Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-11-07, n. 201205669

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-11-07, n. 201205669
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201205669
Data del deposito : 7 novembre 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 06596/2011 REG.RIC.

N. 05669/2012REG.PROV.COLL.

N. 06596/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6596 del 2011, proposto da:
Ministero dell'Economia e delle Finanze -Comando Gen.le G.d.F. - Comando Interreg. Italia Nord Occidentale della Gdf, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

L R, rappresentato e difeso dall'avv. E Mla, con domicilio eletto presso E Mla in Roma, via Tacito N. 50;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA: SEZIONE I n. 00379/2011, resa tra le parti, concernente della sentenza del T.A.R. Lombardia - Brescia - sezione I^ - n. 00379 del 2011, resa tra le parti, concernente sospensione precauzionale dal servizio.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di L R;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 9 ottobre 2012 il Cons. U R e uditi per le parti gli avvocati E Mla e Stefano Varone (Avvocatura dello Stato);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il presente gravame il Ministero appella la sentenza del TAR-Brescia che, dopo aver respinto l’atto introduttivo diretto avverso un primo provvedimento, ha invece annullato un successivo provvedimento di sospensione cautelare dal servizio dell’odierno appellato, graduato della Guardia di Finanza, irrogata a seguito dell’intervento della condanna in primo grado alla pena di anni 1 e 10 mesi di reclusione ed a € 600,00 di multa per millantato credito commesso in violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione (artt. 346, 1 c. e 61 n. 9 c.p.).

A seguito di intercettazioni telefoniche, assolutamente esplicite per l’espressioni utilizzate, era risultato che l’appellato, in concorso con un altro collega, si era fatto consegnare denaro da un imprenditore con la promessa di fornirgli notizie sul controllo fiscale a suo carico e di influire sul relativo esito.

La sentenza impugnata è, in sintesi, affidata alle considerazioni per cui la proroga della sospensione:

-- sarebbe intervenuta solo all’esito di una sentenza penale di 1° grado, peraltro non appellata del Pubblico Ministero;

-- sarebbe stata irrogata nonostante si fosse verificata una “… situazione totalmente diversa da quella originaria, rispetto alla quale ultima potrebbe pur anche non trovare certo e successivo albergo una concretizzazione valutativa di profilo amministrativo ai sensi dell’art. 40, 1°c., p. 7 della l. n. 883 del 1961 “;

-- sarebbe stata ipotizzabile solo nel caso in cui il Giudice penale d’appello avesse qualificato la fattispecie in termini più gravi del rinvio a giudizio;

-- sarebbe stata irrogata con riferimento all’art. 346 del c.p.p., cioè per una fattispecie criminosa per cui non conseguirebbe obbligatoriamente la rimozione e quindi non sarebbe consentito la sospensione;

-- avrebbe avuto natura sostanzialmente sanzionatoria per l’assenza di un termine finale (cfr. C.d.S. sez. V 4.3.2008, n. 904 e sez. VI 11.2.2011, n. 905) e per fatto che l’Amministrazione -- pur essendosi definita la vicenda penale per prescrizione -- non avrebbe ancora avviato il procedimento.

Inoltre il primo giudice aveva ritenuto ”. . meditatamente, di non condividere quanto concluso dal Consiglio di Stato IV Sezione in un caso identico (di cui all’ord. n. 3690 del 29 luglio 2010).

L’appello, senza l’intestazione di apposite rubriche, è affidato alla deduzione di diversi profili di censura relativi alla natura tipicamente discrezionale del provvedimento ed alla rispondenza della sospensione alle finalità di garanzia dell’Amministrazione di cui all’articolo 2 della legge n. 19/1990.

Si è costituito in giudizio l’appellato, il quale ha sottolineato l’esattezza della decisione in relazione all’affermata illegittimità della sospensione dato che la condanna in primo grado concerneva un reato per cui non avrebbe potuto essere comminata l’automatica perdita del grado e, in conseguenza, nemmeno la sospensione obbligatoria. Inoltre rileva che era stato poi prosciolto in appello per intervenuta prescrizione.

Con ordinanza n. 4149 del 27 settembre 2011 la Sezione ha accolto l’istanza di sospensione cautelare ed ha sospeso la decisione impugnata anche relazione al fatto che, per effetto di altra vicenda al militare era stata comunque successivamente comminata la sanzione della perdita del grado per rimozione.

