Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-03-13, n. 202402480

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2024-03-13, n. 202402480
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202402480
Data del deposito : 13 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 13/03/2024

N. 02480/2024REG.PROV.COLL.

N. 07432/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7432 del 2023, proposto dal Ministero della Difesa e dal Ministero dell’economia e delle finanze, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore , rappresentati e difesi ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, n. 12,

contro

il signor-OMISSIS-rappresentato e difeso dall’avvocato G P, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia,

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sez. II, -OMISSIS-resa tra le parti, avente ad oggetto l’annullamento del riconoscimento dell’equo indennizzo.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor -OMISSIS-

Vista l’ordinanza del 4 ottobre 2023, n. 4078;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2024, il Cons. A M e udito per l’appellato l’avvocato G P;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. I Ministeri della Difesa e dell’economia e delle finanze chiedono la riforma della sentenza del T.a.r. per la Puglia, Lecce, sez. II, n.-OMISSIS-, che ha accolto il ricorso proposto dal signor -OMISSIS-avverso il provvedimento della Direzione Generale della Previdenza militare e della leva, n. 4172 del 15 novembre 2022, di annullamento del precedente, n. -OMISSIS-, con il quale gli era stato concesso l’equo indennizzo per infermità ritenuta riconducibile a causa di servizio.

1.1 Il provvedimento impugnato consegue alle osservazioni espresse in data 9 settembre 2022 dal Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato che non ha ritenuto di avallare, in sede di vaglio preventivo di regolarità contabile di cui all’art. 7, del d.lgs. 30 giugno 2011, n. 123 e all’ art. 33, comma 4, del d.l. 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla l. 11 agosto 2014, n. 116, l’atto di attribuzione dell’equo indennizzo. Ciò in quanto al momento dell’inoltro della richiesta (24 aprile 2020), il signor-OMISSIS-già sergente maggiore dell’esercito italiano, era transitato nei ruoli civili dell’Amministrazione a seguito di decreto del 9 aprile 2019, con decorrenza dal 27 maggio 2019, in quanto dichiarato inidoneo al servizio attivo per alcune problematiche afferenti alla sfera psicologica (verbale modello BL/S n. 2019193 del 5 febbraio 2019). La richiesta di riconoscimento di dipendenza da causa di servizio era invece correlata ad una diversa diagnosi (« -OMISSIS- »), resa dalla Commissione medico ospedaliera (C.m.o.) di Taranto con verbale n. 136 del 28 maggio 2021, che ne ha indicato la data di conoscibilità nel 15 aprile 2020, corrispondente alla prima certificazione medica. Da qui la ritenuta inapplicabilità dell’istituto dell’equo indennizzo, abrogato dall’art. 6 del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, per tutti i dipendenti pubblici, ad eccezione del personale del comparto sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico, cui l’interessato, appunto, non apparteneva più al momento della presentazione dell’istanza.

2. Il T.a.r. per la Puglia ha motivato l’accoglimento del ricorso in quanto «[…] la predetta norma [ovvero il richiamato art. 6 del d.l. n. 201/2011, n.d.r.], allorquando fa salvo, tra l’altro, il personale del “comparto difesa”, va interpretata secondo ragionevolezza, nel senso, cioè, che i fatti di servizio per i quali si è chiesto il riconoscimento del nesso causale devono essere riconducibili a un periodo in cui l’istante apparteneva ad uno dei comparti per i quali opera la suddetta clausola di salvaguardia» . Non potrebbe quindi essere ostativo al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio il mero fatto che il dipendente sia transitato nei ruoli civili, anche perché, opinando in senso contrario, si creerebbe una disparità di trattamento tra coloro che, a seguito di non idoneità alla vita militare per patologia contratta in dipendenza del servizio militare, transitano nei ruoli civili e coloro che cessano da ogni rapporto d’impiego.

