Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-09-13, n. 202106256

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2021-09-13, n. 202106256
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202106256
Data del deposito : 13 settembre 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/09/2021

N. 06256/2021REG.PROV.COLL.

N. 02981/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2981 del 2013, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato C R, con domicilio eletto presso lo studio di questi in Roma, viale delle Milizie, n. 9

contro

il Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ope legis in Roma, via dei Portoghesi, n. 12

per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il -OMISSIS-, sede -OMISSIS-, sezione -OMISSIS--OMISSIS-, n. -OMISSIS-.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

visti l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa;

visti tutti gli atti della causa;

relatore il consigliere Francesco Frigida nell’udienza pubblica del giorno 2 marzo 2021, svoltasi con modalità telematica, e udito per parte appellante l’avvocato C R;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’odierno appellante – all’epoca dei fatti di causa -OMISSIS-– ha proposto il ricorso di primo grado n. -OMISSIS- dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il -OMISSIS-, sede -OMISSIS-, avverso il decreto del Ministero della difesa n. -OMISSIS-, con cui è stata disposta la sua rimozione dal grado per motivi disciplinari, nonché contro ogni altro atto, connesso, presupposto e conseguenziale, previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale degli articoli 37 e 61, comma 2, della legge n. 599/1954.

1.1. Il Ministero della difesa si è costituito nel giudizio di primo grado, resistendo al ricorso.

2. Con l’impugnata sentenza n. -OMISSIS-, il T.a.r. per il -OMISSIS-, sede -OMISSIS-, sezione -OMISSIS- -OMISSIS- , ha respinto il ricorso e ha condannato il ricorrente al pagamento, in favore dell’amministrazione statale, delle spese lite, liquidate in euro 2.000.

3. Con ricorso ritualmente notificato e depositato – rispettivamente in data 22/23 marzo 2013 e in data 20 aprile 2013 – la parte privata ha interposto appello avverso la su menzionata sentenza, articolando quattro motivi.

4. Il Ministero della difesa si è costituito in giudizio.

5. In vista dell’udienza di discussione, l’appellante ha depositato svariati documenti, memoria, in cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso e, in particolare, del primo e del terzo motivo, nonché memoria di replica.

6. La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza pubblica del 2 marzo 2021, svoltasi con modalità telematica.

7. L’appello è infondato e deve essere respinto alla stregua delle seguenti considerazioni in fatto e in diritto.

8. In limine litis , il Collegio osserva che la denuncia del Ministero dell’economia e delle finanze, depositata in atti dalla parte privata il 29 gennaio 2021, pur inerendo in parte alla vicenda oggetto di causa, non ha rilievo nel presente giudizio, siccome riguardante il difensore dell’interessato nel contesto della procedura amministrativa finalizzata al riconoscimento della causa di servizio in favore dell’odierno appellante, mentre in questa sede si discute della diversa questione della legittimità della sanzione disciplinare della rimozione con perdita del grado.

9. Mediante la -OMISSIS-doglianza l’appellante ha censurato la sentenza gravata nella parte in cui il T.a.r. ha dichiarato infondato il motivo con cui il ricorrente aveva lamentato la perenzione dei termini del procedimento disciplinare.

Siffatta contestazione è infondata. Ed invero, come correttamente puntualizzato dal collegio di primo grado, la data di effettiva conoscenza, da parte dell’amministrazione, della sentenza della Corte militare d’appello, sezione seconda, n. -OMISSIS-, divenuta irrevocabile dal -OMISSIS-a seguito di rigetto del ricorso per cassazione (e con cui l’odierno appellante è stato condannato a tre mesi di reclusione militare, sostituita dalla reclusione di uguale durata, siccome in congedo assoluto, e ulteriormente sostituita con sei mesi di libertà controllata), « deve intendersi quella del 7 aprile 2010, così come si evince dal timbro, per copia conforme, apposto in calce alla suddetta sentenza da parte della cancelleria », sicché l’amministrazione militare, con l’adozione del decreto di rimozione del 10 dicembre 2010, ha concluso il procedimento disciplinare nel rispetto del termine di duecentosettanta giorni (costituito dalla somma dei termini recati all’art. 9, comma 2, della legge n. 19/1990 di centottanta giorni per l’inizio del procedimento e di novanta giorni per la sua conclusione).

La precedente conoscenza a cui ha fatto riferimento l’appellante mediante alcuni riscontri documentali non è sufficiente ad integrare il requisito della piena conoscenza del testo integrale della sentenza.