Chiamata all'udienza pubblica, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

DIRITTO

A sostegno del suo appello il Ministero lamenta l’erroneità della decisione invocando la giurisprudenza di questa Sezione la quale ha sempre affermato la natura di ampiamente discrezionale dei provvedimenti di sospensione facoltativa dal servizio, e la “riserva di amministrazione” circa la valutazione della gravità dei fatti e delle ragioni di opportunità connesse con la permanenza in servizio dell’incolpato (cfr. da ultimo Consiglio di stato, Sezione IV , 30/11/2010 n. 8350).

Il presupposto di legge per la sospensione facoltativa di militari appartenenti alla categoria “Appuntati e Finanzieri” sarebbe rappresentato dalla sottoposizione a procedimento penale per un’imputazione da cui possa derivare la perdita del grado ai sensi dell’articolo 14, comma uno della legge n. 833/1961. Sotto tale profilo il Ministero sottolinea inoltre che, da un lato, il millantato credito sarebbe una fattispecie criminosa grave, in quanto suscettibile in astratto di comportare la perdita del grado;
e dall’altro che il sopravvenire della dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione non avrebbe avuto alcun rilievo in quanto l’appellato era già stato comminata, in esito di altre vicende giudiziarie, la sanzione espulsiva.

L’erroneità fondamentale della decisione del primo giudice starebbe nell’infondatezza dell’affermazione per cui la perdita del grado, cui fa riferimento l’articolo 14, comma primo della legge n. 833/1961, non si riferirebbe anche alla rimozione conseguente ad un eventuale processo disciplinare di stato avviato per violazione del giuramento ai sensi del successivo articolo 40 n. 6.

L’amministrazione, a seguito della sentenza di condanna emessa in primo grado dal Tribunale di Brescia, avrebbe legittimamente avviato un procedimento disciplinare al fine di valutare i presupposti di fatto e di diritto, la gravità della condotta e la consistenza degli elementi a suo carico, risultanti dalla sentenza di condanna (ex plurimis: Consiglio di Stato, sezione IV 18 marzo 2009 n. 1602). Una riammissione in servizio sarebbe dunque stata palesemente illogica in quanto contrastante con le peculiari ed insidiose modalità di commissione del reato che ne tracciavano un profilo di sostan-ziale inaffidabilità.

L’appello è fondato.

Ai sensi dell’art 14 della L. 3 agosto 1961 n. 833 relativo allo “Stato giuridico dei vicebrigadieri e dei militari di truppa della Guardia di finanza”(restato in vigore ai sensi del comma 1 dell’art. 1,del D.Lgs. 1° dicembre 2009, n. 179) “ Il militare di truppa in servizio continuativo che sia sottoposto a procedimento penale per imputazioni da cui può derivare la perdita del grado, può essere sospeso precauzionalmente dal servizio ”.

Al riguardo esattamente il provvedimento ha ritenuto che, in pendenza dell’appello della sentenza di condanna per il solo reato di cui all’art. 346 del c.p.p. , l’interessato avesse la qualità di “imputato”di cui al cit. art. 14 all’appellato.

Sotto il profilo sostanziale -- tenendo conto che l’appellato aveva indotto un imprenditore, soggetto ad accertamenti fiscali presso la sua cava, a versargli del danaro con la promessa di notizie e di intervento presso i superiori -- deve concludersi che legittimamente il suo comportamento è stato giudicato in contrasto con i doveri di chi indossa una divisa.

Il “millantato credito” di un militare della Guardia di Finanza è una fattispecie connotata da una peculiare gravità sia per la indiretta coartazione psicologica che induce nella libera determinazione della persona offesa ;che altera il corretto rapporto tra organi pubblici ed il cittadino;
ed infine arreca un manifesto "vulnus" al decoro ed al prestigio del Corpo.

In definitiva non vi sono dubbi che, in linea generale, l’imputazione o una condanna non definitiva per il reato di millantato credito da parte di un finanziere, possano essere presi a presupposto per la perdita del grado.