3. Il Ministero della Difesa e il Ministero dell’economia e delle finanze eccepiscono innanzi tutto il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di vicenda riferita a rivendicazioni economiche (l’equo indennizzo) da parte di un dipendente pubblico, per il quale opererebbe l’art.2, commi 2 e 3 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, c.d. Testo unico sul pubblico impiego (T.u.p.i.). Stante il peculiare regime delineato dall’art. 9 c.p.a. non sussisterebbero ragioni ostative a sollevare la questione quale motivo di appello, essendo essa estranea al perimetro del divieto dello ius novorum .

3.1. Nel merito, hanno lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.l. n. 201 del 2011, che nel dettare le regole di diritto transitorio, ha escluso l’applicazione delle abrogazioni ai soli procedimenti « in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora scaduto il termine di presentazione della domanda, nonché ai procedimenti instaurabili d’ufficio per eventi occorsi prima della predetta data ». Situazioni tutte non sussistenti nella situazione di cui è causa. Nel caso di transito nei ruoli civili, inoltre, non troverebbe applicazione l’art.2, comma 4, del d.P.R. 29 ottobre 2001, n. 461, in forza del quale il riconoscimento della causa di servizio e l’equo indennizzo possono essere richiesti entro 5 anni dalla cessazione del rapporto di impiego. Ciò in quanto il transito non integra una nuova assunzione, ma la continuazione senza soluzione di continuità del precedente rapporto di impiego (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3141). Hanno infine richiamato la sentenza della Corte costituzionale n. 20 del 2 febbraio 2018, che ha ritenuto legittima l’eliminazione dell’istituto della pensione privilegiata, cui i principi contenuti nella sentenza impugnata rischierebbero di estendersi, determinando conseguenze ancora più abnormi.

3. Si è costituito in giudizio l’ex militare appellato che, con successiva memoria del 29 settembre 2023, a sostegno della sentenza impugnata ha maggiormente argomentato la lettura di senso diametralmente opposto del combinato disposto degli artt. 3 e 63, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001 e 133 c.p.a., sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Invero, l’infermità « s-OMISSIS- » è stata riconosciuta nel parere del Comitato di verifica per le Cause di Servizio (CVCS), reso nell’adunanza del 5 maggio 2022, come dipendente causalmente dal servizio prestato come militare in varie missioni all’estero (Bosnia-Herzegovina, Kosovo, Macedonia e Iraq), in quanto « in qualità di aiutante di sanità, svolgeva attività addestrative ed operative in patria e all’estero per le quali era possibile individuare “ fattori di rischio generico aggravato per l’insorgenza di patologie degenerative osteoartrosiche della colonna vertebrale, in quanto espone il suddetto tratto articolare a microtraumi ripetuti e sovraccarico statico dinamico ». Non sarebbe dunque ammissibile individuare la giurisdizione in ragione dell’attuale rapporto di lavoro allorquando la controversia si riferisca al precedente, svolto in qualità di militare. Per analoghe ragioni l’appello andrebbe respinto anche nel merito.

4. Con l’ordinanza n. -OMISSIS- segnata in epigrafe, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare nei limiti dell’art. 55, comma 10 c.p.a., fissando la data per la trattazione della causa.

5. Con ulteriore memoria del 12 gennaio 2024 l’appellato ha ribadito la propria prospettazione sia in punto di giurisdizione, che nel merito, essendo state le infermità contratte durante la permanenza nei ruoli militari.

