Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-06-03, n. 201402837

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2014-06-03, n. 201402837
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201402837
Data del deposito : 3 giugno 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05093/2012 REG.RIC.

N. 02837/2014REG.PROV.COLL.

N. 05093/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5093 del 2012, proposto dalla società I - Trasporti Internazionali S.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati T U e G F R, con domicilio eletto presso G F R in Roma, via Cosseria, 5

contro

Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust, rappresentata e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Schenker Italiana S.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati F A, A G e G L Z, con domicilio eletto presso G L Z in Roma, piazza del Popolo 18

per la riforma della sentenza del T.A.R. Lazio - Roma: Sezione I, n. 3028/2012


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato - Antitrust e della società Schenker Italiana S.p.a.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 aprile 2014 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Ugoccioni, l’avvocato dello stato Fiorentino, nonché l’avvocato Moravia per delega degli avvocati Arossa e Zampa;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue


FATTO

Con atto in data 18 novembre 2009 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora innanzi: ‘l’AGCM’ o ‘l’Autorità appellata’) avviava un procedimento istruttorio per presunte condotte anticoncorrenziali (rubricato al n. I722) nei confronti delle società Agility Logistics S.r.l., Albini &
Pitigliani S.p.A., Brigl S.p.A., Cargo Nord S.r.l., DHL Global Forwarding (Italy) S.p.A., Ferrari S.p.A., Francesco Parisi Casa di Spedizioni S.p.A., Gefco Italia S.p.A., Geodis Zust Ambrosetti S.p.A., I-DIKA - S.p.A., I – Trasporti Internazionali S.p.A., Italsempione – Spedizioni Internazionali S.p.A., ITK Zardini S.r.l., ITX Cargo S.r.l., Rhenus Logistics S.p.A., Saima Avandero S.p.A., Schenker Italiana S.p.A., S.I.T.T.A.M. – Spedizioni Internazionali Trasporti Terrestri Aerei Marittimi S.r.l., Transervice Europa S.r.l. - T.S.E. S.r.l. e Villanova S.p.A. e dell’Associazione Fedespedi - Federazione Nazionale delle Imprese di Spedizioni Internazionali.

In particolare il procedimento istruttorio era volto ad accertare eventuali violazioni dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (in seguito anche TFUE) nel settore delle spedizioni internazionali di merci su strada da e per l’Italia.

L’avvio era stato consentito dalla domanda della società Deutsche Bahn AG (cui avevano fatto seguito successivamente le domande delle società Agility Logistics International BV, Deutsche Post AG e S.I.T.T.A.M. Spedizioni Internazionali Trasporti Terrestri Aerei Marittimi S.r.l.) di accedere al più favorevole trattamento di cui al comma 2- bis dell’articolo 15 della l. 10 ottobre 1990, n. 287.

Al termine del procedimento istruttorio, valutate tutte le circostanze del caso, l’Autorità adottava il provvedimento conclusivo (16 giugno 2012) con cui deliberava quanto segue:

a) che l’Associazione Fedespedi - Federazione Nazionale delle Imprese di Spedizioni Internazionali e le società Agility Logistics S.r.l., Albini &
Pitigliani S.p.A., Alpi Padana S.r.l., Armando Vidale S.p.A. Trasporti Internazionali in Liquidazione, Brigl S.p.A., Cargo Nord S.r.l., DHL Express S.r.l., DHL Global Forwarding (Italy) S.p.A., Francesco Parisi Casa di Spedizioni S.p.A., Gefco Italia S.p.A., Geodis Wilson Italia S.p.A., I-DIKA - S.p.A., I – Trasporti Internazionali S.p.A., Italsempione – Spedizioni Internazionali S.p.A., ITK Zardini S.r.l., ITX Cargo S.r.l., Rhenus Logistics S.p.A., Saima Avandero S.p.A., Schenker Italiana S.p.A., S.I.T.T.A.M. – Spedizioni Internazionali Trasporti Terrestri Aerei Marittimi S.r.l., Spedipra S.r.l. e Villanova S.p.A hanno posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, avente per oggetto l’incremento concertato del prezzo delle spedizioni internazionali di merci su strada da e per l’Italia;

b) che le società e l’associazione di cui al punto a) si astengano in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata;

c) che, in ragione di quanto indicato in motivazione, è riconosciuto alla società Schenker Italiana S.p.A. il beneficio della non imposizione della sanzione, di cui al paragrafo 2 della Comunicazione sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni ai sensi dell'articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287;

d) che, in ragione di quanto indicato in motivazione, è riconosciuto alle società Agility Logistics S.r.l., DHL Express S.r.l., DHL Global Forwarding (Italy) S.p.A. e S.I.T.T.A.M. – Spedizioni Internazionali Trasporti Terrestri Aerei Marittimi S.r.l. il beneficio della riduzione della sanzione, di cui al paragrafo 4 della Comunicazione sulla non imposizione e sulla riduzione delle sanzioni ai sensi dell'articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 nella misura, rispettivamente, del

50%, del 49%, del 49% e del 10% ”.

Con il provvedimento in questione veniva irrogata nei confronti della società I – Trasporti Internazionali s.p.a. (d’ora innanzi: ‘la soc. I’ o ‘la società appellante’) una sanzione complessiva pari ad euro 324.465.

Il provvedimento in questione veniva impugnato (ricorso n. 7974/2011) dalla soc. I dinanzi al T.A.R. per il Lazio il quale, con la sentenza in epigrafe, accoglieva in parte il ricorso limitatamente alla quantificazione della sanzione.

Sotto tale aspetto i primi Giudici, avvalendosi delle prerogative esercitabili in sede di giurisdizione di merito (articolo 134, comma 1, lettera c) cod. proc. amm.), riconoscevano un maggiore rilievo all’attenuante della ridotta partecipazione all’intesa e rideterminavano il quantum sanzionatorio di un ulteriore 15 per cento dell’importo di base.

I primi Giudici, invece, respingevano il ricorso sotto ogni altro aspetto.

La sentenza in questione è stata gravata in appello (ricorso n. 5093/2012) dalla soc. I la quale ne ha chiesto la riforma articolando plurimi motivi, più analiticamente descritti nella parte motiva della presente decisione.

Si è costituita in giudizio l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello. L’Autorità ha altresì spiegato appello incidentale con cui ha chiesto la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui, in parziale accoglimento del ricorso di primo grado, ha rideterminato il quantum della sanzione da irrogare all’odierna appellata, riducendolo di un ulteriore quindici per cento.

Con ordinanza cautelare n. 2822/2012, resa all’esito della Camera di consiglio del 17 luglio 2012, questo Consiglio ha accolto l’istanza di sospensione degli effetti della sentenza in epigrafe, “ avuto, in particolare, riguardo all’entità della somma oggetto del provvedimento sanzionatorio ”.

Si è costituita in giudizio la società Schenker Italiana s.p.a. la quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Alla pubblica udienza del 1° aprile 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da I – Trasporti Internazionali s.p.a. avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio n. 3028/2012 con cui è stato accolto – ma solo in parte e con riferimento alla sola misura dell’importo sanzionatorio – il ricorso proposto in parte qua avverso il provvedimento adottato il 15 giugno 2011 dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (d’ora in poi: ‘l’A.G.C.M.’ o: ‘l’Autorità’) con il quale è stato accertato che la società appellata abbia partecipato a un’intesa restrittiva della concorrenza (articolo 101 del T.F.U.E.;
articolo 2 della l. 10 ottobre 1990, n. 287) avente per oggetto l’aumento concertato del prezzo delle spedizioni internazionali di merci su strada da e per l’Italia.

2. Prima di procedere all’esame funditus dei motivi di gravame articolati dalla società appellante, il Collegio ritiene opportuno fornire un inquadramento di carattere generale sul contenuto dell’intesa contestata sulla base delle risultanze emergenti dal provvedimento impugnato in primo grado e della sentenza in epigrafe (e rinviando al prosieguo della presente decisione l’esame puntuale dei singoli motivi di ricorso articolati dalla società appellante).

