Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2009-12-29, n. 200908933

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2009-12-29, n. 200908933
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 200908933
Data del deposito : 29 dicembre 2009
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 02134/2004 REG.RIC.

N. 08933/2009 REG.DEC.

N. 02134/2004 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

DECISIONE

Sul ricorso numero di registro generale 2134 del 2004, proposto da:
B R, B N e B E, rappresentati e difesi dagli avv. T A e Aristide Spano', con domicilio eletto presso T A in Roma, via Monserrato, 34;

contro

Comune di Collecchio, non costituito;

per la riforma

della sentenza del TAR EMILIA ROMAGNA - PARMA n. 00534/2003, resa tra le parti, concernente ESPROPRIAZIONE IMMOBILI PER REALIZZAZIONE DI UN CENTRO SPORTIVO POLIFUNZIONALE.


Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Viste la memoria difensiva di parte ricorrente;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 ottobre 2009 il Consigliere Vito Carella e uditi per la parte l’avvocato Spanò;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.- Con atto introduttivo notificato il 29 aprile 2000 gli odierni appellanti, ex proprietari di un’area oggetto di procedura espropriativa avviata dal Comune di Collecchio per la realizzazione di un centro sportivo polifunzionale, hanno chiesto in primo grado l’annullamento sia della deliberazione del Consiglio Comunale con la quale è stato approvato il progetto con contestuale dichiarazione di pubblica utilità della predetta opera (n. 46 del 1° agosto 1991) sia della successiva deliberazione consiliare (n. 14 del 16 marzo 20009) con la quale è stata dichiarata la parziale non utilizzabilità dell’area precedentemente acquisita ed è stata avviata la procedura di retrocessione della stessa in applicazione dell’ art. 61 della L. n. 2359 del 1865.

Il Tribunale Amministrativo Regionale in epigrafe indicato, con la sentenza impugnata, ha dichiarato in parte irricevibile ed in parte inammissibile il ricorso proposto dagli interessati, rilevando:

- la tardiva impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità, sicuramente nota sin dal 24 aprile 1992, data sotto la quale il Comune deliberò l’accettazione della proposta di cessione delle aree avanzata dagli stessi proprietari attuali ricorrenti;

- di conseguenza, per il non tempestivo gravame avverso la dichiarazione di pubblica utilità, non è procedibile la censura di mancata comunicazione dell’avvio della procedura di esproprio nonché quella di omessa indicazione dei termini;

- la retrocessione delle aree è situazione ampliativa della sfera giuridica dei ricorrenti per cui non sussiste alcun concreto interesse ad annullarla, ben potendo i medesimi, qualora non intendano riacquistare parte delle aree di loro proprietà, mantenere un comportamento inerte riguardo al suddetto procedimento in itinere;

- né risulta dalle censure in ricorso che i ricorrenti abbiano contestato il prezzo di retrocessione o eventuali condizioni o limiti imposti loro dall’Amministrazione Comunale per l’esercizio di tale facoltà.

2.- Con il gravame in esame, parte appellante ha chiesto che il ricorso di primo grado sia accolto, deducendo:

- la inammissibile equiparazione operata dal TAR tra generica conoscenza dell’esistenza dell’atto e piena conoscenza del suo contenuto, con particolare riguardo alla mancata apposizione dei termini imposti dall’art. 13 della legge n. 2359 del 1865;

- l’istituto della cessione volontaria è strettamente connesso ad una valida ed efficace dichiarazione di pubblica utilità, in mancanza della quale l’atto di cessione può tutt’al più avere l’efficacia di una comune compravendita, come tale soggetta alla disciplina civilistica ed ai rimedi previsti (è pendente giudizio civile dinanzi al Tribunale di Parma);

- a suo tempo è stata corrisposta un’indennità addirittura inferiore a quella prevista per l’acquisizione delle aree agricole, mentre la retrocessione prevede il pagamento di una somma commisurata al valore attuale del bene;

- la retrocessione deliberata è fittizia nonché preordinata all’alienazione a Parmalat di un’altra parte rilevante di questi terreni.