In proposito si evidenzia che non sussiste la lamentata violazione dell’art. 9, comma 2, della legge n. 19/1990 (norma dettata per i dipendenti pubblici in generale), in quanto il riferimento di tale disposizione alla « notizia della sentenza irrevocabile di condanna » va inteso come piena conoscenza del testo integrale e ufficiale della sentenza (cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 27 giugno 2011, n. 3853;
Consiglio di Stato sezione VI, decisione 15 dicembre 2010, n. 8918;
Consiglio di Stato, sezione IV, decisione 18 marzo 2008, n. 1143;
Consiglio di Stato, sezione IV, decisioni 6 agosto 2002, n. 4099, e 27 settembre 1996, n. 1061);
tale approdo ermeneutico è stato successivamente normativizzato per la definizione del procedimento disciplinare di stato dei militari tramite l’articolo 1392 del decreto legislativo n. 66/2010 ( Codice dell’ordinamento militare ).

Dunque rileva una conoscenza giuridicamente certa, che può derivare solo dall’acquisizione di copia conforme della sentenza, completa dell’attestazione di irrevocabilità, mentre non vi è alcun un termine entro cui l’amministrazione debba provvedere all’acquisizione documentale, dipendente, tra l’altro, dai tempi necessari alle cancellerie degli uffici giudiziari per evadere le richieste. Deve quindi ritenersi che il dies a quo dei termini inizio e di conclusione dell’azione disciplinare coincida con il momento in cui l’amministrazione ha avuto a disposizione ufficialmente il testo integrale della sentenza penale, completa della parte motiva. Soltanto la conoscenza integrale della sentenza da parte dell’amministrazione, infatti, segna l’inizio della decorrenza del termine, di natura perentoria, per la definizione del procedimento disciplinare di stato. Tale termine è stabilito per consentire ai competenti organi amministrativi di avere un’esatta cognizione dei fatti accertati in sede penale e, dunque, la finalità della disposizione de qua , con ogni evidenza, risiede nell’esigenza che l’esercizio del potere disciplinare, fin dalla sua fase genetica, sia assistito dalla piena cognizione della consistenza e della qualità dei fatti ascritti al dipendente in sede penale, nonché del complesso di circostanze acquisite al giudizio, conclusosi con sentenza definitiva di condanna.

10. Tramite la seconda censura la parte privata ha contestato il rigetto, da parte del T.a.r., dell’istanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la lamentata incostituzionalità degli articoli 37 e 61, comma 2, della legge n. 599 del 1954 nella parte in cui non riconoscono ai sottufficiali in congedo assoluto, poiché permanentemente inidonei al servizio d’istituto, la non assoggettabilità al procedimento disciplinare di stato, nonché la conservazione dei diritti quesiti, in relazione all’art. 56, comma 1, della predetta legge, secondo cui « il sottufficiale in congedo assoluto non ha obblighi di servizio ».

Tale motivo è infondato, poiché non appare palesemente illogica e foriera di disparità di trattamento una disciplina legislativa che preveda la sanzione della perdita del grado per rimozione anche nei confronti del militare in congedo assoluto per infermità per fatti antecedenti alla dispensa dal servizio, atteso che il congedo si basa su un preesistente status di militare che ne rappresenta il presupposto indefettibile e che, qualora venga successivamente a difettare, non può che travolgere anche il congedo per infermità, con la conseguenza che il militare accederà al normale regime pensionistico militare anziché a quello militare per infermità. Va altresì sottolineato che una differente e opposta disciplina legislativa condurrebbe ad una illogica elisione del potere sanzionatorio dell’amministrazione anche in relazione a gravi condotte perpetrate antecedentemente al sorgere dell’infermità.

11. Con il terzo motivo d’impugnazione l’appellante ha sostenuto l’erroneità della gravata sentenza, laddove il T.a.r. ha considerato proporzionale la sanzione disciplinare inflitta al militare al disvalore della condotta penalmente rilevante.

Questa doglianza è infondata.

Al riguardo, premesso che la sentenza penale che accerta la sussistenza di determinati fatti ha efficacia nel giudizio disciplinare che si fondi sui fatti medesimi, con la conseguenza l’amministrazione, nel procedere disciplinarmente, non può operare una ricostruzione dei fatti che si ponga in termini diversi da quella accertata dal giudicato penale, si osserva che nel caso di specie non è stato violato il principio di proporzionalità, per l’avvenuta irrogazione della massima sanzione disciplinare, costituita dalla perdita del grado. Ed infatti il procedimento disciplinare trae origine da una condanna in sede penale militare per i reati militari di insubordinazione con ingiuria (art. 189 del codice penale militare di pace) e di diffamazione (art. 227 del predetto codice), uniti dal vincolo di continuazione, in relazione ad azioni perpetrate con tre episodi nei giorni -OMISSIS-, 2-OMISSIS- e -OMISSIS-, che integra una condotta obiettivamente grave per un militare appartenente all’Arma dei carabinieri, nonché reiterata, la cui particolare negativa rilevanza è stata descritta nel decreto di rimozione attraverso una motivazione congrua e ragionevole, che peraltro non doveva necessariamente contenere una meticolosa confutazione di tutte le controdeduzioni prospettate dall’interessato.

