Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-08-30, n. 201104868

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2011-08-30, n. 201104868
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201104868
Data del deposito : 30 agosto 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 10968/2003 REG.RIC.

N. 04868/2011REG.PROV.COLL.

N. 10968/2003 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10968 del 2003, proposto da:
S M M, rappresentato e difeso dall’Avv. V R, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Giuseppe Mazzini 6;

contro

Ministero della Difesa;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per il Lazio, Roma, Sez. I-bis n. 6890 dd. 1 agosto 2002, resa tra le parti, concernente avanzamento di grado.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 marzo 2011 il Cons. F R e uditi per le parti gli avvocati V R;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1.1.L’odierno appellante, M M S, rivestiva nel 1980 il grado di Maresciallo di II^ Classe dell’Aeronautica Militare e prestava servizio presso il Centro Radar di Marsala (Trapani), già 35º Gruppo Radar A.M.

Egli è stato coinvolto, unitamente ad altri pari grado, nella ben nota inchiesta giudiziaria relativa alla caduta in mare dell’aereo DC9 della Società Itavia Bologna – Palermo, avvenuta al largo dell’isola tirrenica di Ustica il 27 giugno 1980 con la morte di 81 persone, ossia la totalità dei passeggeri e dei membri dell’equipaggio del velivolo.

Il S riferisce in tal senso di essere stato dapprima convocato innanzi al Giudice istruttore presso il Tribunale penale di Roma quale testimone, al fine di rendere deposizioni in ordine all’eventuale “presenza di tracce radar registrate in coincidenza del momento e del punto del disastro, nonché per rilasciare informazioni e notizie essenziali ai fini della ricostruzione degli eventi e dell’identificazione dei responsabili” .

Successivamente egli, peraltro, venne inquisito e rinviato a giudizio unitamente ad altro personale dell’Aeronautica Militare per vari reati connessi alla strage (falsa testimonianza, favoreggiamento, abuso d’ufficio, ecc.).

Tale circostanza ha comportato la sospensione di ogni progressione di carriera del S, dapprima a’ sensi dell’art. 29, secondo comma, della L. 10 maggio 1983 n. 212 e, quindi, a’ sensi dell’omologa disciplina contenuta nell’art. 17 del D.L.vo12 maggio 1995 n. 196.

La vicenda penale del S si è esaurita per effetto della sentenza-ordinanza di assoluzione pronunciata nei suoi confronti in data 31 agosto 1999 dal predetto Giudice istruttore, allorquando peraltro il medesimo S era già stato collocato in quiescenza, a domanda e non per raggiungimento dei limiti di età, con decorrenza 1 luglio 1997.

Nel maggio del 2001, essendo quindi da tempo cessata la predetta causa interdittiva della progressione di carriera, il S ha chiesto all’Amministrazione della Difesa di provvedere alla ricostruzione della carriera medesima, e ciò al fine del riconoscimento dei gradi superiori di Maresciallo di I^ classe e di Maresciallo scelto, la cui anzianità egli avrebbe altrimenti maturato durante il servizio attivo.

Tale domanda del S è stata peraltro respinta dall’Amministrazione adita in quanto egli, al momento della cessazione della causa ostativa al giudizio di avanzamento, era già stato – come detto innanzi – già collocato in quiescenza su sua domanda.

1.2. Con ricorso proposto innanzi al T.A.R. per il Lazio, sede di Roma, sub R.G. 10515 del 2001, il S ha quindi chiesto l’annullamento del provvedimento dd. 24 maggio 2001 recante il diniego di accoglimento della propria istanza di ricostruzione della carriera, nonché di ogni altro atto connesso.

Il S ha – altresì – contestualmente chiesto l’accertamento del proprio diritto ad ottenere il riconoscimento della qualifica, grado e posizione effettivamente maturati ed acquisiti al momento della domanda di congedo dall’Aeronautica Militare.

Egli ha dedotto al riguardo le seguenti censure:

a) violazione e falsa applicazione dell’art.17, comma 3 ( recte : comma 6) del D.L.vo 196 del 1995, nonché eccesso di potere per erronea presupposizione di fatto, irragionevolezza ed ingiustizia manifesta.

b) ulteriore eccesso di potere per disparità di trattamento, insufficienza della motivazione ed ingiustizia manifesta.