Il Comune intimato non si è costituito in giudizio.

3.- E’ pacifico agli atti di causa che, a seguito della citata deliberazione consiliare n.46/1991 (di approvazione del progetto generale di che trattasi in variante al P.R.G), i proprietari B hanno presentato una proposta unilaterale di cessione del compendio accettata dall’Amministrazione comunale (C.C. n. 69 del 10 novembre 1992) e formalizzata come atto pubblico di vendita con rogito del 29 dicembre 1992, ai sensi e per gli effetti dell’art. 12 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 (secondo cui il proprietario espropriando, entro trenta giorni dalla notificazione dell'avviso di cui al quarto comma dell'art. 11, ha diritto di convenire con l'espropriante la cessione volontaria degli immobili per un prezzo incrementato in percentuale rispetto all'indennità provvisoria, come da leggi varie nel tempo succedutesi).

In questo atto di vendita viene specificato che le parti espropriande “avevano ed hanno interesse ad una sollecita definizione della procedura espropriativa esercitando la facoltà, concessa al proprietario, ai sensi degli artt. 9 e seguenti della legge 22 ottobre 1971 n. 865 e successive modificazioni, di interrompere detto procedimento espropriativo attraverso la cessione volontaria del bene… (e)…, per evitare procedura espropriativa per pubblica utilità in corso, vendono al Comune di Collecchio…il podere…La vendita è convenuta, come a me dichiarato, per il prezzo…”

Orbene, nella fattispecie, non è di utilità alcuna accertare se detta alienazione costituisca cessione bonaria nell’ambito di un procedimento amministrativo ovvero comune compravendita al di fuori di ogni procedura ablativa (le parti esponenti peraltro, come dichiarato, hanno al riguardo pendente apposito giudizio civile): infatti, come è dato leggere dalla delibera consiliare n. 14 del 16 marzo 2000, l’Amministrazione comunale, a seguito di successiva variante generale al P.R.G. (C.C. n. 31 del dell’8 maggio 1996) che ha classificato parte dell’area originariamente destinata alla realizzazione del Centro Sportivo quale “sottozone D6 – Nuovi insediamenti a prevalente funzione direzionale”, nell’incertezza se nella fattispecie si versi nell’ipotesi di cessione bonaria in corso di procedura espropriativa ovvero in una ordinaria ipotesi di compravendita, ha deliberato di non esercitare il diritto di prelazione sulle aree non più utilizzabili ai fini dell’opera pubblica in argomento (art. 21 legge n. 865/1971) e di dare corso alla pubblicazione dell’avviso di retrocessione delle aree relative ( art. 61 legge n. 2359/1865).

Vale a dire che, a prescindere dalla modalità posta in essere dal Comune per l’acquisizione del bene espropriando (coatta o privatistica), comunque i proprietari a suo tempo incisi sono stati messi nella condizione di riconseguire la parte del compendio poderale non utilizzata per il Centro Sportivo: senonchè, a quanto pare, costoro non hanno inteso avvalersi di tale facoltà, bensì di agire in giudizio per aspetti non pertinenti alla vicenda di causa (in breve, mancata comunicazione dell’avvio della procedura di esproprio e di apposizione dei termini nonché retrocessione fittizia e commisurata al valore attuale del bene)

L’appello in esame merita di essere respinto e la sentenza confermata.

4.-Nella fattispecie, parte appellante con evidenza non ha gravato con tempestività l’atto approvativo della variante e, soprattutto, ha abdicato agli atti espropriativi in connessione alla cessione volontaria delle aree da lei stessa sollecitata: pertanto, essa non può ora “venire contra factum proprium” e fare mostra di non conoscere una situazione pienamente nota quantomeno dalla data di stipula della vendita il 29 dicembre 1992.