6. All’udienza del 13 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

7. L’eccezione di difetto di giurisdizione -ammissibile in quanto oggetto di esplicito motivo di appello su questione che il primo giudice ha implicitamente risolto ritenendosi competente, giusta l’avvenuta decisione nel merito - non può essere affrontata in maniera disgiunta dal merito della vicenda. Nel caso di specie, infatti, non viene all’evidenza una controversia che trae il suo petitum in un rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, bensì nel preesistente status di militare, seppure cessato a seguito di transito nei ruoli civili della medesima amministrazione. Ad essa, pertanto, non possono applicarsi, così come pretenderebbe la difesa erariale, le coordinate legislative che hanno delineato l’ambito di competenza del giudice ordinario rispetto a quello amministrativo, giusta il radicarsi della controversia in un rapporto di lavoro rimasto in regime pubblicistico ex art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001. Né può ipotizzarsi che una volta modificato ridetto rapporto di lavoro originario vengano meno tutte le aspettative riconducibili al precedente, di fatto ponendone nel nulla la sussistenza, con inevitabile disparità di trattamento sia nei confronti di chi, a parità di situazione, permanga in ambito militare, sia finanche di chi cessi da qualsivoglia attività, giusta la riconosciuta possibilità di avanzare la relativa istanza anche in tale ipotesi, seppure entro un lasso di tempo predeterminato (art. 2, comma 4, del d.P.R. n. 461 del 2001 e art. 930 del d.lgs. n. 66 del 2010, Codice dell’Ordinamento militare). Tali sarebbero infatti le conseguenze dell’analisi delle norme propugnata dall’Amministrazione, che da un lato mira a spogliare il giudice amministrativo dalla competenza, dall’altro esclude la fondatezza di qualsivoglia rivendicazione, anche innanzi al giudice ordinario, giusta il venir meno dell’istituto (l’equo indennizzo) del quale la parte invoca la concessione.

8. La vicenda, dunque, interseca due disposizioni di diritto transitorio afferenti a distinte materie, sulla base del tenore letterale delle quali la difesa erariale pretende di inferire da un lato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, dall’altro, comunque, la non spettanza dell’equo indennizzo, peraltro in precedenza accordato. La circostanza, peraltro, che l’Amministrazione ha in prima battuta positivamente evaso, senza dubbi interpretativi di sorta, l’istanza dell’appellato, e che solo in ragione della diversa posizione assunta dalla Ragioneria generale dello Stato in sede di apposizione del necessario visto sul provvedimento in oggetto è tornata sui suoi passi, annullandolo in autotutela, dimostra per tabulas la lettura tutt’altro che piana del sotteso quadro normativo, siccome ora vorrebbe far intendere parte appellante.

9. In primo luogo va ricordato che l’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001, c.d. T.u.p.i., ha trasferito al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte « le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 », ivi comprese « quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti ». L’art. 69, comma 7, a sua volta, al fine di garantire un passaggio graduale dall’uno all’altro ambito di competenze, ricalcando peraltro analoghe previsioni contenute a partire dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, ha statuito che resta ferma la competenza del giudice amministrativo per le « questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998 » ovvero « anteriore a tale data » instaurate fino al 15 settembre 2000, a pena di decadenza. La disposizione, giusta la formulazione alquanto ambigua e atecnica, è stata intesa dalla giurisprudenza di legittimità nel senso di non collegare rigidamente il discrimine temporale del trasferimento delle controversie alla giurisdizione ordinaria ad elementi come la data del compimento, da parte dell’amministrazione, dell’atto di gestione del rapporto che ha determinato l’insorgere della questione litigiosa, oppure l’arco temporale di riferimento degli effetti di tale atto, o, infine, il momento di insorgenza della contestazione, ponendo invece l’accento sul dato storico costituito dall’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta la controversia. Ai fini, cioè, della individuazione della giurisdizione rispetto al crinale temporale di cui all’art. 69, si è fatto ricorso ad un criterio quoad tempus, basato sui fatti costitutivi del diritto rivendicato tutte le volte in cui essi vengano in rilievo a prescindere dal loro collegamento con uno specifico atto di gestione del rapporto da parte dell’amministrazione, e, invece, in base alla data dell’atto emesso da questa quando il regime del rapporto preveda che la giuridica rilevanza dei fatti sia assoggettata ad un preventivo apprezzamento dell’amministrazione medesima ed alla conseguente declaratoria della sua volontà al riguardo (Cass., ss.uu., 26 febbraio 2021, n. 5421).