Segnatamente nel decreto di rimozione si è rappresentato che il vertice militare ha condiviso le conclusioni della commissione di disciplina circa la proposta di rimozione con perdita del grado, « in quanto l’inquisito è venuto ai doveri di lealtà e correttezza assunti con il giuramento prestato e ha evidenziato carenza di qualità morali e di carattere avendo, con la propria condotta, leso profondamente quei principi di moralità e rettitudine che devono sempre caratterizzare il comportamento di un militare, anche se ora in congedo, specie se appartenente all’Arma dei carabinieri ».

In sostanza, i fatti contestati all’appellante sono di notevole gravità, in quanto non sono stati episodici, ma ripetuti, conclamati e pubblici e hanno evidenziato il mancato rispetto della gerarchia e delle persone dei superiori da parte dell’interessato;
non vi è, quindi, una sproporzione tra tali fatti, penalmente accertati e disciplinarmente rilevanti, e la sanzione irrogata.

Sul punto va precisato che l’amministrazione militare, nel rispetto delle norme procedimentali e sostanziali, ha esercitato motivatamente e congruamente la propria discrezionalità tecnica nella valutazione della gravità della condotta, sicché, in assenza di una macroscopica illogicità o di un’erroneità fattuale, il giudice amministrativo non può sostituire una propria diversa valutazione a quella effettuata dalla pubblica amministrazione.

Ciò posto, il Collegio reputa che le circostanze addotte dall’appellante per mitigare la propria posizione (gravi problemi di salute di rilevo anche psichiatrico, condotte persecutorie subite sul luogo di lavoro, non eccessiva gravità della pena comminata in sede penale militare) non abbiano un’incidenza tale da poter impingere sulla legittimità della sanzione, siccome non ridondano in emergenze idonee a manifestare una palese irragionevolezza e contraddittorietà della decisione del Ministero della difesa.

Non può inoltre assumere rilievo la guida tecnica alle sanzioni disciplinari emanata dal Ministero della difesa nel 2014, richiamata dall’appellante in memoria, in quanto, con valore assorbente e anche a voler prescindere dalla sua natura non normativa e solo d’indirizzo, essa è successiva al provvedimento amministrativo contestato.

Né è dirimente il richiamo all’art. 29, comma 2, del codice penale militare di pace, svolto sempre in memoria dall’appellante, dove si prevede che « La condanna alla reclusione militare, salvo che la legge disponga altrimenti, importa la rimozione quando è inflitta per durata superiore a tre anni », poiché siffatta disposizione introduce un automatismo, salvo deroghe legislative, tra le condanne penali sopra una certa soglia e la rimozione, ma non esclude, né rende irragionevole la rimozione a fronte di condanne a pene inferiori alla predetta soglia, come nel caso di specie.

Neanche è rilevante la circostanza che la sentenza del Tribunale penale militare -OMISSIS-, sezione seconda, n. -OMISSIS-, confermata sul punto dalla Corte d’appello militare, abbia concesso i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel casellario giudiziario spedito a richiesta di privati, atteso che questi sono stati accordati espressamente con riferimento « all’intervenuto collocamento in congedo assoluto nonché allo stato di incesuratezza » dell’interessato, senza, pertanto, che da tali benefici possa dedursi ex se un minor disvalore delle condotte perpetrate.

12. Attraverso la quarta censura, la parte privata ha contestato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha reputato che l’irrogazione della sanzione di stato sia di competenza all’autorità amministrativa dirigenziale e non a quella politica.

Questo motivo è infondato, atteso che, come puntualmente specificato dal T.a.r., il Direttore generale per il personale militare del Ministero della difesa era competente all’adozione del provvedimento di rimozione, che certamente è un atto di gestione e di conseguenza rientra nella competenza della dirigenza ai sensi dell’art. dall’art. 4, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, espressione del principio di separazione tra autorità politica ed autorità amministrativa.

13. In conclusione l’appello va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

14. La particolarità della vicenda giustifica la compensazione tra le parti delle spese di lite del presente grado di giudizio.

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