Il S ha – altresì – sollevato in via subordinata la questione di legittimità costituzionale dell’anzidetto art.17 del D.L.vo 195 del 1996 in relazione agli artt. 3, 4, 35 e 111 della Costituzione.

1.3. L’Amministrazione della Difesa si è costituita in giudizio replicando puntualmente alle censure avversarie e concludendo per la reiezione del ricorso.

1.4. Con sentenza n. 6890 dd. 1 agosto 2002 la Sezione I-bis dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso del S.

2.1. Questi, a sua volta, ha proposto avverso tale sentenza l’appello in epigrafe, deducendo nei riguardi di tale statuizione:

a) ingiustizia per erronea presupposizione di fatto e di diritto, nonché per difetto di istruttoria;
eccesso di potere per ingiustizia manifesta e per disparità di trattamento;

b) violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 3, del D.L.vo 196 del 1995;
eccesso di potere per erronea presupposizione di fatto, irragionevolezza e ingiustizia manifesta;

c) eccesso di potere per disparità di trattamento, insufficienza di motivazione, genericità e illogicità manifesta;

Il S ha sollevato – altresì – questione di legittimità costituzionale sia dell’art. 21, comma 2, del D.L.vo 196 del 1995 nella parte in cui, in asserita violazione degli artt. 3, 4, 35, 97 e 111 Cost. non include tra le ipotesi di possibile riconoscimento dell’avanzamento quella riguardante il personale sottoposto a procedimento penale e ivi poi assolto ovvero prosciolto, nonché dell’art. 17 del medesimo D.L.vo 196 del 1995 nella parte in cui, in asserita violazione degli artt. 3, 4, 35 e 111 Cost., non include espressamente tra i soggetti aventi titolo alla riqualificazione – quanto meno agli effetti della ricostruzione di carriera e pensionistici – anche il personale in congedo a seguito del venir meno delle anzidette cause preclusive per il suo avanzamento.

2.2. Si è costituito anche nel presente grado di giudizio il Ministero della Difesa, replicando alle censure dell’appellante e concludendo per la conferma della sentenza impugnata.

2.3. Con ordinanza collegiale n. 488 pronunciata il 30 novembre 2010 a’ sensi e per gli effetti dell’art. 85, comma 4, cod. proc. amm. è stata accolta l’opposizione dell’appellante al decreto presidenziale di perenzione del ricorso n. 9105 dd. 30 dicembre 2009, medio tempore emesso, avuto segnatamente riguardo alla circostanza che il relativo avviso era stato erroneamente trasmesso dalla Segreteria all’Avvocatura Generale dello Stato appellata e non all’appellante, e la relativa causa è stata conseguentemente reiscritta a ruolo.

2.4. Alla pubblica udienza del 29 marzo 2011 la causa è stata quindi trattenuta per la decisione.

3.1. Tutto ciò premesso, il ricorso in epigrafe va respinto.

3.2. Il giudice di primo grado ha già avuto modo di evidenziare che la questione principale già sollevata dal ricorrente in primo luogo, e da lui riproposta in grado di appello, attiene all’interpretazione dell’art.17, comma 6, del D.L.vo 196 del 1995, dettata con riguardo alla posizione di quei militari, individuati dal comma 3 dello stesso art.17 e - tra l’altro - imputati in procedimenti penali per delitti non colposi.

Giova comunque rimarcare che tale disciplina è stata ora trasfusa nell’art. 1051 del Codice dell’ordinamento militare approvato con D.L.vo 15 marzo 2010 n. 66 in un contesto unitario per tutto il personale militare in servizio permanente.

A’ sensi di quanto sopra, quindi, coloro che risultano imputati in procedimenti penali per delitti non colposi non possono essere inclusi in aliquota di avanzamento;
se sono stati inclusi nell’aliquota medesima, non possono essere valutati;
e se iscritti in quadro d’avanzamento devono essere cancellati, ove, rispettivamente, durante i lavori della Commissione o prima della pubblicazione del quadro, vengano a trovarsi nella predetta posizione di rinviati a giudizio (cfr., per quanto segnatamente attiene alla disciplina vigente all’epoca dei fatti di causa, l’art. 17, comma 4, del D.P.R. 196 del 19954).

