Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-12-14, n. 202210972

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2022-12-14, n. 202210972
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202210972
Data del deposito : 14 dicembre 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 14/12/2022

N. 10972/2022REG.PROV.COLL.

N. 07924/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7924 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato F A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;



contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, in persona del legale rappresentante, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;



per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima) n.-OMISSIS-


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2022 il Cons. Rosaria Maria Castorina e udito l’avvocato F A per la parte appellante;

Viste, altresì, le conclusioni delle amministrazioni appellate, come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.




FATTO

Il ricorrente, magistrato amministrativo in quiescenza, esponeva che con provvedimento adottato dal Presidente del Consiglio di Stato, poi ratificato dal Consiglio di Presidenza, era stato sospeso cautelarmente dal servizio a decorrere dal giorno 8 ottobre 2012, per effetto della sentenza di condanna emessa in pari data dal Tribunale di Reggio Calabria, confermata in grado di appello; successivamente, con sentenza n. 54535 del 4 novembre 2016, la Corte di Cassazione aveva pronunciato sentenza di proscioglimento dai reati ascritti per estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

Dalla data della sua sospensione dal servizio, sino alla data in cui era stato posto in quiescenza per raggiunti limiti di età, gli era stato corrisposto l’assegno alimentare, pari al 65% dello stipendio.

In data 14 dicembre 2016 aveva trasmesso all’Amministrazione il dispositivo della sentenza di proscioglimento con la richiesta di riconoscimento del trattamento economico e giuridico nel frattempo maturato (dal 9 ottobre 2012 al 31 dicembre 2015), comprensivo delle tredicesime, del trattamento di quiescenza e della stessa ricostruzione giuridica del rapporto, anche ai fini del successivo trattamento pensionistico.

L’amministrazione non aveva dato riscontro alla richiesta.

Alla luce dell’inerzia mantenuta dall’amministrazione riguardo al trattamento economico richiesto, in data 13 aprile 2018 aveva presentato analoga istanza, respinta con il provvedimento impugnato, sul presupposto che si era trattato di sospensione cautelare obbligatoria alla stregua dei criteri fissati con deliberazione del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa del 31 maggio 2007 e dall’art. 4 della legge 27 marzo 2001, n. 97.

Avverso il superiore provvedimento il ricorrente promuoveva un primo ricorso innanzi al TAR Lazio, sezione Roma (RG -OMISSIS-) con cui chiedeva non solo l’annullamento ma anche il riconoscimento dei diritti economici e giuridici pretermessi. Poi, un secondo ricorso, sempre al TAR Lazio, sez. Roma (RG -OMISSIS-) con cui, ribaditi i profili impugnatori del precedente, si chiedevano dettagliatamente gli emolumenti negati.

Con sentenza n.-OMISSIS-, pubblicata in data -OMISSIS-, previa riunione dei due ricorsi, il TAR adito respingeva la domanda sul presupposto che a, seguito della condanna per il reato di corruzione in atti giudiziari, l’appellante era stata sospeso obbligatoriamente dal servizio e che la sospensione cautelare obbligatoria costituisce in tale ipotesi un atto dovuto in considerazione della impossibilità di svolgimento del sinallagma contrattuale e, quindi, mantiene i suoi effetti e non dà diritto a restitutio in integrum , a differenza della sospensione cautelare facoltativa.

Appellata ritualmente la sentenza, resistono la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa.

All’udienza del 22 novembre 2022 la causa passava in decisione.



DIRITTO

1.Con il primo motivo di appello l’appellante deduce: Travisamento del riferimento normativo applicato al caso in specie. Contraddittorietà della motivazione.

Lamenta che erroneamente il Tar aveva ritenuto che trattandosi di sospensione obbligatoria, di nessun rilievo sarebbe la mancata attivazione del procedimento disciplinare, anche in presenza di sentenza di proscioglimento per prescrizione del reato.

2.Con il secondo motivo deduce: Contraddittorietà della motivazione e violazione art. 9, commi 1 e 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19, e d.lgs. 165/2001, art. 55 bis e ter.

Evidenzia la contraddittorietà della decisione del giudice di primo grado sul rilievo che si renderebbe obbligatoria un’azione disciplinare che porti alla destituzione del dipendente, in caso di condanna, mentre questo non sarebbe necessario nel caso di proscioglimento per prescrizione del reato, riconoscendosi una ultrattività alla sospensione cautelare dal servizio.