Al riguardo si osserva che, se per un verso è vero che la società I non ha contestato l’esistenza e la gravità dell’intesa in quanto tale (incentrando piuttosto le proprie difese sulla tesi della propria sostanziale estraneità all’accordo collusivo), d’altra parte, al fine di inquadrare in modo compiuto i contorni della vicenda e di calare in maniera adeguata le stesse difese dell’appellante nel pertinente contesto normativo e fattuale, appare necessario fornire una descrizione generale di tale contesto e dei presupposti che hanno indotto l’Autorità prima e il T.A.R. poi a delinearne i contorni e a trarne le conseguenze in punto di interdizione e sanzione delle condotte vietate.

3. Al riguardo il Collegio osserva in primo luogo che l’Autorità ha individuato in modo che appare esente da profili di irragionevolezza, incongruità e incoerenza gli elementi costitutivi dell’illecito anticoncorrenziale di cui all’articolo 101 del TFUE e di cui all’articolo 2 della legge 10 ottobre 1990, n. 287 (si tratta di un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza finalizzata a conseguire un coordinamento degli aumenti di prezzo delle spedizioni internazionali di merci via terra ad opera di numerose imprese operanti nel settore delle spedizioni doganali e della stessa associazione di categoria – Fedespedi -).

Sotto tale aspetto, l’Autorità (con deduzioni confermate dai primi Giudici) ha in primo luogo persuasivamente individuato il mercato qui rilevante, facendolo coincidere con quello nazionale delle spedizioni internazionali da e per l’Italia.

Al riguardo – e a tacer d’altro - è stata correttamente richiamata la giurisprudenza di questo Consiglio secondo cui, nelle ipotesi di intese restrittive della concorrenza, la definizione del mercato rilevante risulta ex se funzionale all’individuazione delle caratteristiche stesse del contesto nel cui ambito si colloca l’illecito coordinamento delle condotte d’impresa, atteso che è proprio l’ambito di tale coordinamento a delineare e definire l’ambito stesso del mercato rilevante (in tal senso – ex plurimis -: Cons. Stato, 9 febbraio 2011, n. 896).

Nel merito della res controversa, poi, l’Autorità (con deduzione parimenti ritenuta dai primi Giudici esente dalle censure rubricate) ha ritenuto che la copiosa ed univoca documentazione acquisita nella fase istruttoria deponesse in modo del tutto persuasivo – e con un grado di univocità raramente riscontrabile nell’ambito di vicende per loro stessa natura tipicamente caratterizzate da un quadro indiziario lacunoso – nel senso dell’effettiva realizzazione dell’intesa vietata.

In particolare, è stato motivatamente affermato che un rilevante numero di imprese di spedizione (fra cui l’odierna appellante), sotto l’impulso e il coordinamento di alcune di esse, ha realizzato nel corso del periodo che va dal marzo del 2002 all’autunno del 2007, un’intesa unica e continuata restrittiva della concorrenza.

Tale intesa ha avuto ad oggetto il coordinamento delle strategie commerciali tra i principali operatori di quel particolare mercato (coordinamento reso possibile attraverso l’organizzazione di numerosi e regolari incontri, favoriti dal contributo organizzativo della stessa associazione di categoria) e, più in particolare, la realizzazione di un capillare ed articolato sistema di scambio informativo in ordine ai fattori incrementativi dei costi di produzione delle imprese del settore al fine di concordare la realizzazione di aumenti del prezzo dei servizi resi al pubblico, nonché le relative modalità ed entità (punto II.2 del provvedimento impugnato in primo grado).

Sulla base della copiosa documentazione in atti e in base alla condivisibile ricostruzione operata dall’Autorità – e confermata nella sua correttezza di fondo dai primi Giudici - il disegno complessivo e il modello operativo concepito dalle imprese rivestenti il ruolo di capofila (ma sostanzialmente condiviso, attuato e comunque non espressamente contrastato dalle altre imprese coinvolte) consisteva: i ) dapprima, in sede determinativa, nello svolgimento di riunioni e nell’attivazione di diversi contatti fra le imprese partecipanti, volti a definire l’entità degli aumenti dei prezzi, nonché le modalità e i tempi di realizzazione; ii ) successivamente, in sede attuativa, nella capillare diffusione di comunicati stampa, dei verbali delle riunioni e delle circolari associative dai quali era possibile – sia per le imprese del settore, sia per la stessa clientela – desumere l’entità e le caratteristiche degli aumenti concordati.

Allo stesso modo, la sentenza in epigrafe risulta meritevole di conferma laddove ha affermato che, attraverso l’istituzione del meccanismo dinanzi sinteticamente descritto, le imprese partecipanti (le quali – giova osservarlo – rappresentavano cumulativamente una parte del tutto maggioritaria del mercato di riferimento) avevano ritenuto più conveniente sostituire il libero gioco concorrenziale con un più agevole modello di concertazione di carattere informativo e di concertazione delle rispettive politiche di fissazione dei prezzi.

In tale contesto, lo svolgimento di riunioni tematiche in sede associativa a la successiva diffusione di comunicati stampa e circolari finalizzati ad indicare alle imprese del settore i contenuti salienti delle decisioni concordate hanno rappresentato certamente fattori idonei ad influenzare in modo sensibile le politiche dei prezzi delle imprese interessate, limitandone in modo consapevole l’autonomia decisionale ed eliminando nei fatti qualunque profilo di incertezza in ordine alla politica commerciale di ciascun partecipante all’intesa.

Allo stesso modo, la sentenza in epigrafe è meritevole di condivisione per la parte in cui ha ritenuto – confermando in parte qua le deduzioni svolte dall’Autorità - che l’attività concertativa in ordine al livello dei prezzi decisi al livello associativo risultasse di per sé violativa del libero gioco concorrenziale. Ciò in quanto la realizzazione della concertazione sul livello dei prezzi e la successiva, capillare diffusione e comunicazione delle decisioni in tal modo convenute fra le imprese del settore risultava di per sé idonea ad alterare e compromettere l’interazione competitiva fra i concorrenti.

Allo stesso modo, la sentenza in epigrafe è meritevole di conferma laddove ha ritenuto che la consistenza oggettiva dell’oggetto dell’intesa (di per sé volto al perseguimento di un fine anticoncorrenziale) renda inessenziale ai fini del decidere l’esame in ordine al se la medesima intesa abbia altresì sortito nella pratica gli effetti prefissati dai partecipanti (tanto, alla luce dell’articolo 101 del TFUE il quale, con previsione in parte qua analoga a quella di cui all’articolo 2 della l. 287 del 1990) sanziona le intese che abbiano “ per oggetto o per effetto ” quello di impedire, restringere o falsare il libero gioco concorrenziale.

Per ragioni analoghe, il provvedimento impugnato in primo grado (e anche sotto tale aspetto restato indenne dalle censure avanzate in sede giurisdizionale) risulta meritevole di conferma per la parte in cui ha persuasivamente rilevato che risulta irrilevante ai fini del decidere l’eventuale dimostrazione del fatto che l’aumento dei prezzi vi sarebbe comunque stato, quale conseguenza necessitata della dinamica dei costi di produzione nel corso del periodo di riferimento.

Sotto tale aspetto, le valutazioni dell’Autorità risultano esenti dai rubricati profili di illegittimità laddove hanno affermato che ciò che rileva ai fini dell’individuazione degli elementi costitutivi dell’illecito non è l’ineluttabilità degli aumenti, quanto – piuttosto – la comprovata esistenza di un coordinamento volto a concordare le reazioni delle imprese a fronte dei richiamati aumenti dei costi, attraverso la fissazione concordata delle modalità, dell’entità e della tempistica degli aumenti.

Ed ancora, la sentenza in epigrafe ha condivisibilmente affermato (sulla scorta, peraltro, di un cospicuo orientamento giurisprudenziale) che anche la sola partecipazione di un’impresa a una delle riunioni nel corso delle quali erano stati definiti gli elementi dell’intesa vietata, rappresenta un dato che non consente a tale impresa di invocare poi la propria estraneità rispetto alla fattispecie oggetto di sanzione, a meno che essa non si sia manifestamente opposta alla pratica che si andava in modo evidente delineando, ovvero riesca persuasivamente a dimostrare che la sua partecipazione alle riunioni non si sia connotata di alcuno spirito anticoncorrenziale.