Secondo il giudice di primo grado, le norme contenute nei commi 3 e 4 del D.P.R. 196 del 1995 sono dunque deputate “a salvaguardare il prestigio, la credibilità ed onorabilità dell’Amministrazione Militare” e “sono integrate dalla disposizione contenuta nel successivo comma 6 che prevede, per tale personale, una volta cessata la causa ostativa alla progressione di carriera, l’inclusione nella prima aliquota utile per la valutazione. In tal caso, ove venga in considerazione l’avanzamento ad anzianità, i militari, se idonei, vengono promossi con la stessa decorrenza attribuita ai pari grado con i quali sarebbero stati valutati in assenza delle cause impeditive, riacquistando l’anzianità relativa precedentemente posseduta (art.18)” .

Peraltro, secondo l’interpretazione dello stesso giudice, tale disciplina ricostruttiva della posizione di status (e, conseguentemente, economica) non si applicherebbe al personale medio tempore cessato dal servizio.

3.3.1. Secondo l’appellante, l’esigenza della migliore organizzazione ed utilizzazione dei personale in servizio individuata dal T.A.R. a fondamento della limitazione della progressione della carriera ai soli sottufficiali in s.p.e. non sembrerebbe contrastare in alcun modo con il riconoscimento di tale progressione anche a favore di sottufficiali che siano stati collocati in congedo dopo l’imputazione per delitto non colposo, ma prima del proscioglimento (ossia, in epoca antecedente al venir meno della causa ostativa).

Il S, infatti, laddove deduce con il primo ordine di censure ingiustizia per erronea presupposizione di fatto e di diritto oltreché per difetto di istruttoria, nonché eccesso di potere per ingiustizia manifesta e per disparità di trattamento, reputa che l’esigenza sopradescritta non potrebbe di per sé escludere la valutabilità dell’intero servizio da lui effettivamente prestato ed il conseguente riconoscimento del grado e della posizione da lui maturata nel corso degli anni, posto che egli ha continuato a svolgere il proprio ufficio durante tutto il periodo di sottoposizione al procedimento penale, esattamente alla pari degli altri colleghi coimputati: e, d’altra parte, il principio generale della presunzione di non colpevolezza, imposto dall’art. 27 Cost., adempirebbe anche ad una funzione cautelativa, implicante la conservazione delle situazioni giuridiche facenti capo al soggetto sottoposto a procedimento penale fino alla sua eventuale condanna definitiva.

Pertanto, sempre secondo la prospettazione dell’appellante, la sopravvenienza della sentenza di proscioglimento in sede penale determinerebbe il venir meno della preclusione alla propria valutazione ai fini dell’avanzamento e non potrebbe che comportare la piena reviviscenza del rapporto quale si sarebbe svolto se tale preclusione non vi fosse mai stata, nonché la riconsiderazione dell’anzianità di grado spettante in base agli anni di servizio prestati.

Secondo l’appellante, la voluntas legis non risulterebbe affatto “esplicita” nel senso inteso dal giudice di primo grado, per cui nulla in realtà impedirebbe l’estensione analogica al proprio caso della norma contenuta nell’art. 17, comma 6, del D.L.vo 196 del 1995, in forza del quale –per l’appunto – “al venir meno delle predette cause, salvo che le stesse non comportino la cessazione dal servizio permanente, gli interessati sono inclusi nella prima aliquota utile per la valutazione” ;
né, del resto – sempre secondo l’appellante - la legge avrebbe potuto espressamente impedire l’applicabilità di tale norma anche al personale già collocato in congedo al momento della risoluzione della causa impeditiva, trattandosi di un’ipotesi del tutto anomala, determinata - nel caso di specie - dalla lunghezza eccessiva, oltrechè assolutamente inusuale(circa venti anni), del procedimento penale in cui egli è stato coinvolto: e se, dunque, si concordasse con la ricostruzione operata dall’Amministrazione e condivisa dal primo giudice, non avrebbe senso considerare quanto avvenuto quale mera “sospensione della valutazione” prevista dal comma 4 dello stesso art. 17 del D.L.vo 196 del 1995 per tutto il personale escluso dalle aliquote di avanzamento a’ sensi del comma 3 dello stesso articolo, dato che la perdita della possibilità di ottenere un avanzamento di grado risulterebbe in tale ipotesi definitiva e non già del tutto momentanea.