Del resto, va anche rilevata l’evanescenza delle censure formulate: difatti, parte esproprianda non ha subito alcuna espropriazione ed il Comune, nell’ambito del procedimento espropriativo preventivato, non ha pronunziato alcun provvedimento ablatorio tale da dover comportare avvisi espropriativi ed apposizione di termini;
né il procedimento espropriativo può dirsi esistente per il semplice fatto della dichiarazione di pubblica utilità dell'opera realizzanda, se non è stato avviato il subprocedimento di determinazione indennitaria (Cons. St, Sez: IV, 19 febbraio 2007, n. 874).

Peraltro, come precisato da Cassazione Civile, la cessione volontaria del bene prevista dall’art. 12 della citata legge 22 ottobre 1971 n. 865 (possibile in ogni fase del procedimento), ha efficacia immediatamente traslativa della proprietà e determina, pertanto, l’esaurimento della procedura ablativa del bene;
viceversa, l’accordo amichevole concerne solamente la pattuizione sul quantum dell’indennità e fa venir meno la fase dell’espropriazione concernente la determinazione dell’indennizzo, implicando la prosecuzione dell’iter procedimentale (Cass. Civ., Sez. I, 11 maggio 2005, n. 9925).

Sotto tali aspetti la sentenza è quindi esente dalle censure mosse, avendo gli appellanti alienato al Comune di Collecchio le aree espropriande e ricevuto il giusto prezzo convenuto.

5.- Né parte appellante può essere seguita nelle sue doglianze in ordine alla tematica della retrocessione: invero, come giustamente osservato dai primi giudici, i ricorrenti non hanno contestato il prezzo di retrocessione o eventuali condizioni o limiti imposti loro dall’Amministrazione Comunale per l’esercizio di tale facoltà.

In particolare, la retrocessione non può dirsi fittizia perché essa è rivolta agli originari proprietari che facciano esercizio del relativo diritto potestativo: pertanto Parmalat potrà eventualmente subentrare, a seguito di gara, se gli gli appellanti abbiano o dovessero rinunciare, ma questa è scelta libera e volontaria degli esponenti che non può essere addebitata al Comune.

Quanto al valore attuale del bene da retrocedere, va preliminarmente richiamato l’art. 60 della legge fondamentale n. 2359/1865, a tenore del quale il prezzo della retrocessione “non potrà eccedere l'ammontare dell'indennità ricevuta dal proprietario per l'espropriazione del suo fondo, salvo vi si fossero dall'espropriante eseguite nuove opere che ne avessero aumentato il valore”.

In argomento va ricordato, e non comporta diversità di fattispecie l’avvenuta cessione volontaria, che la retrocessione dei beni espropriati attua, nel concorso delle condizioni previste dalla legge, un nuovo trasferimento di proprietà, con efficacia "ex nunc", del bene espropriato e non utilizzato dall'espropriante, in conseguenza dell'esercizio del diritto potestativo dell'espropriato di ottenere il ritrasferimento: perciò, il prezzo di retrocessione va determinato con riferimento al momento della retrocessione , costituendo essa il titolo di trasferimento del bene espropriato, sicché ove il valore del bene, al momento della retrocessione , risulti in concreto aumentato per la sopravvenuta possibilità di utilizzazione edificatoria, la determinazione del prezzo di retrocessione va commisurata a tale valore attuale , a nulla rilevando che all'epoca di stima dell'indennità di esproprio lo stato di fatto del bene fosse tale da imporne la qualifica come terreno agricolo (Cass. Civ., Sez. I, 24 maggio 2004, n. 9899).

Nella specie, l’area residua non più utilizzabile per l’opera pubblica ha ricevuto dalla variante generale al P.R.G. diversa destinazione, da agricola a nuovi insediamenti con prevalenza direzionale: quindi, gli appellanti non possono vedere in un prezzo di retrocessione attualizzato una lesione che, semmai, discende direttamente dalla suindicata norma di legge.

Anche tali lamentele sono dunque da disattendere.

6.- Per concludere, l’appello va respinto e la sentenza confermata in ogni sua parte, essendo le impugnazioni di primo grado da un canto tardive e, dall’altro, non chiare nell’interesse sostanziale fatto valere.

Non vi sono statuizioni da adottare in ordine alle spese di lite.

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