4. Tanto premesso sotto l’aspetto generale, il Collegio ritiene quindi possibile passare all’esame puntuale dei singoli motivi di ricorso proposti dalla società appellante.

5. Con il primo motivo di appello (‘ Error in iudicando: perplessità e contraddittorietà della motivazione, omessa ed errata pronuncia sui motivi di ricorso e, in particolare, travisamento del primo motivo di impugnazione, violazione, falsa ed omessa applicazione dell’articolo 2, l. 287 del 1990 e dell’articolo 101 del TFUE – Errore sui presupposti di fatto ’) la soc. I lamenta che erroneamente i primi Giudici abbiano respinto il ricorso di primo grado ritenendo che la sua infondatezza derivasse, nella sostanza, dall’accertamento di una condotta illecita da parte di numerose imprese operanti nel settore del trasporti terrestri su strada.

In tal modo decidendo, i primi Giudici avrebbero travisato le difese della società appellante la quale non aveva affatto negato che fosse stata realizzata un’intesa vietata ai sensi dell’articolo 101 del TFUE, ma – più semplicemente – aveva negato di avervi mai preso parte.

Sotto tale aspetto, la sentenza in epigrafe risulterebbe erronea e meritevole di riforma per non avere i primi Giudici tenuto adeguatamente conto delle seguenti circostanze:

- che, a fronte di ben ventuno riunioni della Sezione Spedizionieri Terrestri di Fedespedi nel corso delle quali si sarebbe delineato e concretato l’illecito contestato, l’odierna appellante avrebbe – a tutto concedere – preso parte a una soltanto di esse;

- che, pertanto, se l’Autorità (e poi il T.A.R.) hanno inteso tracciare un parallelismo fra partecipazione alle riunioni e partecipazione all’intesa, avrebbero poi dovuto coerentemente mandare esente da sanzione l’odierna appellante, atteso che quest’ultima non aveva preso parte attiva alle riunioni in parola (o, al massimo, aveva partecipato a una sola di esse – peraltro ‘su base allargata’ -);

- che non vi è prova in atti di ulteriori elementi (es.: partecipazione all’attività informativa finalizzata alla realizzazione dell’intesa vietata) i quali depongano nel senso di un’attiva partecipazione della società appellante all’intesa contestata;

- che, pertanto, all’appellante non potrebbero essere contestati “ la durata, l’uniformità ed il parallelismo dei comportamenti, gli incontri tra le imprese, gli impegni (…) e le informazioni reciproche ” la cui sussistenza era stata posta dall’Autorità – e poi dai primi Giudici – a fondamento dell’irrogata sanzione;

- che, coerentemente con quanto sin qui esposto, non poteva contestarsi all’appellante neppure una blanda o episodica partecipazione alla condotta vietata – con parallelismo di comportamenti -, dal momento che, semplicemente, all’appellante non poteva essere contestata in alcun modo alcuna condotta vietata. Se altre imprese del settore avevano realizzato tali condotte, la cosa era del tutto ignota all’odierna appellante la quale non disponeva di alcun elemento per dedurre l’esistenza dell’intesa vietata (sotto tale aspetto, quindi, non coglierebbe nel segno neppure il richiamo – operato dall’Autorità prima e dal T.A.R. poi al principio dell’irrilevanza ai fini sanzionatori del numero di riunioni cui ciascuna impresa aveva partecipato);

- che anche ad ammettere (il che comunque viene contestato) che la società appellante avesse preso parte alla riunione del 7 novembre 2006 della Sezione Spedizionieri Terrestri di Fedespedi, ciò non aggiungerebbe alcun elemento a carico dell’appellante, atteso che: a ) dalla convocazione della riunione in questione non emergeva alcun elemento ‘sospetto’ il quale inducesse a ritenere che in quell’occasione si sarebbero discussi comportamenti contrari al diritto antitrust ; b ) pur essendo vero che nel corso della riunione si era ipotizzato un aumento delle tariffe da praticare alla clientela, nondimeno ogni scelta finale era stata rimessa alla libera determinazione di ciascun operatore, senza che venisse imposta qualunque forma di parallelismo di comportamenti.

Inoltre, la sentenza in epigrafe sarebbe meritevole di riforma per non avere i primi Giudici rilevato il carattere del tutto ingiustificato del provvedimento sanzionatorio il quale – per un verso - aveva mandato esenti da sanzione ben diciannove imprese che, pure, avevano partecipato alla sola riunione del 7 novembre 2006 (ritenendo in favore di tali imprese l’insussistenza degli elementi per formulare e poi sostenere l’accusa), mentre – per altro verso – aveva ritenuto inspiegabilmente di sanzionare l’odierna appellante, la cui posizione era del tutto assimilabile a quella delle imprese andate esenti da sanzione.

Con il secondo motivo di appello (‘ Error in iudicando: illogicità e contraddittorietà della motivazione, travisamento dei fatti ed errata pronuncia sui motivi di ricorso e, in particolare, sulla violazione, falsa ed erronea applicazione dell’articolo 2, l. 287 del 1990 e dell’articolo 101 del TFUE e dell’articolo 2, Reg(CE) 1 del 2003, sull’eccesso di potere per manifesta illogicità, contraddittorietà, sull’errore sui presupposti di fatto e travisamento sotto altro profilo e sulla violazione dei princìpi di uguaglianza, parità di trattamento e non discriminazione ’) la società appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto i motivi di ricorso con i quali si era contestato che un qualunque suo rappresentante avesse preso parte alla (sola) riunione del 7 novembre 2006.

Sotto tale aspetto, i primi Giudici avrebbero omesso di considerare:

- che, se è vero che da due dei documenti in atti risulta che per la I partecipasse alla richiamata riunione un tale signor A C, nondimeno ciò non potrebbe in alcun modo deporre a carico della società appellante per la semplice ragione che nella compagine sociale non figura attualmente alcun A C (pur essendo vero che questo è il nome di un ex dipendente della filiale di Verona);

- che, anche ad ammettere (il che viene comunque negato) che il signor A C avesse partecipato alla riunione spendendo poteri rappresentativi comunque riconducibili alla società appellante, ciò non dimostrerebbe alcunché ai fini sanzionatori, dal momento che non emerge in atti alcun elemento il quale deponga nel senso della sussistenza dell’animo concertativo da parte dell’appellante.

5.1. I due motivi in questione, che possono essere esaminati in modo congiunto, non possono trovare accoglimento.

Al riguardo il Collegio si limita ad osservare che l’articolazione del motivo in questione fa riferimento a molteplici aspetti del provvedimento impugnato in primo grado e a motivate deduzioni ivi contenute le quali, in base a quanto fra breve si dirà, risultano esenti dai censurati profili di abnormità ed irragionevolezza.

Allo stesso modo, i motivi di ricorso nella presente sede (ri-)proposti riprendono da vicino il nucleo essenziale di alcune difese già articolate in primo grado e che i primi Giudici hanno ritenuto non meritevoli di accoglimento con argomenti che, per quanto fra breve si esporrà, risultano anch’essi esenti dalle censure articolate in sede di gravame.

5.1.1. Quanto al primo aspetto, il provvedimento impugnato in primo grado aveva già esaminato in modo piuttosto approfondito l’argomento fondato sull’invocata mancata partecipazione all’intesa da parte della società appellante la quale aveva preso parte con un proprio rappresentante alla sola riunione del 7 novembre 2006 (dato, peraltro contestato in relazione alla qualifica del soggetto presente alla riunione – sul punto v. amplis , infra -).

Allo stesso modo, il richiamato provvedimento aveva già esaminato – e ritenuto infondati – gli argomenti basati sull’asserita carenza di potere rappresentativo in capo all’ ex dipendente (signor A C) il quale aveva partecipato alla riunione risultando, tuttavia, dai relativi verbali quale esponente della società appellante.

Quanto al primo aspetto, l’Autorità aveva già persuasivamente osservato (sulla base della documentazione in atti – in particolare: l’appunto acquisito presso Fedespedi in relazione alla riunione del 7 novembre 2006 -) che, sulla base della ricostruzione dell’andamento della discussione svoltasi in quell’occasione, l’intento anticoncorrenziale sotteso al coordinamento delle condotte stabilito fosse talmente evidente da non consentire ad alcuno dei presenti di poter affermare in modo credibile che risultasse poco chiara in quella circostanza la finalità di incidere in modo distorsivo sul libero esplicarsi delle dinamiche concorrenziali.