L’annullamento della seconda sospensione cautelare da parte del TAR è errata in quanto la derubricazione del reato da parte del Tribunale di Brescia non aveva assolutamente mutato la sostanza di un comportamento odioso in sé, che costituiva una manifesta violazione dei doveri connessi con una delle fondamentali attività d’istituto (quale la repressione dell’evasione), per cui il ricorrente aveva prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica ed al Corpo.

Per questo deve dunque concludersi che la sospensione cautelare impugnata in primo grado sia esente da un qualunque sintomatico vizio di illogicità o di irragionevolezza.

Contrariamente a quanto poi ritenuto dal T, la sospensione impugnata era una mera misura cautelare, che non rivestiva natura disciplinare, in quanto prescindeva del tutto da un accertamento finale della responsabilità dell'inquisito, ed era fondata solo a valutazioni di opportunità relative alla necessità di rimuovere il pregiudizio derivante dalla permanenza del militare nelle funzioni proprie. Al riguardo deve confermarsi l’orientamento consolidato della Sezione per cui i provvedimenti di sospensione facoltativa hanno natura ampliamente discrezionale relativamente all’apprezzamento dei “gravi motivi” i quali possono consistere anche solo nella preoccupazione di evitare l’oggettivo turbamento nel Corpo che la riammissione in servizio dell’interessato determinerebbe (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 marzo 2001, n. 1695).

Inoltre -- argomentando ex art. 97 t.u. n. 3 del 1957 ed ex art. 7 d.lgs. n. 449/1992 -- l'illiceità penale e quella disciplinare orbitano su piani assolutamente differenti, per cui l'Amministrazione conserva sempre il suo potere di autonoma valutazione dell’illecito nell’ambito del procedimento disciplinare anche in presenza di una sentenza di assoluzione dalla quale discende che il fatto non costituisce reato in quanto (cfr. Consiglio Stato , sez. IV, 07 luglio 2009, n. 4359).

Il sopravvenire del proscioglimento dell’imputato per prescrizione era dunque del tutto irrilevante perché costituiva pronuncia di mero rito che non equivaleva affatto ad assoluzione in senso proprio (come dimostra, del resto, l'art. 576 cod. proc. pen. che, in tal caso, consente al giudice dell'impugnazione la possibilità di condannare comunque l'imputato al risarcimento dei danni).

L’area dell’illecito penale è infatti notoriamente più ristretta rispetto a quella dell’illecito disciplinare, per cui uno stesso fatto può essere giudicato lecito dal punto di vista penale, ed illecito sotto il profilo disciplinare (basti ricordare in materia l’esempio di scuola, relativo alle ingiurie ed alle diffamazioni ritenute penalmente non punibili ad un superiore). Il proscioglimento per prescrizione non preclude affatto una valutazione, in sede disciplinare, ai fini cautelari dei fatti emersi in primo grado in sede penale.

Se infatti l’imputato era interessato a conseguire un’assoluzione piena, e quindi voleva contestare l’accertamento di merito della prima sentenza, avrebbe dovuto – ma non ha fatto -- espressamente rinunciare alla prescrizione ex art. 157, 7 co. c.p. .

Nel caso di specie legittimamente l’Amministrazione ha dunque richiamato a fondamento della sospensione cautelare la materialità storica dei fatti così come definiti nella prima sentenza penale.

Infine, inconsistente è l’affermazione per cui la sospensione del 2009 sarebbe stato illegittima perché ci sarebbe stato l’eventuale rischio che essa si sarebbe potuto trascinare ben oltre il limite quinquennale di legge: una volta trascorso il termine quinquennale previsto dall'art. 9 l. n. 19 del 1990, la P.A. ha comunque il potere, ai sensi dell’art. 7, VII° comma del d.lg. n. 449/1992, di disporre la sospensione facoltativa dal servizio di cui all'art. 92 t.u. n. 3 del 1957.

In definitiva, la sospensione cautelar impugnata era stato adottata su due presupposti del tutto legittimi quali la riconducibilità del reato di cui all’art.346, 1° co. all’art 14 della L. 3 agosto 1961 n. 833;
e la qualità di imputato che il militare rivestiva nel processo di secondo grado al momento.

L’appello dell’Amministrazione è dunque fondato e deve essere accolto e per l’effetto deve essere pronunciato l’annullamento della decisione impugnata.

Le spese tuttavia, per evidenti speciali ragioni di socialità possono essere compensate tra le parti.

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