Secondo il S, quindi, l’interpretazione del giudice di primo grado, oltre che negativamente riflettersi anche sul proprio diritto - costituzionalmente garantito - ad un trattamento economico corrispondente al servizio svolto, si collocherebbe in ben evidente contrasto con il principio di ragionevolezza e di giustizia sostanziale, facendo ricadere su di lui le conseguenze delle lungaggini processuali, e quindi compromettendo, in via irrimediabile e aggiuntiva agli enormi disagi morali e materiali già da lui subiti, anche la propria ricostruzione della sua carriera.

D’altra parte – argomenta sempre l’appellante – in modo del tutto analogo a quanto previsto in materia di riabilitazione penale o di sospensione cautelare dei dipendenti pubblici in attesa della definizione di un procedimento penale, anche nel caso di specie, una volta subentrata l’assoluzione o il proscioglimento, dovrebbe comunque essere rimosso ogni effetto derivante dall’imputazione di reati, non potendo addebitarsi alcuna conseguenza negativa ad un soggetto di cui risulti accertata in via definitiva l’assenza di responsabilità.

Quanto disposto dall’Amministrazione nella specie, sempre ad avviso della difesa del S, si tradurrebbe in un ben evidente eccesso di potere per difetto di istruttoria e di disparità di trattamento operata nei suoi confronti;
e, comunque, ove l’interpretazione data dal giudice di primo grado fosse necessariamente indotta dall’attuale dato letterale della disciplina dianzi richiamata e applicata nei suoi riguardi, la difesa medesima solleva un’ulteriore questione di legittimità costituzionale rispetto a quella già dedotta innanzi al T.A.R., e riferita questa volta all’art. 21, comma 2, del D.L.vo 196 del 1995 per asserita violazione degli artt. 3, 4, 35, 97 e 111 Cost.

3.3.2. Sempre secondo l’appellante, per i medesimi motivi dianzi esposti la sentenza impugnata configurerebbe un’ipotesi di violazione e falsa applicazione dell’art. 17, comma 3, del D.L.vo 196 del 1995, nonché eccesso di potere per errore presupposizione di fatto, irragionevolezza e ingiustizia manifesta.

Il S ribadisce, infatti, che l’articolo testè citato, laddove testualmente dispone –come detto innanzi - che dalle aliquote di avanzamento “è escluso il personale che risulti imputato in un procedimento penale per delitto non colposo o sottoposto a procedimento disciplinare da cui possa derivare una sanzione distato o sospeso dall’impiego o impedito da infermità temporanea debitamente accertata o in aspettativa” e laddove segnatamente al comma 6 dell’articolo medesimo precisa che “al venir meno delle predette anse salvo che 1e stesse non comportino la cessazione dal servizio permanente gli interessati sono inclusi nella prima aliquota utile per la valutazione” di per sé non prefigurerebbe alcuna esclusione per il personale collocato in quiescenza a domanda dall’applicazione delle disposizioni

Il S ha – inoltre – rimarcato che nel 1997, ossia nella perdurante pendenza del procedimento penale promosso nei suoi confronti, egli è stato trasferito dal 35º Gruppo Radar A.M. di Marsala, al quale era assegnato da circa trent’anni quale “operatore A.C.D.A.” ( “Aiuto controllore difesa aerea”) al Poligono di Capo Frasca, con conseguente attribuzione di mansioni diverse da quelle fino a quel momento da lui espletate.

Tale circostanza, quindi, avrebbero indotto il S a profittare dell’avvenuto raggiungimento dei 35 anni di contribuzione pensionistica e a presentare la domanda per la collocazione in congedo con decorrenza 1 luglio 1998: ma, sempre secondo la prospettazione del medesimo appellante, tale sua scelta di accedere al pensionamento dovrebbe comunque reputarsi irrilevante agli effetti della ricostruzione di carriera da lui poi richiesta e asseritamente resa comunque possibile dall’interpretazione da lui data alle disposizioni di legge dianzi riferite.

3.3.3. Gli stessi argomenti sono stati utilizzati dal S anche nell’illustrazione del terzo ordine di motivi di appello, rubricato come eccesso di potere per disparità di trattamento, nonché eccesso di potere per insufficienza di motivazione, genericità e illogicità, riferiti sempre alla sentenza resa in primo grado.