Al riguardo, al fine di suffragare la non irragionevolezza delle determinazioni assunte, appare sufficiente riportare de extenso alcuni dei passaggi del richiamato appunto, da cui emerge oltre ogni ragionevole dubbio l’impossibilità per un operatore professionale presente alla riunione in questione di non cogliere la valenza chiaramente anticoncorrenziale delle decisioni che in quella sede (riunione su base allargata della sezione spedizionieri terrestri di Fedespedi) si andavano assumendo, delineando altresì in modo chiaro e concreto le modalità attuative dell’intesa raggiunta.

Ebbene, dalla lettura dell’appunto in questione emerge che in sede di riunione si era convenuto quanto segue: “ l'Associazione si farà carico di presentare e spiegare i motivi che determinano la scelta dell'aumento dei prezzi, ma che a tutti gli associati è richiesto di sostenere l'azione che si deciderà di intraprendere. Il presidente chiede se vi è convergenza sulle criticità che sono state evidenziate e chiede di mantenere fisso il punto della discussione valutando le possibili proposte e soluzioni per l'affronto di questa situazione di emergenza. Chiede inoltre se l'assemblea è convinta che vada intrapresa un'azione forte e decisa verso la clientela in materia di aumenti delle tariffe? L'assemblea richiamata conferma di condividere l'analisi della situazione di mercato descritta e ritiene utile intervenire attraverso gli organi di stampa per fare pressioni sul governo (carenze infrastrutturali) e per informare la clientela;
viene richiesto all'Associazione (…) di presentare e dettagliare sulla stampa i problemi che le aziende si trovano a fronteggiare. Viene espresso anche un generale assenso ad intervenire con aumenti sulle tariffe (…), ma che vada definita la forma. (…)

Il Presidente (…) ha quindi tirato le conclusioni di tutto quanto emerso ed è stato deciso in maniera condivisa dall'assemblea quanto segue:

L'Associazione uscirà sulla stampa presentando e descrivendo la situazione di difficoltà del settore e spiegandone i motivi e le problematiche.

NB da valutare se ventilare la possibilità di aumenti delle tariffe.

Per quanto riguarda la forma degli aumenti si è optato per la seconda. La Sezione Spedizionieri Terrestri si riunirà a tal proposito il prima possibile per determinare il range di % per gli aumenti da apportare ai listini secondo tre categorie:

1) groupage;
2) lotti di base;
3) lotti completi.

Successivamente verrà predisposta una comunicazione interna per tutti gli associati che riporterà quanto stabilito dalla Sezione Terrestre. In tal modo gli associati potranno adeguare i loro listini ”.

Il richiamato documento (della cui genuinità, pertinenza, significatività e valenza probatoria non è dato dubitare) testimonia in modo quanto mai eloquente – e in senso del tutto compatibile con l’ulteriore copiosa serie di documenti acquisiti in atti – la sussistenza dell’intesa collusiva, la sua complessiva articolazione, il ruolo riservato a ciascuno dei soggetti coinvolti e le relative modalità di funzionamento.

Ebbene, stante il tenore non equivoco del dibattito svoltosi e delle determinazioni assunte nel corso della più volte richiamata riunione del 7 novembre 2006, non appare in alcun modo credibile che a un’impresa operante in modo professionale nel settore interessato e presente alla riunione possa essere sfuggito il senso ultimo di ciò che si andava delineando e l’evidente matrice anticoncorrenziale delle determinazioni discusse e condivise anche per ciò che riguarda i profili attuativi.

Ed infatti, dal comunicato finale diffuso dall’associazione al termine della riunione del 7 novembre 2006, dagli appunti acquisiti agli atti del procedimento e dalle stesse dichiarazioni di alcune delle imprese coinvolte emerge oltre ogni ragionevole dubbio non solo la sussistenza di un’intesa di carattere orizzontale restrittiva della concorrenza da adottarsi attraverso una pratica concordata volta a determinare l’aumento dei prezzi di vendita, ma anche il carattere evidente, estrinseco e immediatamente percepibile dei caratteri stessi dell’intesa, sì da non consentire a un operatore professionale di poter affermare di non averne in buona fede colto gli elementi essenziali.

5.1.2. Per ragioni in parte analoghe non può essere condiviso l’argomento (invero già articolato in primo grado e disatteso dai primi Giudici) volto a dequotare la fattispecie in questione (o quanto meno la partecipazione fornita dalla società appellante) per il fatto che l’accordo di massima raggiunto in sede associativa lasciava comunque libere le singole imprese in ordine al se allinearsi o meno al concordato aumento dei prezzi.

Al riguardo deve in limine osservarsi che la sussistenza di un articolato e capillare sistema di scambio di informazioni ex se finalizzato a conseguire un coordinamento nella politica tariffaria di imprese altrimenti in concorrenza fra loro risulta di per sé violativo del principio che obbliga le imprese a determinare in modo autonomo la propria politica commerciale, essendo conseguentemente vietati (come correttamente ribadito dai primi Giudici) i contatti tra operatori che abbiano l’effetto di influire sul comportamento tenuto sul mercato da un concorrente reale o potenziale o di rivelare il comportamento che si intende assumere, pregiudicando siffatti contatti il libero dispiegarsi della concorrenza.

Del resto, in base a un consolidato e qui condiviso orientamento (del pari correttamente richiamato dal T.A.R.), ogni operatore economico deve determinare in modo del tutto autonomo la propria condotta reagendo, in base alle regole della concorrenza, al comportamento, constatato o atteso, dei concorrenti, risultando pertanto vietato ogni contatto, diretto o indiretto, tra gli operatori volto ad influenzare il comportamento sul mercato di un concorrente o a mettere al corrente tale concorrente in ordine comportamento che l'impresa stessa abbia deciso di porre in atto (in tal senso – ex plurimis -: CGCE sentenza 16 dicembre 1975 in causa C- 40/73 - Suiker Unie -).

Non viene qui in discussione la libertà per ogni operatore economico di determinare in modo del tutto autonomo la propria politica di prezzi, quanto piuttosto il divieto (che qui risulta disatteso) di realizzare forme di collaborazione volte a stabilire la linea d'azione o eliminare incertezze sul reciproco comportamento (in tal senso: CGCE, sentenza 14 luglio 1972 in causa C-57/69 – Acna -).

Anche in questo caso deve quindi affermarsi che la sussistenza di un’intesa di carattere orizzontale volta in modo illecito a determinare un allineamento fra le politiche tariffarie dei partecipanti concreti ex se quanto necessario per giustificare l’esercizio dei poteri repressivi e sanzionatori da parte della competente Autorità antitrust, laddove l’eventuale mancato o parziale allineamento della singola impresa rispetto alla pratica concordata può – se del caso – rilevare al diverso fine di determinare la gravità dell’illecito e, in via conseguenziale, il corretto quantum sanzionatorio.

5.1.3. Ancora, la sentenza in epigrafe risulta esente dai rubricati motivi di censura laddove ha richiamato e coerentemente applicato il condiviso orientamento giurisprudenziale secondo cui in fattispecie quale quella che qui rileva risulta superfluo, al fine dell’ an della responsabilità, indagare se il singolo partecipante all’intesa abbia avuto un ruolo maggiore o minore, attivo o meramente passivo.

Ed infatti, l'intesa risulta contestabile anche nei confronti di chi si limiti a trarne un vantaggio assumendo un ruolo meramente passivo, dovendosi riconoscere l'esonero da responsabilità solo in caso di dissociazione espressa dall'intesa (in tal senso: Cons. Stato, VI, 20 maggio 2011, n. 3013).

Nel caso di specie può infatti farsi coerente applicazione del principio della c.d. ‘partecipazione passiva’: del principio – cioè - secondo cui, laddove risulti provato che un'impresa abbia partecipato a riunioni durante le quali sono stati conclusi accordi di natura anticoncorrenziale, senza esservisi manifestamente opposta, spetta a tale impresa dedurre indizi atti a dimostrare che la sua partecipazione alle dette riunioni fosse priva di qualunque spirito anticoncorrenziale, dimostrando che essa aveva dichiarato alle sue concorrenti di partecipare alle riunioni in un'ottica diversa dalla loro.

