Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2011-09-05, n. 201104990
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N. 04990/2011REG.PROV.COLL.
N. 08831/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8831 del 2006, proposto da
Metropol s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. M M, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via dei Gracchi, 81;
contro
Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Avellino, Ministero dell’interno, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma della sentenza del T.A.R. CAMPANIA - SEZ. STACCATA DI SALERNO, SEZIONE I, n. 00208/2006, resa tra le parti, concernente DINIEGO DI AUTORIZZAZIONE PER L’ESTENSIONE DI UN’ATTIVITA' DI VIGILANZA PRIVATA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ufficio Territoriale del Governo - Prefettura di Avellino e del Ministero dell’interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2011 il Cons. G D M e udito per la parte appellata l'avvocato dello Stato Basilica;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Attraverso l’atto di appello in esame (n. 8831/06, notificato il 3 ottobre 2006), la Metropol s.r.l. impugnava la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sez. I, Salerno, n. 208/06 del 22 febbraio 2006 - che non risulta notificata - con la quale veniva respinto il ricorso avverso il decreto prefettizio n. 1698 del 9 giugno 2004, di reiezione dell’istanza di autorizzazione di pubblica sicurezza per la gestione di un istituto di vigilanza privata nel territorio del Comune di Avellino.
Il diniego risultava giustificato con riferimento alla ravvisata sufficienza – per “numero ed importanza” – degli istituti di vigilanza privata già operanti sul territorio interessato, tenuto conto della diffusa presenza sul territorio stesso delle forze dell’ordine, nonché dell’”andamento demografico decrescente”, della “situazione stagnante dell’economia” e della “riduzione del fenomeno delittuoso delle rapine”, tanto da far ritenere che il rilascio di una ulteriore licenza avrebbe creato turbativa all’ordine e alla sicurezza pubblica.
Nella sentenza si rilevava la rispondenza delle ragioni sopra riportate alla normativa vigente, intesa a conciliare la libertà di iniziativa economica con l’interesse pubblico, a seguito di una valutazione che, nella fattispecie, avrebbe dovuto ritenersi “immune da vizi”.
In sede di appello, la Metropol s.r.l. – interessata ad estendere nel comune di Avellino l’attività di vigilanza privata, già svolta nella provincia di Foggia – sottolineava viceversa di avere condotto “opportune ricerche sull’effettiva sussistenza di un interesse pubblico all’inserimento nel mercato di un nuovo operatore specializzato […] a fronte dell’esistenza di domanda ancora inevasa” e ribadiva pertanto le proprie censure di violazione o falsa applicazione degli articoli 134 e 136 del T.U.L.P.S. (r.d. 18 giugno 1931, n. 773), eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, sviamento e illogicità, nonché di violazione dell’art. 41 della Costituzione. La sentenza, inoltre, sarebbe frutto di valutazione superficiale, sintetizzata in poche righe di motivazione, senza alcuna possibilità di riscontro della fondatezza delle ragioni difensive prospettate, con riferimento al principio vigente della libera concorrenza, alla reale tipologia dei servizi offerti (resi solo da due istituti nel comune di Avellino) ed alla possibilità di creare nuovi posti di lavoro.
L’Amministrazione appellata – costituitasi anche nel presente grado di giudizio – resisteva formalmente all’accoglimento del gravame.
Il Collegio ritiene che l’appello meriti accoglimento.
La questione investe i parametri di corretto esercizio della potestà discrezionale dell’amministrazione, per il rilascio delle licenze abilitative allo svolgimento di attività di vigilanza privata, a norma dell’art. 136 r.d. 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza).
In base alla disposizione citata, detta licenza poteva essere ricusata a chi non dimostrasse di possedere la “capacità tecnica per i servizi che intende esercitare” , ovvero (prima dell’abrogazione del secondo comma della norma citata, ai sensi dell’art. 4 d.-l. 8 aprile 2008, n. 59, convertito dalla l. 6 giugno 2008, n. 101) “in considerazione del numero o della importanza degli istituti già esistenti” , o ancora (disposizione, quest’ultima, contenuta nel quarto comma della norma stessa dell’art. 136 e non abrogata) “per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico” .