In tale contesto la difesa del S ha riproposto quindi la medesima questione di legittimità costituzionale già da essa infruttuosamente già sollevata innanzi al giudice di primo grado e riferita - come detto innanzi - all’art. 17 del D.L.vo 196 del 1995 laddove in cui non includerebbe in via espressa, e quanto meno agli effetti della ricostruzione di carriera e pensionistici, anche il personale in congedo tra i soggetti destinatari della disciplina di avanzamento ivi prevista nell’ipotesi del venir meno nei suoi riguardi delle cause ostative all’avanzamento ivi previste.

La medesima difesa reputa violati al riguardo gli artt. 3, 4, 35 e 117 Cost.

4.1. Il Collegio, per parte propria, rileva innanzitutto che – come rettamente affermato dal giudice di primo grado - l’avanzamento dei sottufficiali (ma anche degli altri militari appartenenti alla categoria del personale non direttivo delle Forze Armate), è sempre stata, per esplicita volontà del legislatore, riservato soltanto al personale in servizio attivo.

Tale principio ben si coglie già nella L. 212 del 1983, segnatamente nel Titolo III°, rubricato “ Avanzamento dei sottufficiali in servizio permanente” e che, anche nelle disposizioni già abrogate all’epoca dei fatti di causa (cfr., ad es. gli artt. 27, 30, 37 e 38), si riferiva chiaramente ai soli militari in servizio attivo.

La medesima conclusione si trae anche avuto riguardo alla riforma ordinamentale attuata con il D.L.vo 196 del 1995, vigente all’epoca dei fatti di causa;
e ciò emerge, in particolare, dalla lettura:

a) dell’art.14 che disciplina l’avanzamento nei ruoli dei marescialli e dei sergenti e dei volontari di truppa in servizio permanente;

b) dell’art.15 che disciplina l’avanzamento dei volontari di truppa in servizio permanente;

c) dell’art.17 (segnatamente evocato dalla difesa del S) che concerne il personale appartenente ai ruoli dei marescialli, dei sergenti e dei volontari di truppa in servizio permanente, da valutare per l’avanzamento;

d) dell’art.18, laddove consente al solo personale ivi indicato appartenente ai ruoli dei marescialli e dei volontari di truppa in servizio permanente di essere promosso ad anzianità una volta cessata la causa ostativa che aveva determinato la sospensione della progressione di carriera.

Preme rimarcare che la conclusione rimane la medesima anche nell’attuale sistema retto – per quanto qui interessa – dalle omologhe disposizioni contenute negli artt. 1056, 1060 e – per quanto detto innanzi – anche nell’art. 1051 del D.L.vo 15 marzo 2010 n. 66.

Le ragioni per cui il legislatore consente dunque ai soli sottufficiali in s.p.e. lo sviluppo di carriera, con esclusione dell’avanzamento per i sottufficiali in congedo, anche se collocati in ausiliaria (i quali, infatti, a tutt’oggi non sono destinatari di disposizioni in tal senso omologhe a quelle che attengono, presentemente e come in passato, all’avanzamento degli ufficiali in ausiliaria, a’ sensi della disciplina ora da ultimo trasfusa nell’art. 1253 del D.L.vo 66 del 2010) sono state individuate dal giudice di primo grado nell’esigenza della migliore organizzazione del personale in servizio, con la precisazione in ogni caso si tratta di scelte che, incidendo sull’assetto organizzativo dell’Amministrazione Militare, rientrano nella discrezionalità del legislatore medesimo e - per se stanti - non si pongono in conflitto con il parametro del buon andamento dell’azione amministrativa.

In tale contesto non può dunque configurarsi possibile l’estensione estensiva, e in subordine analogica, al personale collocato in congedo che il S ha prospettato nei riguardi del dictum contenuto nell’art. 17, comma 6, del D.L.vo 196 del 1995 ( “al venir meno delle predette cause, salvo che le stesse non comportino la cessazione dal servizio permanente, gli interessati sono inclusi nella prima aliquota utile per la valutazione” ), con la conseguenza che, per il caso di specie, non risultava in capo all’Amministrazione Militare medesima alcuno spazio di discrezionalità per poter procedere alla ricostruzione della carriera del S.