Diversamente, il fatto stesso di approvare tacitamente una iniziativa illecita, senza distanziarsi pubblicamente dal suo contenuto o denunciarla agli organi amministrativi rappresenta una modalità di partecipazione all'intesa, idonea a far sorgere la responsabilità dell’impresa nell’ambito di un unico accordo, anche qualora l'impresa non abbia dato seguito ai risultati di una riunione avente un oggetto anticoncorrenziale (in tal senso: Cons. Stato, VI, 9 febbraio 2011 n. 896).

Risulta, tuttavia in atti che la società appellante non abbia fornito la richiamata prova in contrario, limitandosi – piuttosto – a negare puramente e semplicemente la rilevanza del proprio apporto all’intesa in quanto tale e ad allegare fatti e circostanze ex se inidonee a superare la richiamata inversione dell’onere della prova.

5.1.4. Per quanto riguarda, poi, i motivi di ricorso già articolati in primo grado (e qui puntualmente riproposti) basati sulla non riferibilità della partecipazione del signor A C alla sfera giuridica della società appellante, si osserva che tali deduzioni sono state già esaminate e respinte sia dall’Autorità, sia dai primi Giudici sulla base di considerazioni che non appaiono affette dai vizi rubricati.

In particolare, l’Autorità appellata aveva già condivisibilmente osservato: i ) che la circostanza per cui il signor C fosse un ex dipendente e che non fosse munito di formali poteri rappresentativi non poteva deporre nel senso della non riferibilità della sua attività alla società I; ii ) che in ben due documenti in atti sono state indicate (anche se non formalmente verbalizzate) le presenze dei singoli rappresentanti delle singole imprese alla riunione del 7 novembre 2006 e in entrambi i casi il signor C viene univocamente indicato come rappresentante della società I; iii ) che la documentazione versata in atti da I (da cui emerge che il signor C fosse soltanto il preposto di una delle sedi secondarie della società) non è di per sé idonea ad escludere che la sua attività fosse ancora collegabile alla società appellante all’epoca dei fatti che qui rilevano.

Del pari risultano meritevoli di puntuale condivisione le deduzioni dei primi Giudici i quali hanno affermato che l’assenza di un formale rapporto di rappresentanza in termini civilistici fra la società appellante e il signor C non valga ad escludere (in senso contrario rispetto alle univoche risultanze in atti) che quest’ultimo fosse effettivamente intervenuto alla più volte richiamata riunione quale esponente della I.

E’ stato condivisibilmente osservato al riguardo che, laddove si riguardasse alla questione della spendita dei poteri rappresentativi nell’ambito delle infrazioni antitrust secondo l’approccio formale basato sulla sussistenza di un formale rapporto di mandato con rappresentanza, risulterebbe poi estremamente agevole per le imprese coinvolte in pratiche vietate (e intenzionate a dequotare in termini puramente formali la valenza della propria partecipazione all’intesa) avvalersi dell’ausilio di un soggetto solo formalmente estraneo alla compagine d’impresa per determinare un’agevole quanto surrettizia area di impunità in relazione ai dettami del diritto della concorrenza.

Il che, all’evidenza, renderebbe per un verso estremamente agevole per i partecipanti all’intesa opporre circostanze puramente formali idonee a rendere ancora più vischioso il quadro probatorio di vicende tipicamente caratterizzate da comportamenti clandestini e occulti e, per altro verso, renderebbe sostanzialmente impossibile per l’Autorità la ricostruzione di un quadro probatorio idoneo a supportare in modo adeguato l’accusa di comportamenti anticoncorrenziali.

Sotto tale aspetto (e al fine di confermare in parte qua la condivisibilità di quanto affermato dall’Autorità prima e dal T.A.R. poi) è qui appena il caso di richiamare il consolidato orientamento secondo cui dalla connotazione comportamentale e non formalistica della nozione di ‘intesa’ deriva che la sussistenza dell’accordo anticoncorrenziale non richieda la prova documentale (o altri elementi probatori fondati su dati estrinseci e formali), atteso che la volontà convergente delle imprese volta alla restrizione della concorrenza può essere idoneamente provata attraverso qualsiasi congruo mezzo (in tal senso, ex plurimis : Cons. Stato, VI, 5 marzo 2002, n. 1305).

Allo stesso modo deve qui essere richiamato il consolidato orientamento secondo cui l’esistenza di un parallelismo consapevole dei comportamenti (anche informativi e comunicativi, come nel caso di specie) tenuti dalle imprese di un determinato settore può essere ritenuto indicativo dell’esistenza di un’intesa anticoncorrenziale laddove sussistano indizi gravi, precisi e concordanti i quali testimonino – fra l’altro – l’esistenza di fatti e comportamenti oggettivi (quali contatti e scambi di informazioni) i quali possano rivelarsi come indicativi di una concertazione e di una collaborazione anomala.

In tali casi è del tutto fisiologico che l’onere probatorio in contrario circa l’assenza di un’intesa anticoncorrenziale e circa la mancata partecipazione della singola impresa di tanto accusata gravi in capo all’impresa stessa (in tal senso, ex plurimis : Cons. Stato, VI, 22 marzo 2001, n. 1699).

Ebbene, impostati in tal modo i termini generali della questione, il Collegio ritiene che l’Autorità (con valutazioni congruamente motivate e altrettanto congruamente vagliate dai primi Giudici) abbia fornito elementi sufficienti a supportare l’accusa mossa anche nei confronti della società appellante e che quest’ultima non abbia a propria volta fornito persuasive e piene deduzioni probatorie in senso contrario.

In particolare, dalla documentazione in atti risultano adeguati elementi (stante, peraltro, l’assenza di una prova piena in senso contrario) i quali testimoniano: i ) che il signor C abbia partecipato almeno a una riunione in ambito Fedespedi nel corso della quale erano stati concordati comportamenti collusivi finalizzati al conseguimento dei fini dell’intesa; ii ) che allo stesso, in quanto operatore professionale del settore, non poteva sfuggire il contenuto anticoncorrenziale delle intese raggiunte e delle modalità attuative fissate; iii ) che la richiamata partecipazione era stata svolta dal signor C in qualità di rappresentante della società appellante.

5.1.5. Per ragioni in parte analoghe e comunque connesse rispetto a quelle appena esposte non può trovare accoglimento il motivo di appello con cui si lamenta che la sentenza in questione non abbia apprezzato l’incoerente atteggiamento dell’Autorità la quale avrebbe dapprima tracciato un rigido parallelismo fra la partecipazione alle riunioni e la partecipazione all’intesa, e poi non ne avrebbe tratto le coerenti conseguenze applicative sanzionando in modo impari ed irragionevole alcune soltanto fra le imprese coinvolte (come l’appellante) e mandando esenti da sanzione altre imprese che, pure, avevano posto in essere una condotta del tutto equivalente.

Va premesso al riguardo che, per le ragioni appena esposte, non vi è qui ragione di dubitare: i ) che un rappresentante di I avesse partecipato ad almeno una delle riunioni nel corso delle quali era stato concepito e pianificato il disegno anticoncorrenziale che qui rileva; ii ) che in tale occasione fossero emersi tutti gli elementi per comprendere e apprezzare nella sua oggettiva gravità l’intesa restrittiva della concorrenza; iii ) che, nondimeno, né il rappresentante di I, né la stessa società appellante abbiano, nel corso dell’intera vicenda, adottato le espresse misure di dissociazione che, sole, avrebbero consentito alla società di invocare la propria radicale estraneità al disegno anticoncorrenziale e alla sua attuazione.

Ne consegue che sussistano tutti gli elementi per supportare in modo adeguato l’esercizio del potere sanzionatorio esercitato nei confronti della società appellante e ciò non soltanto sulla base del dato formale ed estrinseco rappresentato dalla partecipazione alla riunione in quanto tale, ma in base al dato sostanziale ed intrinseco inerente la consistenza oggettiva della condotta e la valutazione della sua oggettiva gravità.