In presenza dei lati margini di discrezionalità esistenti alla data di emanazione del provvedimento impugnato (vale a dire, prima della ricordata parziale abrogazione), l’Amministrazione era tenuta ad effettuare un adeguato bilanciamento di interessi fra le strette esigenze di ordine pubblico, connesse ad attività che riguardano la protezione di persone e di beni, e gli interessi economici della singola impresa, attinenti alla libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 della ostituzione.
La questione appare in realtà legata a parametri variabili di volta in volta e comunque di non facile individuazione, cui poter ancorare il giudizio di legittimità, con inevitabile necessità di valutazioni “caso per caso”.
Non va infatti ignorato – in conformità alla prevalente giurisprudenza – come l’affidamento a privati di compiti, di ordinaria competenza dei corpi di polizia, abbia di suo carattere eccezionale, con conseguente rigorosità dei criteri per il rilascio delle autorizzazioni, giacché è evidente la conseguenza negativa sul livello di efficienza di un tale importante servizio che può essere generata dall’eccesso di offerta privata (per tacere del rischio di condotte distorsive). I dinieghi tuttavia, in quanto incidono sulla libertà di iniziativa economica, necessariamente debbono giustificare in modo adeguato la restrizione di quella sfera di libertà costituzionalmente garantita: perciò debbono indicare, con sufficiente specificazione, le ragioni per le quali quell’interesse potrebbe risultare danneggiato dal rilascio dalla nuova licenza. Il che postula l’individuazione – territorio per territorio - di un concreto punto di equilibrio, al di là del quale l’aumento di concorrenza cesserebbe di alimentare migliori condizioni e più agevole fruibilità del servizio, per diventare fonte di quelle negatività, oltre che di eccessivo contenimento dei costi, di difficoltà di controllo e di rischio di violazione delle regole, con conseguente rischio per l’ordine e la sicurezza pubblica (cfr. in tal senso Cons. Stato, VI, 29 gennaio 2007, n. 336, 4 settembre 2007, n. 4624, 7 giugno 2006, n. 3433, 16 gennaio 2006, n. 74, 20 aprile 2006, n. 2197, 9 febbraio 2006, n. 508;IV, 28 ottobre 1999, n. 1643, 27 settembre 1991, n. 737, 4 maggio 1988, n. 369, 20 maggio 1987, n. 307).
Vanno anche considerati – come indica la più recente giurisprudenza, il numero degli istituti, delle guardie e dei sistemi di vigilanza esistenti, e va compiuta una valutazione riferita alla singola autorizzazione, sotto il profilo del concreto turbamento che potrebbe determinare per l’ordine pubblico, per l’effetto di eccesso di concorrenza (Cons. Stato, VI, 29 aprile 2008, n. 1916, 8 maggio 2008, n. 2118, 4 agosto 2008, n. 3875 e 11 novembre 2008, n. 5599). Si tratta di una valutazione prognostica necessaria per evitare che da scelte amministrative derivi una sostanziale chiusura del mercato e dunque un oligopolio, che di suo è non compatibile con l’ordinamento comunitario.
Nella situazione qui in esame le ragioni – in precedenza riportate – poste a base del diniego impugnato, pur espressive di ragionevoli preoccupazioni dell’Amministrazione, non forniscono un adeguato riscontro – alla luce degli indicati parametri - per il rigetto dell’istanza, perché determinano non solo limiti, ma una immotivata preclusione generalizzata all’esercizio ulteriore dell’attività di vigilanza privata.
Quanto al necessario rispetto di parametri di efficienza e sicurezza del servizio, l’Amministrazione avrebbe potuto prevedere criteri oggettivi e predeterminati, idonei ad assicurare un accurato quanto rigoroso riscontro di idoneità, dimensioni, strumentazione, capacità operativa, moralità ed affidabilità dei nuovi istituti di vigilanza, senza invece spingersi a determinare una assoluta chiusura a priori , indipendentemente dai requisiti e dal progetto operativo del singolo.
Si debbono dunque condividere le argomentazioni dell’appellante società, riferite ad “omesso scrutinio della tipologia di servizi offerti da Metropol […] e dei vantaggi che la professionalità dell’odierna appellante avrebbe potuto assicurare nel territorio campano” , con specifico riferimento al territorio di Avellino.
Pertanto, il Collegio ritiene che l’appello debba essere accolto, con le conseguenze precisate in dispositivo e fatti salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione. Le spese giudiziali, da porre a carico della parte soccombente, vengono liquidate nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila/00).