Né tale risultato ermeneutico può essere censurato in relazione al profilo della disparità di trattamento che, sempre ad avviso del S, si concreterebbe, una volta cessata la causa ostativa alla valutazione ai fini dell’avanzamento, tra personale medio tempore collocato in quiescenza e personale ancora in servizio: e ciò, come rettamente affermato dal T.A.R., in quanto la relativa censura può riferirsi soltanto alla norma che consente tale diversità di contegno, ma non certamente al provvedimento amministrativo che alla norma stessa dà concreta attuazione, salvo restando sul punto l’esito della delibazione di costituzionalità della norma medesima che sarà fatta qui appresso.

Né muta la conclusione per ll’ulteriore profilo di disparità di trattamento che verrebbe, sempre secondo la tesi del ricorrente, a realizzarsi una volta cessata la causa ostativa alla valutazione ai fini dell’avanzamento, tra personale collocato in quiescenza “a domanda” e personale collocato in quiescenza per raggiunti limiti di età.

Il giudice di primo grado ha al riguardo affermato che il S “presumibilmente, anche se non ne fa esplicita menzione … intende riferirsi alla norma del comma 1 dell’art.21 del D.L.vo 195 del 1996che, in deroga al principio di carattere generale sopra delineato, prevede una forma peculiare di avanzamento per il sottufficiale “giudicato idoneo, iscritto nel quadro di avanzamento e non promosso, che non può essere ulteriormente valutato perché raggiunto dai limiti di età o perché divenuto permanentemente inabile al servizio incondizionato o perché deceduto” disponendo che costui “è promosso al grado superiore del ruolo di appartenenza dal giorno precedente a quello del raggiungimento dei limiti di età o del giudizio di permanente inabilità o del decesso” .

Lo stesso giudice ha quindi denotato che , “per potere ammettere la denunciata disparità di trattamento ( che troverebbe in ogni caso fonte non nel provvedimento impugnato, applicativo della norma, ma nella norma stessa che illogicamente riserva diverso trattamento a pensionati a domanda e pensionati per raggiunti limiti di età), il ricorrente avrebbe dovuto documentare che egli stesso, prima del collocamento in quiescenza, era stato giudicato idoneo, iscritto nel quadro di avanzamento e non promosso al grado superiore per la sopravvenienza della causa ostativa in precedenza rappresentata. Ma di tale circostanza non è stato fornito alcun indizio, di talché il Collegio non può accedere alla tesi prospettata in gravame” .

4.2.1. Rebus sic stantibus , non rimane quindi che disaminare le questioni di legittimità costituzionale avanzate dal S.

4.2.2. Per quanto attiene alla prima di esse, riproposta dall’appellante nei medesimi termini da lui già illustrati nel giudizio di primo grado, l’art. 17, comma 6, del D.L.vo 195 del 1996 è censurato per violazione degli artt. 3, 4, 35 e 11 della Costituzione.

Per quanto attiene all’asserita violazione degli artt. 4 e 35 Cost., va ribadito anche da questo giudice che la tutela del diritto del lavoro in tutte le sue forme, apprestata dalla surriferita disciplina costituzionale, non ricomprende per certo la tutela delle aspettative di progressione di carriera: profilo, questo, semmai afferente all’organizzazione dell’Amministrazione Militare e da ricondurre, quindi, al ben diverso parametro dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.), semmai nella specie salvaguardato proprio dalla predetta scelta del legislatore di non contemplare nella specie avanzamenti di grado susseguenti alla collocazione in congedo del militare.

Del tutto irrilevante nell’economia della presente causa è poi l’asserita violazione del parametro di cui all’art.111 della Costituzione, posto che l’irragionevole durata del processo consente – semmai - a colui che si pretende leso al riguardo di azionare nella competente sede giudiziale i meccanismi riparatori di cui alla L. 24 marzo 2001 n. 89, nel mentre risulta del tutto assodato che la pur innegabile consistenza temporale del procedimento penale a cui il S è stato sottoposto comunque non determina responsabilità dell’Amministrazione Militare nei riguardi dell’appellante medesimo, in quanto – come detto innanzi – essa era inderogabilmente tenuta all’osservanza della disciplina vigente in materia, e ciò a prescindere dalla durata (ancorchè anomala) del procedimento predetto.