Al riguardo è appena il caso di osservare (rinviando al prosieguo ogni approfondimento sul punto) che la ridotta partecipazione della società appellante all’intesa vietata – in termini quantitativi e qualitativi – non rappresenti (contrariamente a quanto ritenuto dalla stessa appellante) un elemento idoneo ad escludere la sussistenza della sua partecipazione e responsabilità, ma costituisca piuttosto un elemento da valutare ai fini della commisurazione della gravità della condotta e, in definitiva, ai fini della corretta determinazione del quantum sanzionatorio (il che, per le ragioni che fra breve si esporranno, è puntualmente accaduto nel caso in esame).

5.1.6. Per le medesime ragioni non può essere in via di principio condiviso il motivo di appello con cui si è reiterata una censura di sostanziale disparità di trattamento con altre imprese le cui condotte sarebbero caratterizzate da un livello di gravità assimilabile a quelle riferibili alla società appellante.

Ciò in quanto, in base a quanto sin qui esposto (e a quanto si esporrà), sussistevano i presupposti e le condizioni per l’esercizio del potere sanzionatorio nei confronti della società appellante e ciò è sufficiente a confermare la correttezza dell’esperito esercizio di tale potere. Al contrario (e anche ad ammettere per mera ipotesi che l’amministrazione abbia erroneamente mandato esenti da sanzione soggetti colpevoli di condotte assimilabili), non può ammettersi in via sistematica che il richiamo al divieto di disparità di trattamento possa paradossalmente rivolgersi in favore di un soggetto del tutto correttamente riconosciuto colpevole.

6. Con il terzo motivo di appello (‘ Error in iudicando: illogicità e contraddittorietà della motivazione, travisamento dei fatti ed errata pronuncia sui motivi di ricorso e, in particolare, sulla violazione, falsa ed erronea applicazione dell’articolo 2, l. 287 del 1990 e dell’articolo 101 del TFUE, sull’eccesso di potere per manifesta illogicità, contraddittorietà, sull’errore sui presupposti di fatto e travisamento sotto altro profilo e sulla violazione dei princìpi di uguaglianza, parità di trattamento e non discriminazione, nonché sull’eccesso di potere sotto il profilo della erronea e contraddittoria individuazione del mercato rilevante. Perplessità ’) la società appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui ha respinto il motivo di ricorso con cui si era sottolineato il dato della partecipazione (peraltro, non pacifica) dell’appellante a una sola riunione.

Con l’argomento già proposto in primo grado – e qui puntualmente riproposto – la I, prendendo le mosse da tale episodica partecipazione, espone un’alternativa secca:

- o l’odierna appellante avrebbe dovuto essere del tutto esentata da qualunque sanzione (al pari di altre imprese che, allo stesso modo, avevano partecipato a una sola delle contestate riunioni in ambito Fedespedi)

- oppure (nel caso in cui la partecipazione anche a una sola riunione vada intesa ex se come un indice di partecipazione alla condotta illecita) l’accusa avrebbe dovuto essere estesa a tutte le imprese che avevano partecipato anche a una sola riunione. E, sotto tale aspetto, l’accusa non potrebbe restare limitata alle sole imprese di spedizione, ma dovrebbe essere estesa (non emergendo alcuna ragione in senso contrario) anche alle imprese di autotrasporto le quali – al contrario – sono state dai primi Giudici tenute esenti da sanzione in quanto ritenute estranee alla condotta vietata. Ma se si amplia il novero delle imprese coinvolte nella condotta sanzionata, deve conseguentemente essere ridotto il grado di offensività della condotta contestata a ciascuna delle imprese coinvolte (fra cui – a torto – l’odierna appellante).

6.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

6.1.1. Si sono già esposte retro, sub 5 le ragioni per cui devono ritenersi accertate in atti: i ) la partecipazione della società I alla riunione del 7 novembre 2006 per il tramite del signor A C; ii ) la significatività di tale partecipazione al fine di affermare che la società appellante fosse responsabile delle conseguenze dell’intesa anche in termini di partecipazione passiva e di mancata dissociazione rispetto alla pratica vietata, a lei nota nei suoi caratteri costitutivi.

Si è anche osservato che il carattere episodico della partecipazione della I alle riunioni in ambito associativo e il suo coinvolgimento in ipotesi marginale all’intesa in quanto tale possono, se del caso, rilevare ai fini della concreta commisurazione della sanzione (sul punto si tornerà fra breve), ma non anche ai fini di escludere in radice la responsabilità della società appellante, non essendo emerse agli atti ragioni idonee a determinare tale esclusione.

Si è inoltre osservato che, quand’anche si ammettesse che l’Autorità abbia erroneamente mandato esenti da sanzioni operatori colpevoli di comportamenti gravi quanto quelli riferibili all’appellante, ciò dovrebbe – se del caso – indurre a sanzionare anche tali ulteriori operatori e non anche a mandare esente da sanzioni un operatore (quale la società appellante) nei cui confronti sono stati correttamente individuati gli elementi costitutivi della condotta meritevole di sanzione.

Le ragioni dinanzi esposte e qui richiamate risultano di per sé idonee a determinare la reiezione del motivo di appello in esame.

6.1.2. Ma ai limitati fini che qui rilevano il Collegio osserva che non può trovare accoglimento neppure il motivo di appello con il quale si lamenta che l’Autorità (e in seguito il T.A.R.) abbiano omesso di apprezzare il ruolo che, nell’economia dell’intera vicenda, avrebbero rivestito gli autotrasportatori (essendosi al contrario l’attenzione dell’Autorità concentrata sul ruolo e sull’attività degli spedizionieri).

Ora, dall’esame del motivo in questione non emerge con chiarezza

a ) se la sua articolazione sia volta a censurare un possibile errore nell’individuazione del mercato rilevante e delle imprese attive in tale mercato (il che, a ben vedere, laddove provato si riverbererebbe sulla sussistenza di un elemento costitutivo dell’illecito in quanto tale) ovvero

b ) se l’articolazione di tale motivo sia piuttosto volta a censurare un possibile errore nell’apprezzamento della gravità relativa del comportamento censurato (il che, laddove provato, rileverebbe al diverso fine di apprezzare la gravità della condotta contestata e, in ultima analisi, sulla corretta determinazione del quantum sanzionatorio).

6.1.2.1. Ad avviso del Collegio, la prima delle richiamate prospettazioni assume un carattere evidentemente assorbente rispetto alla seconda.

Si intende con ciò dire che, laddove risultasse dimostrato che l’Autorità abbia effettivamente errato nell’individuare il mercato rilevante (nonché la platea degli operatori che in tale mercato agiscono, secondo la prospettazione sub a)), ciò si riverbererebbe in modo viziante sulla stessa individuazione da parte dell’Autorità degli elementi costitutivi dell’illecito (palesandone la radicale insussistenza) e non solo sulla gravità dello stesso.

Il Collegio ritiene tuttavia che il lamentato errore nell’individuazione del mercato rilevante ai sensi dell’articolo 2 della l. 287 del 1990 e di cui all’articolo 101 del TFUE non sussista.

Al riguardo risulta dirimente il richiamo (correttamente operato dalla stessa Autorità nel provvedimento impugnato in primo grado e condivisibilmente ripreso dai primi Giudici) al consolidato orientamento secondo cui nelle ipotesi aventi ad oggetto intese restrittive della concorrenza la definizione del mercato è essenzialmente funzionale all’individuazione dei caratteri del contesto in cui si inquadra il comportamento collusivo fra le imprese coinvolte, atteso che è proprio il contenuto e l’ambito di tale coordinamento ad individuare e delimitare il mercato rilevante.

Come a più riprese chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, nelle ipotesi di cui all’articolo 2, cit., l’individuazione e la definizione del mercato rilevante è successiva rispetto all’individuazione dell’intesa nei suoi elementi oggettivi in quanto sono l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa a circoscrivere il mercato su cui l’abuso è commesso. Vale a dire che la definizione dell’ambito merceologico, operativo e territoriale in cui si manifesta un coordinamento fra imprese concorrenti e si realizzano gli effetti derivanti dall’illecito concorrenziale risulta funzionale alla decifrazione del grado di offensività dell’illecito (in tal senso – ex plurimis -: Cons. Stato, VI, 10 marzo 2006, n. 1271;
id., VI , 16 marzo 2006, n. 1397).

