congrua ai principi di gradualità e ragionevolezza, solo ove essa risulti applicata in effettiva correlazione alla gravità del concreto comportamento del militare, in quanto si tratta della più grave delle sanzioni di stato previste dall’ordinamento militare.

Le sanzioni disciplinari di stato, ai sensi dell’art. 1357 C.O.M, sono : “a) la sospensione disciplinare dall'impiego per un periodo da uno a dodici mesi;
b) la sospensione disciplinare dalle funzioni del grado per un periodo da uno a dodici mesi;
c) la cessazione dalla ferma o dalla rafferma per grave mancanza disciplinare o grave inadempienza ai doveri del militare;
d) la perdita del grado per rimozione”.

La proporzione fra addebito e sanzione è ineludibile principio espressivo di irrinunciabili esigenze di civiltà giuridica, comportando la sproporzione tra il fatto e la sua sanzione un’evidente violazione del principio di ragionevolezza e di gradualità della sanzione stessa (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 8 maggio 2020, n. 2895).

La perdita del grado per rimozione non può che conseguire, pertanto, a una valutazione in termini di particolare gravità del comportamento disciplinarmente rilevante.

A sostegno di tale interpretazione, con particolare riferimento al caso di specie, deve essere richiamata, altresì, la disposizione dell’art. 6 comma 3 n. 8 del D.P.R. 737 del 1981 “ sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti ” che, pur dettato per le forze di Polizia ad ordinamento civile, costituisce un utile ausilio interpretativo circa la gradualità delle sanzioni disciplinari previste dall’ordinamento, che prevede la sospensione dal servizio nel caso di “ uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico legale”.

Sotto tale profilo, è stato di recente affermato, con riferimento agli appartenenti alle Forze di polizia sia a ordinamento civile che militare, che rientra nella discrezionalità dell’Amministrazione stabilire “ se soltanto la dedizione all'uso di sostanze stupefacenti giustifichi la massima sanzione espulsiva, ovvero se sia, in proposito, sufficiente anche un mero consumo isolato ed episodico e, comunque, non inserito in un abituale costume di vita ” (Cons. Stato Sez. II, 30 giugno 2021, n. 4950).

Per consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, le valutazioni dell'Amministrazione in materia di sanzioni disciplinari sono connotate da ampia discrezionalità, sindacabile in sede giurisdizionale solo nei casi di manifesta irrazionalità, illogicità, arbitrarietà, travisamento dei fatti, (Cons. Stato Sez. II, 10 giugno 2021, n. 4445;
Sez. IV, 27 febbraio 2020, n. 1438;
sez. II, 15 maggio 2020, n. 3112;
Cons. Stato Sez. IV, 28 ottobre 2019, n. 7335), tra cui non può però non rientrare anche la chiara carenza di proporzionalità tra l'infrazione e il fatto (Sez. IV, 22 marzo 2021, n. 2428)

Con specifico riferimento, dunque, al caso di specie, pur nei limiti del sindacato giurisdizionale di legittimità sul potere sanzionatorio discrezionale dell'Amministrazione, è dato ravvisare la sussistenza di profili di manifesta illogicità e irragionevolezza nell’adozione della sanzione espulsiva, che comporta effetti irreversibili sullo stato del militare.

Infatti, la vicenda che ha coinvolto il militare risulta connotata dalla episodicità e occasionalità, dalla particolarità della sostanza assunta, di cui è stata affermata anche la compatibilità con la cannabis light ;
inoltre, il militare ha ammesso, nel corso del procedimento disciplinare, l’assunzione della sostanza e ha provveduto a sottoporsi a numerosi accertamenti, ripetuti nei mesi successivi, da maggio a settembre 2019, da cui è risultato escluso l’uso di sostanze stupefacenti.

Sussiste, quindi, il vizio di proporzionalità ravvisato dal giudice di primo grado nella irrogazione della sanzione massima della perdita del grado per rimozione, in relazione alla complessiva tenuità del fatto e alla condotta del militare;
tenuto conto che nel provvedimento impugnato è stato fatto un riferimento meramente apodittico alla rilevanza dei fatti “ tale da richiedere l’applicazione della sanzione disciplinare massima di stato ”.

In proposito, va affermato che una sanzione disciplinare è certamente applicabile in ogni caso di accertata assunzione di sostanze stupefacenti, e tuttavia con la necessaria esclusione di quelle espulsive ove congiuntamente ricorrano le seguenti condizioni: che non si tratti di sostanze il cui procacciamento implichi necessariamente la commissione del reato di ricettazione o, comunque, il contatto diretto con ambienti criminali (cosa che pare riscontrabile, allo stato, solo per il principio attivo della cannabis );
che l’assunzione della sostanza sia assolutamente non abituale (ossia né frequente, né reiterato);
che la specifica vicenda non si connoti in termini di ulteriore disvalore, anche per violazione degli obblighi di lealtà e fiducia reciproca (come sarebbe ove il militare si sottragga all’accertamento delle predette circostanze fattuali, ovvero mantenga un atteggiamento non pienamente collaborativo con l’Amministrazione in proposito).

In conclusione, poiché tutte tali condizioni ricorrono nel caso in esame, l’appello risulta infondato e deve essere respinto, la sentenza dovendo confermarsi pur se con motivazione parzialmente diversa.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in euro 3000,00 (tremila, 00), oltre s.g. e accessori di legge.

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