10. Il Collegio ritiene che pur trattandosi di principi apparentemente estranei al perimetro dell’odierna decisione, ad essi possa farsi riferimento per delineare il perimetro della giurisdizione anche a regime, avuto riguardo cioè non ai casi, cui afferisce la norma de qua , di controversie in materia di pubblico impiego contrattualizzato, giusta la riforma dello stesso, bensì a questioni che risalgono a rapporti di lavoro rimasti in regime di diritto pubblico.

10.1. A ben guardare, infatti, l’art. 63 del d.lgs. n. 165 del 2001 fa riferimento al solo personale delle amministrazioni elencate all’art. 1, comma 2, del medesimo testo unico, nelle quali non rientrano quelle della difesa. Ciò trova conferma anche nell’art. 3, che mantiene gli ordinamenti di settore, tra l’altro, per il personale militare. È evidente, dunque, che sia la regola sulla competenza che il regime transitorio riferito alla stessa non possono che avere ad oggetto vicende inerenti (« relative a ») rapporti di pubblico impiego con le amministrazioni elencate al richiamato art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 («[…] tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti i del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 […]». Non sono interessate dalla riforma quelle « relative », invece, a rapporti di lavoro rimasti in regime di diritto pubblico, ancorché cessati per congedo, ovvero perché modificati in altra tipologia (privatistica).

11. Il transito nei ruoli civili dell’Amministrazione, come affermato dalla Cassazione, infatti, seppure determina la novazione di un rapporto preesistente, che pertanto non viene considerato interrotto, ma prosegue, mutato, senza soluzione di continuità, assume anche la portata di « misura di salvaguardia della posizione lavorativa per il caso di sopravvenuta inidoneità allo svolgimento di determinate mansioni pur persistendo l’idoneità allo svolgimento di altri compiti seppure riferibili a ruoli diversi dell’amministrazione (quelli civili) » (Cass., 30 giugno 2022, n. 20852) . Non a caso, il militare che transita conserva l’anzianità già maturata e la posizione economica acquisita anche attraverso la corresponsione di un assegno ad personam riassorbibile e il transito è assicurato anche in soprannumero (con gli accorgimenti dettati perché non si verifichino modifiche alle dotazioni organiche dei ruoli di destinazione).

11.1. Rileva inoltre il Collegio come tale finalità di salvaguardia venga garantita dall’ordinamento a prescindere dalla riconducibilità della causa dell’infermità riscontrata al servizio, e dunque non quale “compensazione” della stessa, ma, se mai, più in generale, come riconoscimento del servizio prestato, obiettivamente connotato da particolare onerosità in termini psico-fisici. Da qui la neutralità, nel caso di specie, della circostanza – in effetti non fatta oggetto di alcun rilievo – che l’interessato sia stato dichiarato inidoneo in ragione di altra infermità rispetto a quella, conosciuta solo a transito ormai effettuato, che la C.m.o. prima e il Comitato di verifica per le cause di servizio (CVCS) poi (parere n. 59085 del 6 maggio 2022) ha ascritto alle numerose sollecitazioni fisiche subite durante la carriera militare. Pare al Collegio che voler trarre dalla circostanza, del tutto accidentale, che il richiedente non è più un militare la conseguenza che qualsivoglia questione connessa a lesione riconducibile al periodo in cui ancora lo era, l’attrazione alla giurisdizione giudice ordinario, generi un approccio discriminatorio nei confronti dello stesso.

12. D’altro canto, occorre rammentare che ai sensi dell’art. 386 cod. proc. civ. la giurisdizione si determina in base all’oggetto della domanda e che il significato della disposizione va inteso, per consolidato orientamento giurisprudenziale, nel senso che il criterio in base al quale debbono essere regolati i rapporti tra le diverse giurisdizioni è quello del petitum sostanziale, cioè dello specifico oggetto e della reale natura della controversia, da identificarsi non soltanto in funzione della causa petendi , costituita dal contenuto della posizione soggettiva dedotta in giudizio e individuabile in relazione alla sostanziale protezione accordata, in astratto, dall’ordinamento alla posizione medesima. Petitum che nella specie si identifica non nel riconoscimento –già avvenuto da parte degli organi competenti – della dipendenza da causa di servizio delle infermità diagnosticategli, ma nel mantenimento dell’assegnazione dell’equo indennizzo quale conseguenza necessitata di ridette verifiche, inerenti il rapporto di lavoro quale militare.