3.Con il terzo motivo deduce omessa valutazione dell’obbligatorietà dell’azione disciplinare anche nel caso di quiescenza del dipendente. Non corrispondenza fra chiesto e pronunciato. Necessità del riferimento alla successiva fase disciplinare per definire i rapporti giuridici ed economici del dipendente sospeso dal servizio.

Lamenta che il Tar non aveva considerato che, in caso di sospensione cautelare dal servizio in relazione ad un procedimento penale, l'interesse all'esercizio dell'azione disciplinare della P.A. permane anche quando vi sia stato il sopravvenuto collocamento in quiescenza del dipendente, ciò non solo per dar certezza giuridica agli assetti economici intercorsi tra le parti ma anche per finalità che trascendono il rapporto di lavoro già cessato, poiché il datore pubblico è pur sempre tenuto a intervenire a salvaguardia di interessi collettivi.

4.Con il quarto motivo deduce contraddittorietà della sentenza rispetto alla giurisprudenza citata in primo grado nonché sopravvenuta. Illegittimità della pronuncia per mancato rispetto dei principi elaborati dal Consiglio di Stato e dalla Corte di Cassazione in materia di rapporti dell’obbligatorietà del procedimento disciplinare nello specifico caso di sospensione obbligatoria, con il consequenziale riconoscimento del diritto alla restitutio in integrum .

5.Con il quinto motivo censura il diverso trattamento giuridico fra necessità di procedimento disciplinare per il Giudice Ordinario e il Giudice Amministrativo e in caso di mancata attivazione il diritto alla restitutio in integrum per il primo. Contraddittorietà della motivazione rispetto alla necessità prevista dall’ordinamento di attivare in ogni caso il procedimento disciplinare.

6. Con il sesto motivo deduce: Travisamento di legge; violazione, art. 3, comma 57 bis, della l. n. 350/2003. Inapplicabilità della norma. Non corrispondenza fra chiesto e pronunciato.

Lamenta l’erroneità della motivazione del TAR Lazio nella parte in cui si incentra sulla mancata richiesta dell’appellante di rientrare in servizio, nonostante la sentenza di assoluzione per prescrizione del reato.

7.Con gli ulteriori motivi ripropone le ulteriori censure formulate in primo grado e assorbite dalla pronuncia impugnata.

8.Le censure, suscettibili di trattazione congiunta per la loro stretta connessione, sono fondate per i motivi che si vanno a precisare.

L’appellante è stato sospeso cautelativamente dal servizio, a decorrere dal giorno 8 ottobre 2012, a seguito della sentenza di condanna per corruzione in atti giudiziari.

L'istituto della sospensione cautelare nel pubblico impiego ha trovato una prima disciplina nel D.P.R. n. 3 del 1957, per gli impiegati civili dello Stato, negli articoli da 91 a 99.

Alle ipotesi di sospensione cautelare previste da tali fonti si è aggiunta una sospensione di carattere speciale e di natura obbligatoria legata alla condanna (e talora al rinvio a giudizio) per specifici reati. La relativa disciplina è stata dapprima fissata dalla L. n. 55 del 1990, art. 15, comma 4 septies , norma applicabile a tutti i dipendenti pubblici (cfr. Corte Costituzionale, sent. 16/05/1994, n. 184) e, successivamente, dalla L. 27 marzo 2001, n. 97, art. 4, di applicazione parimenti generale.

Nella fattispecie di causa la sospensione è stata disposta ai sensi dell'art. 4 della suddetta L. n. 97 del 2001; la norma sancisce la sospensione obbligatoria del dipendente di amministrazioni o enti pubblici (nonché degli enti a prevalente partecipazione pubblica) in caso di condanna, anche non definitiva, per alcuno dei delitti previsti nel precedente art. 3. Tra essi figura il delitto di corruzione in atti giudiziari per il quale l'odierno appellante è stato condannato dal Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza confermata in appello.

9.L’art. 4 citato prevede: 1. Nel caso di condanna anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuno dei delitti previsti dall'articolo 3, comma 1, i dipendenti indicati nello stesso articolo sono sospesi dal servizio.

2.La sospensione perde efficacia se per il fatto è successivamente pronunciata sentenza di proscioglimento o di assoluzione anche non definitiva e, in ogni caso, decorso un periodo di tempo pari a quello di prescrizione del reato.

A tenore del comma 2, dunque, la sospensione cautelare perde efficacia se per il

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