Per quanto attiene alla prospettata lesione dell’art. 3 Cost., ossia l’asserita irrazionalità della diversità di trattamento giuridico tra situazioni che il S pretenderebbe omologhe, va in via assorbente evidenziato che colui che –come, per l’appunto, l’attuale appellante - cessa anticipatamente dal servizio compie una scelta consapevole, in quanto con ciò rinuncia ad ogni futura attribuzione di status e patrimoniale, semprechè espressamente non spettante ex lege in via retroattiva.

Semmai, un problema di disparità potrebbe ragionevolmente porsi, rispetto al personale che in quanto rimasto in servizio può fruire della riammissione alla valutazione per l’avanzamento ai gradi superiori, per coloro che – viceversa - inderogabilmente cessano dal servizio d’autorità avendo compiuto l’età massima contemplata per la collocazione in congedo e che, pertanto, non possono poi fruire per una causa indipendente dalla loro volontà della prevista possibilità di ricostruzione di carriera.

Ma, per l’appunto, non è questo il caso del S, che è volontariamente cessato dal servizio all’atto della maturazione dei 35 anni di contribuzione previdenziale prevista all’epoca per l’ottenimento della pensione di anzianità: scelta che egli stesso afferma avvenuta in dipendenza del disposto suo trasferimento ad altra sede dopo quasi un trentennio di assegnazione al Centro Radar di Marsala.

E’ evidente, quindi, che è stata proprio tale decisione del S ad elidere quella possibilità di riconsiderare la propria posizione di status – e conseguentemente economica – che il legislatore, per tutto quanto detto innanzi, coerentemente accorda al solo personale rimasto in servizio e che, al più, potrebbe essere altrettanto coerentemente estesa (ma solo attraverso un intervento legislativo ad hoc , ovvero mediante un rinvio della questione al giudice delle leggi) soltanto a coloro che sono stati costretti a cessare il servizio in dipendenza del raggiungimento della massima età contemplata al riguardo e senza che nel frattempo sia stato favorevolmente definito il procedimento penale promosso nei loro riguardi.

4.2.3. Per quanto concerne invece l’ulteriore questione di legittimità costituzionale che il S ha sollevato nel presente grado di giudizio nei riguardi dell’art. 21, comma 2, del D.P.R. 196 del 1995, laddove non estende anche per il caso che lo riguarda la disciplina contemplata per il personale “appartenente ai ruoli dei marescialli, dei sergenti e dei volontari di truppa in servizio permanente che, avendo maturata l’anzianità per essere compreso nelle aliquote di valutazione per l’avanzamento, non può esservi incluso perché divenuto permanentemente inabile al servizio incondizionato ovvero perché deceduto, nonché … (il) personale che, incluso in aliquota, venga a trovarsi nelle stesse condizioni anteriormente alla iscrizione nei quadri di avanzamento”, il quale è - per l’appunto - promosso al grado superiore del ruolo di appartenenza dal giorno precedente a quello del raggiungimento dei limiti di età o del giudizio di permanente inabilità o del decesso.

Si tratta infatti di condizioni personali manifestamente non omologabili rispetto a quelle del medesimo S e, quindi, chiaramente insuscettibili di determinare la violazione dei parametri di cui agli artt. 3, 4, 35, 97 e 111 Cost., posto che esse sono contraddistinte dal sopraggiungere di una malattia comportante ex se la cessazione dal servizio per sopravvenuta inidoneità fisica e che comportano quindi a titolo equitativo il diritto al riconoscimento ex lege del grado superiore all’atto del congedo con utilità non più “funzionale” ma solo economica, e non già da una vicenda giudiziaria che - per l’appunto - non assume riflessi sotto il profilo fisico, ma solo sotto il profilo di un’incompatibilità tra la condanna penale che l’imputato potrebbe eventualmente subire e il proprio rapporto d’impiego con la Forza Armata e che pertanto non postula, di per sé, la cessazione immediata dal servizio ma soltanto il rinvio di ogni valutazione ai fini dell’avanzamento al grado superiore.

5. Le spese e gli onorari di causa possono essere, comunque, integralmente compensati tra le parti per entrambi i gradi del giudizio.

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