13. Né a diverse conclusioni sia sulla competenza a conoscere la controversia, sia, conseguentemente, sul merito, può condurre la previsione dell’art. 6 del d.l. n. 201 del 2011 che, come detto, ha abrogato gli istituti dell’accertamento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata per i dipendenti pubblici, fatta eccezione « del personale appartenente al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico ». Nessun rilievo, infatti, può assumere in senso preclusivo la non riconducibilità del caso di specie alla disciplina transitoria che anche tale norma ha inteso declinare, mantenendo la tutela « ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché ai procedimenti per i quali, alla predetta data, non sia ancora scaduto il termine di presentazione della domanda, nonché ai procedimenti instaurabili d’ufficio per eventi occorsi prima della predetta data ». Situazioni tutte evidentemente estranee alla tempistica del procedimento di cui è causa, nel quale la domanda della parte è stata presentata solo in data 20 aprile 2020, sicché di certo non poteva considerarsi « in corso » di evasione alla data di entrata in vigore della riforma.

13.1. Ancora una volta, infatti, l’Amministrazione colloca la disciplina transitoria oltre il perimetro che la connota. Nella normale evoluzione di un sistema giuridico, qualsiasi passaggio da una normativa ad un’altra ha bisogno di essere accompagnata, nella sua evoluzione e nel suo assestamento, da un sistema di norme che lo governino e lo indirizzino. Esse, cioè, hanno per regola tale finalità e come tali, almeno in astratto, si basano sul presupposto dell’essere destinate ad un rapido superamento. La chiave di lettura è quella del contingente, nella logica della soluzione di problemi destinati, grazie a tali norme, ad essere risolti, provocando, per converso, il conseguente superamento e il definitivo tramonto delle stesse regole che avevano contribuito a definirli.

14. Così come, dunque, la disciplina transitoria in materia di passaggio della competenza sul pubblico impiego contrattualizzato non può che riferirsi a controversie che fino alla nuova disciplina rientravano nella giurisdizione amministrativa, non a quelle rimaste nella stessa, allo stesso modo con l’abrogazione dell’equo indennizzo con riferimento allo stesso settore giuslavoristico il legislatore si è preoccupato di garantire la gradualità del passaggio, salvaguardando il dipendente che, non avendone più diritto, ha tuttavia già avviato in base al precedente regime l’istanza finalizzata a fruirne. La disciplina transitoria, cioè, limitatamente ai settori incisi dalle riforme, cerca di individuare in una zona “cuscinetto”, temporalmente o sostanzialmente circoscritta, il necessario temperamento tra esigenze di certezza del diritto, eguaglianza di trattamento e tutela delle legittime aspettative sulla fruibilità di un precedente regime. Ma non si estende al di fuori del perimetro della riforma, pena l’ingenerare proprio quelle situazioni di discriminazione che con la stessa si è inteso scongiurare.

15. Infine, del tutto inconferente si palesa anche il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 20 del 2018, che caso mai ha ribadito l’intento tendenziale del legislatore del 2011 di attribuire all’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) la gestione della materia degli infortuni e delle malattie professionali dei dipendenti pubblici, con la particolare eccezione dei comparti sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico (Cass., sez. Lavoro, 23 luglio 2013,n. 17895). L’applicazione del nuovo regime è stata scandita secondo un percorso graduale, volto a salvaguardare le aspettative meritevoli di tutela, ovviamente avuto riguardo a dipendenti che dalla riforma in poi non possono più accedere al regime previgente, non a quelli che hanno ancora diritto a fruirne, assumendo rilievo il momento di causazione della lesione e non quello della sua successiva scoperta.

16. Per tutto quanto sopra detto, l’appello deve essere respinto.

17. La peculiarità della materia trattata e la parziale novità di alcune delle questioni affrontate giustificano la compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

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