La giurisprudenza di questo Consiglio ha altresì avuto modo di chiarire la rilevante peculiarità che contraddistingue l’individuazione del mercato rilevante nel caso delle intese vietate rispetto all’analoga operazione di individuazione nel caso di ulteriori e diverse figure di illecito antitrust .

Si è in particolare chiarito che la valenza dell’identificazione del mercato rilevante nel giudizio in materia antitrust deve essere diversamente calibrata in reazione alla natura dell’illecito contestato (Cons. Stato, VI, 8 febbraio 2008, n. 424).

L’individuazione del mercato di riferimento è funzionale al tipo di indagine da svolgere: in ipotesi di un’operazione di concentrazione, l’accertamento della posizione dominante di un’impresa sul mercato dipende strettamente dalla struttura dell’impresa oggetto dell’indagine;
mentre con riferimento ad un caso di intesa restrittiva della concorrenza, l’individuazione del mercato è invece funzionale alla delimitazione dell’ambito nel quale l’intesa può restringere o falsare il meccanismo concorrenziale (TPG, sentenza 21 gennaio 1995 in causa T-29/92).

Ne consegue che, in caso di abuso di posizione dominante la delimitazione del mercato di riferimento inerisce ai presupposti del giudizio sul comportamento che potrebbe essere anticoncorrenziale (posto che occorre preventivamente accertare l'esistenza di una dominanza nel mercato stesso), mentre nella materia delle intese detta operazione rileva in un momento successivo dal punto di vista logico, quello dell’inquadramento dell'accertata intesa nel suo contesto economico giuridico, in modo che l’individuazione del mercato non appartiene più alla fase dei presupposti dell'illecito, ma è funzionale alla decifrazione del suo grado di offensività (Cons. Stato, VI, sent. 424 del 2008, cit.).

6.1.3. Ebbene, riconducendo i principi appena richiamati alle peculiarità del caso in esame, si osserva che in base a quanto correttamente rilevato dall’Autorità (e confermato dai primi Giudici con deduzioni meritevoli di conferma) le riunioni nel cui ambito si è realizzato il coordinamento degli aumenti di prezzo e quindi l’intesa vietata coinvolgevano spedizionieri internazionali via terra italiani, riuniti nella Sezione spedizionieri terrestri dell’associazione Fedespedi e che l’oggetto degli accordi collusivi era rappresentato dagli incrementi di prezzo delle spedizioni internazionali via terra da e per l’Italia da parte degli spedizionieri italiani.

Tale rilievo risulta di per sé dirimente al fine di confermare la correttezza nell’individuazione del mercato rilevante da parte dell’Autorità (limitato ai soli operatori spedizionieri terrestri) anche per ciò che riguarda l’apprezzamento del grado di offensività e della gravità della condotta ascritta a ciascun partecipante all’intesa.

6.2. Pertanto, anche il terzo motivo di appello non può trovare accoglimento.

7. Con il quarto motivo di appello (‘ Illogicità e contraddittorietà della motivazione, travisamento di fatti ed errata pronuncia sui motivi di ricorso e, in particolare, sulla violazione, falsa ed omessa applicazione degli artt. 2 e 31 della l. 287 del 1990, del Reg(CE) n. 1 del 2003, degli ‘Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a) del Reg(CE) n. 1 del 2003’ contenuti nella comunicazione della Commissione 2006/C/210/02, nonché dell’articolo 1, l. 689 del 1981 e sull’eccesso di potere nella determinazione della sanzione ’) la società I chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte relativa alla commisurazione della sanzione (che i primi Giudici, nell’esercizio della giurisdizione di merito di cui all’articolo 134, comma 1, lettera c) del cod. proc. amm., hanno ridotto nella misura del 15 per cento – da euro 324.465 a euro 254.937,10).

Al riguardo l’appellante osserva:

- che i primi Giudici non abbiano tenuto adeguatamente conto del quadro probatorio che emergeva dagli atti di causa, la cui consistenza oggettiva avrebbe certamente dovuto indurre a mandare esente da sanzione la società appellante, la quale aveva adeguatamente provato la propria estraneità rispetto all’intesa vietata;

- che la sentenza in epigrafe è certamente erronea per la parte in cui ha affermato che sarebbe piuttosto spettato all’appellante di fornire la prova piena in ordine alla propria estraneità ai fatti contestati;

- che, comunque, la sentenza in epigrafe (con cui è stata comunque disposta una riduzione pari al 15 per cento della sanzione inizialmente irrogata) non avrebbe comunque tenuto conto del fatto che anche la sanzione così rideterminata manifestava un atteggiamento “ incongruo, irragionevole, sperequato e, per tale verso illegittimo ”;

- che, in definitiva, anche l’importo rideterminato nel’inferiore misura di euro 254.937,10 risultava “ smisurato e del tutto ingiustificato ” se posto in comparazione con l’oggettiva gravità della condotta contestata e con il più favorevole trattamento riservato ad altre imprese cui erano state contestate condotte parimente gravi o, addirittura, notevolmente più gravi.

7.1. Il motivo in parola deve essere esaminato congiuntamente con l’appello incidentale proposto con l’Autorità in quanto anche tale strumento di impugnazione risulta rivolto avverso il capo della sentenza che ha determinato in concreto la sanzione da irrogare alla società appellante (sia pure, sotto un angolo visuale opposto rispetto a quello della società appellante).

Secondo l’Autorità, in particolare, nel rideterminare il quantum sanzionatorio, i primi Giudici avrebbero omesso di fornire un’adeguata motivazione in ordine alle ragioni effettive che inducevano ad adottare tale più favorevole approccio, nonostante l’Autorità avesse già adeguatamente tenuto conto del ridotto apporto offerto da I alla condotta vietata in sede di determinazione della sanzione.

Ancora, la scelta dei primi Giudici di rideterminare in senso ulteriormente favorevole il quantum sanzionatorio riservato ad I (il quale si attestava già nella ragionevole misura dello 0,6 per cento circa del fatturato complessivo di impresa) paleserebbe profili di irragionevolezza e contraddittorietà rispetto alla finalità – parimenti annunciata dai primi Giudici – di assicurare un adeguato livello di proporzionalità fra la condotta contestata e la sanzione in concreto irrogata.

7.2. Il Collegio ritiene che sia il quarto motivo dell’appello principale, sia l’unico motivo dell’appello incidentale siano infondati e debbano essere respinti.

7.2.1. Si osserva in particolare che i primi Giudici abbiano utilizzato in modo esente da profili di irragionevolezza ed abnormità e – in ultima analisi – in maniera condivisibile delle prerogative e dei poteri esercitabili in sede di determinazione delle sanzioni pecuniarie nelle ipotesi di giurisdizione estesa al merito di cui all’articolo 134, comma 1, lettera c) del cod. proc. amm.

Ora, in sede di determinazione iniziale del quantum sanzionatorio l’Autorità aveva espressamente richiamato le pertinenti disposizioni normative (articolo 11 della l. 689 del 1981 per come richiamato dall’articolo 31 della l. 287 del 1990), nonché la Comunicazione della Commissione europea 2006/C 210/02 – ‘ Orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, par. 2, lettera a) del Regolamento (CE) n. 1/2003 ’.

In particolare, per ciò che riguarda il carattere di gravità dell’infrazione nei suoi tratti generali ( i.e .: in relazione al comportamento complessivamente e collettivamente realizzato dalle imprese partecipanti) l’Autorità aveva statuito che, in considerazione delle modalità, durata e condizioni di realizzazione dell’illecito, sussistessero ragioni adeguate per collocare la misura della sanzione su un valore elevato nell’ambito della potenziale ‘forcella’ sanzionatoria.

Ancora, richiamando i dettami di cui agli ‘Orientamenti’ comunitari del 2006, l’Autorità ha calcolato l’importo di base della sanzione da applicare a ciascun partecipante facendo riferimento al valore delle vendite e dei servizi cui l’infrazione si riferisce (ossia, il fatturato realizzato da ciascuna impresa coinvolta in Italia nel settore di attività in questione e nell’ultimo anno intero in cui l’infrazione si è realizzata – per quanto riguarda la società appellante si è preso in considerazione l’anno 2005 -).

In considerazione, poi, del fatto che alla società appellata veniva imputata la partecipazione a una sola riunione, l’Autorità aveva preso in considerazione una durata pari a sei mesi (la quale rappresenta il periodo minimo imputabile ai fini del calcolo della sanzione ai sensi dei richiamati orientamenti comunitari).

7.2.2. Per quanto concerne la posizione della società appellante, quindi, il valore di base della sanzione è stato fissato applicando la percentuale del 5 per cento del valore del fatturato per i servizi cui l’infrazione fa riferimento e applicando a tale valore il fattore moltiplicatore di 0,5 (in ragione della durata meno che annuale della condotta contestata).

Ai fini della concreta quantificazione della sanzione, l’Autorità aveva poi applicato in favore della società appellante (e sulla base di un iter logico nel suo complesso persuasivo) la circostanza attenuante consistente nella partecipazione marginale all’illecito (secondo la formula della ‘ partecipazione meno assidua o meno idonea a produrre effetti ’), procedendo a una riduzione del 30 per cento dell’importo base della sanzione riferibile all’odierna appellante.

7.3. Ebbene, nel valutare (in sede di giurisdizione di merito) la correttezza e congruità della quantificazione della sanzione irrogata alla società appellante, i primi Giudici hanno persuasivamente e ponderatamente operato come segue:

- hanno confermato la complessiva condivisibilità delle operazioni che avevano condotto alla fissazione dell’importo di base della sanzione (rilevando la coerente applicazione che l’Autorità aveva fatto degli ‘Orientamenti’ comunitari del 2006);

- hanno ritenuto che, in sede di determinazione dell’importo di base della sanzione, l’Autorità si fosse correttamente attestata su un valore basso del possibile range determinativo (5 per cento del valore delle vendite rilevante su un massimo possibile di 30). Al riguardo i primi Giudici hanno condivisibilmente osservato che la scelta di attestarsi su un valore basso del possibile range sanzionatorio risultasse giustificata in base alla scelta dell’Autorità di non procedere ad effettuare ulteriori valutazioni in ordine al grado di attuazione degli accordi e alla produzione del relativi effetti (esame che, laddove effettuato, avrebbe potuto indurre ad adottare una risposta in termini sanzionatori di carattere maggiormente afflittivo);

- hanno osservato che la scelta di riconoscere un abbattimento pari a solo il 30 per cento della sanzione di base quale effetto del riconoscimento dell’attenuante della ridotta partecipazione non risultasse adeguatamente motivato e comunque non risultasse adeguato rispetto alla consistenza in termini oggettivi della condotta contestata in capo alla società odiernamente appellante.

7.3.1. Quanto al primo aspetto, il T.A.R. ha osservato che risultasse ‘oscuro’ il criterio in base al quale l’Autorità aveva tenuto conto del diverso grado di rilevanza delle singole circostanze aggravanti e attenuanti ai fini della determinazione concreta della sanzione, in assenza di espliciti criteri di ‘pesatura’ che invero potevano essere dedotti solo in modo indiretto dalle tabelle inserite nel provvedimento sanzionatorio - in particolare: Tabelle 6 e 7 -).

7.3.2. Per quanto riguarda, poi, il secondo aspetto (che è quello che maggiormente rileva ai fini del presente appello), i primi Giudici hanno ritenuto che prevalenti ragioni di convenienza e opportunità deponessero nel senso di riconoscere un ulteriore abbattimento del quantum sanzionatorio per come risultante dall’applicazione dei richiamati criteri nella misura di un ulteriore 15 per cento.

Al riguardo il Tribunale ha persuasivamente osservato che la scelta iniziale dell’Autorità di fissare tale abbattimento nella sola misura del 30 per cento non tenesse adeguatamente conto dell’oggettiva marginalità dell’apporto della società I nell’ambito dell’intesa e del fatto che alla stessa fosse stata, in ultima analisi, contestata la partecipazione a una sola riunione.

7.4. Ad avviso del Collegio l’iter logico seguito dai primi Giudici ai fini della (ri-)determinazione del quantum sanzionatorio risulta nel suo complesso persuasivo e convincentemente calato nelle peculiarità della complessiva vicenda di causa.

In particolare, la scelta di disporre un’ulteriore riduzione del 15 per cento dell’importo già fissato dall’Autorità in applicazione della circostanza attenuante riconosciuta all’appellante sembra operare una ponderata e adeguata sintesi fra tutte le circostanze rilevanti, con la conseguenza che non possano trovare accoglimento: a ) né la richiesta della società I (volta ad ottenere un’ulteriore riduzione del quantum sanzionatorio); b ) né la richiesta dell’Autorità (volta a ripristinare l’entità della sanzione nella misura inizialmente irrogata).

7.4.1. In particolare, per quanto riguarda i motivi proposti dalla società I, non può essere in primis condiviso l’argomento secondo cui i primi Giudici non avrebbero tenuto adeguatamente conto del quadro probatorio in atti di causa, la cui consistenza avrebbe dovuto indurre a mandare esente da sanzione la società appellante.

Sotto tale aspetto ci si limita ad osservare che il motivo in questione non sembra innestarsi sulla questione del quantum sanzionatorio, quanto – piuttosto – sulla diversa questione della riferibilità alla stessa appellante di una responsabilità in termini di illecito anticoncorrenziale.

Si tratta, tuttavia, di una questione che è stata già compiutamente esaminata retro , sub 5, ragione per cui ci si limita qui a rinviare a quanto in precedenza esposto e a confermare l’infondatezza in parte qua delle deduzioni della società appellante.

7.4.2. Neppure può essere condiviso l’argomento secondo cui la sentenza in epigrafe risulterebbe erronea per avere affermato che sarebbe spettato all’appellante di fornire la prova piena in ordine alla propria estraneità ai fatti contestati.

Si tratta anche in questo caso di una questione (quella relativa alla distribuzione dell’ onus probandi nell’ambito dei procedimenti antitrust) già esaminata retro , sub 5 e che è stata già risolta nel senso dell’infondatezza in parte qua delle deduzioni svolte dalla società appellante.

7.4.3. Né può essere condiviso l’argomento secondo cui la sanzione rideterminata con la sentenza in epigrafe manifesterebbe un atteggiamento “ incongruo, irragionevole, sperequato e, per tale verso illegittimo ”.

A tacer d’altro - e pure a fronte di un’aggettivazione di non usuale virulenza -, si osserva che l’argomento in questione si basa piuttosto su sostanziali petizioni di principio che non su argomenti effettivamente calati sull’oggettiva realtà dei fatti. Ad ogni modo, per le ragioni dinanzi esposte (e in senso opposto rispetto a quanto dedotto dalla appellante), questo Giudice di appello ribadisce che il complessivo bilanciamento operato dai primi Giudici in sede di rideterminazione della sanzione abbia tenuto adeguatamente conto di tutte le circostanze del caso e che non appaia meritevole di ulteriori misure correttive in un senso o nell’altro.

7.5. Per ragioni del tutto analoghe a quelle appena evidenziate non può essere accolto l’appello incidentale proposto dall’Autorità la quale ha rilevato che l’ammontare rideterminato della sanzione paleserebbe profili di irragionevolezza e contraddittorietà rispetto alla proposta finalità di assicurare un adeguato livello di proporzionalità fra la condotta contestata e la sanzione in concreto irrogata.

Anche sotto tale aspetto ci si limita ad osservare che il proposto motivo di censura non risulta correlato ad effettive circostanze in fatto o in diritto, ma sembra piuttosto ridursi a una sorta di petizione di principio con la quale si tenta (invero, senza conseguire lo scopo) di revocare in dubbio che la ponderazione operata dai primi Giudici sia pervenuta a risultati adeguati in punto di convenienza ed opportunità della risposta sanzionatoria in relazione alle peculiarità del caso di specie.

8. Per le ragioni sin qui esposte l’appello principale e l’appello incidentale devono essere respinti.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti, anche in considerazione della complessità e peculiarità delle vicende di causa e della reciproca parziale soccombenza.

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